domenica 9 agosto 2009

Etica: agire da uomini. Aristotele (6)




"Tutto ciò che agisce, agisce per un fine. Ma vi è un fine che vogliamo per sé stesso, mentre tutti gli altri sono voluti in funzione di quello. Il fine ultimo perciò è il bene supremo, a cui sono dirette tutte le nostre azioni".

Con questo splendido inizio si apre la ricerca di Aristotele sull’agire umano, ricerca che lui denonima per la prima volta "etica", con l'opera intitolata "Etica a Nicomaco", in dieci libri, dedicata al figlio Nicomaco.

Qual è dunque il fine ultimo, a cui l’agire umano tende naturalmente? Tutti riconoscono che l’uomo cerca come bene massimo la felicità.

Ma le opinioni divergono quando si tratta di stabilire che cos’è la felicità.

“Infatti alcuni pensano che sia qualcosa di visibile e appariscente, come il piacere, la ricchezza, l’onore; altri, altra cosa. Anzi spesso è il medesimo uomo che l’intende in vari modi: quando è ammalato, infatti, l’intende come salute, come ricchezza quando si trova povero” (I, 5).

Per stabilire qual è il fine ultimo dell’uomo, verso il quale dirigere le azioni, bisogna capire qual è la natura propria dell’uomo, e cioè in che cosa si distingue dagli altri esseri. Perché la felicità consiste nel realizzare ciò che di proprio ha la natura umana.
Infatti l’uomo non si sentirebbe realizzato, se non soddisfacesse ciò che di più tipico è nella sua natura.

“Gli uomini della massa, i più rozzi, l’identificano con il piacere, e per questo amano la vita di godimento. Questi uomini si rivelano veri e propri schiavi, scegliendo una vita da bestie” (I, 5).

Il bene supremo deve essere tipico solo dell’uomo. E la natura umana non è solo animalità, ma anche e particolarmente razionalità; l’uomo è animale razionale.
Non basta soddisfare le pulsioni istintive, che sono proprie degli animali; bisogna vivere secondo ragione, dare spazio e compimento ai valori razionali e contemplativi, che costituiscono, secondo la mirabile affermazione di Aristotele, “la cosa più divina che è in noi” (X, 7). Dio è pensiero del pensiero, e l'uomo quando medita e riflette sulle verità assolute è simile a Dio.

“Perciò, non bisogna dar retta a coloro che consigliano all’uomo, poiché è uomo e mortale, di limitarsi a pensare a cose umane e mortali; anzi, al contrario, per quanto è possibile, bisogna comportarsi da immortali e far di tutto per vivere secondo la parte più nobile che è in noi” (X, 7).

Sono sempre rimasto impressionato da questa conclusione dell’etica aristotelica. Con il semplice uso delle capacità umane, esercitate in maniera libera da ogni condizionamento, il Filosofo scrive una pagina che potrebbe essere inserita nei libri sapienziali della Sacra Scrittura.

La felicità dell’uomo consiste dunque nell’esercizio delle capacità razionali e contemplative (virtù dianoetiche). L’uomo sapiente e saggio è anche il più felice, “e il più caro alla divinità”.

Ma l’uomo è anche “animale”, e quindi ha bisogni e pulsioni da soddisfare. Non sarebbe possibile la felicità senza tener conto anche di questo aspetto.
Tuttavia l’uomo non può dimenticare di essere animale “razionale”. Quindi anche i suoi istinti passano al vaglio della ragione e vengono da essa regolati e guidati. Un atto umano non è perciò mai paragonabile a quello dell’animale, perché ha sempre una valenza morale.

Aristotele chiama virtù etiche queste guide regolatrici degli istinti dell’uomo.

Le virtù etiche sono degli habitus, delle “abitudini” acquisite. Esse determinano “il giusto mezzo” tra due eccessi opposti; per cui la virtù del coraggio è il giusto mezzo tra la viltà e la temerarietà, la temperanza è il giusto mezzo tra gli usi sregolati dei piaceri, e così via.

“L’eccesso e il difetto sono propri del vizio, mentre la medietà è propria della virtù” (II, 5).

Il famoso “giusto mezzo” (aurea mediocritas) non è una scoperta di Epicuro, ma di Aristotele.

Un posto particolare tra le virtù etiche lo occupa la giustizia, alla quale Aristotele dedica l’intero V libro. “La giustizia è la più importante delle virtù, né la stella della sera, né quella del mattino sono altrettante degne di ammirazione. Nella giustizia è compresa ogni virtù”. Questa virtù regola principalmente la vita associata, la "politica"; e per Aristotele l'uomo è fondamentalmente un "essere politico".

La giustizia è “distributiva” quando dà a ciascuno ciò che gli spetta in proporzione dei meriti (unicuique suum); ed è “correttiva” quando ristabilisce un diritto violato.

Poiché l’agire umano consiste nell’esercitare le virtù, etiche e dianoetiche, per Aristotele è fondamentale l'acquisizione degli habitus positivi fin da piccoli , e in questo consiste l’educazione dell’uomo. Da una parte il genitore, l’educatore (l’essere in atto), dall’altra il ragazzo, l’educando (l’essere in potenza), che apprende imitando, facendo, ripetendo, ragionando.

“È inutile lanciare un sasso in aria infinite volte: non imparerà mai a volare” (II, 1).

L’uomo invece è un essere educabile, e non si può trascurare l’insegnamento degli habitus morali, che sono una parte fondamentale della vita dell’uomo adulto.

“Non è piccola la differenza tra l’essere abituati subito, fin da piccoli, in un modo piuttosto che in un altro; al contrario, c’è una differenza grandissima; anzi, è tutto” (II, 1). Un'affermazione che, nella sua voluta esagerazione, ci fa capire quanto Aristotele dia importanza all'apprendimento di comportamenti corretti in età infantile.

Non si può tralasciare infine il discorso dell’amicizia. Non c’è felicità senza gli altri.

“È assurdo fare dell’uomo felice un solitario: nessuno infatti sceglierebbe di possedere tutti i beni a costo di goderne da solo: l’uomo infatti è un essere socievole e portato per natura a vivere insieme con gli altri” (IX, 9).

Ma c’è un caso in cui anche l’amicizia deve cedere il passo ad un valore superiore: la verità.

“Bisogna lasciar perdere i sentimenti personali; infatti pur essendo cari entrambi, è sacro dovere onorare di più la verità” (I, 6).

Qui Aristotele critica l’amico e antico maestro Platone, per la dottrina delle idee.

Questo passo dell’etica è stato poi codificato nel detto: “Amicus Plato, sed magis amica veritas”.

È Aristotele che parla: “Amico è Platone, ma più amica è la verità”.

È una frase che non mi rimane nuova…

Si noti che Raffaello, nel celebre affresco della Scuola di Atene (1509), rappresenta Aristotele che tiene in mano proprio il libro dell'Etica (foto in alto).

Anche lui era rimasto colpito da quest'opera "divina".

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