lunedì 30 giugno 2008

La bellezza salverà il mondo (quale bellezza?)









È una celebre frase di Dostoevskij.
Ma di quale bellezza parlava?

Viene subito da pensare al fascino di una bella donna o di un bell’uomo; oggi, magari un’attrice, un attore, una rockstar, un calciatore, una velina (quest’ultimo binomio non è del tutto casuale)…
E perché queste bellezze dovrebbero salvare il mondo?

In effetti qualunque bellezza affascina; e in qualche modo, anche quella effimera di un bel volto, di un bel paio di gambe (con il resto della carrozzeria) o di una bella canzone ha un senso liberatorio.
Così pure la bellezza artistica, col suo fascino catartico. Una sindrome di Stendhal collettiva…

Dostoevksij si riferiva ad un’altra bellezza, però.
La bellezza di una persona pura, che ama in modo incondizionato, che giunge a dare la vita per gli altri, anche se ricambiata spesso con l’indifferenza o con il disprezzo.
Si riferiva alla bellezza del Cristo, “il più bello tra i figli dell’uomo”, che si è caricato del peso delle nostre cattiverie e ha ridato ad ognuno la speranza di una redenzione.

Ci sono ancora nel mondo tanti poveri ‘Cristi’ la cui vita è spesa generosamente per il bene degli altri, in particolare di altri poveri Cristi, magari inchiodati da una malattia in letti di sofferenza.
Cosa c’è di bello in tutto questo?
La luce di un gesto che illumina il volto di chi lo compie e di chi lo riceve; e la speranza che anche nell’egoistico mondo attuale il male non vincerà. La bellezza invece salverà il mondo.



Foto in alto: "Crocifisso", Cimabue (1265), Basilica di S. Domenico, Arezzo

domenica 22 giugno 2008

Celso: un intellettuale progressista (ma non troppo)


Nella blogosfera si leggono molti post fortemente critici nei confronti di chi crede in Dio, in Cristo e nella Chiesa. I credenti sono qualificati spesso come visionari, sciocchi, sorpassati... Al contrario degli atei e dei non credenti, che rappresenterebbero il futuro dell’umanità: intelligenti, liberi, ancorati alla scienza e ai suoi inarrestabili successi.

La critica alla fede cristiana in tutti i suoi aspetti non è però solo di oggi, come qualcuno potrebbe pensare. È roba vecchia, anzi antica. Ha attraversato tutti e due i millenni di storia della Chiesa.

Quello che molti non sanno (ma ora vedo che l’argomento è stato presentato oggi in un aggregatore di notizie) è che già nel II secolo l’intellettuale neoplatonico Celso, nell'opera Discorso Vero, commentata criticamente rigo per rigo da Origene, aveva postato molte di queste accuse anticristiane.
Ritiene falsa la risurrezione di Gesù, frutto di sciocca superstizione. Qualifica i cristiani come gente ignorante e stolta. Essi rappresentano una minaccia per lo stato, perché introducono divisioni ideologiche al suo interno e ne indeboliscono la tenuta. Egli poi li accusa di rivolgersi soprattutto ai vecchi, alle donne, ai bambini, agli schiavi, perfino ai malfattori, in definitiva a gente allora considerata insignificante e spregevole.

Le risposte di Origene alle argomentazioni di Celso sono esemplari anche per l’epoca attuale.
La risurrezione di Cristo è testimoniata da persone credibili, che si sono fatte uccidere per confermarla. Il cristianesimo inoltre non si basa solo su argomenti dialettici. La prova principale è una vita che cambia. Donne, vecchi, schiavi, e perfino i peccatori, quelli che Celso considera nullità e con lui i benpensanti del tempo, sono diventati un popolo nuovo, una comunità sempre più numerosa. Ciò che prima era impensabile, ora è reale, e questa è la prova che Cristo è risorto e che lo Spirito Santo agisce realmente nella storia. “Molti si sono convertiti al cristianesimo, per così dire, contro la propria volontà. Uno spirito nuovo aveva improvvisamente trasformato le loro anime. Esso li toglieva dall’avversione che provavano contro questa dottrina, disponendoli a morire in sua difesa” (Contro Celso, I , 46).

Come si vede i cristiani avevano stima di gente considerata miserabile; anche allora disturbavano i manovratori dello stato, che era il bellicoso impero romano; e confermavano la risurrezione di Cristo sul fondamento della testimonianza apostolica e nell’esperienza della propria vita cambiata. E allora come oggi, molti sedicenti intellettuali si ritenevano di razza superiore alla gente comune.

Fede cristiana o meno, il mondo laico oggi condividerebbe le ‘democratiche’ opinioni di Celso?

Foto in alto: "Crocifissione di S. Pietro", Caravaggio (1601), Chiesa di S. Maria del Popolo, Roma

mercoledì 18 giugno 2008

Perché dobbiamo dirci (e magari anche essere) cristiani



La chiesa, cioè la comunità guidata dagli apostoli che Gesù Cristo ha lasciato per continuare la sua opera, ha cambiato la storia umana e le ha dato quell’impronta di cui anche il mondo laico e anticlericale (inconsapevolmente o meno) è erede: i concetti di persona, di diritti civili, di giustizia sociale, di pace tra i popoli, di fratellanza umana, sono alcuni fondamentali valori introdotti dal cristianesimo. “Non c’è più giudeo né greco, non c’è più schiavo né libero, non c’è più uomo né donna, poiché tutti voi siete uno in Cristo Gesù” (S. Paolo, Lettera ai Galati, 3, 28).
In un periodo in cui le discriminazioni di ogni tipo erano il fondamento di ogni stato, il messaggio evangelico apparve subito ‘rivoluzionario’.

1. Epoca antica

E se ne accorse bene lo stato romano, fondato proprio su queste discriminazioni, che cominciò a perseguitare la nuova religione con una ferocia e una insistenza che alla fine stancò e nauseò gli stessi persecutori, come dice Eusebio di Cesarea, testimone dell’ultima, lunghissima persecuzione, quella di Diocleziano, che durò dieci anni ininterrotti (Storia ecclesiastica,VIII, 12, 8).
La conversione dei popoli antichi è avvenuta attraverso il martirio di migliaia e migliaia di innocenti, che preferirono subire la morte piuttosto che rinnegare Cristo. “Il sangue dei martiri è seme di nuovi cristiani”, scrisse Tertulliano nell’Apologeticon (c. 50).
Con le masse popolari il cristianesimo si trovò subito in sintonia. Il dotto pagano Celso rimproverava ai cristiani di rivolgersi innanzitutto ai poveri, alle donne, agli schiavi: a gente di nessun pregio, insomma, secondo la mentalità di allora. E Origene rispose dicendo che proprio questo era il segno della risurrezione di Cristo: un popolo nuovo stava sorgendo, consapevole della sua dignità e ammirevole per il suo tipo di vita.
Gli schiavi cominciano a riacquistare la libertà; basterà ricordare l’esempio della matrona Melania che, diventata cristiana, in un sol giorno liberò i suoi 8.000 schiavi; ma episodi simili si verificarono sempre più comunemente, tanto che intorno alla fine del primo millennio, come ricorda lo storico marxista M. Bloch, la schiavitù non esisteva più nel mondo cristiano. Purtroppo è stata reintrodotta in epoca moderna…
Le donne, che in tutti i popoli antichi (e in tanti stati moderni) erano (e sono) considerate proprietà dell’uomo (o dello stato) ottengono i medesimi diritti davanti alla legge e ai tribunali, e nella famiglia gli stessi diritti del paterfamilias, che prima aveva potere di vita e di morte nella sua casa. Certo, come per la schiavitù, non si trattò di una liberazione fulminea; c’erano millenni di retaggio maschilista da superare; ma ormai il fondamento era posto e nessuno poteva contestarlo: tutti figli dello stesso Padre, uomini e donne, creati a immagine di Dio.
I soldati iniziano a fare obiezione di coscienza contro la guerra; un fatto fino ad allora inaudito. La legione Tebea, con a capo S. Maurizio, venne passata per le armi dagli altri commilitoni, nei confini alpini con la Svizzera per non aver voluto combattere contro quelli che non erano più 'nemici', ma fratelli; e non certo per viltà: si fecero tutti decapitare.
La gente di cultura, prima indifferente o scettica di fronte al messaggio cristiano, diviene sempre più attenta e infine affascinata dai nuovi insegnamenti e dal nuovo modo di vivere: Giustino, Tertulliano, Clemente Alessandrino, Origene, Ambrogio, Agostino, Boezio, Cassiodoro, Giovanni Damasceno… La bellezza del messaggio cristiano ispira capolavori di pensiero, di letteratura, di arte.

2. Medioevo

Il mondo ‘barbarico’ intanto avanza ai confini dell'impero e conquista Roma.
Ma attraverso l'opera coraggiosa della Chiesa e il martirio di tanti missionari, primo fra tutti S. Bonifacio, apostolo della Germania, viene salvata la civiltà e la cultura, e i barbari depongono le armi e diventano cristiani: così fanno i Visigoti in Spagna, i Longobardi in Italia, i Vandali in Africa, i Franchi in Francia/Germania, gli Ungari in Pannonia (Ungheria), i Vareghi in Russia... Ed è ammirevole che alcuni di questi ex-barbari ora divengono a loro volta gli educatori del loro popolo. Ulfila traduce la Bibbia in gotico, Gregorio di Tours scrive la storia dei Franchi, Paolo Diacono quella dei Longobardi, Isidoro di Siviglia quella dei Visigoti, Beda quella degli Inglesi (Angli)… Orgogliosi delle loro origini non latine e della loro fede cristiana.
Si apre una nuova civiltà, la nostra Europa, dall'Atlantico agli Urali, e si prepara la grande civiltà medievale, con la rinascita delle città, il sistema politico dei comuni, le università, gli ospedali, le compagnie di misericordia, le corporazioni di arti e di mestieri, le lingue nazionali, la cultura, l’arte bizantina, romanica, gotica.
Le più belle istituzioni che ancora oggi sono il vanto della nostra società sono nate nel Medioevo. Il concetto stesso di Europa è un’idea altomedievale, con la rinascita carolingia e ottoniana.
Nella stupenda cripta longobarda di Abbadia S. Salvadore, sul Monte Amiata, in una delle innumerevoli colonne che la sostengono, sono scolpiti insieme la croce e il badile: è ciò che accadde in quei secoli cosiddetti oscuri dell’Alto Medioevo. I ‘barbari’ abbandonarono le armi e sull’insegnamento cristiano cominciarono ad usare gli attrezzi da lavoro: ora et labora.
La bellezza di Venezia, di Firenze, di Pisa, di Siena, di Roma, di Milano (il centro storico, ovviamente), di Monreale, di Palermo, e di infinite altre città e cittadine ci fa capire quanto grandi siano stati quel periodo e quella gente, che nella scarsità dei mezzi a disposizione hanno potuto concepire ed erigere simili opere.
Perfino il Carducci, anticlericale e massone, riconosce nella bellissima lirica La Chiesa di Polenta (che invito a rileggere), come nel fonte battesimale e nel matrimonio cristiano si siano affratellati e uniti popoli diversi, vincitori e vinti; la chiesa è stata l’unica istituzione, nella latitanza di tutte le altre, a salvare la civiltà dalle invasioni:
“Fuori [della chiesa] stridea per monti e piani il verno
de la barbarie..”
Qui, nel cospetto a Dio vendicatore
e perdonante, vincitori e vinti…
fanno il Comune”.

3. Umanesimo e Rinascimento

E poi l’Umanesimo e il Rinascimento, che sorgono dalla riscoperta e dall’incontro della classicità greca e latina con il grandi valori cristiani. Marsilio Ficino, Pico della Mirandola, Erasmo da Rotterdam, ma anche L. B. Alberti, Lorenzo Valla, papa Niccolò V, Enea Silvio Piccolomini (Pio II), i padri conciliari greci presenti al Concilio di Firenze del 1439, che riunificò la Chiesa, prima della presa e del saccheggio di Costantinopoli per mano dei Turchi nel 1453, sono alcuni dei protagonisti che hanno reso possibile questo fecondo incontro.
Le Stanze vaticane affrescate da Raffaello, che mette di fronte la Scuola di Atene (con Platone e Aristotele al centro) e la Disputa del SS. Sacramento (con al centro Agostino e Tommaso) sono gli esempi di questo incontro: da una parte gli antichi e dall'altra i padri della Chiesa… Capolavoro d’arte di Raffaello, che esprime perfettamente il significato stesso del Rinascimento (il mio avatar col mio nick è preso proprio dalla Scuola di Atene…)
La dignità della persona umana, così fortemente evidenziata dall’umanesimo e dal rinascimento, lungi dall’essere una contestazione del Cristianesimo, ne è una puntualizzazione e uno sviluppo particolare. Il David di Michelangelo è insieme la figura perfetta dell’uomo rinascimentale, ma ispirata da una delle più belle pagine della Bibbia. Non è solo la bellezza dell’armonia delle forme, ma la bellezza dell’uomo che combatte per la giustizia e con la forza divina contro la prepotenza del male.

Lo scontro con l'Islam, all'esterno (le crociate), e con la dissidenza interna (le eresie), sono momenti drammatici che ci ricordano come nessuna società sarà mai una 'società perfetta'. La malizia umana deve sempre essere messa in conto, in ogni epoca. Dobbiamo però essere molto corretti anche nel riconoscere il male.
Riguardo le crociate si deve dire che sono stati i musulmani, con i loro califfi, a conquistare con la scimitarra (e non con i missionari e i martiri) i territori cristiani, uccidendo e imponendo tributi pesantissimi. Le loro conquiste accerchiarono tutta la cristianità, finché per la prima volta a Poitiers, nel 732, Carlo Martello riuscì a fermare l'avanzata saracena. Quando poi, anche la stessa Costantinopoli fu messa in pericolo dalle conquiste dei popoli turchi (battaglia di Mazinkert, 1071), l’occidente non poté ignorare la minaccia e iniziò un periodo di riscossa che ebbe un solo successo con la prima crociata (1099) e una serie di sconfitte disastrose, ma che in parte frenarono l'espansionismo islamico. Purtroppo non fu possibile resistere agli assalti contro Costantinopoli, conquistata e saccheggiata nel 1453. La basilica di S. Sofia fu trasformata in moschea e ora in museo. Ciò che hanno fatto i musulmani nelle terre cristiane da loro conquistate è cosa nota: dove sono arrivati loro, sono spariti i cristiani; o eliminati o impediti di professare pubblicamente la fede. Anche oggi è grossomodo così, figuriamoci 500 anni fa…
Le grandi vittorie di Lepanto (1573) e di Vienna (1683) segnarono finalmente il declino dell’impero turco, vero terrore di tutto il mondo cristiano (“mamma, li turchi!”)
Riguardo l’inquisizione, si deve dire che quel tipo di tribunale va severamente giudicato come un grave errore degli uomini di Chiesa, pur tenendo conto dei condizionamenti storici di molti secoli fa. Il numero delle esecuzioni, in tutti i cinque secoli che quel tribunale è esistito (dal 1200 al 1700 circa) non supera certamente le 100.000 persone. Cifre altissime, ma non certo quelle che la stampa laicista vorrebbe far credere, parlando addirittura di milioni di persone!

4. Epoca moderna

Non si ricorda mai invece che è l’epoca moderna la vera epoca dell’intolleranza.
Al tempo della Rivoluzione Francese, che pure aveva proclamato i diritti dell’uomo e del cittadino, funzionavano in Francia nel periodo del Terrore (1793-94) mille ghigliottine e i suoi tribunali speciali in due anni fecero tante vittime quasi quanto cinque secoli d’inquisizione: almeno 40.000 persone; un’intera regione, la Vandea, venne massacrata, per aver opposto resistenza alla leva obbligatoria: furono sterminate 200.000 persone, in nome della ragione rivoluzionaria atea; il primo genocidio della storia moderna.
Non parliamo degli orrori dei regimi totalitari, paganeggianti o atei del nazismo e del comunismo, che hanno portato alla morte decine e decine di milioni di persone… E siamo ai nostri tempi, non secoli e secoli fa.
La Chiesa sarà sempre inadeguata a testimoniare il messaggio di Cristo. È fatta di essere umani: santa e peccatrice insieme, semper reformanda; e il Concilio Vaticano II ha dato una grande svolta riformatrice. Ma la forza di capire il male e di cambiare vita è data dalla quotidiana lettura del Vangelo e dalla pratica dei sacramenti. Le grandi figure di santi, come Benedetto, Francesco, Chiara, Caterina da Siena... Pio da Pietrelcina, Madre Teresa, Giovanni Paolo II, e i grandi letterati come Dante, Petrarca, Boccaccio (che commentava Dante nella Badia fiorentina), Tasso, Manzoni, i filosofi e teologi come Agostino, Tommaso, Maritain,… artisti come Giotto, Brunelleschi, Raffaello, Bramante, Michelangelo, Palestrina, Vivaldi, Bach, Mozart, ... sono alcuni punti di riferimento irrinunciabili della nostra civiltà.

“Perché non possiamo non dirci cristiani”, diceva il grande pensatore laico Benedetto Croce in un famoso libretto. Oggi dobbiamo accontentarci di un tal Odifreddi che, non conoscendo nulla della storia (non so quanto conosca la matematica che insegna) scrive ‘Perché non possiamo essere cristiani’.
Anche da questo si capisce perché la scuola italiana va così male…

martedì 10 giugno 2008

Esistenza di Dio: un atto di fede e di ragione










A Dio si giunge certamente con la nostra ragione, se vogliamo spiegare l'origine della materia e del movimento dell'universo, se vogliamo cioè spiegare il mondo che ci circonda.
Lo abbiamo già visto nell'articolo precedente. Perciò occorre che l'uomo sgombri la propria mente da ogni preconcetto nichilista o scettico, sospenda per un attimo ogni giudizio, e poi nella più completa sincerità con se stesso (e dopo un profondo respiro liberatorio) abbia il coraggio di dire con Aristotele, Tommaso e Cartesio: "Bisogna fermarsi a un principio primo", trascendente, assoluto, inizio e ragione di ogni divenire.

Dopo questa affermazione di piena razionalità, con la mente aperta all'esistenza di Dio creatore, si deve guardare non solo alla realtà fisica circostante, ma anche agli avvenimenti umani, alla nostra storia.
E nella storia umana c'è un fatto che si impone per la sua straordinaria unicità, perché ha cambiato radicalmente il modo di vedere e di essere dell'uomo: la persona di Gesù Cristo.
Nessuno può fare a meno di confrontarsi seriamente con questa persona e con il suo messaggio. Ha così profondamente inciso nella realtà umana, che ignorarlo o snobbarlo significa precludersi la possibilità di capire appieno ciò che stiamo vivendo.
Anche qui occorre allontanare dalla nostra mente molti giudizi e idee preconcette, che un certo tipo di cultura e di propaganda, fatte di slogan e di stereotipi, ha ampiamente disseminato (la blogosfera ne è piena!), per affrontare seriamente, faccia a faccia, questa persona allo scopo di capire qual è la verità sul suo conto.

Gesù nei vangeli è descritto come un uomo straordinario, sia nel suo modo di agire che di parlare. Anzitutto è assolutamente libero da condizionamenti. Dice sì quando è sì, no quando è no. È invitato a pranzo da un ricco pubblicano (Zaccheo), ma quando esce da quella casa, il pubblicano ha restituito con gli interessi il mal tolto e ha distribuito metà dei suoi beni ai poveri.
Dichiara puri tutti gli alimenti, ponendo fine a una religiosità esteriore che si ficcava anche nel determinare le ricette culinarie; afferma la pari dignità della donna, sia essa anche adultera o prostituta e dice che queste passeranno avanti nel regno di Dio ai farisei che si ritenevano giusti e disprezzavano il prossimo. Supera ogni altra discriminazione: entra nelle case dei pagani, considerati 'impuri', dice che hanno più fede di coloro che si ritenevano il popolo eletto; sta in compagnia di gente disprezzata ("i malati hanno bisogno del medico, non i sani"); separa il potere religioso da quello civile, fino ad allora ovunque commisto ("dai a Cesare quel che è di Cesare e a Dio quel che è di Dio"); proclama scandalosa la ricchezza ("guai a voi ricchi, è più facile che un cammello passi per la cruna di un ago che un ricco entri nel regno di Dio") e gradita a Dio la semplicità di vita ("beati i poveri in spirito perché di essi è il regno dei cieli"). Invoca il perdono fraterno anche nei confronti dei nemici, ponendo fine alla legge dell'occhio per occhio, che (come ben commentò Gandhi) avrebbe reso tutti gli uomini alla fine ciechi. Ma al tempo stesso ricorda il dovere della giustizia e il compito dello stato di garantirla ("non fare agli altri ciò che non vuoi sia fatto a te"; "noi riceviamo il giusto per le nostre azioni").
L'insegnamento di Gesù si può riassumere, come lui stesso ha fatto, nell'unico comandamento dell'amore: "Ama Dio con tutto il cuore, ama il prossimo come te stesso". E nel prossimo comprende anche coloro che erano considerati nemici (parabola del buon samaritano). Questo comandamento lo ha messo in pratica lui per primo quando, sulla croce, ha perdonato ai suoi crocifissori: "Padre, perdonali, perchè non sanno quello che fanno".

Insieme a questi insegnamenti che stravolgevano i canoni della logica umana, ma che lasciavano ammirati ("nessuno ha mai parlato come costui" dissero perfino le guardie che erano andate ad arrestarlo) e che nel corso della storia si rivelano sempre più come il vero fondamento dell'umana convivenza, altrettanto straordinario era il suo modo di agire. Toccava i lebbrosi e li guariva, così pure faceva con i ciechi e i sordomuti ("Effeta, che significa apriti; e il nodo della sua lingua si sciolse"). Di fronte al cieco nato che ha riacquistato la vista gli stessi farisei riconoscono che "un miracolo evidente è avvenuto per opera di Gesù"; ma non lo accettano perché lo aveva compiuto di sabato, giorno in cui non si poteva 'lavorare'...
I prodigi compiuti da Gesù sono ricordati, oltre che dai vangeli, anche dallo storico ebreo, non cristiano, Giuseppe Flavio, contemporaneo degli apostoli.
La risurrezione di Lazzaro, morto da quattro giorni e che già era in putrefazione ("iam fetet") anticipa il miracolo che dà definitiva spiegazione a tutta l'opera di Gesù Cristo: la sua risurrezione.
È la risurrezione di Cristo il punto fondamentale della sua manifestazione, che indica in modo inequivocabile che non può trattarsi solo di un uomo, se pure dai poteri eccezionali. Il sepolcro, dove Gesù era stato deposto, sigillato e sorvegliato dalle guardie del sinedrio, la mattina del terzo giorno (come Cristo stesso aveva preannunciato) è misteriosamente vuoto: all'interno ci sono solo i panni e la sindone che avvolgevano il cadavere.
Le guardie non sanno spiegare l'accaduto ai sommi sacerdoti.
Gesù per quaranta giorni appare agli apostoli increduli e impauriti, nascosti in una stanza "per paura dei Giudei". Entra a porte chiuse, sta con loro, mostra le mani, i piedi e il costato trafitti: è lo stesso Gesù, che avevano conosciuto prima della risurrezione, ma non più condizionato dai vincoli della natura umana. È Cristo glorioso, trionfatore della morte, manifestazione di divinità.
Gli apostoli vivono con lui per quaranta giorni, fino al giorno dell'Ascensione.
Sono ormai trasformati. Con la discesa su di loro dello Spirito Santo il giorno di Pentecoste (cinquanta giorni dopo Pasqua) escono dal cenacolo e iniziano con un coraggio e una sapienza inspiegabili a predicare la risurrezione di Gesù e le sacre scritture che l'avevano profetizzata. È questo il loro punto fondamentale di annuncio: Gesù è vivo e risorto, Gesù è il Signore della vita, Gesù è il Figlio di Dio.

Caro lettore, i casi sono due. O gli apostoli hanno spudoratamente mentito riguardo alla risurrezione di Gesù e alle sue apparizioni, oppure hanno detto la semplice e nuda verità: era morto e noi lo abbiamo visto vivo e lo abbiamo toccato.
"Ciò che era fin da principio, ciò che noi abbiamo udito, ciò che noi abbiamo veduto con i nostri occhi, ciò che le nostre mani hanno toccato, ossia il Verbo della vita, noi lo annunziamo a voi, perché anche voi siate in comunione con noi. La nostra comunione è con il Padre e col Figlio suo Gesù Cristo" (S. Giovanni).

Per testimoniare la resurrezione di Gesù gli apostoli si sono fatti martirizzare: Pietro fu crocifisso a Roma, nel colle Vaticano (dove ora è la basilica di S. Pietro); S. Paolo venne decapitato sulla Via Ostiense e sepolto dove ora è la Basilica di S. Paolo fuori le mura; S. Giacomo decapitato a Gerusalemme, etc..
Erano gente comune, semplice, senza grilli per la testa; e non erano eroi... tutt'altro. Eppure dopo la Resurrezione si trasformano in coraggiosi testimoni e sfidano anche l'ira di Nerone... Perché lo avrebbero fatto, se non avessero visto davvero Gesù risorto?

La risurrezione di Gesù si scontra con la nostra esperienza comune della morte e dissoluzione dei corpi. È evidente che la risurrezione supera ogni legge della natura. D'altra parte però c'è la testimonianza unanime e fortissima degli apostoli e di altri discepoli, donne e uomini, i quali affermano che Gesù crocifisso è veramente risorto e sono pronti a testimoniarlo fino all'effusione del sangue.
Uno può sbrigativamente affermare che gli apostoli si sono sbagliati, hanno avuto delle allucinazioni collettive, e così via.
Di fatto però queste persone tutto erano fuorché eroi; persone comuni, poco propense a sacrificare la vita, nel momento del pericolo hanno anche rinnegato Gesù e sono fuggiti... E dopo la morte di Gesù appaiono ancor più terrorizzati, e niente affatto disposti a credere alla sua risurrezione: non credono alle donne che per prime portano questa clamorosa notizia e la prendono per "vaneggiamento femminile". E invece anche loro in cinquanta giorni cambiano in modo totale. Era avvenuto necessariamente un incontro (e più volte) che aveva fatto loro cambiare del tutto idea e atteggiamento...
Ma lo stesso cambiamento è accaduto nel corso dei secoli a infinite persone e intere comunità. Basti pensare a Saulo di Tarso (S. Paolo), da persecutore ad apostolo delle genti, ai filosofi pagani come Giustino e i suoi scolari, a Clemente Alessandrino, ad Agostino... Popolazioni pagane che passano al cristianesimo vedendo la testimonianza eroica dei martiri, tanto che l'imperatore stesso alla fine si converte (Costantino).
L'incontro con Cristo ha cambiato la vita di persone come Benedetto, Scolastica, Francesco, Chiara, Tommaso d'Aquino, Margherita da Cortona, Caterina da Siena, Filippo Neri, Ignazio di Loyola, Teresa d'Avila... Lorenzo Milani, Madre Teresa, Giovanni Paolo II...

Credere in Cristo risorto, credere nel Figlio di Dio fatto uomo è un atto di fiducia che supera il semplice atto di ragione.
Questo affidarsi alla parola di Cristo e dei suoi testimoni si chiama fede e supera le nostre misure umane.
Ma la fede non è un atto irragionevole; anzi, S. Tommaso la definisce 'ragionevole obbedienza' (rationabile obsequium). È un affidarsi a Dio, ma ciò viene fatto anche sulla base di solide certezze razionali: l'esistenza di Dio, l'opera e l'insegnamento di Gesù, la testimonianza degli apostoli e dei santi.
Ma tutto questo non sarebbe pienamente 'ragionevole' e convincente, se non si aggiunge la nostra esperienza personale. È la nostra stessa vita, nell'affidarsi a Cristo, che inizia a cambiare profondamente. Ciò che prima sembrava impossibile, ora accade; ciò che prima era senza senso, ora acquista pieno significato; ciò che prima era tristezza e talvolta disperazione, ora diviene forza interiore e gioia profonda.
La fede aiuta la ragione e la ragione sostiene la fede: "credo per capire e capisco per credere" (credo ut intelligam et intelligo ut credam).
Questa è la più bella sintesi del rapporto tra fede e ragione, formulata dal genio di Agostino.
L'uomo ha bisogno di tutte e due queste ali, per far volare la sua intelligenza e la sua libertà, come ha detto in modo esemplare Giovanni Paolo II nell' enciclica Fides et Ratio: fede e ragione.



Foto in alto: "Incredulità di S. Tommaso" (1600), Caravaggio (Bildergalerie, Potsdam)

domenica 1 giugno 2008

Esistenza di Dio: un atto di ragione



Molti pensano che credere in Dio sia un atto di pura fede. L’esistenza di Dio invece è prima di tutto una scoperta della ragione. Non a caso all’esistenza di Dio sono giunti molti filosofi avanti Cristo, come Socrate, Platone, Aristotele…

Non si tratta infatti di spiegare Dio, ma di spiegare il mondo. È il mondo, così come ci appare, che ha bisogno di una spiegazione esauriente.
Oggi quelli che negano Dio pensano che per spiegare l’origine del mondo sia sufficiente affermare che il mondo è eterno. Si retrocede indietro, fino all’infinito, nella catena delle cause e così si pensa di aver eliminato la figura di un creatore iniziale.
Ma per negare Dio non è sufficiente retrocedere all’infinito nella catena del divenire.
Infatti il problema è che questo mondo in perenne divenire viene da altro precedente. Anche se lo porti indietro all'infinito, ha sempre (ripeto, sempre) bisogno di altro precedente e quindi non ha in sé la spiegazione del suo essere, perché la rimanda sempre indietro, e quindi non la risolve mai.

Ma siccome il mondo esiste e nella sua catena di esseri è giunto fino a noi, per poterla giustificare occorre uscire da questa catena.
Occorre ammettere un essere trascendente, assoluto, cioè fuori del divenire; altrimenti anch’egli avrebbe bisogno di un altro prima di lui. Occorre dunque un essere eternamente presente, che ha dato esistenza a questo mondo in divenire.
Dio è un’esigenza razionale per spiegare appieno questo mondo in evoluzione, che se non ha una causa iniziale fuori di lui è incomprensibile. Senza l’Assoluto il mondo non ha spiegazione. Gli scienziati possono fornire delle ipotesi di come il mondo si sviluppa, di come si evolve; ma riguardo a chi lo ha mosso, chi lo ha posto, la ragione umana sente la necessità di ammettere l’esistenza di un essere che non sia in divenire (cioè: ieri, oggi, domani, per intendersi), ma un eterno presente, cioè Dio.
Solo così, da un principio assoluto, eternamente presente, il mondo può avere la sua origine, quindici miliardi di anni fa (secondo la teoria del big bang) o anche da sempre, perché Dio è da sempre, anzi, Dio è.



Foto in alto: "De revolutionibus orbium coelestium" (1543), pagina autografa di Nicolò Copernico (Università Jagellonica di Cracovia)