martedì 10 giugno 2008

Esistenza di Dio: un atto di fede e di ragione










A Dio si giunge certamente con la nostra ragione, se vogliamo spiegare l'origine della materia e del movimento dell'universo, se vogliamo cioè spiegare il mondo che ci circonda.
Lo abbiamo già visto nell'articolo precedente. Perciò occorre che l'uomo sgombri la propria mente da ogni preconcetto nichilista o scettico, sospenda per un attimo ogni giudizio, e poi nella più completa sincerità con se stesso (e dopo un profondo respiro liberatorio) abbia il coraggio di dire con Aristotele, Tommaso e Cartesio: "Bisogna fermarsi a un principio primo", trascendente, assoluto, inizio e ragione di ogni divenire.

Dopo questa affermazione di piena razionalità, con la mente aperta all'esistenza di Dio creatore, si deve guardare non solo alla realtà fisica circostante, ma anche agli avvenimenti umani, alla nostra storia.
E nella storia umana c'è un fatto che si impone per la sua straordinaria unicità, perché ha cambiato radicalmente il modo di vedere e di essere dell'uomo: la persona di Gesù Cristo.
Nessuno può fare a meno di confrontarsi seriamente con questa persona e con il suo messaggio. Ha così profondamente inciso nella realtà umana, che ignorarlo o snobbarlo significa precludersi la possibilità di capire appieno ciò che stiamo vivendo.
Anche qui occorre allontanare dalla nostra mente molti giudizi e idee preconcette, che un certo tipo di cultura e di propaganda, fatte di slogan e di stereotipi, ha ampiamente disseminato (la blogosfera ne è piena!), per affrontare seriamente, faccia a faccia, questa persona allo scopo di capire qual è la verità sul suo conto.

Gesù nei vangeli è descritto come un uomo straordinario, sia nel suo modo di agire che di parlare. Anzitutto è assolutamente libero da condizionamenti. Dice sì quando è sì, no quando è no. È invitato a pranzo da un ricco pubblicano (Zaccheo), ma quando esce da quella casa, il pubblicano ha restituito con gli interessi il mal tolto e ha distribuito metà dei suoi beni ai poveri.
Dichiara puri tutti gli alimenti, ponendo fine a una religiosità esteriore che si ficcava anche nel determinare le ricette culinarie; afferma la pari dignità della donna, sia essa anche adultera o prostituta e dice che queste passeranno avanti nel regno di Dio ai farisei che si ritenevano giusti e disprezzavano il prossimo. Supera ogni altra discriminazione: entra nelle case dei pagani, considerati 'impuri', dice che hanno più fede di coloro che si ritenevano il popolo eletto; sta in compagnia di gente disprezzata ("i malati hanno bisogno del medico, non i sani"); separa il potere religioso da quello civile, fino ad allora ovunque commisto ("dai a Cesare quel che è di Cesare e a Dio quel che è di Dio"); proclama scandalosa la ricchezza ("guai a voi ricchi, è più facile che un cammello passi per la cruna di un ago che un ricco entri nel regno di Dio") e gradita a Dio la semplicità di vita ("beati i poveri in spirito perché di essi è il regno dei cieli"). Invoca il perdono fraterno anche nei confronti dei nemici, ponendo fine alla legge dell'occhio per occhio, che (come ben commentò Gandhi) avrebbe reso tutti gli uomini alla fine ciechi. Ma al tempo stesso ricorda il dovere della giustizia e il compito dello stato di garantirla ("non fare agli altri ciò che non vuoi sia fatto a te"; "noi riceviamo il giusto per le nostre azioni").
L'insegnamento di Gesù si può riassumere, come lui stesso ha fatto, nell'unico comandamento dell'amore: "Ama Dio con tutto il cuore, ama il prossimo come te stesso". E nel prossimo comprende anche coloro che erano considerati nemici (parabola del buon samaritano). Questo comandamento lo ha messo in pratica lui per primo quando, sulla croce, ha perdonato ai suoi crocifissori: "Padre, perdonali, perchè non sanno quello che fanno".

Insieme a questi insegnamenti che stravolgevano i canoni della logica umana, ma che lasciavano ammirati ("nessuno ha mai parlato come costui" dissero perfino le guardie che erano andate ad arrestarlo) e che nel corso della storia si rivelano sempre più come il vero fondamento dell'umana convivenza, altrettanto straordinario era il suo modo di agire. Toccava i lebbrosi e li guariva, così pure faceva con i ciechi e i sordomuti ("Effeta, che significa apriti; e il nodo della sua lingua si sciolse"). Di fronte al cieco nato che ha riacquistato la vista gli stessi farisei riconoscono che "un miracolo evidente è avvenuto per opera di Gesù"; ma non lo accettano perché lo aveva compiuto di sabato, giorno in cui non si poteva 'lavorare'...
I prodigi compiuti da Gesù sono ricordati, oltre che dai vangeli, anche dallo storico ebreo, non cristiano, Giuseppe Flavio, contemporaneo degli apostoli.
La risurrezione di Lazzaro, morto da quattro giorni e che già era in putrefazione ("iam fetet") anticipa il miracolo che dà definitiva spiegazione a tutta l'opera di Gesù Cristo: la sua risurrezione.
È la risurrezione di Cristo il punto fondamentale della sua manifestazione, che indica in modo inequivocabile che non può trattarsi solo di un uomo, se pure dai poteri eccezionali. Il sepolcro, dove Gesù era stato deposto, sigillato e sorvegliato dalle guardie del sinedrio, la mattina del terzo giorno (come Cristo stesso aveva preannunciato) è misteriosamente vuoto: all'interno ci sono solo i panni e la sindone che avvolgevano il cadavere.
Le guardie non sanno spiegare l'accaduto ai sommi sacerdoti.
Gesù per quaranta giorni appare agli apostoli increduli e impauriti, nascosti in una stanza "per paura dei Giudei". Entra a porte chiuse, sta con loro, mostra le mani, i piedi e il costato trafitti: è lo stesso Gesù, che avevano conosciuto prima della risurrezione, ma non più condizionato dai vincoli della natura umana. È Cristo glorioso, trionfatore della morte, manifestazione di divinità.
Gli apostoli vivono con lui per quaranta giorni, fino al giorno dell'Ascensione.
Sono ormai trasformati. Con la discesa su di loro dello Spirito Santo il giorno di Pentecoste (cinquanta giorni dopo Pasqua) escono dal cenacolo e iniziano con un coraggio e una sapienza inspiegabili a predicare la risurrezione di Gesù e le sacre scritture che l'avevano profetizzata. È questo il loro punto fondamentale di annuncio: Gesù è vivo e risorto, Gesù è il Signore della vita, Gesù è il Figlio di Dio.

Caro lettore, i casi sono due. O gli apostoli hanno spudoratamente mentito riguardo alla risurrezione di Gesù e alle sue apparizioni, oppure hanno detto la semplice e nuda verità: era morto e noi lo abbiamo visto vivo e lo abbiamo toccato.
"Ciò che era fin da principio, ciò che noi abbiamo udito, ciò che noi abbiamo veduto con i nostri occhi, ciò che le nostre mani hanno toccato, ossia il Verbo della vita, noi lo annunziamo a voi, perché anche voi siate in comunione con noi. La nostra comunione è con il Padre e col Figlio suo Gesù Cristo" (S. Giovanni).

Per testimoniare la resurrezione di Gesù gli apostoli si sono fatti martirizzare: Pietro fu crocifisso a Roma, nel colle Vaticano (dove ora è la basilica di S. Pietro); S. Paolo venne decapitato sulla Via Ostiense e sepolto dove ora è la Basilica di S. Paolo fuori le mura; S. Giacomo decapitato a Gerusalemme, etc..
Erano gente comune, semplice, senza grilli per la testa; e non erano eroi... tutt'altro. Eppure dopo la Resurrezione si trasformano in coraggiosi testimoni e sfidano anche l'ira di Nerone... Perché lo avrebbero fatto, se non avessero visto davvero Gesù risorto?

La risurrezione di Gesù si scontra con la nostra esperienza comune della morte e dissoluzione dei corpi. È evidente che la risurrezione supera ogni legge della natura. D'altra parte però c'è la testimonianza unanime e fortissima degli apostoli e di altri discepoli, donne e uomini, i quali affermano che Gesù crocifisso è veramente risorto e sono pronti a testimoniarlo fino all'effusione del sangue.
Uno può sbrigativamente affermare che gli apostoli si sono sbagliati, hanno avuto delle allucinazioni collettive, e così via.
Di fatto però queste persone tutto erano fuorché eroi; persone comuni, poco propense a sacrificare la vita, nel momento del pericolo hanno anche rinnegato Gesù e sono fuggiti... E dopo la morte di Gesù appaiono ancor più terrorizzati, e niente affatto disposti a credere alla sua risurrezione: non credono alle donne che per prime portano questa clamorosa notizia e la prendono per "vaneggiamento femminile". E invece anche loro in cinquanta giorni cambiano in modo totale. Era avvenuto necessariamente un incontro (e più volte) che aveva fatto loro cambiare del tutto idea e atteggiamento...
Ma lo stesso cambiamento è accaduto nel corso dei secoli a infinite persone e intere comunità. Basti pensare a Saulo di Tarso (S. Paolo), da persecutore ad apostolo delle genti, ai filosofi pagani come Giustino e i suoi scolari, a Clemente Alessandrino, ad Agostino... Popolazioni pagane che passano al cristianesimo vedendo la testimonianza eroica dei martiri, tanto che l'imperatore stesso alla fine si converte (Costantino).
L'incontro con Cristo ha cambiato la vita di persone come Benedetto, Scolastica, Francesco, Chiara, Tommaso d'Aquino, Margherita da Cortona, Caterina da Siena, Filippo Neri, Ignazio di Loyola, Teresa d'Avila... Lorenzo Milani, Madre Teresa, Giovanni Paolo II...

Credere in Cristo risorto, credere nel Figlio di Dio fatto uomo è un atto di fiducia che supera il semplice atto di ragione.
Questo affidarsi alla parola di Cristo e dei suoi testimoni si chiama fede e supera le nostre misure umane.
Ma la fede non è un atto irragionevole; anzi, S. Tommaso la definisce 'ragionevole obbedienza' (rationabile obsequium). È un affidarsi a Dio, ma ciò viene fatto anche sulla base di solide certezze razionali: l'esistenza di Dio, l'opera e l'insegnamento di Gesù, la testimonianza degli apostoli e dei santi.
Ma tutto questo non sarebbe pienamente 'ragionevole' e convincente, se non si aggiunge la nostra esperienza personale. È la nostra stessa vita, nell'affidarsi a Cristo, che inizia a cambiare profondamente. Ciò che prima sembrava impossibile, ora accade; ciò che prima era senza senso, ora acquista pieno significato; ciò che prima era tristezza e talvolta disperazione, ora diviene forza interiore e gioia profonda.
La fede aiuta la ragione e la ragione sostiene la fede: "credo per capire e capisco per credere" (credo ut intelligam et intelligo ut credam).
Questa è la più bella sintesi del rapporto tra fede e ragione, formulata dal genio di Agostino.
L'uomo ha bisogno di tutte e due queste ali, per far volare la sua intelligenza e la sua libertà, come ha detto in modo esemplare Giovanni Paolo II nell' enciclica Fides et Ratio: fede e ragione.



Foto in alto: "Incredulità di S. Tommaso" (1600), Caravaggio (Bildergalerie, Potsdam)

3 commenti:

  1. Buon Giorno!

    La prima reazione davanti a questo post così ragionevole e chiaro è stata: Dici poco!

    Chiedi ad una persona che, se vuole capire, deve sgombrare la mente dai pregiudizi... già: i pregiudizi.. ma spesso uno non sa nemmeno cosa siano e come possano ostacolare la conoscenza della realtà!

    Un'altra cosa che credo sia difficile - per chi crede di sapere come vanno le cose e quindi non si informa - è il lasciarsi condurre in una riflessione così articolata e lunga...

    Temo che il pregiudizio faccia interrompere la lettura dopo le prime righe...

    Perdonami, ma sono abbastanza amareggiata dallo scarso desiderio di conoscere veramente la realtà da parte di molti protagonisti della blogosfera... e non solo.

    E insieme al disinteresse per la conoscenza della realtà, rilevo anche una incapacità di seguire una comunicazione più lunga di tre righe.

    Ora smetto perchè mi accorgo che sono troppo pessimista!

    Ciao!

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  2. Salve Amicus! Ancora una volta riesci a stupirmi e a rendermi felice nello stesso tempo. E' veramete un ottimo ragionamento da leggere di seguito al post precedente.
    Tuttavia, su alcni aspetti sono daccordo con Anna: inannzitutto, è vero che da un certo punto di vista tu "dici poco", ma daltronde sarebbe impossibile parlare compiutamnete di Gesù, dovresti avere a disposizione più di 2000 anni (e non basterebbero)! Anche la "protesta" seguente di Anna non è infondata: dici bene di liberarsi dai preconcetti e pregiudizi, ma alcuni potrebbero seriamente non sapere di averne e dunque potrebbero avvicinarsi lo stesso a questi ragionamenti ma recepirli spuri; forse l'unico modo per loro sarebbe quello di "andare fino in fondo" ala questione nonostante i limiti autoimposti e rendersi conto alla fine dei propri condizionamenti. Senza parlare di chi i pregiudizi li ha e, sapendolo, se li tiene ben stretti a se... Infine, sul rapporto fede-ragione, sono purtroppo in pochi a vederla come hai descritto: per molti, anche intellettuali e sapienti in generale, fede e ragione sono agli antipodi, "il diavolo e l'acqua santa" (ad esempio, da un parte i pragmatici deweyani, dall'altra i musulmani fondamentalisti), e non acolteranno mai e poi mai chi tenti di convincerli del contrario pur ponendoli di fronte al loro errore.
    Detto questo, la penso proprio come te, e dunque mi faccio belle svolazzate alla facciaccia loro!

    Au revoire!
    Kukulkan

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  3. Per Anna e Kukulkan.

    È vero che nella blogosfera si legge di tutto, e il pregiudizio e le frasi fatte (letti magari in wikipedia) la fanno spesso da padroni; ma anche qui ci sono tante persone che cercano la verità e che non sanno di essere nel pregiudizio finché uno non fa notare loro un altro punto di vista, possibilmente argomentato...

    Ho voluto fare un unico post per ilustrare ciò che la fede cristiana dice della figura di Gesù, al fine di semplificare la ricerca per chi legge ed è meno informato e dargli almeno gli strumenti fondamentali.

    Avrò modo di illustrare e approfondire alcuni punti in seguito... :-)

    Ciao!

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