domenica 30 novembre 2008

Eureka! Bill Gates può aspettare (terzine dantesche)






Grazie agli incoraggiamenti degli amici utenti, ho continuato la faticosa ricerca di salvataggio del mio personal computer, a cui sono affezionato.
Tra una serie di reindirizzi, ho trovato incredibilmente un forum che descriveva i guai del mio elaboratore.
Ho seguito i suggerimenti proposti e oggi ho liberato il computer dall’infezione.





Cari amici, vi annuncio un gaudio magno!
“Ma come? han fatto il papa e non l’han detto?
È morto Papa Ratzi, l’allemagno?”

No! ancora regna Papa Benedetto.
Nessun nuovo pontefice è previsto,
ma voglio farvi noto un bel verdetto.

Il mio pc era andato, l’abbiam visto,
da virus assalito e da batteri;
mi consigliò l'esperto un nuovo acquisto

dicendo: “Di salvarlo non ci speri.
Lo rottami e ne compri uno migliore;
uno con tanti giga di poteri!”

Ma le difficoltà mi dan vigore;
e tra un male di denti e di cervice,
tra i reindirizzi del calcolatore,

ho trovato una URL risanatrice.
Passo passo ha guidato il mio cammino,
finché del male ho visto la radice.

“Go.google.com” è il file malandrino,
il nemico mortal, il satanello,
che riduce il pc a uno spezzatino.

Così, benché maldestro e un po’ novello,
partendo dallo Start, come evidente,
entrato dei controlli nel Pannello,

Sistema e Periferica latente,
sono arrivato a un file misterioso;
TDSS; seguo assai prudente

le istruzioni del web, sempre prezioso;
disattivo; riavvio per caricare
ed aspetto, tra incerto e speranzoso.

D’incanto torna tutto a funzionare;
rapidissimi i link e ben diretti,
questa volta non c’è più da sbagliare.

Come nel lume l’olio nuovo metti,
come il sereno dopo il temporale,
come il viagra agisce nei vecchietti,

così è tornato il mio pc normale;
non avrà tanti giga di potenza,
certo non guiderà nave spaziale,

ma per quello che serve alla mia utenza
mi basta e avanza; ed a Bill Gates dico:
“Signor Silicio, un poco di pazienza;

mi tengo ancora questo vecchio amico!”

sabato 29 novembre 2008

Virus (in versi, scherzoso!)




Le cose dette in questo post sono volutamente esagerate.
Ma solo in parte. In effetti alcuni dei problemi descritti sono veri.
Penso di cambiare computer…






Forse sarà l’inverno ormai incombente,
forse il fatto che sono influenzato,
ma il mio caro pc, sempre efficiente,
da un’armata di virus è attaccato.

Worm, malware, spyware, trojan horse,
hanno infetttato i file a più non posso;
li vedo brulicare e far le corse,
e dal computer mi saltano addosso.

Non so come avrà fatto l’infezione
ad entrar nell’arnese ben protetto
da antivirus potente ed in funzione;
ma anche l’antivirus ora è infetto!

Appena apro un programma, un mascherino
dice che c’è un errore di partenza…
lo ignoro e vado avanti, assai lentino:
per entrare in un sito, che pazienza!

Un bug vuol attaccarmi un file su Dio
uno spy si è infilato nella posta;
in un blog femminile un trojan rio
svela ogni cosa, anche la più nascosta.

Ma il problema più grave è il reindirizzo:
se chiamo un nome, ne vien fuori un altro,
il pc si comporta a ghiribizzo
e dove vuole lui, mi manda scaltro.

Se clicco Berlusconi viene il Duce,
se digito Veltroni dà Not found;
cerco sulla Carfagna un po’ di luce,
mi ritrovo in hot line a fare un round.

Ho provato a linkare Vaticano:
è venuto, pensate, lo sbattezzo;
ho provato a chiamar Napolitano
e son finito nella Lega in mezzo.

Volevo un po’ veder Kurosbannato
ed ho trovato invece Panattoni;
un augurio per Gero cresimato,
ma il virus mi ha mandato tra i mormoni.

Con Saamaya un dialogo cercavo
ed ho trovato invece Scostumata;
rubrica religiosa io ricercavo,
ed ho trovato Swa con la sua armata.

Voleo con Waxen disquisir latino,
mi ritrovo con Slasch vernacoliere;
star con Nonsolopane un pochettino
avrei voluto; non ci son maniere.

E se clicco Fiammifero, si accende
ogni fornello di Abagnomaria;
se di veder You tub' voglia mi prende,
perfino Morosita scappa via...

Vo a Pizzettaro, arriva Pummarola,
cerco Sballato e ho Intensaterapia,
vado a Nutella e viene Gorgonzola,
TetteGiganti ad Oh_My_God invia…

Non riuscendo a sanare il danno grave
un esperto informatico ho chiamato,
che del guasto ha cercato assai la chiave,
ma troppo il macchinario era infettato.

Alla fine mi ha detto: “Amicusplato,
lei tiene al suo computer, giustamente
e vorrebbe che fosse riparato.
Ma invece di accanirsi inutilmente

stacchi la spina, perché questo è andato!"

mercoledì 26 novembre 2008

Il giovane ricco. Omaggio a Gramsci





Per onorare la figura di Antonio Gramsci, che ha sacrificato la sua vita per gli ideali di giustizia sociale, e ha concluso la sua esistenza con uno sguardo di amore verso Colui che li ha insegnati e praticati, ho creduto opportuno riportare un brano del film “ Il Vangelo secondo Matteo” di Pasolini (1964).

Un episodio di vangelo, quello del giovane ricco (Mt 19, 16-24) che, se lasciò sconcertato e deluso il giovane, ha avuto la forza invece di attrarre un’infinità di altre persone nel corso dei secoli, e molti noti personaggi, da Antonio di Alessandria (Antonio abate), a Francesco d’Assisi, a Teresa di Lisieux, molto cara a Gramsci.

Il film di Pasolini, apparentemente scarno e disadorno, è in realtà ricco di rimandi culturali.

Il giovane ricco è raffigurato come un nobile di una pittura quattrocentesca.
La musica di sottofondo è La Passione secondo Matteo di Bach, ed esattamente il pentimento di Pietro. Le brevi e frementi arcate dei violini sembrano i singhiozzi dell’apostolo pentito.

Il laico Pasolini ha saputo leggere il Vangelo con grande pathos. Un esempio anche per il mondo di oggi.


martedì 25 novembre 2008

Antonio Gramsci: un proletario dell'XI ora


Ho sempre ammirato Antonio Gramsci; coloro che seguono il mio blog sanno che l’ho scritto più volte.

L’ho ammirato perché è stato un vigoroso e incisivo scrittore quando trattava argomenti politici, delicato e tenero negli affetti familiari.

L’ho ammirato perché questo suo stile ‘perfetto’ veniva da una formazione classica e umanistica, che raccomandava con insistenza a tutti coloro che volevano elevare le condizioni delle masse proletarie.

L’ho ammirato per il coraggio dimostrato nel manifestare le sue idee, in un periodo in cui il regime non permetteva che il pensiero unico. Ha scritto Croce, pubblicando le Lettere dal carcere: “Il libro che ora si pubblica delle sue lettere appartiene anche a chi è di altro ed opposto partito politico… per la reverenza e l’affetto che si provano per tutti coloro che tennero alta la dignità dell’uomo e accettarono pericoli e persecuzioni e sofferenze e morte per un ideale”.
Gramsci non ha fatto l’antifascista all’estero, in Svizzera, in Inghilterra, negli Stati Uniti, o in Urss, ma là dove era il fascismo, in Italia, e più precisamente nel carcere di Turi, che minò la sua salute e lo portò alla morte.

L’ho ammirato perché, a differenza di tanti laici attuali, che non riescono a vedere verità lapalissiane, egli ammirava la Chiesa (e qui è evidente la lezione di un altro grande laico, Benedetto Croce); l’ammirava per la capacità che aveva dimostrato nel corso dei secoli di ottenere il consenso sia delle masse popolari che delle élites culturali; e indicava questa capacità come un ideale da seguire per il Partito Comunista.

L’interesse per la Chiesa Cattolica era perciò di vecchia data.
Ora si viene a sapere che quella laica ammirazione, per una persona come lui, così leale e coraggiosa, nel momento supremo si è manifestata come vera fede nel più grande ‘rivoluzionario’ della storia, in quel Gesù Cristo, che vuole ottenere il consenso con i metodi che piacevano anche a Gramsci: non con le armi e la violenza stalinista, ma con gli strumenti di una libera e motivata convinzione.

Coloro che volessero mettere in dubbio questa conversione dell’undecima ora (Vangelo di Matteo 20, 1-16), devono sapere che ogni sacerdote ha il dovere di segnare nel Registro dei Morti se un defunto della propria comunità, credente o no, morto in parrocchia o all'ospedale, ha ricevuto o meno gli ultimi sacramenti: Confessione, Olio degli infermi e Comunione come Viatico.
Ed è quello che fece Gramsci prima di morire, anche secondo la testimonianza di chi lo assisté all'ospedale.

Prima ammiravo Antonio Gramsci, ora mi sento di onorarlo.

lunedì 24 novembre 2008

Il secolo breve e i Carmina Burana di Orff




I Carmina Burana sono canti goliardici medievali del XIII secolo, che gli studenti universitari, in genere chierici (clerici vagantes) componevano per svago e divertimento, e per criticare le varie istituzioni, tra cui quella ecclesiastica, a cui appartenevano.
La lingua usata era in genere il latino scolastico e il ritmo dei versi è ormai quello moderno, con tanto di rime; del tutto differente era la poesia latina classica.

Questi canti (carmina) prendono il nome di “burana” dall’abbazia Bura S. Benedicti, in Germania, dove furono ritrovati in un manoscritto.

Il primo ‘carmen’ è intitolato O Fortuna, ed è il più celebre, da quando Carl Orff nel 1937 lo ha messo in musica e orchestrato.


O Fortuna velut luna statu variabilis,
semper crescis aut decrescis, vita detestabilis
nunc obdurat et tunc curat ludo mentis aciem;
egestatem, potestatem dissolvit ut glaciem.
Sors immanis et inanis, rota tu volubilis,
status malus, vana salus semper dissolubilis,
obumbrata et velata michi quoque niteris;
nunc per ludum dorsum nudum fero tui sceleris.
Sors salutis et virtutis michi nunc contraria,
est affectus et defectus semper in angaria.
Hac in hora sine mora cordis pulsum tangite;
quod per sortem sternit fortem, mecum omnes plangite!

O Fortuna, di stato variabile come la luna, sempre cresci o cali; la detestabile vita ora abbatte ora cura per gioco le brame della mente, dissolve come ghiaccio miseria e potenza. Sorte possente e vana, tu sei mutevole ruota, maligna natura, vana prosperità che sempre si dissolve, ombrosa e velata sovrasti anche me; ora al gioco del tuo capriccio io offro la schiena nuda. La sorte di salute e di successo ora mi è avversa, desiderio e privazione sempre mi tormentano. In quest'ora senza indugio sentite la pulsazione del cuore; poiché a caso ella abbatte il forte, con me tutti piangete!


Forse nessun’altra musica, come i Carmina Burana di Orff, con così pochi mezzi, riesce a esprimere con altrettanta efficacia le tragedie e i successi del XX secolo, “il secolo breve”, per usare una celebre espressione dello storico Eric Hobsbawm (1994).

Un secolo che è iniziato praticamente nel 1914, cioè con la prima guerra mondiale, ed è terminato nel 1989 o se vogliamo nel 1991, con la caduta del muro di Berlino e lo sfaldamento dell’Unione Sovietica.

“Il Secolo breve è stato un'epoca di guerre religiose, anche se le religioni più militanti e assetate di sangue sono state le ideologie laiche affermatesi nell'Ottocento, cioè il socialismo e il nazionalismo, i cui idoli erano astrazioni oppure uomini politici venerati come divinità” (E. Hobsbawm).

Dette da uno storico marxista, queste espressioni dovrebbero fare molto riflettere.

sabato 22 novembre 2008

Omaggio a S. Cecilia. La sigla della Champions League



Molti non sanno che l’inno della UEFA Champions League è parte di un inno religioso, composto da G. F. Händel nel 1727. Si tratta dell’inno "Zadok the Priest", composto per l’incoronazione del Re d’Inghilterra Giorgio II e che viene eseguito per ogni incoronazione reale inglese.

Il testo, tratto dalla Bibbia (1 Re 1, 38-40), ricorda l’unzione regale di Salomone da parte del sacerdote Zadok e del profeta Natan:

Zadok the Priest and Nathan the Prophet anointed Solomon King.
And all the people rejoic'd, and said:
"God save The King, long live The King, may The King live for ever!
Amen, Hallelujah!"

L’arrangiamento della sigla ufficiale della Coppa dei Campioni è opera, non troppo felice, di Tony Britten (da non confondere con il noto compositore Benjamin Britten), ed eseguita dalla Royal Philharmonic Orchestra e dal coro di St. Martin in the Field.
Le parole sono diventate “These are the champions”, in inglese, francese e tedesco (niente italiano!)

Ce sont les meilleurs équipes,
Sie sind die allerbesten Mannschaften, the main event.
Die Meister, die Besten, les meilleurs équipes, the champions.
Une grande réunion,
Eine grosse sportliche Veranstaltung, the main event :
Ils sont les meilleurs,
Sie sind die Besten,
These are the champions!
Die Meister, die Besten, les meilleurs équipes, the champions.
Die Meister, die Besten, les meilleurs équipes, the champions.


La Coppa dei Campioni ha dunque come sigla un inno religioso.
In incognito.

Omaggio a S. Cecilia. Come Guido d'Arezzo inventò l'alfabeto musicale



Prima di Guido d’Arezzo tutta la musica veniva necessariamente imparata a memoria, perché potesse essere anche trasmessa alle generazioni successive.

Ci furono tentativi per fissare sopra un rigo di carta i suoni musicali, ed erano degli accenti rivolti verso l’alto o verso il basso, a indicare l’andamento della melodia. Ma è chiaro che da quei segni sibillini non si poteva ricavare nulla, se il canto non era conosciuto a memoria.

Il monaco benedettino Guido, che insegnava nella scuola episcopale di Arezzo agli inizi del 1000, notò che un canto gregoriano, l’inno dei primi vespri di S. Giovanni Battista, aveva una caratteristica particolare: ogni mezzo versetto (emistichio) iniziava con una nota che saliva di un tono o semitono, secondo l’ordine naturale, conosciuto fin dal tempo di Pitagora.

L’inno era questo:

UT queant laxis REsonare fibris
MIra gestorum FAmuli tuorum
SOLve polluti LAbii reatum
Sancte Iohannes.

(Affinché i tuoi servi possano cantare con voci libere le meraviglie delle tue azioni, cancella il peccato del loro labbro impuro, oh San Giovanni).

Egli pensò così di segnare sopra dei righi (in genere 4, il tetragramma) e negli spazi intermedi le singole note di qualsiasi canto, semplicemente confrontandole a mente con quelle iniziali dell’inno di S. Giovanni.
Aveva così inventato il solfeggio cantato e soprattutto il nome delle note (Ut Re Mi Fa Sol La) e il modo di segnarle sui righi: aveva inventato l'alfabeto musicale, come i fenici quello letterale.

La prima nota, per la durezza della pronunzia, nei paesi latini (ma non in Francia) venne sostituita con il Do; la settima nota, il Si venne aggiunta da altri, e sono le iniziali di Sancte Iohannes, nell'ultimo emistichio dell'inno.

Il papa, Giovanni XIX, venuto a conoscenza del nuovo sistema di scrittura musicale, chiamò Guido monaco a Roma e volle cimentarsi con la scrittura guidoniana. Con sua stessa grande meraviglia imparò in pochi minuti un canto che altrimenti avrebbe richiesto ore ed ore. Ed era ovviamente un canto monodico.

Pensiamo ai canti polifonici, oppure alla VIII sinfonia di Mahler, denominata Sinfonia dei Mille: mille sono gli orchestrali e i coristi…

Noi oggi non potremmo ascoltare la musica che ci piace, qualunque sia, se il monaco Guido, ad Arezzo, nel 1025, non avesse inventato l’alfabeto musicale.



Foto in alto: "Monumento a Guido Monaco" (1882), Salvino Salvini, Piazza Guido Monaco, Arezzo (la colomba in testa al grande Guido non fa parte della scultura...)


venerdì 21 novembre 2008

Omaggio a S. Cecilia: il Te Deum di Charpentier (lo conoscete tutti...)


Per celebrare la festa di S. Cecilia, patrona della musica (22 novembre), bisogna ascoltare una musica veramente bella, degna della patrona.

Propongo il Te Deum di Marc-Antoine Charpentier per due motivi.

Anzitutto perché è una musica molto bella, di quelle che, udite una volta, non si dimenticano più.

Il secondo motivo è per un chiarimento. Dopo le prime note, molti diranno: “Ma è la sigla dell’Eurovisione!” Infatti l’Eurovisione ha adottato questo Preludio del Te Deum di Charpentier per aprire e chiudere i suoi programmi. Un bel riconoscimento al valore del brano, e un perdonabile “furto” di musica sacra.

Nella liturgia cattolica, il Te Deum è un inno di ringraziamento a Dio per la riuscita di un’impresa importante. Questo venne eseguito la prima volta nel 1692 per celebrare una vittoria militare di Luigi XIV, il Re Sole.

Il brano postato è solo l’inizio, maestoso e barocco, del lungo componimento, che continua con le voci soliste, il coro, lo squillare delle trombe e il rullo dei tamburi, alternati a melodiosi suoni di flauti, oboi e archi.

Marc-Antoine Charpentier è uno dei massimi esponenti della musica barocca francese, uomo di grande cultura; non a caso aveva studiato presso i gesuiti a Roma. Intrattenne rapporti di amicizia con i grandi letterati del secolo d’oro francese: Molière, Racine, Corneille.

Il celebre Te Deum, in re maggiore, venne composto quando era insegnante di musica nel collegio dei gesuiti di S. Louis a Parigi.

A ben guardare, le radici cristiane dell’Europa si trovano anche nella sigla musicale dell’Eurovisione…

mercoledì 19 novembre 2008

Dal dentista (in versi, dolorosi)







Stamani sono stato dal dentista
per curarmi un dentino assai cariato.
Non vi racconto la vicenda trista:
ho visto lo zodiaco e lo stellato.

“Ma perché, mio Signor, questo patire?”
mi chiedevo in silenzio, in tanto male.
E almen fosse servito per guarire…
persi il dente, e la guancia ora è un guanciale.

Ho sentito una Voce sussurrare
leggera e carezzevol come il talco:
“Se i denti senza duolo vuoi curare,
vai da un dentista, non da un maniscalco!”





Foto in alto: "Il martirio di S. Apollonia", Guido Reni (1614 ca), Collezione privata

martedì 18 novembre 2008

E ora, a noi due! I fondamenti della fede cristiana















Nessuno può vivere senza una fede.
O si crede a Dio o si crede al Caso; o si crede che dopo la morte c’è la vita eterna, o si crede che dopo la morte non c’è nulla; o si crede che esistono valori non negoziabili, o si crede che i valori morali cambiano con i tempi; e così via.

Quelli che pensano che i credenti in Cristo siano persone strane, perché hanno una fede nel trascendente, in ciò che li supera, non si accorgono di essere altrettanto strani, perché anch’essi, forse senza saperlo, vivono di fede.

Che cos’è il Caso, se non una divinità misteriosa? E affermare che dopo la vita non c’è niente, non è un atto di fede? qualcuno ha visto che cosa c’è dopo la morte? E il dire che la morale cambia con il cambiare dei tempi non è fare una scelta arbitraria, che va oltre il sentimento di una legge universale impressa in ogni essere umano?

Ognuno perciò ha una sua fede, o religiosa o laica. Anche chi non crede a niente, crede al niente (se ci riesce…).

Qui si tratta di vedere perché i cristiani credono in Gesù Cristo come vero Dio, che si è fatto uomo per la nostra salvezza, cioè per insegnarci a vivere in questo mondo e ad aver fede nella vita eterna.

I motivi della fede in Cristo sono estremamente semplici, e si possono riassumere in tre punti fondamentali, come già Origene ha enunciato nell’epoca in cui il cristianesimo era ferocemente perseguitato e il mondo era ancora in gran parte pagano. Origene stesso soffrì il martirio, sotto l’imperatore Decio.

1. Anzitutto c’è la testimonianza degli apostoli, di coloro cioè che vissero con Gesù, furono testimoni delle sue parole e delle sue opere prodigiose in vita e, dopo la sua morte in croce, lo videro risorto e poterono toccarlo con mano. Questa testimonianza è descritta nel Nuovo Testamento e in particolare nei Vangeli.
La risurrezione di Gesù trasformò gli apostoli; da uomini comuni, essi divennero coraggiosi annunciatori del lieto annunzio, e preferirono subire il martirio piuttosto che rinnegare la loro fede. Considerando il prima e il dopo la risurrezione, lo straordinario cambiamento di questi uomini comuni non è spiegabile senza un’esperienza straordinaria: la risurrezione di Gesù, cioè la certezza assoluta che Gesù era veramente risorto, era Dio.

2. Il secondo punto è il cambiamento di vita di coloro che si convertivano alla fede cristiana. Era un’esperienza esaltante. Per primi furono soprattutto i ceti popolari e le categorie di persone più disprezzate e meno considerate: schiavi, donne, gente emarginata e perfino i delinquenti (sono parole del pagano Celso). Un’altra categoria che sentì subito il fascino del messaggio cristiano furono i soldati: moltissimi si convertirono presto alla fede, e ne subirono anche le conseguenze. Il mondo romano si reggeva sul valore militare (virtus) e i cristiani predicavano la pace. Numerosi soldati vennero passati per le armi; una legione intera, la legione Tebea, guidata da S. Maurizio, preferì essere giustiziata piuttosto che combattere contro ‘i nemici’, ormai considerati fratelli. Fu il primo caso di obiezione di coscienza in massa. Anche i dotti e i filosofi cominciarono a sentire l’attrazione verso questa nuova ‘filosofia’, che superava le assurdità del politeismo e valorizzava le virtù morali e i semi di verità (logoi spermatikoi) presenti nella cultura ellenistica. Proprio ad Alessandria, la capitale di questa cultura, iniziò in grande stile l’incontro tra pensiero cristiano e mondo classico.

3. Questa esperienza di vita nuova in Cristo nella comunità dei credenti, che è la Chiesa, è continuata nel corso dei secoli fino ad oggi. Ogni persona trova nella fede in Cristo Risorto la forza di risorgere, qualunque sia la sua situazione. Ne danno testimonianza i grandi santi, da S. Agostino, a S. Benedetto, a S. Francesco, a S. Caterina da Siena, a S. Teresa d’Avila, a Giovanni Paolo II, e tutte quelle persone che senza clamore, nella vita quotidiana, si prodigano per il bene altrui, specie per i più emarginati. Ma tutto questo non è sufficiente se uno non incontra Cristo personalmente; se Cristo non entra concretamente nella vita di una persona, non è sufficiente né la testimonianza degli apostoli nei vangeli, né la testimonianza di tante persone che hanno trovato in Cristo la salvezza. Egli rimane un estraneo.
Si incontra Cristo quando si riceve un sacramento; si incontra Cristo quando si incontra un vero cristiano, quando si incontra una comunità che vive nell’amore la fede che professa; si incontra Cristo quando, delusi da tante esperienze negative, si ha il coraggio di rivolgersi a Lui che ha detto: “Venite a me voi tutti che siete affaticati e oppressi e io vi darò sollievo” (Mt 11, 29).

Ma bisogna avere anche il coraggio di riconoscere che, con le nostre sole forze, la vita non può essere affrontata; se non altro nel momento supremo.
Mi ha sempre colpito la frase di un grande scrittore cattolico, Bernanos. Nel momento della morte sussurrò queste parole: “E ora, a noi due!”




Foto in alto: "Vocazione di S. Matteo", Caravaggio (1600), Chiesa di S. Luigi dei Francesi, Roma.

sabato 15 novembre 2008

Voglio la foto!






Prima di continuare nel mio lavoro di ricerca su Cristo e sulla Chiesa mi voglio un attimo fermare, perché mi accorgo che c’è bisogno di intendersi sul concetto di storia e sul modo di farla.

Qualcuno pensa che la verità storica debba essere quella che ha già nella testa, altrimenti non l'accetta. Questa non è storia, ma ideologia.

La storia è il racconto di fatti attestati da documenti certi.

La prima cosa da fare, per chi intende avvicinarsi alla verità storica, è sgombrare perciò la mente da pregiudizi di ogni tipo e lasciarsi interrogare dal documento che ha davanti.
Dicevano gli antichi scettici: bisogna sospendere momentaneamente il giudizio. In epoca moderna questa “sospensione del giudizio” per lasciar parlare l’oggetto è stata ripresa da Husserl, il teorico della fenomenologia, e sta al fondamento di ogni serio studio, anche storico.
Se i documenti sono attendibili e concordi, occorre avere l'onestà intellettuale di riconoscerlo; si giunge così alla concretezza della verità storica, che può essere anche diversa da quella che uno aveva immaginato.

La seconda cosa da ricordare è che la storia si fa con i documenti: scritti, orali e reperti archeologici.
È una grande eredità che ci ha lasciato il positivismo, e io in questo sono un positivista.
Di fronte alle fantasiose ipotesi di tanti improvvisati e improbabili maestri (romanzieri, matematici, giornalisti...), io accetto solo i documenti.

In particolare, per la ricerca storica su Gesù Cristo abbiamo tutti e tre i tipi di documenti.

Documenti scritti. Di Cristo parlano gli storici pagani ed ebrei (Tacito, Giuseppe Flavio, Plinio il Giovane), a brevissima distanza di tempo e a memoria di uomo. Ne parlano ovviamente gli scrittori cristiani del I secolo (Vangeli, Lettere di S. Paolo, Atti, etc.), i padri apostolici e i primi vangeli apocrifi. Lo abbiamo già detto con ampiezza nel post precedente.

Orali. La comunità cristiana è documentata a Roma fin dal 49, pochissimi anni dopo la morte di Gesù, quando Claudio la fece espellere con tutti i giudei (Svetonio, e Atti, cap. 18). Nel 64 era però tornata ad essere una "ingente moltitudine" (Tacito) e venne fatta sterminare da Nerone. Nel 111 Plinio il Giovane, governatore della Bitinia, trova nella regione un così gran numero di cristiani che chiede a Traiano come deve comportarsi, nel perseguirli. Attraverso tre secoli di martirio, il cristianesimo riuscì a penetrare in tutti gli strati sociali, finché nel 313 l’imperatore stesso, Costantino, divenne cristiano.
In pratica, è documentata una continuità di fede cristiana dalla morte e risurrezione di Cristo fino ad oggi, senza soluzione di continuità.
E questa è la tradizione orale. Nessun vuoto di memoria, nessun anello mancante in questa catena, che va da S. Pietro fino a Benedetto XVI, attraverso 265 pontefici.

Reperti archeologici. Anzitutto vanno ricordati i numerosi papiri e le pergamene, che riportano brani dei Vangeli. Il più prezioso è il Papiro Ryland, datato 120, che contiene un passo dell’ultimo Vangelo, quello di S. Giovanni. Il materiale di facile consumo su cui fu scritto (papiro), la distanza dalla Palestina (il Fayyum d’Egitto) ci fanno capire che già da tempo il Vangelo di Giovanni era in circolazione. Anche da questo possiamo dedurre che i Vangeli sono stati scritti in epoca apostolica, nel I secolo, come dicono gli antichi padri e il Codice Muratoriano (II secolo).
Tra i reperti lapidei, celebre è il cippo marmoreo trovato nel 1961 a Cesarea, col nome “Pontius Pilatus”, del 31 d. C., che è una bella testimonianza di colui che fece condannare Gesù, lavandosene le mani. Fino ad allora qualche buontempone aveva messo in dubbio anche l’esistenza di Pilato…

Oggi siamo abituati alla Tv, alle foto e a You tube, e vogliamo tutto sullo schermo, e allora ci crediamo.

Questo va bene per l'ultimo secolo. Per i secoli precedenti abbiamo il tipo di documentazione di cui abbiamo parlato, meno spettacolare e minuziosa, ma altrettanto solida, verificabile con la ricerca coscienziosa e l'analisi comparata delle fonti. Non dimentichiamoci che i più grandi falsi storici sono stati costruiti proprio nel XX secolo, quando mezzi potenti e ideologie totalitarie hanno fatto credere di tutto.

Cari amici increduli, che però cercate la verità: non venite a dirmi che Tacito non basta, che Giuseppe Flavio non basta, che Paolo non basta, che Plinio non basta…

Voi non volete la storia, voi volete la fotografia di Gesù.

E allora io vi dico: non credo a Napoleone, non credo alla Rivoluzione francese, non credo a Giordano Bruno, non credo all’inquisizione; e perché ci dovrei credere? Voglio la foto!




Foto in alto: "Incredulità di S. Tommaso", Caravaggio (1601), Potsdam, Bildergalerie

giovedì 13 novembre 2008

Gesù Cristo, una presenza scomoda





Gesù è certamente il personaggio che più di ogni altro ha cambiato la storia umana.
Da lui prende inizio anche il computo degli anni (avanti e dopo Cristo), e quella cristiana è ancor oggi la religione più diffusa nel pianeta.

C’è però nel mondo attuale chi vuole negare perfino l’esistenza storica di Gesù, forse perché anche solo il riconoscere la sua presenza mette in crisi molte false sicurezze dell’uomo di oggi.

Ma i documenti che attestano l’esistenza di Gesù provengono da fonti pagane, giudaiche, cristiane, e anticristiane, cioè da ogni ambiente dell’epoca.

Mi fermo solo sulle principali, perché bastano queste per costituire nel loro insieme una prova inoppugnabile.

1. Il documento fondamentale proveniente dal mondo pagano è del grande storico latino Tacito, il quale, parlando di Nerone che fece incendiare Roma, ricorda come la colpa fu fatta ricadere sui cristiani (anno 64). Pur ritenendoli innocenti, Tacito parla dei cristiani con disprezzo, come una cattiva novità per l’impero. Proprio questo disprezzo aumenta paradossalmente la veridicità dello scritto.

“Perciò, per far cessare tale diceria, Nerone si inventò dei colpevoli e sottomise a pene raffinatissime coloro che la plebaglia, detestandoli a causa delle loro nefandezze, denominava cristiani. Origine di questo nome era Cristo, il quale sotto l'impero di Tiberio era stato condannato al supplizio dal procuratore Ponzio Pilato (Auctor nominis eius Christus Tiberio imperitante per procuratorem Pontium Pilatum supplicio adfectus erat) e, momentaneamente sopita, questa dannosa superstizione (exitialis superstitio) di nuovo si diffondeva, non solo per la Giudea, origine di quel morbo, ma anche a Roma, dove da ogni parte confluisce e viene tenuto in onore tutto ciò che vi è di turpe e di vergognoso”.
“Perciò, da principio vennero arrestati coloro che confessavano, quindi, dietro denuncia di questi, fu condannata una ingente moltitudine (ingens multitudo) non tanto per l’accusa dell'incendio, quanto per odio del genere umano” (Annales XV, 44).

Tacito scriveva nel 116 circa, a pochissimi decenni di distanza dai fatti accaduti, senza considerare che le sue ricerche erano partite necessariamente molti anni prima; aveva accesso come senatore agli archivi dello Stato (Acta diurna, Acta Senatus, etc.) e parla perciò con cognizione di causa, citando con precisione nomi e fatti; inoltre, la numerosa comunità cristiana (ingens multitudo), che nel 64 è già presente a Roma al tempo di Nerone, a pochissimi anni dalla morte di Gesù, costituisce una prova ulteriore della realtà storica di Cristo. Tacito infatti fa preciso riferimento alla continuità di questa setta religiosa, dal suo fondatore in Giudea, fino alla capitale dell’impero.

2. Il documento fondamentale proveniente dal mondo giudaico è dello storico Giuseppe Flavio che vissuto nel secolo di Gesù, scrive intorno al 94 le “Antichità Giudaiche”. Siamo proprio a ridosso degli avvenimenti narrati, e migliaia di persone, testimoni di quei fatti, erano ancora in vita. Giuseppe Flavio conosceva bene la storia del suo tempo, anche perché era di famiglia sacerdotale, ed era stato governatore della Giudea dal 64 alla 70, anno della distruzione di Gerusalemme da parte dei romani. Egli cita Giovanni Battista, Giacomo “fratello di Gesù chiamato il Cristo”, Pilato; e descrive in breve, ma con precisione, la vita di Gesù, alla quale venne aggiunta nel III secolo anche qualche nota cristiana.
La scoperta di un’antica traduzione araba delle Antichità Giudaiche nel 1971 dall’ebreo Schlomo Pinès, professore all’Università di Gerusalemme, ha permesso di stabilire con più precisione la testimonianza flaviana, che riportiamo nella dizione fissata da Pinès:

“ In questo tempo [al tempo di Pilato] viveva un uomo saggio che si chiamava Gesù, e la sua condotta era irreprensibile, ed era conosciuto come un uomo virtuoso. E molti fra i Giudei e altri popoli divennero suoi discepoli. Pilato lo condannò a essere crocifisso e morire. E quelli che erano divenuti suoi discepoli non abbandonarono la propria lealtà per lui. Essi raccontarono che egli era apparso loro tre giorni dopo la sua crocifissione, e che egli era vivo. Di conseguenza essi credevano che egli fosse il Messia, di cui i Profeti avevano raccontato le meraviglie” (Ant. XVIII, 63-64).


3. I documenti cristiani sono i Vangeli , gli scritti apostolici (Lettere di S. Paolo, Atti, etc.) e i cosiddetti padri apostolici. Sono stati redatti tra il 50 e il 100, quando morì l’ultimo apostolo, Giovanni.

Tra i padri apostolici ricordiamo:
La Didachè, composta in Oriente tra il 50 e il 70 d. C.
La prima lettera di S. Clemente papa ai Corinti composta nel 96 d. C., al tempo della persecuzione di Domiziano.
Le lettere di S. Ignazio, che conobbe gli apostoli e fu vescovo di Antiochia tra il 70 e il 107, quando fu portato a Roma e martirizzato al tempo dell’imperatore Traiano.

Per la datazione dei Vangeli un fondamentale punto di riferimento è il Papiro Ryland, che è del 120 circa. Venne trovato al Fayyum in Egitto, e riporta un passo del Vangelo di Giovanni, l’ultimo dei Vangeli. Secondo la testimonianza di Eusebio di Cesarea, il grande storico del IV secolo, l’ultimo vangelo fu scritto al tempo dell’imperatore Domiziano, morto nel 96.
Il papiro Ryland conferma ampiamente questa testimonianza. Infatti il materiale usato (il papiro e non la pergamena) indica ormai una diffusione popolare, così come il luogo, fuori della Palestina. Il Vangelo di Giovanni è perciò ascrivibile a svariati anni precedenti, appunto intorno alla fine del I secolo.
Del resto già nel II secolo abbiamo l’elenco dei libri canonici da leggere in chiesa: questo celebre documento è chiamato Codice Muratoriano, una pergamena del 160-180 dopo Cristo, che prende il nome dal grande storico e ricercatore Ludovico Antonio Muratori che lo scoprì. Nel Codice Muratoriano sono indicati i Vangeli, gli Atti degli Apostoli, le Lettere di S. Paolo, altre lettere apostoliche e l’Apocalisse.
Se Dan Brown, invece di scrivere il romanzesco Codice da Vinci, avesse riportato il Codice Muratoriano, non avrebbe potuto dire scioccamente che i Vangeli sono del IV secolo; di certo però non avrebbe guadagnato milioni di dollari…

5. Anche i vangeli apocrifi, benchè non riconosciuti validi nelle affermazioni teologiche dalla Chiesa antica, attestano comunque l’esistenza di Gesù e sono stati scritti tra l’età apostolica e il secolo successivo. A differenza di quello che spesso si dice, anche i Vangeli apocrifi affermano la divinità di Cristo, e la sua risurrezione. Svalutano invece gli aspetti più dolorosi dell’umanità di Gesù. In nessun vangelo apocrifo c’è la descrizione di un amore di tipo carnale tra Gesù e Maria Madalena, ed in genere i vangeli apocrifi sono fortemente misogini, come lo erano i loro autori gnostici.
Evidentemente Dan Brown non ha letto nemmeno questi.

6. Nessun autore nemico dei cristiani nei primi secoli ha mai contestato ai cristiani l’esistenza di Gesù. Ne contestavano la risurrezione, cioè la divinità. Così ad esempio il pagano Frontone, l’ebreo Trifone, il platonico Celso, il cinico Luciano di Samosata (II secolo), etc.
Questi avevano tutto l’interesse a negare l’esistenza storica di Gesù, ma non lo fecero mai; anzi, per citare solo Luciano, i cristiani adorano “un uomo che fu crocifisso in Palestina per aver dato vita a questa nuova religione”.


Coloro che oggi vogliono contestare l’esistenza di Gesù devono cancellare le testimonianze di Tacito, di Giuseppe Flavio, dei Vangeli, di S. Paolo, e dei nemici stessi degli antichi cristiani.

Insomma, devono cancellare la storia. E come fanno, con il bianchetto?




Foto in alto: Rifacimento di un poster della contestazione giovanile del '68

martedì 11 novembre 2008

Il senso religioso




Ho visto che nessun argomento, nemmeno Berlusconi, riesce a far discutere tanto, quanto gli argomenti religiosi. In questi giorni nel web ho avuto di nuovo kilometriche diatribe con persone non credenti.

Quando dico non credenti non è solo un modo di dire; ci sono persone che negano proprio tutto: non esiste Dio, non è esistito Gesù, la Chiesa esiste ma è stata inventata dagli uomini.
Questo rifiuto totale viene però accompagnato da una tale carenza di argomentazioni, che mi lascia stupefatto.

Proverò pertanto a riportare sul solido terreno della ricerca razionale e documentaria la questione religiosa. In questo post parlerò degli aspetti razionali del sentimento religioso; nel prossimo, della storicità di Gesù; e se la cosa interesserà, aggiungerò un post sulla Chiesa.

Cercherò di essere breve, sia perché molti di questi argomenti li ho già trattati, sia perché la brevità permette meglio di “ruminare” gli argomenti proposti.

L’esistenza di Dio

L'esistenza di Dio non è solo un fatto di fede. È anzitutto un’esigenza della ragione. Si arriva a Dio perché bisogna spiegare questo nostro mondo in divenire. Il mondo che vediamo è giunto a noi da una lunga evoluzione precedente. Quanto lunga?

Se la risposta è: da un numero finito di miliardi di anni (quindici, di più) è necessario concludere che qualcuno abbia dato inizio al tutto, con il big bang; un essere che non appartiene ovviamente a questo mondo a cui ha dato inizio; ma totalmente diverso, trascendente, assoluto, cioè Dio.

Se la risposta è: da un numero infinito di anni, il problema si sposta all’indietro, fino all’infinito, ma non si risolve mai, perché il mondo avrà sempre bisogno di una causa precedente, e dunque non può iniziare. Ma siccome il mondo esiste e nella sua catena di esseri è giunto fino a noi, deve avere avuto un inizio.

In ogni caso perciò occorre ammettere un Essere eternamente presente, assoluto, cioè ontologicamente diverso e distinto dal creato, che ha dato inizio ed esistenza a questo mondo in divenire, sia che si parta da 15 miliardi di anni fa, sia che si parta da un tempo infinito.

L’esistenza di Dio è dunque un’esigenza della nostra ragione e del nostro cuore inquieto.


Come conclusione riporto una serie di affermazioni su Dio di famosi pensatori e scienziati.

Aristotele: “Nel divenire dei motori mossi, occorre giungere a un primo motore immobile. Bisogna fermarsi” (Metafisica, XII).

Agostino: “O Signore, ci hai creati per te, e il nostro cuore è inquieto finché non riposa in te” (Confessioni, inizio).

Tommaso: “Gli esseri del mondo hanno l’esistenza. Dio è l’esistenza stessa” (De ente et essentia).

Cartesio: “Datemi materia e movimento e vi costruirò il mondo” (Meditazioni metafisiche).

Galileo: "La natura è come un libro il cui autore è Dio" (Lettera a P. Benedetto Castelli).

Newton: “Questa elegantissima compagine del sole, dei pianeti e delle comete non poté nascere senza il disegno e la potenza di un essere intelligente e potente. Egli regge tutte le cose non come anima del mondo, ma come signore dell'universo. E a causa del suo dominio suole essere chiamato Signore-Dio, pantokrator” (Principi matematici di filosofia naturale).

Voltaire: “Non è più agli uomini che mi rivolgo; ma a te, Dio di tutti gli esseri, di tutti i mondi, di tutti i tempi: se è lecito che delle deboli creature, perse nell'immensità e impercettibili al resto dell'universo, osino domandare qualche cosa a te, che tutto hai donato” (Trattato sulla tolleranza, preghiera finale).

Rousseau: “Tutto è buono ciò che esce dalle mani dell’Autore della natura, tutto si corrompe nelle mani dell’uomo” (Emilio, incipit).

Kant: “Due cose mi riempiono di stupore: il cielo stellato sopra di me, la legge morale dentro di me” (Critica della ragion pratica, explicit).

Maxwell: Il libro della natura si mostra agli occhi dello scienziato come ordinato e armonioso, rivelando l'infinita potenza e saggezza di Dio nella sua irraggiungibile ed eterna verità.

Einstein: “Dio non gioca a dadi con il mondo”.

Dostoewskij: “Se Dio non esiste, tutto è permesso” (I fratelli Karamazov).




Foto in alto: "L'albero della vita" (1950), H. Matisse (Cappella del Rosario di Vence, Nizza)

sabato 8 novembre 2008

Prendere per il naso...



Le battute di Berlusconi sul nuovo presidente americano Obama hanno suscitato una valanga di commenti nei mass media e nella blogosfera.

Non entro nel merito della questione, ma ne prendo spunto per notare che nei personaggi politici l’attenzione al look, all’immagine esteriore ha sempre avuto la sua importanza.

Citerò qualche esempio.

Lo statista ateniese Pericle aveva la testa a pera. Lui risolse il problema portando abitualmente l'elmo (non esisteva il cappello ancora!), e con l'elmo lo vediamo sempre raffigurato nelle sculture greche.

Giulio Cesare invece aveva una pronunziata calvizie, che per gli antichi romani rappresentava un disonore. Per questo si fece attribuire dal senato e dal popolo romano “il diritto di portare in perpetuo una corona di alloro” (ius gestandi perpetuo lauream coronam).

Federico da Montefeltro, duca di Urbino, famoso per il suo mecenatismo e per la sua cultura, aveva la faccia deturpata da un colpo di spada. Dai pittori si faceva sempre raffigurare dalla parte ‘buona’ del viso, in cui si notava solo la mancanza di un po’ di naso. Celebre il ritratto di Piero della Francesca.

Luigi XIV fece le cose in grande, come si addiceva al Re Sole. Poiché divenne precocemente calvo, decise di indossare una grande parrucca, e ordinò che altrettanto facessero tutti i dignitari di corte.
La cosa ebbe tanto seguito che da allora (sec. XVII) fino alla Rivoluzione Francese (1789) in Francia non c’era nessun nobile o personaggio di alto rango che non portasse la parrucca, compresi Voltaire e gli illuministi. L'esempio fu seguito in tutta Europa e varcò gli oceani. E così fino alla Rivoluzione, che cambiò anche la moda, tanti seriosi personaggi sembrano capelloni ante litteram.

Molto più drastica però fu Cleopatra, donna fatale, ma con un naso un po’ troppo pronunciato.
Aveva dato ordine che, chi avesse osato in sua presenza fare un accenno a questo difetto, venisse immediatamente ucciso.

Non era proprio il caso di… prenderla per il naso.



Foto in alto: "Federico da Montefeltro" (1465), Piero della Francesca (Uffizi, Firenze)

mercoledì 5 novembre 2008

Pasquinate




Pasquino era la statua ‘parlante’ della Roma papalina e ha rappresentato per secoli la voce del popolo romano.
È un busto di epoca latina, oggi ridotto a poca cosa, che si può a mala pena vedere fuori Palazzo Braschi, presso Piazza Navona.

Una volta invece era assai rinomato. Anonimi verseggiatori gli appendevano al collo cartelli con scritte satiriche, contro abusi e scandali del mondo ecclesiastico e nobiliare.
Poiché quel tronco di statua era conosciuto col nome di Pasquino, le rime satiriche furono dette “pasquinate”.

Ieri l’amica Stefania, atea e simpatica romana, ha trovato nel web una pasquinata contro papa Benedetto, e l’ha riportata [http://ziczac.it/a/notizia/muore-lentamente-tibet-colpa-cina-anche-nostro-disinteresse/#ca117653]

Dice così:

"Appello a li cinesi

A cinè...lassate perde i tibetani, date retta
e trattate er Dalai Lama co' rispetto:
perchè 'n venite a Roma in tutta fretta
e ce cacciate via papa Benedetto?"


Il ritmo è un po’ zoppicante, ma i concetti sono chiari…

Non sono romano, ma toscano, e qualcosa di Pietro l’Aretino devo pur aver ereditato.
Mi sono perciò permesso di rispondere così, con un’altra pasquinata:


II Appello a li cinesi

A cinesi, unn’e state a veni’ qua;
ve portiamo a Pechino er Vatica’,
con chiese, monumenti e cupoloni,
che qua rompono a tutti li cojoni.

Vo’ ce dovete da’ in contropartita
quarche pagoda e la città proibita:
robba de legno, come quella capa
che vole fare er cambio con er papa.



Pasquino vs Pasquino.

Ai posteri, anzi, ai postatori, l’ardua sentenza...

martedì 4 novembre 2008

4 novembre. Vittorio Veneto




Vittorio Veneto porta un nome che è stato un presagio. Alla cittadina veneta fu dato il nome di Vittorio, in onore del re Vittorio Emanuele II, nel 1866. Nessuno allora avrebbe potuto immaginare che vi si sarebbe combattuta l’ultima e vittoriosa battaglia della Grande Guerra, tra il 24 ottobre e il 3 novembre 1918.
Lo sfondamento del fronte a Vittorio (Veneto) mise in rotta l’esercito austriaco e portò alla vittoria finale, sanzionata dall’armistizio di Villa Giusti del 3 novembre, entrato in vigore il 4 novembre.

Proprio il 4 novembre il comandante supremo Armando Diaz fece diramare il famoso "Bollettino della Vittoria".

L’ultima frase del bollettino fu aggiunta di pugno da Armando Diaz stesso, a dispaccio già composto, ed è la parte più celebre, sia per il vigore delle espressioni, sia perché contiene un (discusso) errore di grammatica.
Diaz descrive la rotta dell’esercito austriaco così:

“I resti di quello che fu uno dei più potenti eserciti del mondo risalgono in disordine e senza speranza le valli, che avevano disceso con orgogliosa sicurezza”.

A prima vista la frase fila; ma a ben guardare si nota che “i resti” dell’esercito austriaco certamente “risalgono con disordine e senza speranze le valli”; ma si trova difficoltà a pensare che fossero stati solo “i resti” del medesimo esercito a scendere quelle valli “con orgogliosa sicurezza”.
Insomma, il medesimo soggetto “i resti” non può reggere le due frasi: furono i resti dell’esercito a risalire, ma era stato l’esercito al completo a discendere in Italia.

Altri però molto giustamente ricordano che esiste una figura retorica, lo "zeugma", (giogo), che consiste nell’unire impropriamente due termini o due frasi, per dare rapidità ed efficacia al discorso.
È celebre l’esempio dantesco, nel XXXIII canto dell’Inferno. Il Conte Ugolino dice: “Parlare e lacrimar vedrai insieme”. Lacrimar si vede, ma parlare si sente.
Diaz il 4 novembre non aveva certo in mente uno zeugma; ma l’immensa gioia della vittoria lo porta ad aggiogare due frasi diverse; come l’immenso dolore del Conte Ugolino lo porta ad unire impropriamente due verbi. In ambedue i casi si ottiene rapidità ed efficacia.

Il valore eroico che portò i soldati italiani alla vittoria è espresso in modo indimenticabile anche dalla scritta che si vede in un brandello di muro di una casa (l'osteria Zanin) presso Fagarè, oggi inserito nel Sacrario del luogo:

TUTTI EROI ! O IL PIAVE O TUTTI ACCOPPATI !

Fu segnata (sembra) dall’eroico tenente Ignazio Pisciotta, nel giugno 1918, per incitare alla resistenza sul Piave. All'episodio si fa cenno anche nel film di Monicelli, La Grande Guerra.

Il tenente Pisciotta era di Matera.
Sul Piave e a Vittorio Veneto non si fece solo l’unità d’Italia geografica, ma anche civile e morale.


domenica 2 novembre 2008

Nel giorno dedicato ai defunti




Nel giorno che ricorda tutti i defunti, voglio dedicare loro una preghiera.

È la preghiera che ogni persona conosce, rivolta alla Madonna: Ave Maria.

La musica è una delle più belle melodie che siano state mai scritte, di Giulio Caccini, degli inizi del 1600, e solo recentemente riscoperta (composta?) dal musicista russo Vladimir Vavilov.

La voce è quella stupenda del grande soprano coreano Jo Sumi.


Il commosso ricordo dei nostri cari con la dolcezza dell'Ave Maria di Caccini (o di Vavilov)...