martedì 25 giugno 2013

Nel dubbio, un anno in più




Non bastava la disoccupazione, la crisi economica devastante, il governo di larghe intese tenuto insieme con il bostik, la Merkel, la Deutsche Bank,  lo spread...
Ci volevano anche i giudici di Milano. Anzi, le giudichesse.
Vorrei domandare alle tre parche, che ieri hanno tessuto e tagliato il filo di Berlusconi, come fanno a sapere che il Cavaliere è stato a letto con Ruby, se ambedue gli imputati negano; in particolare (non è cosa di poco conto) lo nega proprio la bella marocchina. Le hanno messo una microspia tra le mutande?
Vorrei sapere come fa il Cavaliere ad essere un concussore, se le persone che dovrebbero essere concusse lo negano. I tre funzionari di polizia coinvolti, Ostuni, Morelli e Iafrate, parti offese del reato di concussione, non si sono costituiti parte civile e in aula hanno detto di aver agito normalmente «nell'interesse della minore», come ha sottolineato il commissario Iafrate.
Vorrei sapere come si fa a ipotizzare la falsa testimonianza per tutti coloro che in tribunale hanno preso le difese di Berlusconi (sono più di 30 persone!), mentre avrebbe valore solo chi sostiene l' accusa.
Bisogna avere un odio viscerale per l’imputato, per condannare in queste condizioni. Perfino l’antico diritto romano esigeva l’assoluzione nei casi dubbi: in dubio pro reo.
Ma le tre parche non hanno avuto dubbi: l’imputato era certamente Silvio Berlusconi; ergo, il massimo della pena, perfino oltre le richieste dell’accusa: un anno in più.
Non ho simpatie politiche per Berlusconi, e per la verità non ho simpatie politiche; la politica è sempre più una cloaca maxima. E la gente l’ha capito.
Ma voler eliminare una persona per vie giudiziarie, dal momento che non si riesce a farla fuori con il voto democratico, questo fa pensare ai tribunali speciali dei regimi rossi e neri.
I tribunali sovietici al tempo di Solgenitzin dicevano: “Dateci l’uomo, l’accusa la troviamo noi” (Arcipelago Gulag).
Sono vent’anni che processano l’uomo di Arcore, da quando “scese in campo” contro Occhetto e la sua “gioiosa macchina da guerra”, che finì tristemente.
Altrove i processi languiscono o non si fanno. Solo il tribunale speciale di Milano è a pieni regimi.
Anzi, a pieno “regime”.



Sarà meglio ascoltare Lucio Battisti, in Fiori rosa, fiori di pesco (1970). Un anno di più...





giovedì 20 giugno 2013

Esami di maturità: le ali della libertà





Gli esami di maturità sono sempre stati un punto di arrivo fondamentale nella vita di uno studente.
Cambiano i sistemi, ma il risultato non cambia.

Possiamo definirli il pedaggio della libertà, o se vogliamo, le ali della libertà.

La maturità è un punto di riferimento decisivo: segnano un prima e un dopo.
Prima c’è l’orario scolastico, tassativo, quotidiano, inesorabile (a parte le “forche”). Dopo c’è l’esaltante sapore della libertà, il futuro che si spalanca davanti agli occhi, il fascino della scelta in prima persona.

Lo studente non si accorge di quanto sia decisivo questo discrimine, finché non l’ha superato.
D’improvviso si accorge di essere diventato padrone di sé stesso, e che la sua vita ora è tutta nelle sue mani e deve decidere cosa farne. Tutto ciò determina un senso di libertà così profondo ed esaltante che trasforma l’intera esistenza.

Questo è stato anche il mio stato d’animo quando, superato l’ostacolo (una volta poi molto selettivo), passai quattro mesi tra i più belli della mia vita: il gusto di gestire le giornate, la scelta della facoltà universitaria, l’assoluta padronanza di me stesso...

Anche se la vita ridimensiona un po’ questa “sobria ebbrezza”, tuttavia non la cancella più, e sostanzialmente  la conferma negli anni: dopo l’esame di maturità, il giovane si accorge che la vita dipende da lui, dalle sue scelte, dalla sua responsabilità.

E dai sogni che vuole realizzare.

Voglio accompagnare la fatica (e l’ansia) dei maturandi con la dolce musica di Debussy, quella stessa che mi aiutava a studiare, mentre preparavo la mia maturità, in nottate estive simili a quelle di questi giorni caldissimi (ai miei tempi gli esami cominciavano il primo di luglio).

Arabesque, 1 (1888).




venerdì 14 giugno 2013

400 Km geniali!





Nel tempo degli esami e delle pagelle viene da pensare a studenti e insegnanti (soprattutto agli studenti...).

Nessuno nasce docente, tutti dobbiamo imparare.

C’è chi apprende più rapidamente, perché madre natura lo ha fornito di doti particolari, e c’è chi invece ha bisogno di un maggior tirocinio.

Ciò che conta è il punto di arrivo e il cammino da fare.

Nella musica, si può dire che Mozart non abbia avuto maestri, dal momento che già a quattro anni suonava discretamente il piano e a cinque anni componeva. Un enfant prodige, il cui genio rimane un mistero inesplicabile per la nostra mente.

Diverso è stato il cammino di Johann Sebastian Bach, che ha raggiunto il vertice dell'arte anche attraverso uno studio assiduo e  uno straordinario impegno.

J. S. Bach ha avuto molti grandi maestri, prima di diventare il “principe della musica”.

Sono ben note le sue trascrizioni dei concerti di Vivaldi, così come lo studio delle opere di Pachelbel. Questi era stato maestro di Johann Cristoph Bach, fratello maggiore di J. Sebastian, che presso di lui visse alcuni anni.

Ma ciò che lascia stupefatti, e ci fa capire come il genio si sposi spesso con la forza di volontà, è il viaggio che il ventenne J. S. Bach fece da Arnstadt a Lubecca per ascoltare i concerti del più famoso musicista tedesco di allora, Dietrich Buxtehude.

Nell’epoca in cui non esistevano le registrazioni o You Tube, Bach fece un memorabile viaggio di quattrocento km a piedi (quattrocento!), e per alcuni mesi rimase nella città anseatica per ascoltare ed apprendere dalla navata della Marienkirche (la Chiesa dove operava Buxtehude) i segreti della sua innovativa arte compositoria.

Bach tornò da quell’esperienza trasformato. La sua musica divenne più ricca, più fantasiosa, più elaborata, tanto che lasciò stupefatti i suoi abituali ascoltatori di Arnstadt.

Da quel 1705 in poi uno dei membri della famiglia Bach, tutti bravi musicisti, e cioè Johann Sebastian divenne quello che tutti conoscono: semplicemente Bach.

Di Buxtehude ascoltiamo, come avrà fatto Bach nella Marienkirche, il festoso “Alleluja”, parte finale della breve Cantata “Der Herr ist mit mir (Il Signore è con me).

Quattrocento km a piedi, ma ne valsero la pena!




martedì 11 giugno 2013

L'estate con il flauto di Pan




Si avvicina il solstizio. Tra dieci giorni è estate.
Chi l’ha intravisto/a?  

Speriamo che i flussi di aria umida e fredda provenienti dalla Deutschland lascino il posto a correnti più calde e un po’ più gradevoli della signora Merkel.

Ma vedrete che anche questa volta il sole italiano riuscirà a evadere dalla nuvolaglia teutonica e irraggerà con tutto il suo vigore mediterraneo il bel Paese.

I signori tedeschi, se ne vorranno godere un po’, dovranno uscire dalle loro foreste e valicare Alpi (e Appennini). Senza armi, ovviamente. Solo con il portafoglio.

Oggi ho fatto una bella passeggiata in campagna. E insieme ai suoni della fiorente natura mi è sembrato di sentire anche il flauto di Pan, annunciatore dell’estate.

In realtà stavo pensando ai versi del Carducci, in “Davanti San Guido”:


E Pan l'eterno che su l'erme alture
a quell'ora e ne i pian solingo va,
il dissidio, o mortal, de le tue cure
ne la diva armonia sommergerà.


E così, per favorire l’arrivo dell’estate, posto un brano musicale, suonato dal maggior virtuoso di questo strumento, il rumeno Gheorghe Zamfir (sua l'esecuzione dell'indimenticabile Cockeye's Song in C'era una volta in America di Ennio Morricone).

Pan era il dio pastore, e il brano non può che essere “Il pastore solitario” di James Last.

mercoledì 5 giugno 2013

Dalla padella nella brace?









L’estate sta arrivando,

solo nel calendario,

perché sta diluviando;

l’Europa è un grande acquario.



Tra tornado e cicloni,

trombe d’aria e uragani,

son messi in ginocchioni

gli Stati americani.



È una stagione strana,

non vuol metter giudizio;

della natura umana

ha preso ormai ogni vizio.



Ma prima o poi, o gente,

il tempo cambierà.

Verrà un sole cocente

che tutti arrostirà.



Ma si resisterà.

Lo spero vivamente;

intanto ho preso già

scafandro e salvagente.





Amicusplato






domenica 2 giugno 2013

La festa del Corpus Domini, un inno alla vita!




La festa del Corpus Domini richiama la nostra attenzione sul mistero centrale della fede cattolica: Cristo è realmente presente nel sacramento dell’Eucarestia e si dona ai fedeli in cibo di vita eterna.

“Pane del cielo”, si definisce Gesù stesso nel discorso a Cafarnao (Gv 6, 51); “medicina d’immortalità”, commentano i Padri della Chiesa; “ostia di salvezza”, scrive S. Tommaso d’Aquino.

Una festa radiosa, nella quale viene affermato con forza e dolcezza che la vita di Cristo risorto entra nella vita mortale dell’uomo per divinizzarlo: “Chi mangia questo pane, vivrà in eterno” (Gv 6, 58).

È Cristo vivo e vero che si fa nutrimento dell’uomo, “non confractus, non divisus, integer accipitur”, come mirabilmente si esprime S. Tommaso nel “Lauda Sion”. Viene ricevuto Cristo “non spezzato, non diviso, nella sua integrità”; e in forma sacramentale, cioè nelle apparenze del pane e del vino.

Ma è Cristo Risorto.
 
Innumerevoli sono le preghiere eucaristiche, e ancora di più i compositori che le hanno messe in musica.

Senza parlare di altri generi d’arte.

In questa festa mi piace postare un brano di Gioachino Rossini (1792-1868).

Il genio pesarese del melodramma è noto più per la sua vita da buon “viveur”, che per le pratiche religiose.

Sta di fatto che, dopo il suo forsennato ventennio in cui sfornò una quarantina di opere, in gran parte capolavori immortali a tutti noti, dopo il “Guglielmo Tell” del 1829 smise improvvisamente di comporre.

Questo “silenzio musicale” , che durò fino alla morte, fu interrotto solo da alcune composizioni, soprattutto di carattere religioso: lo “Stabat Mater” (1841) e soprattutto la stupenda, incredibile, geniale “Petite Messe Solennelle” (1863), una Messa che di piccolo ha solo l’aggettivo del titolo, poiché si tratta di un capolavoro assoluto.

In questa Messa, al di fuori dello schema tradizionale, Rossini aggiunse dopo il Benedictus le ultime due strofe dell’inno eucaristico di S. Tommaso d’Aquino “Verbum supernum prodiens”,  e cioè “O salutaris Hostia” (1264). 

Rossini aveva già musicato qualche anno prima (1857), in forma polifonica a cappella, questo stupendo brano di S. Tommaso, aggiungendo bellezza a bellezza.

Nella Petite Messe Solennelle l’esecuzione è affidata al soprano solista, con accompagnamento di pianoforte.

Mi piace postare il brano nell’esecuzione di Eva Mei, ormai soprano affermato, che per alcuni anni ha cantato nel nostro coro aretino, diretto dal grande Fosco Corti.

Al pianoforte, il celebre e indimenticabile direttore Wolfgang Sawallisch. L'esecuzione è del 13 maggio 2004.
 

Buona festa del Corpus Domini!