Sono uno che ricerca la verità e che non si accontenta di wikipedia.
Se dici che la verità non esiste, sbagli, perché ne hai già affermata una.
Se poi dici che la ricerca della verità non ti interessa, allora non te la prendere troppo quando qualcuno ti vuole ingannare.
Sono giorni di particolare gioia e serenità, o almeno, così dovrebbe essere e si spera.
Tra i canti popolari natalizi ce n’è uno, nella tradizione anglosassone, che ricorda in forma di simpatica filastrocca i doni che ognuno di questi giorni natalizi porta con sé.
È un gioioso canto quasi senza senso, almeno a prima vista, dal momento che i regali ricordati sono per lo più “incomprensibili”. Si parla di galline francesi, di uccelli che richiamano, di oche che covano, di ragazze che mungono il latte, di cigni che nuotano, e così via.
Questo “non senso” della filastrocca ha fatto pensare a molti che si tratti in realtà di un canto simbolico, che i cattolici anglosassoni avrebbero inventato nel XVI secolo per trasmettere le principali verità della fede ai più piccoli, al tempo delle persecuzioni protestanti.
I doni, in sequenza, sono:
pernice in un pero,
tortore,
galline francesi,
uccelli che richiamano,
anelli d'oro,
oche che covano,
cigni che nuotano,
fanciulle che mungono,
signore che danzano,
signori che saltano,
pifferai che suonano,
tamburini che battono il tamburo.
La pernice in un pero (partridge in a pear tree) simboleggerebbe Gesù, che attira i predatori su di sé per distoglierli dai figlioletti indifesi nel nido.
Le due tortore raffigurerebbero il Vecchio e il Nuovo Testamento.
Le tre galline francesi rappresenterebbero le tre virtù teologali: fede, speranza e carità.
I quattro uccelli sarebbero i quattro Vangeli, di Matteo, Marco, Luca e Giovanni, che proclamano la parola di Dio, ... fino ai 12 tamburini, immagine dei 12 Apostoli, banditori del Vangelo.
Ho notato che nel web (e in Wikipedia) i vari commentatori attribuiscono ai 5 anelli
d'oro della canzone il significato dei primi cinque libri della Bibbia, cioè la Torà (o Pentateuco).
Questa interpretazione mi pare troppo ricercata e perciò forzata; poteva essere giustificata in un canto ebraico. Trattandosi invece di un canto di origine cattolica è molto più logico pensare che i cinque anelli d'oro (d'oro!) siano invece i cinque precetti della Chiesa Cattolica, che ebbero proprio nel periodo del Protestantesimo un'importanza fondamentale nella catechesi. È impensabile che nel XVI secolo, nel pieno della polemica con i protestanti, il numero 5 non fosse associato dai cattolici ai precetti della Chiesa.
Comunque sia, significato criptico o meno, gustiamoci questo simpaticissimo e antico canto natalizio: Twelve Days of Christmas.
La sublime bellezza del Natale (non quello vacuo di una società consumistica, ma quello sostanzioso di Dio che si fa uomo per ridonarci il senso della vita) si esprime in ogni forma espressiva, dalla preghiera ad ogni genere di arte e di creatività umana.
In particolare questa festa ha fatto nei secoli emergere appieno la creatività popolare, semplice e affascinante al tempo stesso.
Il presepio ne è l’esempio più bello. Ma non meno significativi i canti tradizionali in ogni lingua, che oggi sono sempre più patrimonio comune dell’umanità, con l’incontro tra le diverse culture.
Villancicos, Christmas carols, chansons de Noël, e così via, nella loro infinita varietà ci danno il senso di quello che è il Natale nel mondo: una gioia profonda e incontenibile.
Molti di questi canti hanno origini nel primo Medioevo, e facevano “concorrenza” ai più impegnativi canti gregoriani. La cultura popolare si esprimeva volentieri in queste canzoni ritmate e vivaci.
Ho in mente il Laudario di Cortona, del XIII secolo, uno dei primi esempi di canti in lingua volgare italiana (toscana), che ha anche alcuni splendidi canti natalizi.
Dello stesso periodo - ma in latino - sono le “Piae Cantiones”, raccolte e pubblicate in Finlandia (!) nel 1582. Si tratta di 74 “pie canzoni”, tra cui alcuni stupendi canti natalizi, come “In dulci jubilo", Gaudete” e “Personent hodie”.
Per festeggiare questo Natale presento “Personent hodie”.
Si potrà notare quanto la bellezza e la semplicità dell’arte medievale superi di gran lunga la bruttezza dei due “doodles”, con cui il pur benemerito motore di ricerca Google ci augura Buone Feste...
Buon Natale a tutti (Google compreso, ovviamente)!
Personent hodie
voces puerulae,
laudantes iucunde
qui nobis est natus,
summo Deo datus,
et de virgineo ventre procreatus.
In mundo nascitur,
pannis involvitur, praesepi ponitur,
stabulo brutorum,
Rector supernorum.
Perdidit spolia princeps infernorum.
Magi tres venerunt,
parvulum inquirunt, Bethlehem adeunt,
stellulam sequendo,
ipsum adorando, aurum, thus et myrrham ei offerendo.
Omnes clericuli,
pariter pueri,
cantent ut angeli:
advenisti mundo,
laudes tibi fundo;
ideo gloria in excelsis Deo.
Risuonino oggi
voci di fanciulli,
lodando con gioia
Colui che oggi è nato,
dato dal sommo Dio
e generato da un seno verginale.
Nasce nel mondo,
è avvolto in fasce,
è posto in una mangiatoia,
in una stalla di animali,
Lui che governa il cielo.
Il principe degli inferi ha perso la sua preda.
Tre Magi son venuti
e cercano il Bambino,
si recano a Betlemme
seguendo la stella.
Lo adorano,
gli offrono oro, incenso e mirra.
Tutto il clero
e ugualmente i fanciulli
cantino come gli angeli:
sei venuto nel mondo,
io canto le tue lodi;
perciò, gloria a Dio nell’alto dei cieli!
Il mondo non si è fermato mai un momento, dice una canzone, e non si è fermato ovviamente nemmeno oggi, 21.12.12, data fatidica solo per gli sciocchi.
Per gli sciocchi va bene perciò una pasquinata; in romanesco, ovviamente.
C'è da dire però che in questo medesimo giorno morirono (in romanesco, "morsero") i due più grandi poeti dialettali di Roma: Giuseppe Gioachino Belli (21 dicembre 1863) e Carlo Alberto Salustri, cioè Trilussa (21 dicembre 1950).
Mi pare giusto che Pasquino renda oggi onore ai suoi due celebri concittadini.
L’orrenda e assurda strage nella
scuola elementare di Newtown (Connecticut), in cui ieri sono stati uccisi a colpi
di arma da fuoco da un giovane squilibrato 26 persone, tra cui 20 bambini, ci rende
sgomenti.
Non credo che basti la parola “squilibrio
mentale” per spiegare un simile efferato gesto, che ne ricorda purtroppo molti altri
simili.
Lo squilibrio ha invaso ormai i
centri nervosi della società umana, per cui non passa giorno in cui non si
debba fare la tragica conta dei morti ammazzati, delle violenze, delle rapine e
di ogni altro genere di delitti.
Tutti si stracciano le vesti, come
Caifa nel sinedrio. Si ricorre preoccupati al parere di psicologi e di “esperti”
(di che?)
E non si vuol vedere che oggi vengono
sistematicamente abbattuti i pilastri dell’umana convivenza, e in primo luogo
il rispetto della vita e la sacralità della famiglia.
Quando una società si permette di
poter fare a meno delle leggi morali, impresse da Dio in ogni coscienza, e
quando lo Stato abdica alla tutela di questi valori fondanti, anzi è il primo a
smantellarli, allora non c’è bisogno delle profezie dei Maya. Il mondo finirà
non per colpa di alieni o di asteroidi impazziti, ma per opera dell’uomo
stesso.
Mancano dieci giorni al Natale di
Nostro Signore Gesù Cristo.
Qualcuno pensa che si possa fare a
meno della presenza di Cristo. E ritiene che per Lui non ci sia più posto nel
mondo attuale (la storia si ripete...).
Ma Gesù Cristo viene in mezzo a noi per
insegnarci a vivere da uomini e non da belve feroci o da esseri disperati.
Per onorare le vittime della strage
di innocenti di ieri, e per iniziare nonostante tutto la Novena di Natale nel segno della
speranza, propongo l’appassionata invocazione “Veni, Domine” (Vieni, o
Signore!) musicata da Felix Mendelssohn-Bartholdy.
Lo stupendo mottetto è a 3 voci femminili, con accompagnamento di organo (nella clip, pianoforte).
"Vieni, Signore!" Un’invocazione di cui il mondo deve
riappropriarsi, se vuole ancora sussistere.
Veni Domine et noli tardare.
Relaxa facinora plebi tuae
et revoca dispersos in terram tuam.
Excita Domine potentiam tuam et veni ut
salvos nos facias.
Veni Domine et noli tardare.
Vieni, Signore, e non tardare!
Perdona i delitti del tuo popolo
e riunisci i dispersi nella tua
terra.
Suscita, Signore, la tua potenza e vieni a salvarci!
Benché si tratti di semplici simboli numerici, i tre 12
della data odierna sono davvero molto significativi. E poiché questa terna è
possibile solo agli inizi di ogni secolo, siamo anche fortunati nel poterla
commentare dal vivo (o se volete, da vivi...).
Il 12 è un numero che indica completezza.
Dodici sono i mesi.
Dodici le ore del giorno (e della notte).
Dodici è la somma dei numeri 3-4-5, che costituiscono i lati
del triangolo rettangolo dal quale Pitagora ricavò il suo celebre teorema, mediante
“terne pitagoriche”: (3x2)2+(4x2)2=(5x2)2; (3x3)2+(4x3)2=(5x3)2;(3x4)2+(4x4)2=(5x4)2,
etc. In altre parole, moltiplicando un qualsivoglia medesimo numero naturale per
la prima terna pitagorica (3-4-5), si ottengono sempre terne pitagoriche e
quindi triangoli rettangoli. Pitagora attribuì questa straordinaria scoperta ad
un’illuminazione divina, e considerò pertanto il 12 un numero sacro e simbolo
di perfezione.
Il sistema duodenario (o dodicinale) è ancora usato come
sistema metrico di lunghezza nei paesi anglosassoni.In un piede ci sono dodici pollici: “there
are twelve inches in one foot”.
Anche la monetazione ha avuto fino ad epoca moderna una
misura dodicinale. Risale a Carlo Magno la divisione in lire, soldi e denari, con
il soldo equivalente a 12 denari. La lira corrispondeva a 240 denari (20x12). Fino
a pochi decenni fa questa divisione era ancora in vigore in Gran Bretagna. Del
resto i caratteristici termini inglesi eleven
e twelve (così come, in Germania, elf e zwölf) ci dicono che la numerazione per quei popoli era anticamente in
base dodici.
Anche da noi è rimasta la eco del sistema duodenario: classica
è “una dozzina di uova” (non certo una decina di uova!) o una “dozzina di rose”,
rosse magari...
La numerazione in base dodici è evidentemente legata al
numero dei mesi, cioè alle lunazioni in un anno, e in Europa in particolare
anche al computo romano delle ore diurne.
Dodici erano le tribù del popolo d’Israele; dalla prima di
queste tribù, quella di Giuda, discende Nostro Signore Gesù Cristo, di cui
stiamo per festeggiare proprio il 2012 anno della nascita.
Dodici erano gli Apostoli, sui quali Gesù Cristo ha fondato il “nuovo
Israele”, cioè la Chiesa universale.
Dodici erano, nell’antica Roma, le “tavole” su cui furono
per la prima volta scritte ed esposte nel Foro le leggi dello Stato: le leggi
delle XII Tavole. Molti avranno presente la bella citazione che fa di una di esse
il Foscolo, collocata come epigrafe nel carme “Dei sepolcri”: Deorum Manium iura sancta sunto (i
diritti dei defunti siano sacri).
Anche Roma dunque, patria del diritto, aveva affidato al
numero 12 (anzi, XII) la pienezza delle sue leggi.
Ma c’è un’altra città che è simbolicamente rappresentata da
questo numero perfetto. E non siamo più in una città terrena, ma nella città
del Cielo, nella Gerusalemme celeste, nel Regno di Dio.
Dice S. Giovanni al termine dell'Apocalisse:
“Vidi un cielo nuovo e una terra nuova: il cielo e la terra
di prima erano scomparsi e il mare non c’era più. E vidi anche la città santa,
la nuova Gerusalemme, scendere dal cielo, da Dio, come una sposa adorna per il
suo sposo. Non vi sarà più morte né lutto né lamento né affanno, perché le cose
di prima sono passate.
La città è cinta da grandi e alte mura con dodici porte:
sopra queste porte stanno dodici angeli e nomi scritti, i nomi delle dodici
tribù dei figli d’Israele. A oriente tre porte, a settentrione tre porte, a
mezzogiorno tre porte e a occidente tre porte. Le mura delle città poggiano su
dodici basamenti, sopra i quali sono i dodici nomi dei dodici apostoli dell’Agnello.
In mezzo alla piazza della città si trova l’albero della vita che dà frutti
dodici volte all’anno, portando frutti ogni mese; le foglie dell’albero servono
per guarire le nazioni. Non vi sarà più notte, e non avranno più bisogno di
luce di lampada né di luce di sole, perché il Signore Dio li illuminerà. E
regneranno nei secoli dei secoli” (Apocalisse,
cc. 21 e 22).
Dalla città terrena alla città di Dio. Con il simbolico
numero 12.
Nella data di oggi abbiamo la perfezione del tre e la completezza del 12.
Una giornata più che perfetta!
Almeno nel calendario...
Come accompagnamento di questa giornata propongo all'ascolto "Margherita all'arcolaio" (Gretchen am Spinnrade), un bellissimo Lied del 1814 di Franz Schubert, su testo di J.W. Goethe. Come a dire, la perfezione della musica unita a quella della poesia.
Come tutti i 66 Lieder di Schubert, anche questo è stato scritto per voce solista (in questo caso, soprano) e accompagnamento di pianoforte. Franz Liszt ne ha fatta una perfetta trascrizione per pianoforte solo, la presente.
Si noterà, nel vorticoso accompagnamento di due sestine di semicrome ogni battuta, il ruotare incessante dell'arcolaio (un arcolaio in base 12!), mentre emerge nella parte alta il canto dolce e appassionato di Margherita (Gretchen) che, innamorata, pensa al suo Faust.
Una musica suonata da un grande virtuoso del piano: Evgenij Kissin. Per coloro che vogliono apprezzare la bellezza e la limpidezza del Lied originario, per voce e pianoforte, questo è il link: http://youtu.be/MY0eeotSDi8
Devo essere sincero; in questa giornata perfetta ho postato soprattutto per me: Schubert è un autore che amo particolarmente, e Margherita è il nome di mia madre... Ma spero che non vi dispiaccia.
La festa della Madonna Immacolata è l’inizio della nuova
umanità, redenta dal Figlio di Dio.
La trasgressione iniziale della creatura nei confronti del
suo Creatore ha innescato una catena di male che ha coinvolto tutti.
“Chi è senza peccato scagli la prima pietra” (Gv 8, 7). E perfino i farisei, famosi per la loro
ipocrisia, non se la sentirono di scagliare il sasso contro la peccatrice.
Con la concezione di Maria nel grembo di sua madre S. Anna, rifiorisce
la speranza.
Nella terra desolata il Figlio di Dio prepara così la sua
dimora, in una creatura umile, di modeste condizioni sociali, la futura
promessa sposa di un falegname.
Gesù non ha guardato alle apparenze. Ha guardato al cuore, e
lo ha trovato pronto a dire di sì al suo Creatore. Per questo ha scelta Maria
di Nazaret tra tutte le donne; e come primizia della Sua opera, l’ha salvata
dal peccato fin dal primo istante della sua esistenza, cioè fin dal
concepimento.
Immacolata, primizia dell’umanità nuova salvata da Cristo.
Con Maria Immacolata il peccato ha trovato la sua prima sonora
sconfitta, e la “piena di grazia” ci prende per mano per portarci a Gesù, il
Salvatore dell’umanità.
Per questo l'umile Maria può esclamare con piena consapevolezza: “D’ora
in poi tutte le generazioni mi chiameranno beata!” (Lc 1, 48).
Ma queste parole lasciamole cantare a Tarja Turunen, nel
sublime Magnificat (BWV 243) di J. S. Bach.
"Quia respexit humilitatem ancillae suae,
ecce enim ex hoc beatam me dicent [omnes generationes]".
Poiché Dio ha guardato alla povertà della sua serva,
d'ora in poi tutte le generazioni mi chiameranno beata.
Un mese di luce e di calore, nonostante l’inverno e le bollette
dell’enel e del gas.
È il mese del Natale di Nostro Signore Gesù Cristo, luce
del mondo!
Un mese di poesia, nonostante la prosa della vita quotidiana
in un periodo di crisi economica. Ma la tredicesima aiuterà a far sorridere,
una tantum, anche i pensionati.
Un mese in cui troveremo il giorno 12. 12. 12 (la perfezione
assoluta, tre volte il 12!), in netto contrasto con il fatidico giorno 21, nel
quale secondo il calendario Maya ci sarà la fine del mondo...
Con tutto il rispetto per i Maya, sto già preparando il
Presepio e l’Albero di Natale.
Una cosa però è certa: anche se non ci sarà (come è ovvio)
la fine del mondo, alla fine del mese avremo tutti un anno in più (almeno di
millesimo) e, come canta Franco Battiato nel suo ultimo disco, “Ah, come ti
inganni se pensi che gli anni non han da finire; è breve il gioire”.
Proprio questo bel brano “Passacaglia” del grande cantautore
siciliano (nell'album "Apriti Sesamo" del 2012) mi pare molto appropriato per iniziare dicembre.
Come egli stesso ha spiegato, il canto non è altro che la
riproposizione, in veste moderna, della "Passacaglia della vita" di Stefano Landi, il geniale
musicista romano del primo barocco (1587-1639).
Le parole della Passacaglia di Landi sono molto più crude,
con il funereo ritornello: “bisogna morire”.
Molto opportunamente Battiato ha addolcito la pillola,
perché anche l’uomo moderno, poco propenso ad ascoltare un simile refrain, possa
inghiottirla più facilmente.
Faccio presente che già Angelo Branduardi aveva “scovato”
la Passacaglia di Landi. Ma lui l’ha cantata nella versione originale (Futuro Antico VI, 2011). E devo dire che fa impressione davvero!
Metto qui i links al
brano di Branduardi e alla Passacaglia originaria di Stefano Landi.
Mettere in Italia come primo nome Andrea ad una femmina
finora era vietato dalla legge.
Andrea in Italia è un nome maschile; per il femminile c’è il
corrispondente Andreina, e simili.
Il nome deve seguire il genere della persona: poiché le
persone sono maschi o femmine, il nome deve essere maschile o femminile,
seguendo l’ordine naturale.
Ciò ovviamente per distinguere immediatamente
il sesso di un individuo, senza bisogno di far mostrare gli attributi...
Sorprende non poco la Corte di Cassazione che il 20 novembre scorso ha dato
ragione a due genitori di Pistoia, i quali hanno imposto il nome Andrea alla
propria figlia.
Curiosa la motivazione. Secondo la Cassazione il nome Andrea
è un nome “neutro”, perché molte nazioni lo adottano come nome femminile.
La Cassazione sembra dimenticare che in quelle nazioni dove
il nome Andrea è femminile (Germania, Spagna, Svezia, Ungheria, etc.), esiste
il corrispettivo maschile Andreas, Andrés, Anders, Andràs, etc.
Non mi risulta che esista una nazione che applichi lo stesso
nome Andrea ad un uomo e ad una donna. Per ovvii motivi di ambiguità. Esemplare è il caso
della Francia: André per gli uomini, Andrée per le donne.
Non so chi siano i signori della Cassazione. Ma se queste
sono le loro sentenze e le relative motivazioni, allora sarà meglio metterla sul
burlesco (mica tanto!):
“Piacere, io sono Nicola, questa è mia moglie Andrea.”
“Piacere, io sono Andrea, questa è mia moglie Nicola.”
È questo il modello di presentazione tra persone nel
prossimo futuro, secondo la Cassazione?
Faccio presente, ai signori della Corte, che il nome Nicola,
come quello di Andrea, è femminile in varie nazioni, ma sempre con un diverso
corrispettivo maschile (Nicolas e simili).
S. Andrea ci perdoni se invece di parlare di lui, oggi che è
la sua festa, abbiamo parlato del suo bellissimo nome (in Italia, maschile,
checché ne dicano i signori cassatori).
Il mese di novembre si avvia alla conclusione lasciandosi
dietro nubi, acquazzoni, temporali, trombe d’aria, allagamenti, disastri
ambientali, morti e dispersi.
Ai danni della natura si aggiungono quelli ad opera dell’uomo,
con la sua arrogante pretesa di poter fare ciò che vuole e come vuole, senza
il rispetto di alcuna regola, né di etica nè di buon senso.
Le conseguenze sono davanti agli occhi di tutti: cielo grigio su,
foglie gialle giù, e ancor più a terra il morale della gente, sballottata tra forte sfiducia
e flebile speranza.
Mi pare opportuno postare in questo quadro l’ Ouverture del
"Vascello Fantasma" (1843) di Richard Wagner. Del resto sono già iniziati tra i melomani i festeggiamenti per il 2° centenario della sua nascita, così come per Giuseppe Verdi (ambedue i titani dell'opera sono nati nel 1813).
Il melodramma è denominato più propriamente L’Olandese volante, ma
è un titolo che può ingannare. In realtà si tratta di una cupa tragedia. Il
capitano della nave olandese ha imprecato contro Dio in una tempesta ed è costretto a subirne il castigo, dovendo vagare all’infinito
per gli oceani, finché in uno dei suoi attracchi settennali ad un porto non
troverà una donna che con il suo amore fedele ed eterno lo liberi da questo destino e lo salvi.
L’Olandese troverà questo amore puro e immenso nella giovane
Senta che, affascinata dalla vicenda, desidera salvarlo. E lo farà,
giurandogli eterno amore e morendo in mare per lui.
Una storia cupa, che ha però nella redenzione il suo finale; una
redenzione ottenuta da un amore incondizionato, fino al sacrificio di sé.
Ho scelto di postare solo l’inizio dell’Ouverture; ma vi
sono concentrati i due temi (Leitmotive) portanti: il drammatico destino del
vascello fantasma dell’Olandese, sballottato dalle onde e preda dei venti, e il
dolcissimo tema dell’amore puro e fedele di Senta.
Oggi è la festa di Cristo Re dell’universo. “Re dei re,
Signore dei signori”, per usare l’espressione della Sacra Scrittura.
Non è un po’ pretenziosa la fede cristiana, nell’affermare
che Cristo è il Signore dell’universo?
A questa domanda si può rispondere con le parole di S.
Agostino:
“Interrogai sul mio Dio la mole dell’universo, e mi rispose:
"Non sono io, ma è lui che mi fece". Interrogai la terra, e mi
rispose: "Non sono io"; la medesima confessione fecero tutte le cose
che si trovano in essa. Interrogai il mare, i suoi abissi e i rettili con anime
vive; e mi risposero: "Non siamo noi il tuo Dio; cerca sopra di noi".
Interrogai i soffi dell’aria, e tutto il mondo aereo con i suoi abitanti mi
rispose: "Erra Anassimene, io non sono Dio". Interrogai il cielo, il
sole, la luna, le stelle: "Neppure noi siamo il Dio che cerchi",
rispondono. E dissi a tutti gli esseri che circondano le porte del mio corpo:
"Parlatemi del mio Dio; se non lo siete voi, ditemi qualcosa di lui":
ed essi esclamarono a gran voce: "È lui che ci fece".
“Tardi ti ho amato, bellezza così antica e così nuova, tardi
ti ho amato! Sì, perché tu eri dentro di me e io fuori. Lì ti cercavo. Deforme,
mi gettavo sulle belle forme delle tue creature. Eri con me, e non ero con te.
Mi tenevano lontano da te le tue creature, inesistenti se non esistessero in
te. Mi chiamasti, e il tuo grido sfondò la mia sordità; sfolgorasti, e il tuo
splendore dissipò la mia cecità; diffondesti la tua fragranza, e respirai e
anelo verso di te, gustai e ho fame e sete; mi toccasti, e arsi di desiderio
della tua pace.” (Confessioni, X).
La ragione ci porta al di sopra di noi, con le nostre
infinite domande, fino al Creatore dell’universo.
Gesù Cristo porta Dio dentro di noi, dissipa ogni dubbio,
ogni incertezza e sazia la nostra fame e sete di verità e di amore.
“Signore, ci hai creati per te, e il nostro cuore è inquieto
finché non riposa in te!” (Confessioni, I). È ancora S. Agostino che ci aiuta in questo passo decisivo della nostra esistenza.
Per questo oggi eleviamo la nostro lode a Dio per averci
chiamato a far parte del suo regno: “regno di giustizia, di amore e di pace”.
La risposta a questa chiamata è lasciata al nostro libero
arbitrio. Nostra è la scelta a chi servire, se a Dio Creatore e Signore dell’Universo,
o ad altri dei, “opera delle mani dell’uomo”.
Per questa festa “cosmica”, occorre una musica solenne,
grandiosa.
Quandi si parla di grandeur,
non si può che pensare alla Francia e al Re Sole in particolare.
Operavano allora
a Parigi celebri musicisti, come il fiorentino Gianbattista Lulli (francesizzato in
Lully) e Marc-Antoine Charpentier
(1643-1704) che ha scritto il più bello e solenne Te Deum della storia della musica.
È una una musica grandiosa e brillante, ma anche
profondamente espressiva.
Al gran pubblico è noto il Preludio orchestrale, perché è diventato la sigla dell’Eurovisione.
Mi basta ricordare che nel 1584 a Roma i più grandi musicisti del tempo, e cioè Palestrina, Marenzio, Felice Anerio, Giovanni Maria Nanino, Arcangelo Crivelli, Francesco Soriano, Annibale Zoilo, per citarne alcuni, diedero vita alla “Congregazione de’ Musici” sotto il patrocinio di S. Cecilia e con l’approvazione di Papa Gregorio XIII. Da quell’associazione rinascimentale è derivata l’attuale Accademia Nazionale di Santa Cecilia, una delle massime istituzioni musicali mondiali.
Oltre alla celebre istituzione romana, un’ infinità di altre associazioni filarmoniche portano oggi il glorioso nome di S. Cecilia.
S. Agostino afferma che la musica esprime l’inesprimibile: quando la mente e il cuore non riescono a definire la grandezza di ciò che uno sente, solo il canto può supplire a questa carenza espressiva.
In effetti, la musica è qualcosa di sublime; inebria l'anima e conduce verso l’infinito.
Nella festa di S. Cecilia bisogna postare qualcosa che sia degno della Patrona, e dunque una musica perfetta.
Non c’è che l’imbarazzo della scelta. E non solo tra i grandi classici, ma anche - perché no?- tra le canzoni del nostro tempo, una di quelle che ci hanno fatto sognare ad occhi aperti.
Voglio onorare la Santa con la “Marcia Turca” di W. A. Mozart (1756-1791), e ne spiego il motivo.
Ero un ragazzino quando ascoltai per la prima volta questo brano, eseguito dal mio insegnante di musica, il grande Fosco Corti (1935-1986).
Rimasi sbalordito. Non credevo che potesse esistere una musica così meravigliosa. Mi sembrò il massimo della bellezza e della perfezione.
Dissi dentro di me: “Quando sarò capace di suonare la Marcia Turca, allora anch'io sarò un musicista!"
Poco dopo, ascoltando “Per Elisa” di Beethoven, mi accorsi che dovevo imparare anche quel “foglio d’album” per sentirmi soddisfatto.
Sono riuscito ad imparare, con fatica, ambedue i brani, con grande soddisfazione.
Ma il desiderio di ascoltare e imparare altri capolavori musicali non diminuì.
Anzi, si accrebbe...
La "Marcia alla Turca" è il terzo movimento ("Allegretto") della Sonata per pianoforte n. 11 in La maggiore, K 331. Si tratta di un Rondò, in La minore/La maggiore.
Esegue alla perfezione la grande pianista giapponese Mitsuko Uchida.
L’Arma dei Carabinieri ha come patrona la Virgo Fidelis,
cioè Maria Santissima, Vergine fedele.
Fedele a Dio e all’umanità, sempre disposta al bene, fino ad
accettare il sacrificio del Figlio per la salvezza dell’umanità.
Può sembrare strano che un’Arma abbia come patrona la più
mite delle creature, la più dolce, la più pacifica, e per di più una donna.
Su questo ultimo aspetto non c’è più alcuna sorpresa; oggi
anche le donne possono indossare la divisa da carabiniere...
Che cos’è allora che unisce l’Arma con la disarmata grazia
della Madre di Dio?
La fedeltà alla propria missione, senza se e senza ma.
La Vergine Maria ha detto sì al Signore e lo ha mantenuto
per tutta la vita, fin sotto la croce del Figlio. Virgo Fidelis, Vergine
fedele.
L’Arma dei Carabinieri ha per motto “Nei secoli fedele”, al
servizio dello Stato e della legalità. Anche questo è un grande sì, che implica
abnegazione e sacrificio, ed è ciò che il popolo ha sempre particolarmente
apprezzato nella figura del carabiniere.
Due fedeltà che stanno bene insieme. La fedeltà a Dio e la
fedeltà allo Stato. “Date a Cesare quel che è di Cesare e a Dio quel che è di
Dio” (Mc 12, 13-17).
Ma c’è un altro motivo, a mio parere, che rende significativo questo
legame.
La fedeltà di Maria implica il coraggio di una scelta di
campo, la lotta incessante contro il male morale, fino al trionfo del bene e
alla conquista della Patria eterna.
La fedeltà di un Carabiniere implica una strenua lotta contro
l’illegalità, contro il crimine; in una parola, contro il male, per il bene
comune della patria terrena.
Per onorare la Virgo Fidelis ascoltiamo due stupendi, se pur brevi, versetti
del “Magnificat” musicato da Antonio Vivaldi (1678-1741).
Sono le parole di Maria stessa: “Fecit potentiam in brachio suo, dispersit superbos mente cordis sui. Deposuit
potentes de sede et exaltavit humiles”.
“[Il Signore] ha spiegato la potenza del suo braccio, ha
disperso i superbi nei pensieri del loro cuore. Ha rovesciato i potenti dai
troni, ha innalzato gli umili” (Lc 1, 51-52).
Vivaldi riesce ad esprimere musicalmente, con la forza e la
potenza di un’armata militare, il “rivoluzionario”
progetto di giustizia, che Dio vuole per l’umanità.
Domani ricorre la festa della patrona dell’Arma dei Carabinieri.
Si può onorare la benemerita Arma ricordando i gesti valorosi
ed eroici di singoli militari, come Salvo D’Acquisto e Carlo Alberto Dalla
Chiesa, o famose azioni di guerra, come la Carica di Pastrengo (1848)ela
battaglia di Gondar (21 novembre 1941).
Ma si può ricorrere anche all’umorismo di un regista come Sergio
Corbucci e all’ inimitabile recitazione di Totò in veste di maresciallo dell’Arma.
Nel film “I due marescialli” (1961) Totò è un ladruncolo (Antonio Capurro) che per sfuggire alla
cattura indossa abusivamente la divisa di maresciallo dei carabinieri. Ma, a
differenza del famoso adagio, l’abito alla fine fa il monaco, e di fronte alla
ferocia del tenente Kessler e dei nazisti, è pronto a sacrificarsi da vero carabiniere
per salvare degli innocenti.
Molte sono le scene cult del film, ma la più esilarante è
quella della “pernacchia”. Kessler nel bel mezzo di un discorso alla piazza si
becca una solenne pernacchia. Il malandrino peto vocale è opera del maresciallo
Capurro. Nel tentativo di scoprire il colpevole, Kessler è indotto dallo stesso
Capurro a riceverne in faccia altre tre, “autorizzate” da lui medesimo, e una quarta ancora da parte del maresciallo.
Grottesca fino al sublime (se così si può dire, parlando
di una cosa tanto infima) la dissertazione di Totò sulla pernacchia: “Bisognerebbe
stabilire i connotati di questa pernacchia. Ci sono pernacchie acute, roboante
(sic!), lunghe, corte, medie...”
I “connotati” della pernacchia.... Grande Totò!
Subito dopo Charlie Chaplin egli è, a mio avviso, il più
grande attore comico della storia del cinema.
Non ha ricevuto Oscar per le sue interpretazioni né per la
carriera.
Ma, con buona pace di Hollywood e di tutto lo “star system”,
geniali si nasce e Totò lo
nacque, modestamente.
Domani onoreremo, con altro post, la patrona dell'Arma, la "Virgo Fidelis".
Nel ricevere la Laurea Honoris Causa dall’Università IULM di
Milano il 12 novembre scorso il M° Riccardo Muti ha ricordato che il nostro patrimonio
musicale è stato uno dei principali vantidell’Italia nel mondo. Fino alla fine dell’Ottocento, e oltre, la musica
(quella operistica in particolare) parlava soprattutto italiano.
Occorre perciò riscoprire e far apprezzare il valore di
questo inestimabile tesoro d’arte, esempio di genialità e di bellezza senza
pari.
Per questo ho scelto, come esempio, non un’opera nota, ma una
composizione “secondaria”, anzi, addirittura un semplice Intermezzo: “La Serva Padrona”,
di Giovanni Battista Pergolesi (1710-1736).
Solo due voci, un basso (Uberto) e un soprano (Serpina), e un
piccolo organico orchestrale. I risultati giudicateli voi.
Questo“Intermezzo buffo”,
in due parti, venne presentato nel 1733 a Napoli. Ma non passò inosservato.
Poco dopo era in tutti i teatri d’Europa (cioè del mondo): Venezia,
Parigi, Vienna, Praga, Bruxelles, Amburgo, Amsterdam, L’Aja, San Pietroburgo...
La freschezza e la graziosa malizia di quest’opera, in cui la giovane e bella
serva conquista con il fascino e l’astuzia il suo attempato e ricco padrone convincendolo a
sposarla e diventando così essa stessa “padrona”, sembra una storia dei nostri
giorni.
Il duetto che presentiamo è in certo senso il clou dell’opera:
Serpina mette in atto tutte le sue arti muliebri (e una voce incantevole) e smantella
le difese sempre più deboli del debole Uberto.
La serva sta per diventare padrona; non con la dialettica
hegeliana, ma con quella (quasi sempre vincente) femminile.
Il libretto è di Gennarantonio Federico.
Deliziosa la performance del soprano bulgaro Sonya Yoncheva edel basso (baritono) Furio Zanasi, ambedue eccellenti anche per presenza scenica.
L'orchestra dei "Barocchisti" è diretta alla perfezione da Diego Fasolis.
SERPINA
Lo conosco a quegli occhietti
furbi, ladri, malignetti,
che, sebben voi dite no,
pur m'accennano di sì.
UBERTO
Signorina, v'ingannate.
Troppo in alto voi volate,
gli occhi ed io dicon no,
ed è un sogno questo sì.
SERPINA
Ma perché? Non son io bella,
grazïosa e spiritosa?
Su, mirate, leggiadria,
ve' che brio, che maestà.