mercoledì 26 novembre 2014

Violenza contro le donne? Il parere di Beethoven




Un parere musicale, ovviamente; anzi, una dedica. La dedica più bella che sia stata mai fatta ad una donna, Elisa.

Nel giorno in cui abbiamo alzato la nostra voce indignata contro ogni forma di violenza nei confronti delle donne, mi piace concludere con le dolcissime note di questo “foglio d’album”, poco più di tre minuti di musica sublime.

Dopo averla ascoltata centinaia di volte, perfino nella pubblicità dei detersivi e dei pannolini, forse non vibriamo più di commozione. Ma se siamo nel cuore della notte, e la esegue in modo (quasi) perfetto una bambina di 10 anni, allora ritorniamo alle nostre prime audizioni, quando il cuore fremeva ad ogni nota.

Ricordo perfettamente la prima volta che l’ho udita. Ero nella biblioteca della scuola, dove c’era anche il  pianoforte; facevo le scuole medie, e cercavo un libro di Salgari (e chi, se no?). Uno studente più grande di me era seduto al pianoforte e iniziò a suonare questa musica meravigliosa. Mi avvicinai e vidi il titolo: “Per Elisa” e l’autore: Beethoven.

Rimasi incantato. Fino ad allora pensavo che il brano più bello di tutta la musica fosse la “Marcia Turca” di Mozart, che avevo udito eseguire da Fosco Corti qualche tempo prima.

Ma dopo aver ascoltato “Per Elisa” sono rimasto prigioniero di questo dilemma: è più bella la Marcia Turca o Per Elisa?

Ancor oggi non saprei cosa rispondere. Ma so cosa fare.

Quando mi sento più sereno e tranquillo, strimpello la Marcia Turca.

Quando invece si fanno sentire più forti le emozioni, allora ritorno mentalmente in quella biblioteca, a quel durissimo pianoforte verticale, ed eseguo con tutti i sentimenti “Für Elise” di Ludwig Van Beethoven.

E quella mi sembra la musica più bella del mondo.

Come stanotte. 


venerdì 21 novembre 2014

Per un novembre disastroso, una musica “impossibile”




Sembra essersi placata la furia degli elementi che in questo mese di novembre ha devastato varie parti d’Italia, specialmente il Centro-Nord.

Oggi abbiamo rivisto un bel sole splendente, dopo settimane di cielo plumbeo.

E dove non sono arrivate le alluvioni, sono arrivate altre piaghe bibliche, come la mosca olearia che ha rovinato la raccolta delle olive.  Parlare di “raccolta” a dir la verità è perfino improprio, dal momento che molti coltivatori non hanno provveduto neppure a raccogliere il prodotto, completamente marcito.

Una stagione da dimenticare. Temo che imperverseranno olii extravergini di olive “moscate”...

Per ora, oltre che continuare a ungere con l’ottimo olio vecchio dello scorso anno, e con qualche po’ di quello nuovo (senza mosca!) per la bruschetta, regalato da amici davvero speciali, mi consolo con una musica altrettanto speciale, quanto “impossibile”: la Toccata in Re minore per pianoforte, op. 11, di Sergej Prokofiev (1891-1953), del 1912.

Un brano scritto in età giovanile, ma che contiene le tipiche caratteristiche dell’arte del grande compositore russo (oggi dovrei dire ucraino, dal momento che nacque nella zona di Donetzk): virtuosismo, forza vitale, geniali soluzioni armoniche, senza mai giungere però allo sperimentalismo atonale.

A differenza di Rachmaninov, che preferì l’esilio negli Stati Uniti, Prokofiev restò legato all’Unione Sovietica e in certo senso ne fu il cantore, anche se tenuto d’occhio dal regime e talora censurato. Fu censurata anche la sua morte, avvenuta in contemporanea a quella di Stalin, il 5 marzo 1953. Per non togliere spazio alcuno alle celebrazioni funebri di “Baffone”, la notizia della morte del grande musicista fu data una settimana dopo...

La Toccata  in Re minore, op. 11, è uno dei brani pianistici più celebri per la difficoltà di esecuzione. Il virtuosismo raggiunge il parossismo; ma alla fine ci accorgiamo che non si tratta solo di esasperata tecnica, ma di quel vitalismo innovatore che già Stravinskij aveva introdotto, rompendo gli schemi del tardoromanticismo.

La difficoltà di questa Toccata è leggendaria. È stato detto che lo stesso Prokofiev, benché ottimo pianista, avesse qualche problema ad eseguirla, perché gli rimaneva troppo difficile...

In effetti, guardate un po'...

Il pianista è il cinese Xiao-Tang Tan (1979), che ha già al suo attivo grandi performances.



lunedì 17 novembre 2014

Auguri, Terry! (in ritardo...)



















È già passata ormai una settimana
da quando, Terry, hai fatto il compleanno!
Mi scuso della mia memoria vana
e voglio riparare, in versi, al danno.

Non ho potuto festeggiarti, ahimè,
assieme ad i tuoi cari e ai tuoi amici;
non ho brindato, né preso un caffè
per augurarti tanti anni felici.

Ora che la memoria è funzionante
torno al 10 novembre già passato;
prendo un bicchiere, stappo lo spumante
e ti dico: “Cin Cin!”  Tuo, Amicusplato.




giovedì 13 novembre 2014

Un mondo nuovo. Beethoven




Siamo soliti indicare come inizio del Romanticismo la pubblicazione a Berlino della rivista “Athenaeum” nel 1798 da parte dei fratelli Schlegel.

Ovviamente non si può indicare una data esatta per un movimento così vasto e complesso come quello romantico; ma i testi scolastici amano le semplificazioni; e il 1798, con la rivista Athenaeum, è ormai diventato una data canonica.

Non voglio criticare più di tanto questa semplificazione, anche perché dei punti di riferimento cronologici sono sempre necessari.

Mi permetto però di aggiungere che in quella medesima data, 1798, Ludwig Van Beethoven compose la Sonata per pianoforte n. 8, cioè la “Patetica”, che è senza dubbio il manifesto del Romanticismo musicale.

Quel potente accordo iniziale di Do minore è come un grande sipario che si apre su di un mondo nuovo, dove vengono ormai esplorati tutti i meandri dell’animo umano, da quelli più oscuri a quelli più luminosi.





Una composizione che lasciò stupiti e ammirati i contemporanei e segnò una svolta decisiva non solo nel cammino artistico del ventisettenne Ludovico Van, ma di tutta la musica successiva. Pochi anni dopo verrà la Sonata n. 14, “Al chiaro di luna”, e di poi la n. 23, “Appassionata”: ormai il cammino del Romanticismo era ampiamente aperto.

Nell’epoca attuale, dove domina una musica sempre più ricca di orpelli e sempre più povera di idee, l’ascolto della Patetica ci richiama ad un mondo in cui i sentimenti erano profondi, e l’arte sublime.

Mi limito a postare il 1 Movimento:“Grave-Allegro di molto e con brio”.

Daniel Barenboim esegue alla grande.




venerdì 7 novembre 2014

Un po' di sentimento non guasta




Ci sono alcune canzoni napoletane che sono veri e propri capolavori d’arte. Non per niente sono conosciute in tutto il mondo e sono state cantate dalle più celebri voci della lirica, da Caruso a Mario Del Monaco, da Tito Schipa a Beniamino Gigli, da Franco Corelli a Giuseppe Di Stefano, da Carlo Bergonzi a Luciano Pavarotti, per limitarci ad alcuni massimi tenori italiani.

Non starò qui a dissertare sul perché il territorio di Napoli sia stato così fertile di capolavori canori. Voglio solo far presente che già al tempo di Scarlatti e Pergolesi nella capitale borbonica erano in piena attività ben quattro conservatori musicali, senza parlare dei numerosi teatri, oltre al San Carlo, il più antico teatro d’opera del mondo.  

Una civiltà musicale che affonda le sue radici nei secoli passati e che ha trovato nell’anema e core del popolo partenopeo la sua caratteristica principale.

In effetti, non possiamo ascoltare ad esempio Marechiare, O sole mio, Torna a Surriento, Dicitencello vujeAnema e core, Reginella (“T’aggio voluto bene”), senza emozionarci. Così come, più vicino a noi, le geniali canzoni di Renato Carosone.

Voglio perciò ascoltare uno dei brani più affascinanti del repertorio napoletano: "Tu ca nun chiagne" (Tu che non piangi). È stato composto dall’autore di Torna a Surriento, Dicitencello vuje, Non ti scordar di me, e cioè Ernesto De Curtis (1875-1937), un vero maestro compositore. Era pronipote di Saverio Mercadante, e si era diplomato in pianoforte nel celebre Conservatorio napoletano di S. Pietro a Majella, quello stesso dove avevano insegnato Paisiello e Donizetti, e dove avevano studiato Bellini, Mercadante, Giordano, Leoncavallo, Cilea, Denza (“Funiculì funiculà”), Tosti (“Marechiare”) ed altri nomi eccellenti fino a Carosone, Salvatore Accardo e Riccardo Muti.

La canzone è stata composta nel 1915, nel periodo in cui l’Italia entrò in guerra, nella Grande Guerra. Le parole, del valente poeta Libero Bovio, parlano invece di un'altra “montagna” (il Vesuvio), di luna bianca, di amore. Un amore non corrisposto, che lascia indifferente l’amata, e fa piangere l’innamorato. 
Una guerra di amore, che non fa vittime, ma che strazia ugualmente il cuore.

Ho preferito postare l’esecuzione di Mario Merola, anziché quella di un grande tenore. E ho preferito ascoltarla in una specie di “sceneggiata napoletana” (in realtà è una scena del film “Giuramento”, del 1982), e in una versione in bianco e nero molto imperfetta (ce ne sono di migliori nel web), ma a mio parere molto efficace. 
E poi c’è sovrimpressa la lirica, in lingua italiana, inglese e napoletana. What else?

Dico la verità. Non posso ascoltare questa canzone senza commuovermi un po’. 
L’inizio è davvero “leopardiano”, con la luna, la montagna e la notte. E un amore infelice.

Buon ascolto  notturno...


sabato 1 novembre 2014

Festeggio i Santi (e le Sante)






















Io festeggio Tutti i Santi,
li festeggio tutti quanti,
i famosi e quelli ignoti,
a Dio noti.

Hanno vesti risplendenti,
con colori rilucenti,
luminosi anche nel viso,
Paradiso.

Son di tutte le nazioni,
bianchi, ner, gialli, marroni;
tutti popoli fratelli,
tutti belli.

Sono uomini, son donne,
in calzoni o con le gonne,
con il trucco, acqua-e-sapone,
silicone.

Quel che conta in questa schiera
non è il look o la bandiera;
quel che guarda lo Stilista
non è in vista.

Guarda l’abito interiore,
se ci vuol lo smacchiatore,
o se è bello e candeggiato
dal peccato.

Se l’interno è ben curato
hai il Suo abito griffato,
quel che indossano festanti
tutti i Santi.




Amicusplato