giovedì 31 dicembre 2009

Ancora un anno è bruciato...

















Niente calendari. Propongo invece un fine d'anno letterario.

Quando nel 1959 venne assegnato il Premio Nobel per la Letteratura a Salvatore Quasimodo (1901-1968), gli fu chiesto di leggere una sua poesia.

Egli lesse “Già la pioggia è con noi”.

Non so quanti la conoscano. Del grande poeta siciliano sono note, anzi, sono ormai patrimonio comune letterario, molte altre composizioni.

Poteva leggere “Alle fronde dei salici”, “Uomo del mio tempo”, “Ora che sale il giorno”…
Oppure, perché no, “Ed è subito sera”. Veniva premiato il poeta dell’ermetismo. E i tre versi di questa brevissima composizione sono tra i più famosi della nostra letteratura.

Invece scelse “Già la pioggia è con noi”.

Non voglio andare in soccorso del vincitore, ma devo riconoscere che Quasimodo scelse una lirica stupenda.

Soprattutto mi ha sempre colpito la strofa finale, che si adatta bene alla fine dell’anno. “Ancora un anno è bruciato...”, senza nessuna giornata da ricordare, né in male né in bene.


Già la pioggia è con noi


Già la pioggia è con noi,
scuote l'aria silenziosa.
Le rondini sfiorano le acque spente
presso i laghetti lombardi,
volano come gabbiani sui piccoli pesci;
il fieno odora oltre i recinti degli orti.

Ancora un anno è bruciato,
senza un lamento, senza un grido
levato a vincere d'improvviso un giorno.

(Salvatore Quasimodo)


Un anno senza colore, senza sapore e senza valore. E quel verbo, “bruciato”, esprime proprio il nulla che l’anno lascia dietro di sé.

Non condivido questa visione della vita, ma mi fa riflettere; e quei versi sono troppo belli per non essere imparati a memoria.

Almeno i primi due e gli ultimi tre.

Buona fine e miglior principio, a tutti! ... Ancora un anno è bruciato...

lunedì 28 dicembre 2009

E intanto il tempo se ne va...




Anche l'anno 2009 sta per essere archiviato nella memoria dell’ hard disk della nostra vita.

Non voglio fare considerazioni socio-politiche su ciò che è accaduto durante l'annata.

A questo ci penseranno i giornali, e sicuramente altri blogger.

A me interessa il fatto in se stesso. Il tempo se ne va...

Diceva Martin Heidegger, con grande realismo esistenzialista: Sein und Zeit, l’essere dell’uomo è tempo, cioè un andare verso la fine.

Ma anche gli antichi non scherzavano: Fugit irreparabile tempus (Virgilio).

E i medievali non erano da meno: La vita fugge e non s’arresta un’ora (Petrarca).

Lo possiamo cantare anche in musica, con Adriano Celentano, ritornato ora improvvisamente e giustamente di moda: Il tempo se ne va (1980).

Di tempo ne è passato, dallo scatenato rockettaro de “Il tuo bacio è come un rock” del 1959; esattamente, mezzo secolo fa…

Lasciamoci andare a un po’ di amarcord...


venerdì 25 dicembre 2009

Per Natale un grande concerto, anzi, un Concerto Grosso




Tra i 12 Concerti Grossi di Arcangelo Corellli, pubblicati postumi nel 1714, spicca il Concerto n. 8, in Sol Minore, “fatto per la Notte di Natale”.

Corelli perfezionò e portò a compimento il genere musicale che lui stesso chiamò “Concerto Grosso”, iniziato da Alessandro Stradella, e che si caratterizza dal contrasto tra il "concertino", in genere costituito da tre strumenti solisti (due violini e un violoncello), e il “grosso” dell’orchestra.

Un dialogo musicale che rende più vivace la composizione. Anche le varie parti all’interno del concerto sono un susseguirsi di moti contrastanti.

Il Concerto n. VIII è il più celebre (insieme al XII) ed ha una caratterizzazione natalizia.
Il concerto si conclude infatti con una bellissima Pastorale, cioè con un tipo di musica che intende riprodurre il modo di suonare dei pastori; qui si tratta dei pastori che vanno al Presepe.

La Pastorale viene preceduta da un Allegro in 4/4, brillante e vivace.

Con l'inizio della Pastorale l’andamento diventa “largo”, nel suo tipico avanzare in ottavi (in questo caso 12/8), mentre la tonalità, dal Sol minore, passa al Sol Maggiore.

Avviciniamoci al presepe di Gesù con questa suggestiva musica del grande musicista di Fusignano, e con l’animo dei pastori di Betlemme.

Buon Natale!

giovedì 24 dicembre 2009

Auguri di Natale! (ad personam e in versi)














Siamo a Natale, e come è tradizione
dobbiamo anche pensare a un regalino.
Il mio non ha una bella confezione,
gli manca il fiocco, non costò un quattrino.

Solo un poco di tempo; rime sparse,
per tanti amici e amiche che ho incontrato
nel mondo internettiano; rime scarse,
ma almeno sono mie, non ho copiato.

Il mio primo pensiero va a quei volti
che, ogni volta apro il blog, vedo davanti;
amici che mi seguon, non son molti,
ma, debbo dir, aumentano costanti.

Iniziò Gianni, il gran PC da Zero,
AD, Yròm, Michael, Bianca rubacuori;
fu lei che m’insegnò, dico davvero,
ad attivare il gadget dei lettori.

C’è Blogantropo, come un re leone,
ed Artemisia fascinosa, e Rita
che in un cigno rivela la sua icone,
e CinemaeViaggi (sarà in gita?)

Vedo con gran piacer Geromarsala,
con il karma che supera le stelle.
La mia penna una strofa gli regala;
è un grande amico, amico per la pelle.

Giacabi è un cercator di veritate,
attratto dalla Roccia Risplendente;
Cose serie e facete voi trovate
se il blog di Alberto aprite; aprite, gente.

Aurelium vidi in meo situ pusillo,
Benedectinum patrem latinistam;
libenter etiam ego eloquio illo
verba dico ad faciendam stropham istam.

Poi vedo Aliza col suo Snoopy accanto
e un bellissimo blog da visitare;
e se volete rimaner d’incanto
i blog di Stella andate a ricercare.

Hayalel, creatura virtuale,
è assetata di vero e di bellezza;
Kukulkan è in duello con il male
e lo sconfigge con cristian fortezza.

Cara Saamaya, tu che posti al vento
i tuoi pensieri liberi e sapienti,
spesso ne arriva alcuno anche qui drento,
e mi regala i tuoi dolci commenti.

Il tuo volto, Calliope siciliana,
è simile ai tuoi blog pieni di luce…
Ed un buon vento in questa settimana
Stefania e Flyguyit fin qui conduce.

Simple-Sound è penultima arrivata,
toscana come me; laudata sia!
E la faccia simpatica e sbarbata
di Waddle chiude questa quadreria.

C’è poi qualche persona un po’speciale
che non posso di certo tralasciare.
Audrey, mi hai già augurato Buon Natale,
ed ora voglio in rima ricambiare!

Ed anche a te, Rossaura, che in laguna
tra neve ed acqua alta ti fai un varco;
Buon Natale! e non far la faccia bruna
se dico: questa notte vai in San Marco…

Auguri a Scheggia ed al suo blog neonato,
auguri a Max, commentatore attento,
auguri a Boromìr, sempre aggiornato,
auguri ad Antikom, re del commento.

Abdita è sempre assidua a quel che posto,
e non risparmia elogi, con finezza;
Nell ha un temperamento un po’ più tosto,
ma lotta per amore e per Bellezza.

E dopo Nell, chissà per qual ragione
mi viene in mente Mstatus e il suo sito.
Un augurio furlan, Napoleone!
come a Vipom e a Spes, ti sia gradito.

Auguri anche a Fiammifero, vivace,
ed a Nonsolopane, più posata;
a Eldo, battagliero pertinace,
a Ricio che mi vota di nottata.

E vedo che è arrivata pure Egeria,
che da tempo si era allontanata.
Senza di lei il sito era in miseria;
e le dico senz'altro: ben tornata!

In ultimo, non ultimo, ho lasciato
un pensiero per te, Violaine, da sola.
Il tuo ricordo in cuore ho conservato,
e profuma di rosa e di viola.

E auguri a tutti i miei visitatori;
grazie a chi vota OK, ZIC, UP o approva;
grazie anche ai NO, agli ZAC affossatori;
si cerca di far ben, almen si prova.

Auguri a chi amministra i vari siti;
a Giulio, Mic, Antirez, Trent, a tutti.
Agli algoritmi, bravi o imbizzarriti,
ma dan soddisfazione, e buoni frutti.

Buon Natale per tutta blgosfera,
agli internauti e ai mondi virtuali!
Amicusplato lascia la tastiera
ed esce per comprare dei regali…

martedì 22 dicembre 2009

L'inverno secondo Vivaldi



Le Quattro Stagioni di Antonio Vivaldi (1725) sono quattro stupendi concerti descrittivi.

Il grande musicista veneziano prende spunto, per ognuno di essi, da quattro sonetti che illustrano le caratteristiche di ogni stagione.

Ecco la strofa di sonetto dell'Allegro non molto iniziale dell'Inverno:

Agghiacciato tremar tra nevi algenti

Al severo spirar d' orrido vento,
Correr battendo i piedi ogni momento;
E pel soverchio gel batter i denti.

Il gelo che fa tremare e battere i denti è rappresentato perfettamente dal suono gracchiante e battente degli archi (violini, viole e violoncelli).

Ogni tanto sibila qualche spiffero di vento, rappresentato dal violino solista (Nigel Kennedy, spettacolare!); poi si scatena in due ondate tutta la rosa dei venti, dallo scirocco alla tramontana, con gli archi che eseguono folate inarrestabili di note.

Sembra la descrizione dell'inizio di questo inverno...




Celentano nella leggenda




Il merito è tutto del blog statunitense Boing Boing, che ha individuato tra le innumerevoli canzoni di Celentano un brano del 1972, per la verità non tra i più noti: "Prisencolinensinainciusol".

Fu un brano di rottura, una canzone-non sense, di un solo accordo in Mi bemolle e i fiati che ripetono un ritornello di dieci note. Un vero e proprio rap ante litteram.

Ma forse arrivò troppo presto; poi è stato pressoché dimenticato.

Ci ha pensato ieri il blog americano a riscoprirlo, ed è stato un successo strepitoso.

Commenti entusiastici da ogni parte: si parla del primo rap della storia della musica, di un brano geniale, che anticipa tutti i generi progressivi, e che supera quelli delle rockstars più celebrate, compreso Elvis Presley...

Adriano Celentano sta meritatamente entrando nella leggenda.

Forse quando meno se lo aspettava...

lunedì 21 dicembre 2009

Canto d'Avvento (Kodály)




Chi ama la polifonia non può non amare Zoltán Kodály (1882-1967), colui che in epoca contemporanea ha restituito pieno valore allo strumento musicale per eccellenza: la voce umana.

Kodály ha scritto polifonie stupende, e chi canta in un coro di qualche valore lo sa certamente.
È stato anche un grande pedagogista della musica, e il suo metodo per insegnarla ai bambini o a coloro che non conoscono le note è ben noto ai maestri di coro.

Ma a mio parere Kodály ha fatto molto di più di tutto questo; egli ha compiuto un’opera titanica: ha cercato di riaggregare una nazione intera, l’Ungheria, mediante il canto corale.

Può sembrare una esagerazione, o una curiosa trovata. È invece la realtà. Negli anni in cui l’Ungheria ha avuto Kodály come responsabile dell’educazione artistica, dal 1945 fino alla sua morte, egli si è prodigato per diffondere il gusto della musica vocale, il gusto di cantare insieme, raggiungendo risultati straordinari.

Tra gli anni 50-90 del secolo scorso non c’è stata altra nazione paragonabile nel canto corale alla nazione magiara; dalla scuola dell’infanzia all’università, dalle chiese alle fabbriche, dovunque ci fosse un aggregato di persone, lì è stato formato un gruppo corale. E sono stati raggiunti livelli di eccellenza da moltissimi cori, guidati da grandi direttori; citerò per tutti György Gulyás (1916-1993), il direttore del celebre Coro Polifonico di Debrecen.

Una nazione intera ha ritrovato le sue radici nell’antica musica gregoriana e nei canti popolari, opportunamente e genialmente rielaborati a cappella (cioè a più voci e senza accompagnamento di strumenti) dal grande musicista magiaro.

Di lui ho già postato altre volte musiche polifoniche. Chi vuole riascoltarle, cerchi nel blog alle etichette "Kodály" e "polifonia".

In questo tempo di Avvento, in vista del Natale, propongo ora Adventi Ènek, cioè “Canto d’Avvento” (1943), una suggestiva rielaborazione a quattro voci dispari (soprani, contralti, tenori, bassi) del canto gregoriano “Veni, veni, Emmanuel”. Emmanuel significa Dio-con-noi, e si riferisce al Figlio di Dio che si fa uomo.

Si noti la struttura geniale del brano. Il canto inizia con la semplice e bellissima melodia gregoriana, cantata all’unisono da tutto il coro. Alle parole del ritornello “Gaude, gaude”, le voci si dividono e inzia la rielaborazione polifonica.
La melodia gregoriana passa nella seconda strofa alla sezione dei bassi, mentre le altre voci tessono le loro armonie; quindi viene cantata dalla sezione dei soprani, poi dai contralti, infine dai tenori insieme ai soprani.

In pratica il canto gregoriano è sempre presente, come filo conduttore, e sopra o sotto di esso viene costruita la tessitura musicale.
È un vero e proprio ritorno alle origini della polifonia medievale, che consisteva in una melodia gregoriana accompagnata da altre voci, a formare il cosiddetto “organum”.

Naturalmente qui siamo davanti ad un “organum” in versione moderna, con le novità armoniche del XX secolo.

Il gruppo corale che esegue il canto è formato da giovani dilettanti volenterosi, e perciò con qualche giustificato limite.
Apprezzabile comunque la limpidezza e la dolcezza delle voci femminili, mai sguaiate, neanche nelle note acute.

Traduco la prima strofa, che riassume un po' tutto il canto:

Vieni, vieni, Emmanuel,
libera Israele prigioniero,
che geme in esilio
privato del Figlio di Dio.
Gioisci, gioisci! L’Emmanuel
nascerà per te, Israele.





Veni, veni Emmanuel,
Captivum solve Israel,
Qui gemit in exilio
Privatus Dei Filio.
Gaude, gaude! Emmanuel
nascetur pro te, Israel.

Veni, o Jesse Virgula;
Ex hostis tuos ungula,
De specu tuos tartari
Educ et antro barathri.
Gaude, gaude! Emmanuel
nascetur pro te, Israel.

Veni, veni, o Oriens
Solare nos adveniens;
Noctis depelle nebulas
Dirasque noctis tenebras.
Gaude, gaude! Emmanuel
nascetur pro te, Israel.

Veni clavis Davidica;
Regna reclude caelica;
Fac iter tutum superum,
Et claude vias inferum.
Gaude, gaude! Emmanuel
nascetur pro te, Israel.

Veni, veni Adonai,
Qui populo in Sinai
Legem dedisti vertice,
In majestate gloriae.
Gaude, gaude! Emmanuel
nascetur pro te, Israel.

Amen!

sabato 19 dicembre 2009

La filosofia del ghiaccio












Dopo la neve che in silenzio fiocca
e rende il mondo magico e irreale,
ecco il gelo che punge dove tocca
e stringe in una morsa che fa male.

Se vai a piedi, attento a non cascare!
se batti il capo, allora son dolori;
o ci hai una testa ch’ è come il calcare,
o ti ritrovi tra i celesti cori.

Se prendi l’auto e in curva c’è il ghiacciato,
non tirar il pedale mai dei freni.
Se invece per disgrazia l’hai tirato,
ti spuntano due ali sulle reni.

La neve è bella, soffice, attraente;
il gelo è duro, grigio, micidiale.
Una cosa, da bella ed avvincente,
può trasformarsi in essere fatale.


venerdì 18 dicembre 2009

Nevica !









Mentre sto scrivendo, nevica nella mia città in pianura. E alla grande!

Uno spettacolo incantevole.

Sono rimasto a guardare dalla finestra (chiusa) un uomo che ha scritto sul manto bianco in terra: AUGURI!!! con tre punti esclamativi (sarà un blogger???).

Ora la scritta è già scomparsa, coperta dalla copiosa nevicata, che non dà il minimo cenno di tregua. Neve a panetti, a larghe falde, senza vento; preparare gli stivali.

Peccato che a quest’ora mancano gli spettatori più entusiasti e interessati: i bambini.

Sarà la sorpresa del risveglio, domattina; con l’aggiunta di una imprevista e sempre gradita vacanza scolastica. Giustificata; anzi, benedetta: è neve natalizia!

A noi adulti, passato il breve pensiero di poesia, ultimo residuo del fanciullino che è in tutti, viene subito dopo questa associazione di idee: ho la macchina fuori-come faccio domani?-devo mettere le catene-non sono capace (oppure, non ho le catene)- difficoltà nella guida-traffico bloccato-che bella scocciatura!

Intanto torno a guardare la neve che fiocca, fiocca, fiocca... Ricordate la piccola fiammiferaia?

Ho alzato istintivamente il termostato del riscaldamento…

La lezione politica di Dante

















La lotta politica in Italia è nata con la nascita dell’Italia stessa, nel Medioevo.

Spesso si è trasformata in odio e violenza, non solo tra città e città, ma tra gli stessi concittadini, proprio quelli racchiusi dalle medesime mura e dal medesimo fossato di difesa, per dirla con le famose espressioni dantesche del VI canto del Purgatorio:

“Ed ora in te [Italia] non stanno sanza guerra
li vivi tuoi, e l’un l’altro si rode
di quei ch’un muro ed una fossa serra” (vv. 82-84).

Dante, che sulla sua pelle ha provato l’odio avverso e l’umiliazione dell’esilio, è stato uno dei più severi accusatori della degenerazione politica e uno dei più tenaci assertori della pace “grande e generale”, per la costruzione di una civitas degna di essere vissuta.

Il suo sogno è stato quello di un’Europa unita, con a capo l’imperatore e con il riferimento ai grandi valori cristiani, insegnati dalla Chiesa e dal Papa.

Il Dante “politico” nella Divina Commedia lo troviamo in particolare nei tre VI canti del poema: il VI canto dell’Inferno, il VI canto del Purgatorio, il VI canto del Paradiso.

Ognuno di essi è un ampliamento progressivo di orizzonte: Firenze, l’Italia, l’Europa cristiana.

Il VI canto dell’Inferno descrive la situazione politica di Firenze, dove le fazioni e la corruzione stanno distruggendo la città. Con sarcasmo Dante dice che ci sono rimaste solo due persone giuste, e per di più inascoltate:

“Giusti son due e non vi sono intesi;
superbia invidia ed avarizia sono
le tre faville ch’hanno i cuori accesi” (vv. 13-15).


Il VI canto del Purgatorio presenta la situazione del’Italia, con parole che non hanno bisogno di commento:

“Ahi serva Italia, di dolore ostello,
nave sanza nocchiero in gran tempesta,
non donna di provincie, ma bordello!” (vv. 16-18).

Il VI canto del Paradiso è il canto dell’Impero romano e dell’Europa cristiana impersonati da Giustiniano, il grande imperatore che ha saputo unire gli aspetti più vitali dell’antica Roma, di cui descrive la storia, e la rivoluzionaria novità dello spirito cristiano.

“Cesare fui e son Giustiniano,
che per voler del primo amor ch’io sento,
d’entro le leggi tolsi il troppo e il vano” (vv. 10-12).

Il "primo amore" è lo Spirito Santo.

Colui che in terra fu imperatore ("Cesare"), ed ora è l’anima beata di Giustiniano, ha compiuto l’opera più importante per fondare la pace universale: dotare l’umanità di un nuovo codice di diritto, che rispecchiasse i valori della giustizia, dopo aver tolto da quello precedente le cose sbagliate (“il troppo”) e i mille garbugli che lo inceppavano (“il vano”).

Solo sul diritto e sulla giustizia si può fondare la vera pace. Diritto e giustizia che mondo romano e cristiano hanno saputo offrire alla nascente Europa.

E c'è qualcuno che pensa che le radici cristiane dell'Europa siano un optional.

Dante non sarebbe d'accordo.


Foto in alto: Giustiniano e i suoi dignitari, Basilica di S. Vitale (548), Ravenna

giovedì 17 dicembre 2009

Il buono e il cattivo governo






















L’attentato a Berlusconi ha imposto a tutti una seria riflessione sul modo di fare politica.

Gli italiani sono un popolo litigioso fin dalle origini, con i liberi comuni medievali.
Guelfi e Ghibellini, Bianchi e Neri, Capuleti e Montecchi…

E quando non si combatteva sul campo di battaglia, lo si faceva nelle giostre cittadine.
Palio, Saracino, Quintana…

La fazione, la contrapposizione, la partigianeria è nel DNA dell’italiano, campanilista, quartierista e contradaiolo per nascita.

Ma da sempre si è capito che questo temperamento rissoso deve cedere il passo al valore supremo della “civitas” e del bene comune.

Le "Allegorie del Buon Governo e del Cattivo Governo" (1337-1340), di Ambrogio Lorenzetti, nel Palazzo Pubblico di Siena, ne sono un esempio mirabile.

Dove c’è ordine e pace, c’è lavoro, benessere e sviluppo. Dove c’è discordia e malversazione, c’è furore, crudeltà e guerra.

A fondamento del buon governo il Lorenzetti raffigura, personificandole, le grandi virtù umane e cristiane; mentre invece Satana è rappresentato come il principe di una città malgovernata.

Anche Giotto raffigura le divisioni che laceravano la città di Arezzo in quei demoni che S. Francesco riesce con un miracolo a cacciare dalla città.

Credenti o no, senza almeno il miracolo della buona volontà, il demonio della divisione e dell’odio non si allontanerà mai dalla nostra “polis”.


Foto in alto: "La Cacciata dei diavoli da Arezzo", Giotto (1295 ca), Basilica superiore di S. Francesco, Assisi.

mercoledì 16 dicembre 2009

Lo scemo del villaggio?




Sono dell’opinione che l’attentato a Silvio Berlusconi, il 13 dicembre scorso in Piazza Duomo a Milano, anche se opera di una mente psicolabile, sia un fatto di particolare gravità.

Oltre al gesto in sé stesso, quello di lanciare in faccia ad una persona un oggetto di pietra acuminato, atto ad offendere e ad uccidere, i motivi di preoccupazione sono molti.

Anzitutto perché l’azione criminosa è diretta ad un Capo di governo. Colpisce perciò anche la maggioranza degli italiani che, piaccia o meno, ha espresso nel voto la propria volontà. Un colpo in faccia alla democrazia.

Il gesto avviene dopo una lunga campagna di demonizzazione del premier. Inutile usare eufemismi: demonizzazione è la parola giusta.
La politica vive del confronto e talora dello scontro di idee. Questo è il sale della democrazia. Chi ha più argomenti li faccia valere.
Ma nei confronti di Berlusconi è evidente da tempo una lotta “ad personam”, un “accanimento terapeutico” di offese senza fine.
Questa “reductio ad unum”, questa spregiudicata riduzione della lotta politica contro una sola persona, l’ha trasformato in un simbolo negativo senza volto, in un bersaglio. Qualcuno alla fine ha preso la mira.

Non è lo scemo del villaggio, Massimo Tartaglia.
Anche se quasi tutti i politici hanno cercato di far passare quel gesto come l’azione di un folle, il web, che non usa certo i paludamenti del linguaggio politichese, ha esaltato il fatto e l’autore. “Santo subito”; “dieci, cento, mille Tartaglia”; senza parlare delle solite offerte di matrimonio…

Sono rimasto sconcertato anche dal fatto che l’arma impropria usata per colpire Berlusconi sia un oggetto religioso, la miniatura del Duomo di Milano.
Quando uno è pronto ad uccidere o a ferire gravemente non va tanto per il sottile. Ma usare un oggetto in certo senso sacro dà la misura della miseria umana a cui siamo giunti. Il Duomo di Milano ha tante guglie aguzze, e quindi l'ideale per far male...

Ma si può anche pensare che la guglia della Madonnina, usata a sproposito, abbia invece salvato Berlusconi da danni irreparabili.

Altri parleranno di caso, di fortuna, di destino.

E allora ascoltiamo la stupenda Ouverture de La Forza del Destino, di Giuseppe Verdi, diretta da Riccardo Muti.

martedì 15 dicembre 2009

Il duomo di Milano (e Berlusconi)











Bello, monumentale, maestoso,
così per tutti è il duomo di Milano.
Un luogo di preghiera silenzioso,
con liturgie nel gran rito ambrosiano.

Non avrei mai creduto di vedere
questo marmoreo e sacro “panettone”
volare via da terra e poi cadere
diritto in faccia a Silvio Berluscone.

Molti danni ha subito il Cavaliere,
ma non è morto, per bontà divina;
anzi, tra quelle guglie acute e fiere
può ringraziar la “bela Madunina”.


lunedì 14 dicembre 2009

L'elogio della follia (ma non è Erasmo)


Alcuni (molti) blogger pongono l’accento sul fatto che il gesto di violenza di ieri sera a Milano contro il Presidente del Consiglio Silvio Berlusconi è opera di uno psicolabile, in pratica di di un folle.

Ma quando poi si leggono i commenti degli stessi, si nota che questo gesto considerato folle in realtà viene interpretato, spiegato, e se pur con arzigogoli, in certo senso politicamente motivato.

Poiché sono abituato a ragionare secondo logica, se quello che è accaduto ieri sera è stato il gesto di un folle, le uniche giustificazioni sono da trovarsi nei deliri di un fantasia malata.

E allora, i commenti che cercano di spiegarlo razionalmente e politicamente, da quali menti provengono?



sabato 12 dicembre 2009

Chi critica compera
















Verità, bellezza, amore… Non sono parole troppo grosse per l’uomo?

No, sono le parole che meglio esprimono la nostra realtà più propria.


Verità: non potrei fare a meno di ricercarla e vorrei trovarla. Se smetto, significa che sono defunto.

Bellezza: mi piace la pittura di Caravaggio. A voi, no?

Amore: che senso ha vivere senza?


Se le cose stanno così, perché l’uomo moderno dice che la verità non esiste, che la bellezza è solo un corpo ben fatto, e che l’amore è una malattia di cuore?

Forse perché a queste tre parole l'uomo ci crede davvero, ma non vuole riconoscerlo.

Spesso, chi critica compera...



Nella foto: "Il riposo durante la fuga in Egitto", Caravaggio (1595), Galleria Doria Pamphilj, Roma

venerdì 11 dicembre 2009

Due anni...



Oggi sono due anni che navigo nel web.

Mi sembra ieri, oppure un'eternità. Non saprei dire.

Alcuni incontri sono così vivi, che mi sembra ieri...

Per altri aspetti mi sembra un tempo infinito; soprattuttto per la fatica di postare, quando sei stanco, o è tardi, o non hai voglia... Ma i 25 lettori esigono almeno una linea.

Nulla dies sine linea, diceva Plinio il Vecchio; nessun giorno senza una linea di scritto. E cerco di tenere fermo questo principio.

Una cosa è certa, due anni sono passati.

Faticosi o no, utili o meno, belli o brutti, immaginiamo di averli trascorsi a passo di danza.

Una danza barocca, a passo leggero e spedito, con la musica sublime di Claude Debussy, il Passepied.

Dalla celebre Suite Bergamasque (1905), nella quale troviamo anche Claire de lune, che fa bella mostra di sé nel mio blog.

Voulez-vous dancer? Mais oui!

giovedì 10 dicembre 2009

Ci vuole fantasia, quella di Mozart!



Fantasia non mancava certo al genio di Mozart.

Ma qui parliamo della Fantasia come tipo di composizione musicale, nella quale all’artista è lasciata libertà di espressione, senza rigidi canoni formali.

La Fantasia in Re minore, KV 397, è una delle più straordinarie composizioni mozartiane, che lascia stupefatti ed emozionati.

Siamo nel 1782, ma già si anticipa lo spirito del romanticismo, con atmosfere ricche di pathos e con spunti tematici appassionati. Sembra per alcuni aspetti di ascoltare Beethoven e addirittura Chopin.
Il finale ci riporta invece ad un Mozart più classico. Ma c’è anche chi sostiene con buone ragioni (Paul Hirsch) che la parte finale sia opera di A. E. Müller.

Un genere musicale come la Fantasia, e così intensa e creativa come questa, trova nell’estroso Friedrich Gulda (1930-2000) il pianista ideale.

Una musica da sogno … Mozart aveva appena 26 anni.

mercoledì 9 dicembre 2009

Chopin, il rivoluzionario



In genere siamo abituati a considerare Fryderyk Chopin (1810-1849) il musicista romantico per eccellenza.

I suoi Notturni riescono immediatamete a penetrare nel nostro intimo, suscitando sentimenti ed emozioni struggenti.

Ma c’è una parte fondamentale della sua opera che è dedicata allo studio e alla tecnica del pianoforte.

I suoi 24 Études (Studi), op. 10 e op. 25, pubblicati nel 1833 e 1837, sono un’autentica rivoluzione nel modo di intendere e di suonare il pianoforte. Chopin apre la strada verso un virtuosismo mai prima di allora sperimentato.

Le difficoltà e le innovazioni che ognuno di questi brani presenta fecero impressione ai contemporanei e costrinsero tutti gli appassionati del pianoforte a un cambiamento radicale di mentalità.

Colui che raccolse immediatamente il messaggio di Chopin fu Franz Liszt, con i suoi 12 Studi Trascendentali (Études d'exécution trascendante, 1851), che presentano difficoltà proverbiali.

Ma la grandezza di Chopin (come del resto quella di Liszt) sta soprattutto nell’essere riuscito a coniugare il virtuosismo esasperato alla vera ispirazione artistica. Non si tratta di aridi esercizi, ma di autentiche opere d’arte.

Lo Studio (Étude) op. 10 n. 12, conosciuto anche con il titolo "Il rivoluzionario", o "La caduta di Varsavia", venne scritto nel 1831, dopo il tragico fallimento dell’insurrezione polacca contro la Russia.

Non è solo un esercizio per la mano sinistra...

L'impetuoso scorrere della mano sinistra sulla tastiera crea un ambiente sonoro di forte drammaticità, su cui si inseriscono i martellanti spunti tematici della mano destra.

Il finale è la frantumazione improvvisa di tutta la costruzione sonora, che si riduce ad uno scarno e drammatico unisono a due mani, per finire con la pietra tombale di quattro potenti accordi sul basso.

Come nel 1794, anche in quel tragico 1831, Finis Poloniae!

Bravissima la giovane pianista, che alla grazia unisce anche una notevole forza espressiva.

martedì 8 dicembre 2009

Ave Maria, con la voce del futuro



È la festa dell’Immacolata.

In onore di Maria Santissima, “piena di grazia”, la preghiera più appropriata è l’Ave Maria.

Ho già presentato molte volte questa preghiera musicata, dal canto gregoriano fino alla polifonia moderna di Kodàly.

Avevo in mente quest’anno di fare ascoltare la stupenda Ave Maria di Francis Poulenc (1899 –1963) tratta dall’opera I Dialoghi delle Carmelitane (1957).

Purtroppo nel web non c’è nulla di soddisfacente al riguardo.

Ma non volendo rinunciare a far conoscere questo bellissimo brano, lo presento eseguito dal sintetizzatore Vocaloid (Yamaha), con l'applicativo della Crypton denominato Hatsune Miku, cioè La voce del futuro.

A prima vista può sembrare una cosa assurda. Ma, nonostante le voci synth (quella solista proviene dalla campionatura della voce della cantante Saki Fujita), il brano nelle sue linee essenziali risulta chiaro e tutto sommato apprezzabile, magari dopo un po’ di disorientamento.

D’altra parte siamo già nel futuro. Bisogna usare anche strumenti musicali futuribili…

A margine di questo brano di Poulenc, voglio citare un fatto personale, anche per commemorare una persona carissima, il grande musicologo fiorentino Mario Fabbri, prematuramente scomparso (1931-1983).

Ho seguito il suo corso di storia della musica nell’ateneo fiorentino ed era preparatissimo, e molto esigente.
All’esame mi fece una domanda sul “Gruppo dei Sei” in Francia. Io ricordai con precisone i sei musicisti, tra cui ovviamente Poulenc, e pronunciai il cognome alla francese: Pulànc. Lui mi guardò, mi sorrise e disse: “Si dice Pulènc!” Io rimasi piuttosto imbarazzato (il francese lo conosco bene), e lui continuò così: “Lo sa chi me lo ha detto ? Pulènc!”
In effetti il nome (mi spiegò) era di origine fiamminga.

Davvero grande, Mario Fabbri, scopritore della “Passione di Christo secondo Giovanni” (1527), di Francesco Corteccia, una delle partiture più belle della musica polifonica cinquecentesca.

Chissà cosa dirà, sentendo questa musica di Pulènc al sintetizzatore…

Mi boccia di certo!

Mettiamola così allora: anche le voci di mondi sconosciuti cantano il nome di Maria...

lunedì 7 dicembre 2009

Una musica divina, suonata al synth



Dopo aver parlato della ricerca di Dio attraverso il lume della ragione, mi pare giusto fare una pausa contemplativa ascoltando una musica “divina” scritta da colui che più di ogni altro ha usato la razionalità nel comporre le sue opere: Johann Sebastian Bach.

Non starò a ricordare che il Clavicembalo ben temperato è la razionale costruzione del moderno sistema tonale nelle sue 24 possibilità; che le Variazioni Goldberg sono vere e proprie architetture matematiche e che l’Arte della Fuga è il più poderoso tentativo per unire l’invenzione artistica con la ferrea logica del contrappunto.

Quando si dice Fuga si pensa subito a Bach, perché in effetti a lui si deve lo sviluppo e la codificazione di questa forma musicale.

È la forma che più di ogni altra è strutturata razionalmente.
Viene presentato il tema, in maniera solistica, dal quale poi, come da una sorgente, scaturisce tutta la composizione, che è un continuo rincorrersi (una “fuga”) del tema iniziale nelle varie sezioni, fino agli stretti finali e alla logica conclusione.

E dove sta allora la bellezza della musica di Bach, se è una musica “costruita”? Egli ha saputo unire in modo esemplare la potenza della fantasia al rigore della razionalità.

La bellezza è nell’invenzione geniale, e al tempo stesso nella forza portante delle regole che sostengono la costruzione armonica.

Bach è tutto questo: inventiva inesauribile e sapienza contrappuntistica.

Come esempio ascoltiamo la Fuga in Re minore (BWV 565). La ascoltiamo però in versione moderna, suonata con un sintetizzatore-chitarra.

Il chitarrista si è sdoppiato (solo nel video ovviamente...) e può così eseguire il brano scritto per organo come se avesse mano destra e mano sinistra sulla tastiera.

Davvero ingegnoso e molto bravo, questo Ketil Strand.

Purtroppo non può usare i piedi per la parte affidata al pedale, che viene eseguita manualmente.

Non si può aver tutto da una chitarra, anzi da un sintetizzatore-chitarra.

domenica 6 dicembre 2009

Dio e il telescopio





Commentando in un aggregatore il mio post precedente su Dio, un amico blogger mi ha risposto dicendo che è ateo e ritiene che siamo figli della casualità. Inoltre non si dovrebbe parlare di Dio perché nessuno lo ha mai visto.

Al mio caro amico rispondo con due osservazioni.

1. Anzitutto, se tutto fosse casuale, la scienza andrebbe a farsi benedire.
Perché ricercare e investigare, se tutto è caos, disordine, mancanza di razionalità?
Per fare una battuta, anche i soldi per la ricerca sarebbero inutili. Il Governo magari taglia i fondi, o li taglia ulteriormente.

Invece la scienza dimostra, con le grandi scoperte e invenzioni, che nella realtà esistono leggi, regole, ordinamenti precisi, e ciò che ancora non conosciamo viene studiato perché sappiamo che il mondo è guidato da leggi, magari ancora sconosciute, ma che vengono scoperte progressivamente.

Copernico, Galileo, Cartesio, Newton, Leibniz, Lavoisier, Maxwell, Mendeleiev, Plank, Lemaitre, Einstein, etc., sono alcuni fulgidi esempi di come si possa individuare ordine e regole nell’apparente caos del mondo, nel macrocosmo come nel microcosmo.

A me ha sempre affascinato Newton, forse il più grande genio scientifico dell’umanità. Con la sua legge della gravitazione universale e con il “calcolo sublime” (calcolo infinitesimale) ha fatto capire all’uomo che i fenomeni apparentemente più vari e casuali in realtà sono legati da una medesima ferrea legge, e ciò che sembrava impossibile misurare è stato da lui reso un gioco da liceali.

2. Per quanto riguarda il vedere Dio, chi ha detto che per crederci bisogna vederlo?

Noi non abbiamo solo cinque sensi. Non è reale solo ciò che vediamo. Anzi, è proprio col ragionamento astratto che troviamo le verità universali e più valide.
Hegel diceva che la conoscenza sensoriale è la più povera delle conoscenze, e che non c'è nulla di più concreto delle idee.

Per esempio, se io dico che un’affermazione non può essere contemporaneamente vera e falsa, so che questo principio è vero, a priori, cioè anche se non vado a vedere caso per caso. È una verità logica, che sostiene tutto il mio ragionare. È il principio di non contraddizione.
Tanto per stare sul nostro caso, Dio o esiste o non esiste. Non può esistere e non esistere contemporanemante, sia per me che credo, che per uno che non crede.

Così è il principio di causalità. Io non conosco il mio interlocutore, ma sono certo che ha due genitori, che a loro volta hanno o hanno avuto i loro genitori. Parto dall'esperienza e formulo un giudizio universale; procedo per causa ed effetto, come fa la scienza.

Nel caso di Dio, Essere Assoluto, ho detto soltanto che partendo dalla realtà nostra, quella che ci circonda, ragionando per causa ed effetto, come è il modo logico di ragionare, non si può fare a meno di ammettere una causa incausata, cioè una causa che abbia dato inizio al tutto.
E questa causa non può essere in questo mondo, perché altrimenti anche lei avrebbe bisogna di un'altra causa, fino all'infinito, senza mai risolvere il problema, cioè senza dare inizio ed esistenza all’universo, che pur è partito una volta, visto che è arrivato fino a noi.

Dio è un'esigenza della nostra ragione, per spiegare l'origine delle cose, non una visione da telescopio.


venerdì 4 dicembre 2009

Dio, mistero affascinante














Oggi ho avuto una lunga discussione con alcuni amici blogger sull’esistenza di Dio, sull’origine del mondo e sull'evoluzionismo darwiniano.

In questo post mi voglio soffermare sul mistero più grande e affascinante: il mistero di Dio.

Mi limito ai punti essenziali, per una ricerca semplicemente razionale.

Si deve sempre partire da ciò che si vede e si comprende. Chi deve essere spiegato non è Dio, ma anzitutto il mondo come appare, la realtà fenomenica.
La scoperta di Dio non è all'inizio di un ragionamento, ma eventualmente solo alla fine, come risultato di un'indagine sulla realtà che ci circonda e ci pone domande.

La nostra mente per capire un fenomeno cerca le cause, e da ultimo necessariamente la causa incausata, che ha dato origine al tutto.
La ragione capisce che tale causa non può essere una delle tante che sono nel mondo, perché altrimenti anche questa ipotetica causa avrebbe bisogno di una causa precedente. Il problema si sposterebbe all’infinito, ma non si spiegherebbe.

Occore una realtà superiore ontologicamente, un essere distinto dal mondo, cioè assoluto, Dio.

Una realtà in movimento come è il mondo ha bisogno di una causa che dia l'inizio, o da sempre o in un indietro limitato nel tempo, altrimenti la materia stessa e il movimento non partono.

Se il mondo avesse avuto origine 14 miliardi di anni fa, con il Big Bang (ed è un’ipotesi verosimile), è evidente che occorre ammettere l’esistenza di Dio. Chi ha portato dal nulla all’esistenza la massa iniziale, chi le ha dato l'immane energia del Big Bang? La nostra mente esige Dio, eterno e onnipotente.

Ma lo stesso ragionamento vale anche se il mondo viene spostato indietro quanto si voglia, miliardi e miliardi di anni prima, oppure all’infinito. Senza la presenza creatrice di un Essere radicalmente (ontologicamente) diverso e infinitamente superiore, eternamente presente e onnipotente, anche da un tempo infinito non potrebbe sorgerebbe nulla di questo mondo, la cui caratteristica è aver bisogno di una causa iniziale, poiché si muove per cause.

Avrebbe comunque bisogno di Dio, che lo faccia emergere dal nulla eterno.

Solo un Essere trascendente, assoluto, fuori perciò dei nostri limiti spazio-temporali, può dare origine, o nel tempo o da sempre, a materia ed energia in movimento.

Diceva Cartesio: "Datemi materia e movimento e vi costruirò il mondo".

E Newton: "Questa elegantissima compagine del Sole, dei pianeti e delle comete non poté nascere senza il disegno e la potenza di un ente intelligente e potente. Egli regge tutte le cose non come anima del mondo, ma come signore dell'universo. E a causa del suo dominio suole essere chiamato Signore-Dio, pantokrator" (Isaac Newton, Principi matematici di filosofia naturale).

Nella foto, la prima edizione del volume, Londra 1687

Felicità: realtà o inganno?






















Giacomo Leopardi sosteneva che la felicità non esiste; è solo un inganno della nostra immaginazione. Infatti secondo lui si è felici solo nell’attesa di un evento gioioso o dopo uno scampato pericolo.

Ma passato il pericolo, tutto ritorna nella noia quotidiana; e arrivato l’evento gioioso, arriva pure la tristezza per la sua rapida fine.

Leopardi paragona perciò la felicità umana alla momentanea Quiete dopo la tempesta e al Sabato del villaggio. Non vera felicità, ma apparenza e inganno.

Due stupendi “idilli” poetici messi a servizio di una visione pessimistica della vita.

Ancor più disperata la filosofia di Schopenhauer che diceva: “Sei giorni sono di dolore, il settimo di noia”.
E ancora: “Le briciole di felicità che l’uomo riesce a ottenere nel corso della vita sono l’elemosina che viene data ad un mendicante per farlo sopravvivere e prolungare la sua pena”.

Cari amici, siamo nel periodo che precede Natale. Forse per qualcuno il Natale è un’attesa che lascia poi delusi. O un briciolo di serenità in un mare di tristezza e di noia.

Ma se ci avviciniamo a quella capanna di Betlemme con animo disarmato, senza cioè la solita corazza che indossiamo per difenderci dai “nemici”, allora riusciamo a trovare la vera felicità: un Bambino che ci dona una sola cosa, la certezza di essere accolti da Dio, chiunque siamo, qualunque sia la nostra situazione esistenziale.

Allora il giorno di festa diventa l’inizio di una gioia vera, che non ha più fine.



giovedì 3 dicembre 2009

Un'arpa affascinante (arpista compresa)



Le cosiddette “Variazioni Goldberg” di J. S. Bach non hanno bisogno di presentazione, specialmente da quando sono state usate come “tema di Hannibal” nei films della serie “Il silenzio degli innocenti”.

Sono semplicemente geniali. Composte tra il 1741 e il 1745 col titolo “Aria con diverse variazioni per clavicembalo a due manuali”, etc. (il titolo completo è di tredici righi!), vengono eseguite normalmente col pianoforte.

Tutti i più grandi pianisti si sono cimentati in quest’opera monumentale, uno dei vertici dell’ingegno artistico: 32 brani, pensati in schemi matematici e con simmetrie tali da conferir loro unitarietà e compattezza nella varietà continua delle invenzioni.

Sono memorabili, ad esempio, le performances del pianista Glenn Gould, geniale anche lui nell’eseguirle. Il tema di Hannibal (cioè l’Aria delle Variazioni) è suonato da lui.

A prima vista, una trascrizione per arpa sembrerebbe far perdere un po’ di consistenza all’opera.

Ma basta ascoltare la trascrizione e l’esecuzione che ne fa Catrin Anna Finch per ricredersi immediatamente, al primo tocco dello strumento.

Le Variazioni (nel video è presente solo l’Aria iniziale, una sarabanda in sol maggiore, tempo 3/4) non perdono nulla del loro valore.

Per la bravura della giovane arpista gallese (classe 1980), a cui si aggiunge anche il fascino della bellezza muliebre.

mercoledì 2 dicembre 2009

Costruire ponti...


















Il mese di dicembre, il mese del Natale e dell’Immacolata.

Quest’anno la festa dell’Immacolata viene di martedì.

Si preannunzia perciò un bel ponte, almeno per i milanesi, che hanno per lunedì 7 la festa del patrono, S. Ambrogio. Fate il conto; quattro giorni, mica male.

E c’è chi vuole abolire il calendario cristiano…

Ma sono sicuro che molti altri, senza essere meneghini, si prenderanno ugualmente un giorno di ferie, e il ponte è fatto.

Costruire ponti, non muri. È uno slogan che si sente spesso ripetere di questi tempi.

Solo che quello di Messina viene contestato, e il muro tra Israeliani e Palestinesi è ancora lì.

Ci rimane il ponte dell’Immacolata.

Ma il ministro Brunetta è favorevole o contrario?

martedì 1 dicembre 2009

Un fagotto... di bella musica




Tra gli strumenti a fiato spicca per la sua forma vistosa, per la sua voce nasale che nel basso diventa un po’ grottesca, e per il suo nome, il fagotto.

Il nome sembra derivare proprio dalla sua forma curiosa: un lungo tubo di legno (circa 2 metri e mezzo) ravvolto alla bell' e meglio come un “fagotto”.
La voce è tipica di un’ancia doppia, come quella dell’oboe, ma nella sezione del basso.

È uno strumento assai duttile musicalmente, poiché ha un’estensione molto ampia di suoni, tre ottave e mezzo, che vanno da quelli gravi a quelli medi.

Altrettanto vario è il timbro di voce, che passa da quello fortemente nasale nelle note più alte, a quello solenne, pomposo e infine grottesco nelle note più gravi.

Dalla musica barocca in poi il fagotto costituisce uno strumento fondamentale dell’orchestra, necessario per dare profondità e mordente agli strumenti a fiato e a tutto l’insieme sonoro.
Ma per le sue caratteristiche è usato anche come strumento solista.

In particolare, Antonio Vivaldi gli ha dedicato ben 39 concerti.

Per conoscere questo simpatico e curioso strumento, così importante nell’economia di un’orchestra, presentiamo proprio di Vivaldi il suggestivo Concerto in Mi minore per fagotto, archi e continuo (RV 484), I Movimento, “Allegro poco”.

All'inizio del dicembre, niente di meglio che ascoltare la gioiosa musica di Vivaldi, magari suonata col fagotto.

Apprezzabili le doti del giovane fagottista.

lunedì 30 novembre 2009

We are the champions. Omaggio a Freddie Mercury




Non voglio lasciar passare questo mese di novembre senza ricordare i 18 anni dalla morte del frontman dei Queen, il grande Freddie Mercury (5 settembre 1946- 24 novembre 1991).

Il titolo e la canzone We are the champions, del 1977, certamente si adattano bene ai Queen, la mitica band inglese degli anni 70-80, e in particolare a quel mostro di vocalità e di bravura che è stato nel rock Freddie Mercury.

Quando il ritornello di questa canzone viene eseguito come inno nelle manifestazioni sportive della Champions League, non so quanti sanno che è stato scritto, con ben altri intendimenti, come dicono le parole della canzone, da Freddie Mercury.

Ma in fondo, anche questo è un modo per ricordarlo. E con un tifo da stadio.



We are the champions

I've paid my dues -
Time after time -
I've done my sentence
But committed no crime -
And bad mistakes
I've made a few
I've had my share of sand kicked in my face -
But I've come through.

We are the champions - my friends
And we'll keep on fighting - till the end -
We are the champions -
We are the champions
No time for losers
'Cause we are the champions - of the world -

I've taken my bows
And my curtain calls -
You brought me fame and fortune and everything that goes with it
I thank you all -
But it's been no bed of roses
No pleasure cruise -
I consider it a challenge before the whole human race -
And I ain't gonna lose -

We are the champions - my friends
And we'll keep on fighting - till the end -
We are the champions -
We are the champions
No time for losers
'Cause we are the champions - of the world -

Noi Siamo I Campioni

Ho pagato i miei debiti
giorno dopo giorno
Mi sono condannato da solo
ma non ho commesso alcun crimine
e pessimi errori.
Ne ho fatti alcuni,
mi sono preso la mia porzione di terra
in faccia,
ma l'ho superato.

Noi siamo i campioni - amici miei
e noi continueremo a batterci fino alla fine;
noi siamo i campioni
noi siamo i campioni
non c'è un tempo per i perdenti,
perché noi siamo i campioni del mondo.

Mi sono preso i miei inchini
e le mie chiamate nella ribalta,
voi mi avete concesso la fama e la fortuna
e tutto ciò che ne consegue.
Vi ringrazio tutti,
ma non è stato un letto di rose, né una crociera di piacere.
La considero una sfida con tutto il genere umano
ed io non perderò.

Noi siamo i campioni - amici miei
e noi continueremo a batterci fino alla fine;
noi siamo i campioni
noi siamo i campioni
non c'è un tempo per i perdenti,
perché noi siamo i campioni del mondo...

domenica 29 novembre 2009

Avvento. Il Messia di Händel



Siamo arrivati all’Avvento, cioè al periodo di quattro settimane di preparazione al Natale.

I credenti si preparano con spirito di fede, iniziando un cammino di conversione del cuore, per essere meno indegni di accogliere Gesù nella propria vita.

Per quelli meno assidui è l’occasione propizia per un ritorno alle sorgenti della fede, un po’ indebolita dai virus della società attuale.

Per quelli che hanno perso la fede, o non l’hanno ancora trovata, è il momento per una riflessione sulla figura storica di Gesù, sul suo insegnamento e su ciò che ha significato per la storia umana.

Per tutti è un’occasione di serenità, di gioia, di amicizia fraterna.

E l’occasione anche di riscoprire valori di cultura e di arte che rendono l’uomo ancor più umano, e più simile a Dio, che è la bellezza assoluta.

Io non posso pensare al Natale senza pensare, ad esempio, al Messia di Georg Friederich Händel; e in questo periodo me lo ascolto sempre; a puntate, ovviamente.

Anche per coloro che seguono il mio blog, che ringrazio di cuore per la loro assidua e numerosa presenza, voglio presentare qualche brano di questo straordinario capolavoro musicale, scritto dal conteranneo e coetaneo di Bach nell’estate del 1741, ed eseguito per la prima volta a Dublino nel 1742.

E voglio partire proprio dal brano inziale: una “Sinfony”, nello stile di una ouverture alla francese di quel periodo. Un incipit degno del grandioso oratorio che Händel si accinge a sviluppare.

L’orchestra, composta nel video da un piccolo organico di violini primi e secondi, oboe, fagotto, due viole, due violoncelli, contrabbasso e clavicembalo, inizia con un ritmo “grave”, puntato e cadenzato, in 4/4 e in tonalità di Mi minore, che crea un’atmosfera solenne e piena di pathos.

Dopo questa parte accordale, ripetuta due volte, come un grande sipario a due parti che si apre, inizia un tema brillante (“allegro moderato”) e fugato, che passa dai primi violini e oboe alle altre sezioni, e rende bene l’idea del lieto annunzio che il Messia porterà sulla terra.

Il brano si conclude con una cadenza, che è una breve ripresa del movimento iniziale.

Confesso che ogni volta che ascolto questo brano, mi sento fremere interiormente e mi domando come sia possibile scrivere in modo così sublime.


Ecco la prima pagina del manoscritto. È datata 22 August 1741 (in fondo alla pagina, a destra).



venerdì 27 novembre 2009

Tarantella napoletana, sì, ma di Rossini



La vicenda artistica di Gioachino Rossini (1792-1868) è ben nota.

Dopo un breve ed intensissimo periodo creativo, nel quale musicò decine di opere liriche, dalle farse alle commedie, dalle tragedie alle opere serie e semiserie, sfornando capolavori assoluti come Il Barbiere di Siviglia, La gazza ladra, Mosè, Guglielmo Tell, per citarne solo alcuni, improvvisamente, dopo il Guglielmo Tell nel 1829, il genio pesarese depose penna e carta pentagrammata e smise di comporre.

Una ventina di anni di attività forsennata, con una quarantina di opere, talvolta anche 4 o 5 all'anno.
Poi, il silenzio, e la sua ipocondria, ravvivata un po’ dalla buona cucina.

Ma gli affetti delle persone care (in particolare la sagace moglie Olympe Pelissier) lo portarono talvolta a rompere questo “silenzio musicale”, con quelli che lui chiamò con umorismo “peccati di vecchiaia”.

Ma furono dei capolavori, soprattutto religiosi: lo Stabat Mater (1841) e in particolare la Petite Messe Solennelle (1863), per coro, armonium e doppio pianoforte, una delle cose più belle di musica sacra mai scritte.

Tra i “péchés de vieillesse” si devono ricordare anche le “Soirées Musicales” (1835), dodici canzoni per voce e pianoforte, di vario carattere, dall'aulico al popolaresco, dal sentimentale al drammatico.

Tra queste Serate Musicali brilla per vivacità e inventiva la celeberrima tarantella napoletana, intitolata “La Danza”.

Un gran bel sentire, questo "frizzante" Pavarotti del video che propongo.

E pure un bel vedere. Perché la lirica è anche interpretazione scenica.

E big Luciano è stato un autentico mattatore anche nel calcare le scene.



La Danza, tarantella napoletana

Già la luna in mezzo al mare,
mamma mia,si salterà;
l'ora è bella per danzare,
chi è in amor non mancherà.
Già la luna in mezzo al mare,
mamma mia,si salterà;
l'ora è bella per danzare,
chi è in amor non mancherà.
Già la luna in mezzo al mare,
mamma mia si salterà.
Presto in danza a tondo a tondo,
donne mie, venite qua;
un garzon bello e giocondo
a ciascuna toccherà.
Finché in ciel brilla una stella
e la luna splenderà,
il più bel con la più bella
tutta notte danzerà.
Mamma mia, mamma mia,
già la luna è in mezzo al mare,
mamma mia, mamma mia,
mamma mia,si salterà,
frinche, frinche, frinche, frinche frinche,
mamma mia, mamma mia,
mamma mia, si salterà,
la la la ra la ra .....
Salta, salta, gira, gira,
ogni coppia in cerchio va;
già s'avanza,
si ritira e all'assalto tornerà:
Salta, salta, gira, gira,
ogni coppia in cerchio va;
già s'avanza,
si ritira e all'assalto tornerà.
Serra, serra colla bionda,
colla bruna va qua e là,
colla rossa va a seconda,
colla smorta fermo sta.
Viva il ballo a tondo a tondo,
sono un re, sono un pascià;
è il più bel piacer del mondo,
la più cara voluttà.
Mamma mia, mamma mia,
Già la luna in mezzo al mare,
mamma mia,mamma mia,
mamma mia, si salterà;
frinche, frinche, frinche,
frinche, frinche, frinche,
mamma mia si salterà,
frinche, frinche, frinche,
frinche, frinche, frinche,
mamma mia si salterà,
la la la ra la ra .....

giovedì 26 novembre 2009

Ave Maria "Guarani". Ennio Morricone



Ennio Morricone (Roma, 1928) è il geniale compositore che tutti conosciamo.

L’Oscar che gli è stato attribuito nel 2007 è il riconoscimento internazionale ad una straordinaria carriera, che ha segnato la nostra epoca con musiche già entrate nella leggenda.

Le sue 401 colonne sonore, a partire dal 1961 con “Il Federale” e poi “Per un Pugno di dollari” (1964) fino al recente “Baarìa”, hanno costituito la soundtrack della nostra vita.

La genialità non si apprende; ma la tecnica compositiva e della strumentazione, sì. E forse tanti non sanno che Morricone si è diplomato al Conservatorio di Santa Cecilia a Roma in composizione, nientemeno che con Goffredo Petrassi, studiando anche musica corale e direzione di coro.

Per questo non ci si può meravigliare che un artista come lui abbia saputo cogliere il valore della polifonia classica e ne abbia dato saggio nella colonna sonora di “The Mission” (1986), con una stupenda “Ave Maria” a quattro voci (soprani, contralti, tenori, bassi). Nel film è cantata dagli indios Guarani; per questo è detta Ave Maria “Guarani”.

Accademico Effettivo dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia, una delle massime istituzioni musicali nel mondo, fondata nel 1584 da Palestrina e dai grandi polifonisti della Scuola Romana dell’epoca, il Maestro Ennio Morricone ha reso onore a questa grande tradizione, e l’ha in certo senso continuata.

Credo che Palestrina e Victoria siano soddisfatti di un così illustre allievo e maestro.



Ave Maria “Guarani”

Ave Maria quae nos Deo coniungis
inter hominum electa universi pulchritudinem
memorares ne obliviscaris
naturam tuam at Deo restituas nos dilectos.

Cum nobis panem fregit. (ter)

Sancta Maria nobis doceas
ut omnibus assentiamus cum humilitate. Ah!


Ave Maria, che ci congiungi a Dio,
scelta tra la bellezza del genere umano
ricorda di non abbandonare
la tua natura, ma riportaci graditi a Dio.

Con noi spezzò il pane. (3 v.)

Santa Maria insegnaci
ad accettare tutto con umiltà. Ah!

mercoledì 25 novembre 2009

Ode alla nebbia



O nebbia fastidiosa,
che penetri negli ossi
e fai la via dubbiosa
e fai finir nei fossi,

madre d’ogni incidente
e d’ogni guida vana,
che mandi fuor di mente
chi scende in Val Padana,

tu che rendi irreale
il mondo e le persone,
tu nemica mortale
del povero pedone,

sei scesa all’improvviso
col manto cinerino
per rendere più griso
il cielo novembrino,

o nebbia inaspettata,
ricevi il mio saluto!
appena ti ho annusata,
ho fatto uno starnuto.

Ave Maria. Dalla polifonia cinquecentesca a quella moderna




Le costruzioni polifoniche cinquecentesche sono architetture musicali paragonabili alle cattedrali e alle basiliche.
La “Missa Papae Marcelli” di Palestrina, a 6 voci, del 1563, può essere raffigurata alla coeva Cupola di S. Pietro, per la bellezza e la grandiosità delle strutture.

La voce umana raggiunge qui il culmine delle sue possibilità, oltre il quale sembra impossibile procedere.

In effetti si sentiva ormai il bisogno di ampliare l’orizzonte musicale, con l’introduzione della voce degli strumenti.

L’organo a canne aveva già fatto da tempo la sua comparsa, e veniva usato per rafforzare la voce umana con il raddoppio delle note. Ora si cominciano a comporre direttamente per organo musiche su temi gregoriani e profani, come una partitura polifonica.

Nascono così la Toccata, il Ricercare, la Canzona, la Fantasia, la Fuga, e altri generi musicali, in cui eccelsero subito i compositori italiani, come Cavazzoni, Tarquinio Merola, Andrea e Giovanni Gabrieli, e soprattutto Girolamo Frescobaldi (1583-1643).

Venne composta anche musica per il “cembalo”, cioè il clavicembalo; così come per il liuto, uno strumento a corde, simile ad una grande chitarra, che in quel periodo ebbe una straordinaria importanza. Musica da danza, ma anche musica sacra.

Dalla medievale “viella”, uno strumento ad arco simile alla viola, si svilupparono, sempre nel XVI secolo per opera geniale di liutai soprattutto italiani, la famiglia degli archi: violino, viola, violoncello e contrabbasso.
I “concerti grossi” di Alessando Stradella (1676) e soprattutto quelli di Arcangelo Corelli (1714) fecero scuola ovunque.

Con l’aggiunta degli strumenti a fiato (tromba, flauto, clarino, oboe, fagotto, corno, …) , e delle percussioni, l’orchestra è al completo.
La “Sinfonia dei Mille” di Gustav Mahler (1906) è il lavoro più colossale mai realizzato; si raggiunge non dico il massimo della bellezza, ma certamente il massimo dell’organico: mille gli esecutori, tra strumentisti e cantanti.

La voce umana non hai mai cessato però di esercitare il suo fascino. È lo strumento più perfetto e più bello, perché dotato di un’anima spirituale, e non solo di qualche corda vocale.

E così insieme agli strumenti ha continuato a far bella mostra di sé nell’epoca del melodramma, e oggi della canzone.

Ma ha continuato anche ad affascinare la polifonia a cappella, cioè le voci da sole, come al tempo di Palestrina e di Victoria.

Grandi musicisti del XX secolo hanno dedicato importanti lavori alla polifonia: Stravinskij, Poulenc, Bartòk, Kodàly, Britten, Arvo Part, per citarne alcuni.

Tra questi, chi ha certamente compreso lo spirito del gregoriano, da cui siamo partiti in questo nostro excursus, e da cui tutta la nostra musica in effetti parte, è stato l’ungherese Zoltàn Kodàly (1882-1967). Egli ha saputo valorizzare la musica popolare e antica, tra cui il gregoriano; e unendo sapientemente la tonalità con la modalità, il moderno con l’antico, ha costruito opere notevoli e in particolare stupende polifonie.

Come esempio portiamo la sua “Ave Maria”, a tre voci pari (soprano I, soprano II, contralto), composta nel 1935.

In essa si può notare che la voce bassa del contralto canta tutta l'Ave Maria, prendendo chiari spunti dalla nota melodia gregoriana e movendosi in modalità gregoriana.
Il canto del contralto è via via inframezzato dagli interventi delle due sezioni superiori, che ripetono il gioioso annuncio dell’angelo: Ave Maria!

Nella seconda parte della preghiera il canto si fa più compatto, e ci ricorda un po’ la polifonia di Victoria (nell’invocazione “Santa Maria!”); anche la voce del contralto poi si unisce al resto del coro, per concludere come ha iniziato, da solo, con il saluto dell'angelo: Ave Maria.

Bellissima e geniale composizione, dove il moderno s’incontra con l’antico e ci offre armonie incantevoli e originali.

martedì 24 novembre 2009

Ave Maria. Dal gregoriano alla polifonia



Il canto gregoriano è monodico, cioè ad una sola voce. La grande vitalità del Medioevo, che si esprime in tutti gli aspetti dell’agire umano, compresi quelli artistici, porta una rivoluzione anche nel modo di cantare e di far musica.

L’unisono non era più sufficiente a soddisfare il bisogno di esprimersi nel canto. E qualche geniale innovatore cominciò ad aggiungere all’unica voce del canto gregoriano un’altra voce parallela di accompagnamento, “punctum contra punctum” (contrappunto), cioè nota contro nota, ad un intervallo sentito come consonante; in genere si trattava di una quarta inferiore; la melodia gregoriana emergeva sempre con chiarezza.

Era nata la polifonia.

Siamo nel secolo XI. Questa prima forma polifonica a due voci parallele, distanziate da un intervallo piacevole all’udito, venne detta “organum”. Infatti la voce principale cantava la melodia gregoriana, mentre la seconda voce (vox organalis) accompagnava come uno strumento musicale, un organo, appunto.

Nel secolo XII lo sviluppo della polifonia proseguì in modo notevole, soprattutto per merito dei maestri francesi Leonino e Perotino, esponenti della cosiddetta Ars Antiqua.
Grande importanza ha Perotino perché portò a tre, e talora a quattro, le voci dell’organum.
In questo nuovo tipo di composizione, chiamata ora “mottetto”, la melodia gregoriana diventa una semplice parte di un’opera complessa, dove le voci si muovono liberamente, non più vincolate dal precedente rigido schematismo.

La polifonia dà piena dimostrazione delle sua potenzialità espressive nell’ opera di Guillaume de Machaut, che nel 1364 compose la “Messe de Notre Dame”, a quattro voci, la prima Messa polifonica scritta da un solo autore.
Guillaume de Machaut è il massimo rappresentante dell’Ars Nova. Ormai la polifonia ha raggiunto la piena maturità, e si caratterizza anche per le composizioni profane. Inoltre si porta a compimento la forma di notazione mensurale, quella che noi usiamo comunemente.
Il gregoriano conosceva solo un unico valore di tempo, il punctum. La musica polifonica ha bisogno di note lunghe e brevi, con divisioni mensurali precise, per poter costruire il vario movimento della parti: una parte che sta ferma su una nota avrà segnata una nota lunga, mentre un’altra sezione che si muove sopra o sotto quella nota avrà valori in proporzione più brevi.

Per noi sono cose scontate, ma non lo erano finché non è stato inventato il rigo musicale e la polifonia, nel Medioevo.

Con il Rinascimento (sec. XVI) la polifonia è nel suo pieno fulgore e raggiunge i vertici della perfezione e della bellezza in Giovanni Pierluigi da Palestrina, il “principe della musica”, e Tommaso Ludovico da Victoria. Nella polifonia profana emerge sopra tutti, con i “madrigali”, Luca Marenzio, definito dai suoi contemporanei “il cigno d’Italia”.

Per mostrare come dal gregoriano si passi alla polifonia, presento il medesimo canto di ieri, l’Ave Maria, trattato polifonicamente da Tommaso Ludovico da Victoria (1540-1603 ca).

La bellezza del gregoriano si moltiplica per quattro, nelle quattro voci del mottetto di Victoria.

lunedì 23 novembre 2009

Ave Maria. Il canto gregoriano




Mi pare doveroso continuare a festeggiare la patrona della musica, Santa Cecilia, con un canto della tradizione gregoriana.

Il canto gregoriano è il canto liturgico per eccellenza. È monodico, cioè ad una sola voce, senza accompagnamento di strumenti, in lingua latina.

Abbraccia il corso di oltre un millennio, poiché i più antichi canti risalgono al IV-V secolo, al tempo cioè del basso impero. Ad esempio, il Te Deum e molti inni sono dell’epoca di S. Ambrogio, e alcuni a lui attribuiti; lo stupendo introito “Circumdederunt me gemitus mortis” della Domenica di Settuagesima risale certamente al tempo delle invasioni barbariche, come suggerisce il testo.

Una prima raccolta di questi canti si ebbe con Papa S. Gregorio Magno (morto nel 604); da qui il nome di Canto “Gregoriano”. Il repertorio andò ampliandosi grandemente con l’andare del tempo, e un’altra codificazione si ebbe nel XVI secolo, attribuita a Palestrina e alla sua scuola, pubblicata poi nel 1618 e denominata “Editio Medicea”.

In realtà questa edizione fu molto criticata, perché non avrebbe rispettato gli antichi codici, ma avrebbe semplificato e mutilato i bei melismi dei canti originari.

Per questo motivo nel XIX secolo, per opera geniale di Dom Guéranger, monaco benedettino di Solesmes, fu iniziata una revisione critica dell’edizione medicea, e si giunse con l’utilizzo sistematico degli antichi codici a pubblicare il “Graduale Romanum” (e il “Liber Usualis” che ne è un compendio), dopo un celebre Congresso tenuto nel 1882 ad Arezzo, patria di Guido Monaco, e dopo l’approvazione del Papa S. Pio X, nel 1908.

In epoca recente, nel 1979, anche il Graduale Romanum e il Liber Usualis sono stati rivisti in base ad altri codici, ed è stata pubblicata una nuova edizione, denominata “Graduale Triplex”.

Il canto gregoriano è un canto casto, ma vibrante; non ha eccessi lirici, ma è pieno di pathos interiore; racchiude la sublime bellezza nella semplicità di una linea melodica, che non è mai gridata, ma si esprime nella “sobria ebbrezza” della preghiera.

Ha un valore enorme, sia dal punto di vista artistico che storico. Costituisce la base di tutta la musica occidentale, e ha dato origine prima alla polifonia, poi alla musica trascritta per i vari strumenti.

Come invito al gregoriano ho pensato di far ascoltare il canto dell’Ave Maria.

Il canto gregoriano si muove normalmente per gradi congiunti, cioè senza salti di voce, con andamento graduale, sia nel salire che nello scendere della melodia; è come la natura, che non fa salti.
Se ciò avviene, è per esprimere un’esultanza particolarmente intensa.

All’inizio del canto dell’Ave Maria si noterà proprio un salto di quinta, sulla vocale i di Maria. Si vuole esprimere tutta l’ammirazione e lo stupore per questa straordinaria creatura.

Un identico intervallo di quinta si ha nell’Introito della III Messa di Natale, “Puer Natus est”.
Lì è immediato, sulla vocale u di Puer: un’esultanza incontenibile, quel Bambino è Gesù.

domenica 22 novembre 2009

Santa Cecilia. "Cantantibus organis"











Nella vita di S. Cecilia, raccontata in un’antica “passio”, si dice che durante la festa del suo matrimonio, contro la volontà della santa che aveva scelto di "sposare Cristo", “mentre gli organi cantavano, Cecilia invece cantava al Signore dicendo: Il mio cuore rimanga puro, affinché io non sia confusa”.

“Cantantibus organis, Caecilia Domino decantabat dicens: Fiat cor meum immaculatum, ut non confundar”.

Questa frase divenne un’antifona liturgica gregoriana, e quell’ablativo assoluto “Cantantibus organis” rimase indissolubilmente legato alla sua figura, tanto che nel 1500 si cominciò a pensare che la Santa fosse stata una musicista vera e propria, e cominciò ad essere rappresentata con un organo “portativo” in mano.

Ricordo che l’organo più grande era detto “positivo”, cioè “positum”, posto a terra.
Ancor oggi un organo a canne con una sola tastiera è detto positivo.

In onore di questa Santa i grandi musicisti della scuola romana nel 1584 si riunirono per dar vita alla “Congregazione di Santa Cecilia”. Ne facevano parte, tra gli altri, Palestrina, Marenzio, Nanino, Anerio, Soriano, Crivelli, Zoilo.
L’associazione venne approvata l’anno successivo da Sisto V; e proprio da essa è sorta nel sec. XIX in Roma la celebre “Accademia di Santa Cecilia”, una delle massime istituzioni musicali nel mondo.

Grandi artisti hanno rappresentato la patrona della musica, a partire da Raffaello, nel celebre quadro che ho riportato nell’immagine in alto, della Pinacoteca Nazionale di Bologna, dipinto tra il 1514 e il 1516.

La Santa è raffigurata con gli occhi rivolti verso il cielo e nell’atto di lasciar cadere dalle mani un organo portativo, mentre altri strumenti sono sparsi ai suoi piedi.

La soave musica terrena cede il passo alla sublime bellezza di quella celeste.

Debussy, s'il vous plaît!




Claude Debussy (1862-1918) ha la capacità di creare con la sua musica vere e proprie impressioni visive.

È difficile sottrarsi alla suggestione di quei suoni raffinati ed evocativi.

Tra i suoi 24 Préludes scelgo dal primo volume il preludio n. 8, La fille aux cheveux de lin”, la ragazza dai capelli di lino, forse il più famoso.

Un brano con andamento Très calme et doucement expressif, reso in maniera perfetta dal tocco magico di Arturo Benedetti-Michelangeli.


Buon ascolto!

venerdì 20 novembre 2009

Fenomenologia della Home Page












La caratteristica principale delle notizie che vanno in prima pagina di un social network deve essere la Retorica.

Perciò:

Non devono mai mancare nei titoli i punti esclamativi e interrogativi. Molti, e sparsi un po’ ovunque, come il prezzemolo. Nel mezzo della frase, in fondo, anche in cima magari, come fanno gli spagnoli. Più la frase è gridata, più è gradita.
E non bisogna dimenticare i puntini di sospensione…………, così; il numero è ad libitum, ma più sono e più voti raccogli.

Non si può entrare senza alcune parole-chiave: Vergogna (seguita da quattro punti esclamativi, meglio cinque); Bastardi (seguita c.s.); Ca@@ata, o anche C@zzo, con la @ usata sia come consonante che come vocale.
Comunque la @ va bene in ogni salsa, anche da sola. Fa sempre il suo effetto.

Non si può entrare in home senza idee confuse, sulla politica, sulla Chiesa, su Dio.
Più sono confuse e più attirano voti. Le idee chiare sono sgradite, sanno di fascismo.

Un’ idea però deve essere chiara: No Berlusconi. E mai chiamarlo per cognome; sarebbe imperdonabile. Ti ritrovi in ventesima in un nanosecondo. È di rigore l’epiteto, offensivo ovviamente. Se riesci a trovarne uno nuovo, hai il top della home per 24h senza bisogno che alcuno legga oltre.

La cultura non alberga in home, viene alloggiata nei bassifondi, come al tempo dell’ancien régime. La guerra ha bisogno di spade, non di penne d’oca. E non provare a scrivere in modo corretto e grammaticato. Passeresti per un alieno.

E gli alieni appartengono ad un’altra fenomenologia.

Il melograno: 613 semi























Nel post sull’autunno, scritto tre giorni fa, ho ricordato la varietà di frutti che rendono preziosa questa stagione.

Una carissima amica blogger, Abdita, mi ha fatto notare che non ho ricordato il frutto del melograno.

In effetti è una dimenticanza imperdonabile. Si tratta di un frutto buono e salutifero, e ricco di significati simbolici.

Il melograno per i suoi numerosi semi è sempre stato segno di abbondanza, ricchezza e fertilità.

È uno dei prodotti elencati nella Bibbia come beni preziosi della Terra Promessa: “Paese di frumento, di orzo, di viti, di fichi e di melograni; paese di ulivi, di olio e di miele” (Dt 8, 8).

Inoltre, il melograno è nella tradizione ebraica simbolo di onestà e correttezza, dato che il suo frutto conterrebbe 613 semi, che come altrettante perle sono le 613 prescrizioni scritte nella Legge (Torah): 365 divieti e 248 obblighi, osservando i quali si ha un comportamento giusto.

Il detto va preso in senso paradigmatico ovviamente, come ogni proverbio, poiché il numero dei semi della melagrana è variabile, e si aggira comunque intorno alle 600 unità.

Passando dal sacro al profano, il succo di melagrana è un'autentica spremuta di salute, dal momento che contiene vitamine C e del gruppo B, potassio e polifenoli antiossidanti.

Per farmi perdonare la dimenticanza di questo frutto così ricco di storia e di… antiossidanti, presento l’immagine più bella che io ho in mente al riguardo:

“La Madonna del melograno”, di Sandro Botticelli, del 1478, pittura su tavola, che si trova nella Galleria degli Uffizi di Firenze.

Devo comunque far notare che nella simbologia cristiana, e qui in particolare, la melagrana che Maria tiene nel palmo della mano è simbolo di passione. Quel colore rosso vermiglio dei semi...

Ecco perché la stupenda bellezza delle figure fa da singolare contrasto con la serietà degli atteggiamenti.