venerdì 31 luglio 2009

Ru486, ovvero la vita umana nel cesso











Il motivo principale per cui fu introdotta la legge 194 era per evitare gli aborti clandestini.
Così fu presentata e difesa dai partiti abortisti. La legge del 1978 infatti proclama nel titolo la "tutela sociale della maternità".

Non doveva in alcun modo essere un mezzo di limitazione delle nascite (art. 1).

Si prevedevano solo alcuni casi per l’interruzione della gravidanza e in strutture pubbliche: “un serio pericolo per la sua salute fisica o psichica [della donna], in relazione o al suo stato di salute, o alle sue condizioni economiche, o sociali o familiari, o alle circostanze in cui è avvenuto il concepimento, o a previsioni di anomalie o malformazioni del concepito” (art. 4).

Ciascuno può giudicare: ogni anno in Italia vengono eliminati 130.000 esseri umani (una città come Livorno), senza considerare che gli aborti clandestini perdurano, come la cronaca informa.

Con la pillola killer fai-da-te, si ritorna all'aborto clandestino e facilitato: bastano due pastiglie... Qualcuno dirà: ma è l'ospedale... Sì l'ospedale ti dà la pillola; ma il resto lo fai da te.

Diciamolo onestamente: l'aborto deve essere libero, facilitato al massimo, possibilmente senza controlli.

Da Ippocrate (V secolo avanti Cristo) che giurava di difendere sempre la vita, di non dare la morte a nessuno, anche se richiesto, e ugualmente di non propinare mezzi abortivi, fino all’attuale Ru486, abbiamo fatto passi da giganti.

All’indietro.

La vita umana è andata a finire nel cesso di casa.


Ho rivinto!










Ho di nuovo fatto due al Superenalotto. È uscito un numero (il 2) e il superstar (7).

Così ho pareggiato i dieci euro che avevo speso nella schedina.

Per vedere come finisce questa storia, rigioco i dieci euro.

Se faccio il 6 ve ne accorgerete subito. Questi i segni principali:

1. Cancellerò subito il mio account da ogni sito web. Chiudo, perché sarò impegnato per il resto dei miei giorni in un altro genere di “account”: 113 milioni e mezzo.

2. Chi mi vuol trovare, dovrà usare il metal detector. Metal, con tutto l’oro che avrò addosso...

3. Se vedete qualcuno seguito da veline, paparazzi e cose del genere, se non è Berlusconi, sono io.

4. Per rilassarmi nell’infinito conteggio, potrei però ritornare nel web e trollare un po’ con un questo nuovo nick: AmicusPluto; Pluto, il dio quattrino...



Cari amici, stanotte ho avuto un incubo: ho sognato di vincere al Superenalotto il jackpot stramilionario con una schedina da dieci euro, e mi son venute idee così strane...

Per non correre rischi, stasera con i dieci euro vado a mangiare una pizza con il mio amico Filosganga.

Bastano e avanzano: siamo toscani, ma si paga alla romana.

giovedì 30 luglio 2009

Ho vinto al Superenalotto!









Molti uomini intervistati in questi giorni dicono che, se vincono al Superenalotto, la prima cosa che fanno cambiano moglie, o compagna; insomma, cambiano donna.
E naturalmente anche l’auto.
Questo connubio, donne e motori, nell’uomo pare proprio inscindibile.

Le donne invece sembrano più casalinghe. Se vincono, vogliono comprare ville, case, appartamenti… Ma alle pulizie e al giardinaggio ci penseranno da sé, oppure acquisteranno anche il domestico?

I giovani preferiscono non giocare. A questo ci pensano già i genitori e i nonni.
A loro basta scuotere il ramo, quando è carico.

Mi convinco sempre di più che vincere 109 milioni di euro sarebbe più una disgrazia che una fortuna. Una sbornia monetaria colossale, da far perdere il ben dell’intelletto.

Comunque io ieri ho vinto: con una scheda da 5 euro ho indovinato un numero e il superstar.
Ho incassato così dieci euro.

Che ho subito rigiocato.

Ma io penso alla beneficenza...

mercoledì 29 luglio 2009

I profeti di ieri e di oggi...



È un periodo in cui molti credono di avere il dono della profezia.

Ci sono milioni di persone che prevedono di vincere 109 milioni di euro al Supernalotto, e per questo giocano schedine e sistemi.

Ci sono quelli che prevedono la caduta del governo Berlusconi in breve tempo, e cercano di aiutarlo in ogni modo con qualche spintarella.

Ci sono i “laici” che prevedono un’imminente fine della Chiesa cattolica; ma non possono fare scongiuri, né pregare. Non ci credono…

Tutti questi veggenti mi fanno venire in mente un simpatico complesso beat degli anni 60-70, chiamato I Profeti.

Una canzone mi piaceva tanto: Era bella, sia la canzone, che il titolo.

In attesa delle cose che verranno, ascoltiamo i Profeti del passato: esattamente del 1971.

lunedì 27 luglio 2009

I gusti cambiano...





Mi sono accorto di un fatto (quasi ovvio), che mi ha obbligato ad una riflessione.

I gusti di una persona cambiano nel tempo.

Da giovane studente e nei primi anni dell’insegnamento amavo il Foscolo. Amavo quel suo stile vigoroso, potente, drammatico. “Sdegno il verso che suona e che non crea”.
Amavo anche il Leopardi, ovviamente, ma mi ponevo la domanda chi tra loro fosse il più grande.

Nel prosieguo degli anni non c’è stata più partita. Leopardi ha quasi completamente annullato i miti foscoliani. Ora amo la mirabile limpidezza del poeta di Recanati, ma soprattutto il suo lucido guardare in faccia alla realtà, senza illusioni: “Arcano è tutto, fuor che il nostro dolor”.

Nella filosofia mi hanno sempre appassionato Platone e Aristotele, così come Agostino e Tommaso.
Come si fa da giovani a non preferire Platone e Agostino? La passione, la ricerca della bellezza, la libertà, l’ebbrezza anche del male… “Il nostro cuore inquieto” (Inquietum cor nostrum): un anticipo dei tempi moderni.

Poi è venuto il desiderio della “reductio ad unum”, della semplicità, della chiarezza, della sistematicità. Sì, il pathos, la bellezza, la fantasia…
Ma ora sopravvanza il fascino della razionalità, della dimostrazione rigorosa, della logica stringente. È il momento di Aristotele, l’amico di Platone, che abbandona il maestro perché magis amica veritas (più amica è la verità).

Da giovane mi interessava la letteratura in genere, e i numerosi libri della Bur, di pochissima spesa e volume, hanno costituito la mia prima biblioteca letteraria; così come la piccola 500 è stata la mia prima auto.

Piano piano è subentrata e alla fine ha monopolizzato il mio interesse la ricerca storica, la documentazione archivistica.
Certo, è la fine del topo di biblioteca; ma con la soddisfazione di scoprire documenti di prima mano, di verificare o no luoghi comuni, di farsi un’idea precisa della realtà lontano da wikipedia.

Trovarsi ad esempio davanti ad un “diploma” del 4 marzo 801 di “Karolus, rex francorum et romanorum atque langobardorum”, cioè di Carlo Magno, che dona al Vescovo di Arezzo delle proprietà, coi nomi dei luoghi e dei loro confini, luoghi ancora denominati nello stesso modo, fa una certa impressione… E vedere in fondo al diploma pergamenaceo il suo sigillo, è il top.

In una cosa non sono cambiato. Nell’amore per la musica; di ogni tipo, purché bella: classica, leggera, vocale, strumentale, moderna, antica…

Sono dell’opinione di Pitagora. La vita è una divina armonia musicale.


Foto in alto: Tabula Peutingeriana (IV secolo d. C.). Tratto tra Chiusi (Clusio), Arezzo (Adretio) e Firenze (Florentia Tuscorum). Sono indicate le strade consolari, le stationes, le mansiones, e le miglia di distanza. Cliccare sull'immagine per ammirare i particolari della straordinaria mappa romana antica.

domenica 26 luglio 2009

Idee chiare e distinte. Cartesio









Una delle caratteristiche della realtà di oggi mi sembra questa: poche idee, ma confuse.

Non si può affrontare una discussione senza finire in quattro battute alle offese personali o alla ripetizione ossessiva del proprio punto di vista, qualunque siano le argomentazioni portate dall’interlocutore.

Chi ci può aiutare a rendere efficace il nostro modo di discutere è René Descartes, meglio conosciuto come Cartesio (1596-1650), il padre della filosofia moderna.

Cartesio ci dice che la cosa fondamentale per qualsiasi ricerca è anzitutto avere un buon metodo.

Il metodo cartesiano consiste in questo: bisogna procedere per idee chiare e distinte.

Un’idea è chiara quando è completamente presente alla mente.
Se per esempio dico Berlusconi, è un’idea chiara (magari a qualcuno sgradita).
Se dico Franceschini, è un’idea confusa (magari a qualcuna rimarrà “simpatico”).

Un’idea è distinta se è ben separata da un’altra. Quando uno ha chiaro che cosa sono un triangolo e un quadrato, la prima idea è distinta dall’altra.

Non si può procedere in nessun modo senza avere idee chiare e distinte; bisogna fermarsi per riflettere, se queste due caratteristiche non ci sono, finché non vengono trovate.

Perciò quando si affronta un problema o un argomento, bisogna dividerlo in tante piccole parti, in tanti piccoli problemi, si potrebbe dire in degli “items”, finché ognuno di questi si presenta chiaro e distinto nella sua soluzione. Dopodiché si procede con il successivo item, e così via.
Alla fine, il problema, che sembrava difficile e complesso, si è risolto in una serie elementare di argomenti.

Giunti a questo punto, occorre il lavoro di sintesi, cioè ricollocare le singole parti al loro posto e ripercorrere con il ragionamento tutto ciò che abbiamo “smontato”, per valutarne la coerenza logica. Se il lavoro è stato fatto bene, se cioè siamo andati per idee chiare e distinte, il ragionamento filerà perfettamente e noi avremo risolto il problema.

“L’intelligenza è la cosa meglio distribuita nel mondo, perché ogni persona crede di averne la quantità sufficiente. Ma non basta avere l’ingegno; bisogna usarlo bene”.

È questo il famoso “incipit” del Discorso del metodo di Cartesio (1637).

Chiarezza cartesiana. Sempre attuale.

venerdì 24 luglio 2009

Aut-Aut. La vita è una scelta (Kierkegaard)








Tra i pensatori moderni un fascino particolare lo esercita il filosofo danese  Søren Kierkegaard (1813-1855).

Kierkegaard rivendica l’assoluta libertà di ogni singola persona, valore supremo che non può essere sacrificato a nessuna logica di potere.

Egli illustra il suo pensiero con tre immagini, ognuna delle quali rappresenta un modo di vivere, uno “stadio di esistenza”.

Il primo stadio è da lui chiamato “estetico”, e viene raffigurato dal Don Giovanni di Mozart, da colui cioè che fa della vita una continua ricerca del piacere. Don Giovanni cerca di cogliere l’attimo fuggente e di non farsi sfuggire nessuna occasione.
A lungo andare questo stato di vita porta alla disperazione: la giovinezza fugge, così come le occasioni, e l’attimo fuggente non può essere fermato.
La disperazione è il riconoscimento dell’impossibilità di fondare l’esistenza solo sull’estetismo, perché contraddittorio in se stesso. Si vuol fermare ciò che invece fugge irreparabilmente; è una vita che si sbriciola nel nulla.
L’uomo si è affidato all’esteriorità fuggente; quindi occorre rientrare in se stessi, trovare in se stessi il fondamento dell’esistere.

È il secondo stadio, denominato “etico”, e viene rappresentato dalla figura del buon "Guglielmo”, impiegato statale e sposato, che trova nella fedeltà al suo lavoro e nella dedizione alla famiglia i valori dell’esistenza. È una vita fondata più solidamente di quella “estetica”, perché ha nella ripetizione volontaria delle azioni giornaliere il punto qualificante. È l’uomo di Kant, tutto moralità e impegno.
Ma anche questo stadio a lungo andare mostra il suo punto debole: l’impossibilità di non infrangere nessuna legge, l’impossibilità di essere sempre coerenti, l’impossibilità di vivere una moralità assoluta. L’uomo è anche fragilità, incoerenza, peccato. L’uomo si accorge che non può fare il bene che vorrebbe, ma compie il male che non vorrebbe.
L’angoscia è il punto di arrivo di questo stadio, la “malattia mortale”, secondo la definizione di Kierkegaard.
Infatti l’uomo perde ogni speranza di fondare la vita in se stesso, nelle proprie forze, e quindi è colpito da una malattia mortale, che non dà scampo.

L’esito di questa malattia mortale, da una parte, è l’impossibilità di vivere.
Ma l’uomo, d’altra parte, desidera vivere e vivere in pienezza. Proprio da questo desiderio, impossibile alle sole forze umane, scatta il bisogno di affidarsi a Dio, come Abramo, che è l’uomo di fede.
Nello stadio della fede, l’uomo si affida totalmente a Dio, l’unico che può realizzare il desiderio di fermare il tempo (Egli è l’eterno) e di dare speranza nella ripresa morale.
È proprio “la ripresa” il segno più evidente che la vita di fede è l’unica possibile. Infatti, paradossalmente, l’uomo che si è affidato a Dio donandogli tutto se stesso, si trova arricchito cento volte di più di tutto ciò che aveva perduto negli stadi precedenti. C’è la ripresa della gioia di vivere, cercata nello stadio estetico, e c’è la ripresa della forza di volontà, in precedenza sconfitta dal peccato.
Nella vita di fede si torna a gustare in pienezza l’attimo fuggente della realtà, perché solidamente ancorata al suo Creatore, e l’uomo torna capace di compiere azioni morali, perché sostenuto dalla grazia di Cristo.

Criticando la logica di Hegel, che tutto risolveva nella sintesi degli opposti (et-et), Kierkegaard ricorda invece la cruciale necessità di scegliere tra due opposti: aut-aut. La vita è una scelta.

E ognuno di noi è chiamato a questa scelta decisiva.

giovedì 23 luglio 2009

Che cos'è la verità. Protagora e Aristotele







Coloro che per la prima volta hanno posto con chiarezza il problema della verità razionale sono stati i sofisti, ad Atene, nel V secolo avanti Cristo.

Il più celebre dei sofisti, Protagora affermò che “l’uomo è la misura di tutte le cose”.

Con questa frase egli intendeva dire che ogni uomo ha la sua verità, la quale varia perciò da individuo a individuo; anzi, è mutevole nello stesso individuo, varia cioè con il mutare della persona stessa.

Socrate si oppose a questa deriva relativisitica con la sua appassionata ricerca della verità su di ogni argomento. La scoperta del “concetto” è stato il punto fondamentale di arrivo della ricerca socratica: su di ogni argomento l’uomo, attraverso un dialogo sincero, è in grado di “partorire” un concetto (=concepito), valido per tutti e perciò comunicabile.

Platone ha scritto i dialoghi nei quali Socrate dibatte con i sofisti questa decisiva battaglia per i fondamenti della comunicazione e del sapere.
Senza la verità, valida per tutti, l’uomo non potrebbe né apprendere né insegnare nulla.

Ma è con Aristotele che il punto debole della teoria di Protagora è messo a nudo con chiarezza definitiva. Nel libro 11 della Metafisica afferma:

“Se le cose stessero come dice Protagora [cioè ognuno ha la sua verità], allora tutti avrebbero sempre ragione, nessuno penserebbe il falso, perché ognuno è certo in un dato momento di quello che gli sembra, di quello che gli appare” (Aristotele, Metafisica, 1062, b 14).

Protagora dunque ignora la differenza tra verità e opinione. Quando egli afferma che ognuno ha la sua verità, egli in realtà dice che ognuno ha una sua “opinione”, che può essere sbagliata o vera.

La verità, su di un argomento e sul medesimo aspetto di quell’argomento, non può che essere una sola, secondo il principio di non-contraddizione, quello che regge tutto il nostro pensiero e il nostro agire.

Quello stesso principio che regge tutta la realtà: una cosa è se stessa e non un’altra.


Foto in alto: La Verità e la Menzogna (particolare de La Calunnia), 1495, Sandro Botticelli, Galleria degli Uffizi, Firenze

mercoledì 22 luglio 2009

Dedicato alla Luna



La conquista della luna, di cui ricordiamo il 40° anniversario in questi giorni, può essere paragonata solo alle epiche imprese del passato: l’impresa degli Argonauti, di Cristoforo Colombo, di Vasco da Gama e di Magellano, dei fratelli Montgolfier, dei fratelli Wright, di Lindbergh, di Yuri Gagarin.

Alcuni di questi avvenimenti sono stati cantati in poemi e opere letterarie, come “Gli Argonauti” di Apollonio Rodio, “I Lusitani” di Luis de Camoes, “Al Signor di Mongolfier di Vincenzo Monti.

Per quelli più recenti la fantasia ha ceduto il passo alla registrazione filmata, e così abbiamo video memorabili, come lo sbarco sulla luna.

La realtà ha superato ogni fantasia, anche quella di Jules Verne e di Ludovico Ariosto, che hanno fatto arrivare l’uomo nella luna prima di Armstrong, con la loro fervida immaginazione.

Vogliamo perciò cantare artisticamente questa grandiosa impresa. Ieri abbiamo citato doverosamente Leopardi, che con la luna ci parlava, poeticamente...

Ora è il momento della musica di Chopin. Ovviamente un "notturno", momento preferito dal nostro bellissimo satellite per mettersi in mostra e che oggi occuperà la scena in mezzo mondo, perché oscurerà anche il sole con un'eclissi totale.

Quarant’anni fa avrei postato uno dei primi tre notturni dell’opera 9, eseguiti da Arthur Rubinstein, con il suo limpidissimo stile. Mi piacevano soprattutto quelli, romantici per eccellenza.

Ma i gusti cambiano con l’età, e oggi preferisco il Notturno 11, opera 37, n. 1, eseguito da Vladimir Ashkenazy. Un capolavoro, che piaceva tanto a Schumann, e un esecutore tanto espressivo quanto tecnicamente impeccabile.

Non posso postare il Notturno del Pianista, (il n. 20, in do diesis minore), perché risiede stabilmente nel blog, e ha oscurato ormai tutti gli altri.

martedì 21 luglio 2009

Lo sbarco su Selene. 21 luglio 1969




Ricordiamo oggi il 40° anniversario dello sbarco dell’uomo sulla luna.

Bisogna intendersi bene sull’avverbio “oggi”. Nella costa orientale americana (ora di Washington) erano le 22, 56 del 20 luglio 1969.

Per noi italiani invece erano già le 4, 56 del 21 luglio 1969.

Per questo motivo mi piace ricordare lo storico avvenimento nel giorno in cui per noi italiani è realmente accaduto e cioè la mattina del 21 luglio.

Ho letto vari articoli nel web in cui si dice che l’allunaggio avvenne alle 22, 56 del 20 luglio ora italiana…

Alle 4, 56 del 21 luglio, davanti ai nostri occhi increduli, e incollati al televisore (io avevo un Telefunken da 21 pollici), il LEM, cioè il modulo lunare Eagle, staccatosi dalla navicella Apollo 11, si posava sulla luna, nel Mare della Tranquillità.

Alcune ore dopo Neil Armstrong scendeva la scaletta e posava il piede sul suolo lunare, lasciando un’orma indelebile e pronunciando una frase memorabile.

Indelebili nella memoria anche i salti, quasi fanciulleschi, che Armstrong e Edwin Aldrin facevano sul suolo lunare, facilitati dalla modesta forza di gravità (mentre Michael Collins continuava a girare con la navicella intorno al satellite).

Proprio quei passi di danza mi fanno pensare alla mitica canzone Selene di Domenico Modugno, del 1962.

Ma non posso dimenticare Leopardi, che alla luna ha dedicato molte liriche.
Citerò lo stupendo inizio del canto La sera del dì di festa

Dolce e chiara è la notte e senza vento
e quieta sovra i tetti e in mezzo agli orti
posa la luna e di lontan rivela
serena ogni montagna.

Un “notturno” degno di Beethoven, Chopin, Debussy.

lunedì 20 luglio 2009

La preghiera dell'ateo: "Caso nostro"



Circola nel web un video di propaganda atea in cui si afferma che dire il “Padre nostro” significa dire “Nulla nostro”, cioè pregare il nulla.
Una squallida parodia, che non coglie neppure nel segno.

Dio si può pregare, perché chi crede in Dio, crede nel Creatore di tutte le cose, cioè nella causa di tutto.

Chi si trova in difficoltà sono proprio gli atei, perché non credendo in Dio, devono sostituire la causa dell'universo e della realtà umana con qualche altra spiegazione; e cioè con il Caso, che però cozza con le leggi scientifiche e le regole morali che l’uomo scopre in sé e fuori di sé.

Suggerisco perciò questa preghiera atea:


"Caso nostro"

Caso nostro, che non si sa chi sei,
sia insegnato a tutti il tuo nome incomprensibile;
venga il tuo caotico regno, fatto però di leggi scientifiche;
sia fatta la tua confusa volontà,
e cioè facci fare qui in terra
tutto quello che vogliamo.

Non ci dare il pane quotidiano
perché ce lo procuriamo da noi,
se le cose però vanno secondo precise regole;
togli a noi il senso del peccato,
come noi lo toglieremo a chi gliene è rimasto un poco;
non lasciarci sfuggire nessuna occasione
e liberaci dal concetto di male.

Amen

Questo è il mondo secondo il vero ateo. A ognuno la sua preghiera.

sabato 18 luglio 2009

Elogio dell'ignoranza





Tutti oggi si credono intelligenti, sapienti, informati.

Secondo uno dei più noti aforismi di Antikom, “nell’epoca di Internet non è ammessa ignoranza”.
E allora, tutti in corsa virtuale a consultare Wikipedia per non fare la figura del povero ‘gnurant, colto in flagrante vuoto di cultura...

Non a caso Google ha ormai messo come prima voce di una qualsiasi ricerca la relativa pagina di Wikipedia, qualunque sia la cosa da cercare, fosse anche una parolaccia. Provare per credere! Evidentemente qualcuno, nonostante il turpiloquio dilagante, non ha ben chiaro i concetti e deve ricorrere al soccorso informatico.

Eppure ci sono stati nel corso della storia grandi uomini che si sono vantati della loro ignoranza. Anzi, hanno considerato l’ignoranza la più grande delle doti umane.

Socrate diceva: “Io so una sola cosa, di non sapere nulla”. Da qui il suo modo di affrontare la ricerca del vero con il dialogo e l’umiltà; merce oggi assai rara.

S. Agostino ha usato per la prima volta il concetto di “dotta ignoranza”. Esiste l’ignoranza dello sciocco, di colui che non sa e non vuol sapere; ed esiste l’ignoranza del dotto, cioè di colui che, pur conoscendo molte cose, sa che infinitamente più grande è la non conoscenza. Dunque un’ignoranza “dotta”, consapevole.

Bernardo di Chartres (XII secolo) si è servito dell’immagine dei “nani sulle spalle di giganti”: noi siamo i nani, che possiamo guardare più lontano dei nostri antenati non già per la nostra grande statura, ma in virtù del fatto che siamo posti più in alto.

Nicola Cusano ha scritto un famoso volume “Sulla dotta ignoranza” (1440). In questa opera egli mostra come il mistero di Dio sia già impresso nel mistero delle cose. Noi crediamo di conoscere la realtà con la matematica e le scienze; ma sono proprio esse a dirci che la realtà è un mistero insolubile per la nostra mente.
Molti gli insolubili del reale per la nostra mente. La ruota gira sul suo asse che rimane immobile, il triangolo di altezza infinita coincide con il rettangolo, e così via.
Coincidentia oppositorum, coincidenza di opposti, e la nostra mente va in tilt già nelle indagini scientifiche e matematiche…

Erasmo da Rotterdam ha scritto addirittura un “Elogio della pazzia” (1509), per invitare tutti coloro che si ritengono dotti ad un bagno di umiltà e ad un salutare volo nella libertà dello spirito.

Fichte, fondatore dell’idealismo, nella sua “Dottrina della scienza” (1794) afferma che il cammino dell’Io nella sua progressiva conquista del non-Io, cioè della non conoscenza, è infinito. Un compito che non si può esaurire.
Un commentatore moderno di Fichte, il filosofo Ernst Cassirer, nella sua monumentale Storia della filosofia moderna (1906), fa notare che più il cono di luce dell’Io e della conoscenza si apre, più diventa ampio il cono d’ombra circostante, della non conoscenza.

Sapere di non sapere, dotta ignoranza, nani sulle spalle di giganti, matti più intelligenti dei savi, cono d’ombra sempre più ampio… Un elogio dell’ignoranza, motivato.

Gesù ha detto: “Ti benedico, o Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai tenuto nascoste queste cose ai sapienti e agli intelligenti e le hai rivelate ai piccoli” (Mt 11, 25).

Sono i puri di cuore e gli umili di spirito che non perdono contatto con i grandi valori umani e spirituali.



Foto in alto: De docta ignorantia, Nicola Cusano, Codex 218, c. 1r, 1488, Ospedale di S. Nicola , Cusa (Germania)

venerdì 17 luglio 2009

Amo l'estate

Il mondo è bello perché è vario assai;
c’è chi va in auto, e chi vuol pedalare,
c’è chi va in chiesa e chi non ci va mai,
c’è chi ama la montagna e chi va al mare.

Ci sono quelli che amano l’inverno,
il freddo, il tempo rigido e glaciale.
A me piace l’Estate e il suo governo,
il sol leone e il caldo tropicale.

Mi libero da tosse e raffreddori,
se ne va l’influenza e la bronchite,
d’improvviso svaniscono i dolori;
ritorno un gatto dalle sette vite.

E siccome anche l’occhio è più vivace
nota che le donzelle e le signore
fanno a gara a chi sembra più procace
con vestiti che pugnan col pudore.

Lì vedi un ombelico a tortellino,
qua un lato B si mostra modellato,
due maniglie si sporgon da un golfino,
mentre prorompe un seno maggiorato.

Spenge i bollenti spiriti e gli ormoni
una donna da capo a piè velata…
Il mondo è vario, e tante le opinioni;
ma la migliore è sempre equilibrata.

giovedì 16 luglio 2009

Il tempo è oro




Madre e figlio (1905)

Pablo Picasso

(Stoccarda, Staatsgalerie)













Il tempo è oro


Mi’ madre me diceva, donna accorta:
“Fijo, nun perde’ ttempo, il tempo è oro;
e si ‘un te piace de studia’, ‘unn emporta;
butta via i libri e va’ a cerca’ un lavoro”.

Mi’ madre non c’è ppiù, ma ‘sto discorso
m’entrò nella capoccia e l’ho imparato.
Il tempo nello studio l’ho trascorso;
mo’ insegno, me diverte e so’ ppagato.

mercoledì 15 luglio 2009

Tempi moderni






L’epoca attuale è caratterizzata dal dominio assoluto del tempo. “Il tempo è tiranno”, e la nostra vita è scandita da orari implacabili: Non ho tempo, non c’è tempo, appena in tempo, tempo scaduto…

Se poi consideriamo lo scorrere degli anni, il tempo appare ancora più frustrante.

È maleducazione chiedere l’età ad una signora; ma ormai neppure gli uomini dicono volentieri la propria.

Si fa di tutto per rimanere giovani e i segni del tempo vengono smussati, stirati, restaurati, e resi (quasi) invisibili.

Tanti Dorian Gray in circolazione, dopo aver nascosto il vero ritratto in soffitta.

E proprio nella nostra epoca l’Esistenzialismo ha messo come punto centrale della sua visione della vita il tempo.

Heidegger ritiene che l’essere stesso dell’uomo si identifichi con il tempo (Sein und Zeit), e cioè che la vita umana non sia altro che un essere-per-la-morte. La temporalità è la caratteristica essenziale dell'essere, e quindi un fatale cammino verso l’annientamento, di cui ognuno deve prendere coscienza.

Questo drammatico approdo verso una visione nichilista e di cieco volontarismo, ha portato altri pensatori, di ispirazione cattolica, a riscoprire il valore del tempo come “giornale dell’anima” (Gabriel Marcel) e l’uomo come un viandante (homo viator) in cammino verso l’Assoluto, verso Dio, e non verso il nulla.

Impressionante, a questo riguardo, l’espressione di Georges Bernanos, nel momento della morte: “E ora, a noi due!”

Il tempo si conclude con l’ingresso nell’eternità.

martedì 14 luglio 2009

Parliamo del tempo (2)









Parlare del tempo può sembrare… una perdita di tempo.

Cosa c’è da dire su di un fatto così ovvio, che caratterizza la nostra esistenza e lascia ovunque segni visibili del suo inarrestabile passaggio?

Eppure l’uomo da sempre ha cercato di definire questo imprendibile signore, che procede solo in avanti, consumando ogni attimo che lui stesso genera.

Non a caso gli antichi lo hanno rappresentato proprio come una feroce divinità, Crono (Saturno), che divora i suoi figli appena generati.

In epoca moderna Hegel vede nel tempo un fattore positivo: in esso si incarnano storicamente le idee. Finché un’idea rimane astratta e non si immerge nella concretezza della storia, abbiamo le cose più sterili o aberranti.

Un esempio di idea sterile è “l’anima bella”, che crede di cambiare il mondo idealizzandolo romanticamente, ma senza immergersi in esso.

Un esempio di idea aberrante è la figura di “Robespierre”, il quale pensa di realizzare le idee rivoluzionarie senza confrontarsi con la realtà che ha davanti, ma tagliando le teste con la ghigliottina.

Per Hegel, solo quando un’idea diventa tempo e spazio, cioè concretezza storica, dentro la società e nello stato, allora abbiamo la pienezza della realtà.

È un ammonimento a non procedere per scorciatoie ideologiche, e al tempo stesso un invito ad immergersi nella concretezza del quotidiano. È lì che si verifica la validità di un’idea.

“Il tempo è galantuomo”, dicevano i nostri vecchi, senza conoscere Hegel.




Foto in alto: Saturno divora i suoi figli (1819-1823), Francisco Goya, Museo del Prado, Madrid

lunedì 13 luglio 2009

Parliamo del tempo...







Quando si parla di tempo, pensiamo subito alle previsioni meteorologiche.
E il bel tempo non vien mai a noia, si dice in Toscana.

Ma esiste il tempo inteso in senso generale, cioè lo scorrere delle ore, dei giorni, degli anni, dei millenni…

Noi abbiamo avuto la fortuna di vivere il trapasso tra il II e il III millennio. Non è una cosa di poco conto.

Ma, a parte il computo degli anni, che cos’è il tempo in se stesso?

I pensatori e gli scienziati hanno dato molte definizioni.

Ricordo le due più celebri.

Per Aristotele il tempo è “la misura del movimento” (mensura motus). Senza movimento non ci sarebbe il tempo; e il tempo scandisce il movimento e il divenire di un essere.
È una definizione “fisica”, “matematica”, “oggettiva”. È il tempo misurato dall’orologio, dalla clessidra, dalla meridiana.

L’altra definizione è quella di S. Agostino: il tempo è “sentimento dell’anima” (distensio animi). Senza il sentimento interiore il tempo non sarebbe avvertito. Infatti è il nostro animo che si accorge del tempo che passa: un tempo che diventa lunghissimo se si tratta di un dolore; un tempo rapido (troppo rapido!) se si tratta di una gioia o di uno svago.

Chi è stata sotto i ferri di un dentista sa cosa significa tempo interminabile…
Chi invece si intrattiene piacevolmente con una persona, “vàssene il tempo e l’uom non se n’avvede”, direbbe Dante.

S. Agostino aggiunge un’altra considerazione. Il tempo è vissuto solo nel presente, anche se si parla di passato e di futuro. Per cui esiste il presente del presente (qui e ora), il presente del passato (che il nostro animo recupera con la memoria) e il presente del futuro (che il nostro animo anticipa con la previsione). Ma tutto è vissuto nel momento presente.

L’uomo vive perciò in un continuo presente: un anticipo dell’eternità, che è l’eterno presente.

domenica 12 luglio 2009

Di che vogliamo parlare?










Per formazione, per carattere, per convinzione amo il dialogo e la discussione.

Mi piace discutere di tutto e con tutti, dallo sport alle grandi questioni esistenziali.

È evidente che se uno discute sul serio, cioè per la ricerca della verità, avverte diversi livelli di partecipazione emotiva.

Se discuto di sport, arrivo facilmente ad alzare il tono di voce, specie se si parla di calcio, e il linguaggio si colora di espressioni ben poco “sportive”. È un gioco; per questo si può arrivare al limite della decenza, senza vergogna.

Quando invece si parla di donne non si discute; si sorride, si accenna, si allude… C’è poco da discutere, su di un argomento che trova tutti i partecipanti (maschi) concordi. Anche il tono di voce si abbassa, mentre si alza notevolmente il livello… ormonale.

La politica mi dà l’orticaria. Per questo cerco di evitare discussioni. Alcune volte però non si può fare a meno di intervenire. Per esempio, ogni 5 anni vado a votare.
Ho le mie idee, naturalmente, e piuttosto chiare. Ma poiché la politica è sempre un po’ torbida, non le do quella fiducia che tante persone invece le attribuiscono, di qualunque partito siano.
Scelgo perciò quello che ritengo il minor male.

Ciò che mi appassiona invece è la ricerca della verità e della bellezza assoluta, che si esprime in un teorema di matematica, in una legge fisica, in un’opera d’arte, in una discussione di letteratura, di filosofia, di teologia...

A me piace indagare se dopo la morte mi aspetta il nulla eterno o il tutto che ho sempre desiderato, e trovarne gli indizi nei vari aspetti della realtà. E parlarne con gli altri, magari anche un'intera nottata.

Diceva Aristotele: la conoscenza deriva dalla meraviglia e conoscere significa procedere per cause, fino a raggiungere la Causa prima, quella che tutto muove e non è mossa da altri, l’Essere perfetto.

Ecco, questo mi appassiona.

venerdì 10 luglio 2009

Far West. Dio e il signor Colt




Oggi il Far West non solo ha perso il suo fascino romantico, ma ha assunto addirittura un significato negativo.

Far West è diventato sinonimo di assenza di legge, di giustizia fai-da-te, di legge del più forte.

In effetti, oltre al problema degli “indiani”, i conquistatori bianchi americani si trovarono a fare i conti tra di loro per problemi legati al banditismo, alla violenza, alla carenza di leggi e di coloro che dovevano farle rispettare.

I nuovi insediamenti umani, che nascevano con l’avanzare della ferrovia e dei pionieri, dovevano provvedere anche alla propria sicurezza. E lo Stato era lontano...

“Dio ha creato gli uomini diversi, Colt li ha resi uguali”.
Un detto memorabile, nato in questo contesto. L’invenzione della pistola a tamburo da parte di Samuel Colt (1814-1862) rese possibile una facile difesa personale contro il prepotente di turno. In questo senso tutti ora diventavano uguali, e piccoli, davanti ad una Colt 45.

La filmografia ha dato un grande contributo a rendere mitica la lotta tra la legge e i fuorilegge, tra sceriffo e banditi, tra il bene e il male.

La grande rapina al treno, di Edwin Porter (1903), diede inizio a questa saga, continuata con capolavori come Mezzogiorno di fuoco (1952), Quel treno per Yuma (1957), Sfida all’OK Corral (1957), Un dollaro d’onore (1959), I magnifici sette (1960).

Un’infinità di films e di grandi attori, ben rappresentati tutti da John Wayne.

Ma è stato il cinema italiano a dare l’ultimo grande contributo al genere western.

I films di Sergio Leone, con la musica di Ennio Morricone, sono entrati nella leggenda.

Per questo, nonostante tutto, il Far West a me fa sempre sognare...



giovedì 9 luglio 2009

Arrivano i nostri!... al Sand Creek



Far West! Oggi queste parole hanno perso molto del loro fascino.

A me invece fanno venire in mente lo squillo della tromba e l’arrivo a spron battuto della cavalleria delle “giacche azzurre” che libera i coloni bianchi, accerchati con i loro carri dagli “indiani” in cerca di preda e di scalpi.

E noi ragazzi, sempre in prima fila nella sala cinematografica, che ci si alzava in piedi gridando la nostra gioia… Eh sì, “arrivano i nostri!”

La storia la scrivono i vincitori.

Per molti anni storia e filmografia hanno rappresentato questo cliché: da un lato i bianchi che portano libertà, civiltà, progresso; dall’altro le selvagge tribù indiane (Apaches, Sioux, Cheyennes…), che si oppongono con crudeltà e astuzia a questa inarrestabile avanzata.

Il treno, il telegrafo, le diligenze, le carovane… e gli assalti degli indiani.

John Ford è il regista che meglio ha narrato la conquista del west come una grandiosa avventura, nella quale gli indiani hanno rappresentato in vari modi un ostacolo da superare; da Cavallo d’acciaio (1926), a Ombre Rosse (1939), a Sentieri Selvaggi (1956).

La altre figure del west, e cioè fuorilegge, sceriffi, cowboys, bounty killers, con l’immancabile colt o winchester, costituiscono un filone quasi parallelo a quello indiano, e hanno ispirato numerosi capolavori, da Mezzogiorno di fuoco alle memorabili pellicole di Sergio Leone, negli anni '60.

Con Soldato Blu di Ralph Nelson (1970) che narra il massacro del villaggio cheyenne del Sand Creek, Piccolo grande uomo di Arthur Penn (1970) e Corvo Rosso non avrai il mio scalpo di Sydney Pollack (1972) il cinema, in seguito alla revisione storica di questa guerra, inizia a descrivere un’altra realtà: quella di un popolo nativo che viene espropriato delle sue risorse e in gran parte fisicamente eliminato.

Si deve notare il fatto che questa revisione storica è stata intrapresa coraggiosamente da autori e registi americani.

Quando i fatti sono ben conosciuti, bisogna avere l’onestà e il coraggio di rileggere la storia senza pregiudizi ideologici.

Voglio ricordare “l’epopea” del west con la canzone "Fiume Sand Creek" di Fabrizio De André (1981), dedicata all'episodio realmente accaduto il 29 novembre 1864.

Truppe della milizia del Colorado, comandate dal colonnello John Chivington, attaccarono un villaggio di Cheyennes e Arapaho, massacrando donne e bambini.

Ma da ragazzi queste cose non si sapevano…

martedì 7 luglio 2009

Un giorno di lacrime




Giornata tristissima oggi.

A Viareggio nella mattinata sono state celebrate le esequie delle vittime della sciagura ferroviaria: 23 morti, tra cui alcuni bambini.

A Los Angeles nel tardo pomeriggio saranno rese onoranze funebri a Michael Jackson.

Oggi c’è posto solo per le lacrime.

E solo la musa tragica di Giuseppe Verdi può degnamente rappresentare tanto dolore.


Lacrimosa (dalla Messa di Requiem)

Lacrimosa dies illa,
qua resurget ex favilla
judicandus homo reus;
huic ergo parce, Deus:

Pie Jesu Domine,
dona eis requiem. Amen.


Quel giorno sarà un giorno di lacrime,
quando risorgerà dal fuoco
il peccatore per essere giudicato;
perdonalo, o Dio.

Pio Signore Gesù,
dona loro la pace. Amen.

Salvate il soldato Johnny!



La guerra di secessione americana (1861-65), come tutte le guerre civili, fu combattuta con  asprezza tra le due parti, gli Stati dell’Unione (i Nordisti) e gli Stati della Confederazione (i Sudisti).

La vittoria dei Nordisti portò all’abolizione della schiavitù e accellerò lo sviluppo industriale della nazione.

Come in tutte le guerre, i canti e le marce militari ebbero una parte significativa, entrarono nella memoria di un popolo e, attraverso i mass media e i films (chi non ricorda la scena finale de Il dottor Stranamore di Stanley Kubrick?), nella cultura musicale in genere.

I Sudisti trovarono in Dixie il loro inno. I Nordisti marciarono al canto di John Brown.

Ma la canzone che più di ogni altra è il simbolo di questa guerra è When Johnny Comes Marching Home, o semplicemente Hurrah!

Venne pubblicata da Patrick Sarsfield Gilmore nel 1863 e dedicata all’Esercito e alla Marina dell’Unione.
Un canto nordista, dunque, ma che auspicava la fine della guerra e il felice ritorno a casa del soldato Johnny.

La musica e perfino le parole si ispirano ad un precedente canto popolare irlandese (Johnny We Hardly Knew Ye), che però ha un significato più nettamente antimilitarista.



When Johnny comes marching home again,
Hurrah! Hurrah!
We'll give him a hearty welcome then
Hurrah! Hurrah!
The men will cheer and the boys will shout
The ladies they will all turn out
And we'll all feel gay,
When Johnny comes marching home.

The old church bell will peal with joy
Hurrah! Hurrah!
To welcome home our darling boy
Hurrah! Hurrah!
The village lads and lassies say
With roses they will strew the way,
And we'll all feel gay
When Johnny comes marching home.

Get ready for the Jubilee,
Hurrah! Hurrah!
We'll give the hero three times three,
Hurrah! Hurrah!
The laurel wreath is ready now
To place upon his loyal brow
And we'll all feel gay
When Johnny comes marching home.

Let love and friendship on that day,
Hurrah, hurrah!
Their choicest pleasures then display,
Hurrah, hurrah!
And let each one perform some part,
To fill with joy the warrior's heart,
And we'll all feel gay
When Johnny comes marching home.

When Johnny...


Quando Johnny ritornerà marciando a casa,
Urrà! Urrà!
Gli daremo di cuore un benvenuto
Urrà! Urrà!
Gli uomini saluteranno e i ragazzi strilleranno
Tutte le donne usciranno fuori,
E tutti ci sentiremo felici
quando Johnny tornerà marciando a casa.

La vecchia campana della chiesa risuonerà di gioia
Urrà! Urrà!
Per accogliere il nostro caro ragazzo,
Urrà! Urrà!
Diranno ragazzi e ragazze del villaggio
Copriranno di rose la strada,
E tutti ci sentiremo felici
quando Johnny tornerà marciando a casa.

Preparatevi al festeggiamento,
Urrà! Urrà!
Che faremo al nostro eroe tre volte tre,
Urrà! Urrà!
La corona d'alloro è pronta adesso
Per ornare la sua fronte leale,
E tutti ci sentiremo felici
quando Johnny tornerà marciando a casa.

Pace ed amicizia quel giorno,
Urrà! Urrà!
Mostrino dunque i loro eletti piaceri,
Urrà! Urrà!
E ciascuno faccia la sua parte,
Per riempire di gioia il cuore del guerriero,
E tutti ci sentiremo felici
quando Johnny tornerà marciando a casa.

lunedì 6 luglio 2009

Gerico! E le mura crollarono (spiritual)






Mahalia Jackson (1911-1972) è considerata la più grande cantante di spirituals.

Con la sua voce duttile, potente ed espressiva, riesce ad evidenziare appieno la ricchezza di significato che si cela dietro l’apparente semplicità di questi canti.

Nata in una capanna sulle rive del fiume Misissippi, presso New Orléans, iniziò con una serie di lavori umilissimi, come la domestica e la lavandaia.

La sua straordinaria voce di contralto (ma con tre ottave di estensione!) non poteva passare inosservata, e così Mahalia riuscì ad imporsi all’attenzione di tutti, incidendo per le etichette Decca, Apollo e Columbia.

Negli anni '50 la sua popolarità raggiunse l’acme. La Jackson divenne quasi una leggenda.

Nel 1963 partecipò al fianco di Martin Luther King alla celebre marcia di Washington, durante la quale intonò la canzone simbolo della libertà vittoriosa, We shall overcome.

Ascoltiamo dalla sua voce uno dei più noti negro spirituals: Jericho.

Le catene della schiavitù cadranno, come caddero le mura di Gerico al suono delle trombe dell’esercito di Giosuè.

http://www.youtube.com/watch?v=gPZuWzZvoYQ


Joshua fit the battle of Jericho
Jericho Jericho
Joshua fit the battle of Jericho
And the walls came tumbling down. Hallelujah!

Joshua...

You may talk about your men of Gideon
You may talk about your men of Saul
There's none like good old Joshua
At the battle of Jericho. That mornin’.

Joshua...

Up to the walls of Jericho
with sword drawn in his hand
Go blow them horns, cried Joshua,
the battle is in my hands. Halleluiah!


Giosuè combattè la battaglia di Gerico,
e le mura caddero giù. Alleluia!

Potete parlare di uomini come Gedeone,
potete parlare di Saul.
Ma non c'è nessuno come il buon vecchio Giosuè,
alla battaglia di Gerico. Quella mattina.

Fin sotto le mura di Gerico
con la spada sguainata in pugno
"Soffiate nei vostri corni" gridò Giosuè,
"la battaglia è nelle mie mani". Alleluia!

domenica 5 luglio 2009

Canti di libertà. I negro spirituals



Gli afro-americani costuiscono una delle componenti essenziali della società e della cultura statunitense.

Oggi più che mai, con l’afro-amerciano Barack Obama che è giunto fino alla Casa Bianca.

Si è avverato un sogno, quello che aveva vagheggiato Martin Luther King nel suo celeberrimo discorso di Washington del 28 agosto 1963.

I have a dream: that one day this nation will rise up and live out the true meaning of its creed: "We hold these truths to be self-evident, that all men are created equal"

Ho un sogno: che un giorno questa nazione si sollevi e viva pienamente il vero significato del suo credo: "Riteniamo queste verità di per se stesse evidenti: che tutti gli uomini sono stati creati uguali".

Il cammino di liberazione della gente di colore è stato lungo e drammatico: una liberazione per molti aspetti paragonabile ad un evento biblico.

E proprio nella fede in Cristo e nella sua parola il popolo nero ha trovato non solo il conforto e la speranza durante il suo faticosissimo esodo, ma anche un mezzo per esprimere con il canto l’attesa della liberazione.

I canti negro-spirituals sono per lo più temi biblici nei ritmi delle danze africane.

Questi canti, oltre ad essere una preziosa testimonianza storica e di grande valore musicale, hanno costituito la base della musica americana moderna, dal blues al jazz, al rock, al pop.

Tra i vari negro spirituals (alcuni famosissimi, pensiamo a When the Saints go marchin' in) ne ho scelto uno meno noto, ma non meno bello, che ci dà l’idea del valore di questo tipo di canto, e di quale apporto abbia dato alla musica attuale.


Didn't my Lord

Didn't my Lord deliver Daniel?
Deliver Daniel, deliver Daniel?
Didn't my Lord deliver Daniel?
And why not every man?

He delivered Daniel from the lion's den
Jonah from the belly of the whale
And the Hebrew chillen from the fiery furnace
And why not every man?

Didn't my Lord deliver Daniel?

De win’ blows eas’ an’ de win’ blows wes’
It blows like a judgement day
An’ every po’ sinner dat never did pray’ll
Be glad o pray dat day.

Didn't my Lord deliver Daniel?

I set my foot on the gospel ship,
And the ship it begin to sail,
And it landed me over on Canaan's shore,
And I'll never come back anymore.

Didn't my Lord deliver Daniel?


Mio Signore, non hai liberato Daniele?
e perché non liberi ogni uomo?

Egli ha liberato Daniele dalla fossa dei leoni
e Giona dal ventre della balena
e i fanciulli ebrei dalla fornace ardente,
e perché non libera ogni uomo?

sabato 4 luglio 2009

Independence Day. Dal Nuovo Mondo (Dvorak)



La scoperta dell’America è frutto del coraggio e dell’ostinazione di Cristoforo Colombo.

Arrivare a levante passando da ponente, arrivare alle Indie andando in direzione opposta, per molti sarà sembrato allora come per un fiorentino “andare a Roma per Mugello”.

Invece per Colombo, visto che la terra è tonda, e secondo lui molto piccola, era come “fare il giro del tegame”: gira gira, torni sempre al solito punto.

Il 12 ottobre 1492 ha così scoperto, incidentalmente, il Nuovo Mondo.

Da questo Nuovo Mondo sono venute novità di ogni genere. Dalla rivoluzione nel cibo (cosa sarebbe il mondo senza il pomodoro e la cioccolata?) a quella politica.

La prima dichiarazione dei diritti dell’uomo, come manifesto politico, è la Dichiarazione d’Indipendenza, del 4 luglio 1776, di Thomas Jefferson, a cui si è ispirata quella successiva della Rivoluzione francese del 1789.

"Quando nel corso degli umani eventi si rende necessario ad un popolo sciogliere i vincoli politici che lo avevano legato ad un altro ed assumere tra le altre potenze della terra quel posto distinto ed eguale cui ha diritto per Legge naturale e divina, un giusto rispetto per le opinioni dell'umanità richiede che esso renda note le cause che lo costringono a tale secessione. Noi riteniamo che le seguenti verità siano di per se stesse evidenti; che tutti gli uomini sono stati creati uguali, che essi sono dotati dal loro creatore di alcuni Diritti inalienabili, che fra questi sono la Vita, la Libertà e la ricerca delle Felicità; che allo scopo di garantire questi diritti, sono creati fra gli uomini i Governi, i quali derivano i loro giusti poteri dal consenso di governanti; che ogni qual volta una qualsiasi forma di Governo, tende a negare tali fini, è Diritto del Popolo modificarlo o distruggerlo, e creare un nuovo governo...."

L’America ha costituto, specialmente negli ultimi due secoli, la speranza e il sogno di riscatto per milioni di persone provenienti da ogni parte del mondo, compresa l’Italia.

A questo affascinante nuovo mondo il musicista boemo Anton Dvorak volle dedicare, nel suo soggiorno americano, la magnifica Sinfonia n. 9, “Dal Nuovo Mondo”, nel 1893.

È anche il nostro modo per ricordare il 4 luglio.

La parte finale della sinfonia, eseguita magistralmente dai Wiener Philharmoniker diretti da Herbert von Karajan, qui: http://www.youtube.com/watch?v=r-XZpN6XtKY

giovedì 2 luglio 2009

In memoriam delle vittime di Viareggio. Lacrimosa (Mozart)



Purtroppo la sciagura ferroviaria di Viareggio assume sempre più le dimensioni di una spaventosa tragedia.

I morti sono ora 18, una ventina i feriti in pericolo di vita, altri in gravi condizioni, centinaia gli sfollati, case distrutte, automezzi incendiati…

Un bollettino di guerra. Lo scoppio dei grandi contenitori di GPL trasportati dal treno e fuoriusciti dalle rotaie per una rottura di un carrello ha avuto effetti devastanti.

I vigili del fuoco e i volontari si sono prodigati in modo ammirevole per portare i soccorsi. Una straordinaria dimostrazione di generosità e di efficienza, in mezzo a tanto disastro.

“Ho visto l’inferno” ha detto un sopravvissuto.

E proprio questa immane potenza del fuoco sterminatore è ciò che ha impressionato tutti.

A me ha fatto pensare alle parole finali del Dies Irae: Lacrimosa dies illa qua resurget ex favilla (Quel giorno sarà un giorno di lacrime, quando risorgerà dal fuoco); con la dolente, drammatica eppure dolcissima musica di Mozart nella sua Messa di Requiem.



Lacrimosa dies illa,
qua resurget ex favilla
judicandus homo reus;
huic ergo parce, Deus:

Pie Jesu Domine,

dona eis requiem. Amen.


Quel giorno sarà un giorno di lacrime,
quando risorgerà dal fuoco
il peccatore per essere giudicato;
perdonalo, o Dio.

Pio Signore Gesù,
dona loro la pace. Amen.

mercoledì 1 luglio 2009

Per i morti della sciagura di Viareggio

























Di fronte alla gravissima sciagura accaduta a Viareggio, in cui hanno perso la vita 14 persone e molte altre sono in condizioni disperate, l’unica cosa che possiamo fare da qui è esprimere il nostro grande dolore.

E io lo voglio fare postando l’immagine stessa del dolore, la Deposizione di Gesù nel sepolcro, del Caravaggio.

Un immenso dolore, espresso dai gesti delle donne che accompagnano il corpo di Gesù: Maria di Cleofa, Maria Maddalena e Maria Santissima.

Al tempo stesso, una raffigurazione solenne, che va dalle braccia alzate di Maria di Cleofa, al braccio pendente di Gesù che sfiora senza vita il sepolcro.

La scena è solenne, ma il Caravaggio non dimentica che cosa significa la morte.

Il volto livido di Gesù e il pallore delle sue membra, che fanno duro contrasto con i rossi vestimenti dei personaggi; e insieme, la forte presa delle braccia e lo sforzo delle gambe di Giuseppe di Arimatea, aiutato da Giovanni, per ricordarci che il trasporto di un cadavere è anche fatica.

Giuseppe di Arimatea è raffigurato con il viso rivolto verso di noi.
È un invito a partecipare al dolore per la morte di Cristo.

Un invito a partecipare al dolore e al lutto per tanti poveri Cristi nella terribile sciagura ferroviaria di Viareggio.