venerdì 22 settembre 2017

La Boldrini ha abolito il Lei (come il Duce)



















Alcune categorie di donne in parlamento non vogliono cambiare la dizione maschile della loro professione, come invece impone in questi giorni un provvedimento grammaticale "femminista" della Boldrini. 

Le interessate fanno notare che, ad esempio, la qualifica di "segretaria" non ha lo stesso valore semantico (almeno in parlamento) di "segretario". La prima dà l'idea di una donna tuttofare, alle dipendenze di qualcuno. Il segretario è tutt'altra cosa.

Inconcepibile la dizione "addetta stampa": una qualifica francamente inqualificabile; addetta sembra l'aggettivo del nome stampa. 

Andando oltre a questa "guerra intestina"  tra donne in parlamento, pongo alla Boldrini il seguente quesito grammaticale: quando Lei si rivolge ad un parlamentare uomo, o a qualcuno di sesso maschile in modo formale, gli dà del Lei? Penso di sì.

Ma allora trasforma un uomo in una donna, gli cambia sesso. Il lei (se Lei non lo sa) è un pronome personale femminile.

Per essere coerente, maestra Boldrini, dovrai abolire il Lei. In pratica dovrai fare come fece il Duce nel ventennio: "Mussolini ha abolito il Lei".

Insomma, dovrai fare una legge fascista. 

E Lei, come ducetta, mi sembra proprio la persona giusta.

Tornare al bel  Tu romano. Ma non Le suona un po' fascio? 






mercoledì 20 settembre 2017

Il “settembre nero” delle donne





La cronaca di questi giorni è piena di fatti criminosi nei confronti delle donne. Uccisioni, stupri, violenze di ogni genere. Rimini, Milano, Firenze, Roma, Lecce, Casale Monferrato, Napoli, Catania sono alcuni luoghi di questo “settembre nero” per le donne; tra di esse, perfino un’anziana di 80 anni.

Voglio esprimere la mia solidarietà affettuosa verso le vittime, e tutto il mio sdegno per questa barbarie dilagante.

Desidero esprimere questi sentimenti anche con una delicata canzone di Lucio Battisti, piena di affetto verso il mondo femminile, anche nei suoi risvolti più “marginali”: una donna in solitudine (forse una suora), una prostituta, una ragazza madre.

“Anche per te”, del 1971, una canzone che non ha perso nulla del suo fascino e ha molto da dire alla nostra coscienza.




Anche per te  (Mogol-Battisti)

Per te che è ancora notte e già prepari il tuo caffé
Che ti vesti senza più guardar lo specchio dietro te
Che poi entri in chiesa e preghi piano
E intanto pensi al mondo ormai per te così lontano

Per te che di mattina torni a casa tua perché
Per strada più nessuno ha freddo e cerca più di te
Per te che metti i soldi accanto a lui che dorme
E aggiungi ancora un po' d'amore a chi non sa che farne

Anche per te vorrei morire, ed io morir non so
Anche per te darei qualcosa che non ho
E così, e così, e così
Io resto qui
A darle i miei pensieri
A darle quel che ieri
Avrei affidato al vento cercando di raggiungere chi
Al vento avrebbe detto sì

Per te che di mattina svegli il tuo bambino e poi
Lo vesti e lo accompagni a scuola e al tuo lavoro vai
Per te che un errore ti è costato tanto
Che tremi nel guardare un uomo e vivi di rimpianto

Anche per te vorrei morire, ed io morir non so
Anche per te darei qualcosa che non ho
E così, e così, e così
Io resto qui
A darle i miei pensieri
A darle quel che ieri
Avrei affidato al vento cercando di raggiungere chi
Al vento avrebbe detto sì.

martedì 12 settembre 2017

Il Papa che mi piace























In questi giorni c’è stato il tanto atteso chiarimento di Papa Francesco sull’accoglienza dei migranti in Italia.

Parlando con il premier Gentiloni il Papa ha detto:
“Il problema è sempre avere un cuore aperto. È un comandamento di Dio. Anche se non basta soltanto aprire il cuore, chi governa deve gestire questo problema con la verità del governante che è la prudenza. Che significa domandarsi, primo: quanti posti ho? Secondo, occorre ricordare che non bisogna solo riceverli ma anche integrarli”. Il Papa inoltre ha sottolineato che bisogna aiutare l’Africa nel suo sviluppo. Per dirla più alla buona: “aiutarli a casa loro”.

La prudenza. I posti disponibili. Un’accoglienza decente. Queste sono parole di vera carità cristiana, e di saggio governo. Non un’accoglienza indiscriminata e senza regole, quella che piace alle Ong e alla Boldrini.
È un chiarimento che io, come la stragrande maggioranza degli italiani, cattolici e non, si aspettava. In fondo ha “benedetto” il ministro Minniti. Speriamo che questi non si lasci traviare dai cattivi “compagni”…

Il viaggio apostolico in Colombia, concluso domenica scorsa, è stato poi un grande “successo”. Non di carattere mondano, ovviamente (tra l’altro Papa Francesco ha rimediato una bella botta in faccia nella brusca frenata della papamobile). Un successo pastorale (oltre un milione di persone alla S. Messa a Bogotà); un contributo determinante nella pacificazione degli animi, divisi da decenni di guerra civile; una condanna senza appello dei narcotrafficanti, "seminatori di morte"; e un appello pressante alla salvaguardia del creato. Ha chiamato "stupido" chi non si rende conto dei cambiamenti climatici per colpa dell’uomo.

Quando vuol farsi capire, questo Papa usa un linguaggio papale papale...



sabato 9 settembre 2017

L’eterna giovinezza di Lucio Battisti




Marzo e settembre musicalmente per me sono i mesi di Lucio Battisti. 

Sono i mesi in cui è nato (5 marzo 1943) e morto (9 settembre 1998), e sono i mesi di due delle sue più belle canzoni: “I giardini di marzo” e “29 settembre”.
Non posso lasciar passare questo 9 settembre senza postare una canzone di Battisti, a 19 anni dalla sua scomparsa. Aveva solo 55 anni.

Il più grande “cantautore” italiano (insieme a Fabrizio De André) e uno dei massimi artisti di musica leggera del XX secolo nel mondo intero (per favore, non fatemi paragoni con le supervalutate e spocchiose rockstars inglesi e americane, e di qualunque altro luogo; di musica me ne intendo), non teme confronti con nessuno. 
Non basta la lingua inglese e un po' di scenografia per fare un capolavoro.  Ci vuole un genio musicale; poi è sufficiente un filo di voce e una chitarra acustica. Come Lucio Battisti.

Oggi voglio ascoltare “Io vivrò (senza te)”. Scelgo questa canzone perché, al ricordo struggente di lui, anch’io “piangerò, sì, io piangerò…”.  

Ciao, eterno giovane Lucio! 


sabato 2 settembre 2017

Finis Americae
















In questi giorni gli Stati Uniti sono stati colpiti dall’uragano  Harvey, che ha messo in ginocchio il Texas e ha flagellato la Louisiana.
Relativamente contenute, per fortuna, le perdite di vite umane, una cinquantina di morti; ma  un milione sono stati gli sfollati, con città allagate, impianti petroliferi e industriali devastati, sversamenti di sostanze tossiche di ogni tipo nelle acque, e un danno economico enorme, stimato intorno a 160 miliardi di dollari.
Insieme a questa catastrofe naturale, si deve aggiungere la difficile situazione politica estera, sia nei riguardi della Russia (testimoniata dalla chiusura del Consolato russo a San Francisco), sia soprattutto nei confronti della Corea del Nord, dove il folle dittatore Kim Jong minaccia una guerra nucleare contro gli Usa.

Insieme a queste drammatiche notizie ce n’è un’altra che può sembrare di minor peso, ma che a mio parere testimonia il declino dello “spirito americano”: l’abbattimento in molti luoghi delle statue di Cristoforo Colombo, e a Los Angeles la cancellazione del Columbus Day, sostituito da una “festa dei nativi americani”.
Cosa c’entri Cristoforo Colombo con il genocidio degli “indiani” lo sanno solo quelli che confondono la storia con l’astrologia. A parte l’enorme importanza della scoperta del “Nuovo Mondo”, che ha cambiato il volto della storia umana, Cristoforo Colombo non sbarcò neppure in territorio statunitense, ma a S. Salvador, una delle isole che oggi sono denominate Bahamas; fu accolto con rispetto dai nativi e tenne un atteggiamento di grande rispetto verso di loro.
Non si possono certo attribuire a Colombo le colpe di altra gente venuta dopo di lui. Né si può dimenticare che la prima carta dei diritti dell’uomo in epoca moderna è stata quella di Thomas Jefferson, proclamata nel giorno dell’indipendenza degli Stati Uniti, il 4 luglio 1776.
La nostra stessa liberazione dal fascismo e dal nazismo è in gran parte opera americana.
Di errori l’America ne ha fatti molti; ma non saper riconoscere che il suo spirito di indipendenza e di libertà è stato un faro di orientamento per tutti i popoli, mi pare un comportamento da masochisti; un “cupio dissolvi”, un desiderio di autodistruzione peggiore dell'uragano Harvey e delle minacce nucleari del tirannello nordcoreano.
Cristoforo Colombo è l’uomo che ha dato tutto sé stesso per un’impresa considerata “impossibile”: valicare l’oceano. È l’emblema dell’uomo stesso, che non si sazia di conoscere e di scoprire. 
Cancellare la sua festa, tagliargli la testa in effigie è come condannare di nuovo Galileo, e tagliare la testa a Lavoisier; condannandolo alla ghigliottina il giudice Coffinhal affermò: “La rivoluzione non ha bisogno di scienziati”.
Se gli Stati Uniti non sanno più leggere neppure la propria storia, allora è la loro fine: “finis Americae”.

Che tristezza!