martedì 29 settembre 2009

Ave Maria! nella festa dell'arcangelo Gabriele



Dopo aver ricordato il Concilio di Efeso, che ha messo in piena luce il ruolo della Vergine Maria nella storia della salvezza, riconoscendola Madre del Figlio di Dio, mi pare opportuno offrirle la preghiera a lei più gradita, e cioè il saluto dell’Arcangelo Gabriele, di cui oggi si ricorda la festa (insieme a S. Michele e S. Raffaele): Ave Maria.

Nel campo della musica non c’è autore che non abbia voluto misurarsi con questa preghiera, dagli anonimi del canto gregoriano, ad Arcadelt, Victoria, Palestrina, Caccini… fino a Mozart, Schubert, Gounod, Verdi, Mascagni, Rachmaninov, Kodaly, Poulenc, per ricordare solo alcuni dei più noti.

Celeberrime le melodie di Schubert e di Gounod.

Io però voglio presentare l’Ave Maria di Giulio Caccini (1550-1618), - si tratta per la verità di una moderna rielaborazione di Vladimir Vavilov - perché meno conosciuta ma non meno bella. E voglio scegliere non un’esecuzione perfetta (come quelle di Sumi Jo, di Bocelli, e via dicendo), ma un video imperfetto sotto tutti i punti di vista.

Un coro di dilettanti quasi "allo sbaraglio" (di un college della California), un operatore che "taglia" le teste, un video "ballerino"…

Eppure, secondo me, questa esecuzione ha un fascino particolare.

Anzitutto l’arrangiamento. Un canto solistico è stato trasformato in un canto corale, e con un andamento ritmico molto serrato e coinvolgente. Decisivo al riguardo l’apporto del pianoforte.

Inoltre i coristi. Sono, è vero, molto alla buona (per usare un eufemismo), ma hanno la freschezza della gioventù e la serietà dell’Accademia Chigiana.

Cantano con convinzione. E alla fine, convincono.

lunedì 28 settembre 2009

Il Concilio di Efeso







Con i concili di Nicea e di Costantinopoli la fede nella SS. Trinità, il mistero principale del Cristianesimo, è stata messa al riparo dagli attacchi degli eretici.

Invece nuovi attacchi eterodossi vennero poco dopo diretti alla figura di Gesù.

Il patriarca stesso di Costantinopoli, Nestorio, non voleva che Maria Santissima venisse chiamata “Madre di Dio” (Theotòkos) nelle preghiere liturgiche.

Essendo il Figlio di Dio eterno e non creato, come diceva il Concilio di Nicea, l’espressione Madre di Dio secondo lui doveva essere respinta, perché implicava l’idea di un Dio creato.

Maria invece doveva essere chiamata “Madre di Cristo” (Christotòkos), cioè madre di un uomo, il Cristo, al quale il Figlio di Dio si accompagnava con la sua potenza, ma rimanendo ben distinto.

Come si vede, il problema di Nestorio non era solo mariano, ma prima ancora cristologico; lui distingueva due figli: il Figlio di Dio, eterno e increato, e il figlio della Vergine Maria, Gesù di Nazaret, creatura umana. Due nature e due persone distinte. La loro unione era solo spirituale ed estrinseca.

Dietro sollecitazione dello stesso Nestorio, l’imperatore Teodosio II, che gli era inizialmente favorevole, convocò un Concilio a Efeso nel 431.

Nestorio cercò in ogni modo di far volgere a suo favore la situazione. Ma il coraggio e la tenacia di S. Cirillo di Alessandria, incaricato da papa Celestino che già si era espresso contro Nestorio, fecero sì che il santo sinodo non venisse vanificato; e nonostante le proteste del commissario imperiale il 22 giugno del 431 S. Cirillo aprì il concilio alla presenza di 153 vescovi, che si pronunziarono contro Nestorio, condannando come eretiche le sue affermazioni e deponendolo dal suo incarico.
La sera dello stesso giorno, la popolazione di Efeso, informata delle decisioni del concilio, con una memoranda fiaccolata portò in trionfo i padri conciliari, scandendo il titolo mariano per eccellenza: Theo-tokos, Madre di Dio.

Dire Maria Madre di Dio significa dire che Gesù è vero Dio e vero Uomo, due nature unite nell’unica Persona (Ypòstasis) del Figlio di Dio. Il mistero della “unione ipostatica”, cioè delle due nature, divina e umana, nella Persona del Figlio, è ciò che risulta da tutta la Scrittura e dall’insegnamento comune della Chiesa. Nel Vangelo Maria è detta proprio “Madre del Signore” (Lc 1, 43) e le prime preghiere liturgiche la invocavano come “Sancta Dei Genitrix”, Santa Madre di Dio.

Madre di Dio significa perciò che la Madonna ha portato nel mondo, dandogli la natura umana, il Figlio di Dio, la seconda Persona della SS. Trinità.

La Madonna non ha dato vita alla divinità di Cristo, perché ciò sarebbe una bestemmia: una creatura non può generare il Creatore. Maria ha dato la natura umana all’unigenito Figlio di Dio, natura umana però che è intimamente unita, indissolubile con la divinità.

Per questo si dice: Dio è nato da Maria, ha abitato a Nazaret, ha sofferto, è morto in croce, è risorto; e si capisce che non è certo la natura divina a nascere, a soffrire, a morire, a risorgere, ma quella umana del Figlio di Dio.

Ma non si può dire solo Madre di Gesù, semplice uomo, come voleva Nestorio, perché Gesù è realmente l’unigenito Figlio di Dio, fatto uomo.

Ciò che si dice dell'una natura si può perciò dire dell'altra, riferendosi all'unica Persona (i Padri dicevano "comunicazione dei linguaggi"). Il Figlio di Dio nasce a Betlemme, ma anche Gesù di Nazaret compie miracoli; il Figlio di Dio soffre la fame e la sete; ma anche Gesù dice "Io e il Padre siamo una cosa sola", “Prima che Abramo fosse, Io Sono”.

Sarebbe assurdo invece dire la natura divina soffre la fame e la sete; oppure la natura umana compie miracoli, etc.

È nella Persona che si uniscono indissolubilmente le due distinte nature.

Se vogliamo fare un debole paragone con la nostra realtà umana, si può dire che “la mente pensa” e “la bocca mangia”; non si può dire la mente mangia e la bocca pensa. Ma si può dire “io penso, io mangio”, attribuendo ambedue le attività, materiali e spirituali, del nostro essere alla persona che le compie.

Il Concilio di Efeso proseguì fino al giorno 11 ottobre, che nella storia della Chiesa ha una grande importanza; in riferimento ad esso, nel 1962 Giovanni XXIII ha aperto il Concilio Vaticano II, “con la protezione della Vergine santissima, nel giorno stesso in cui si celebra la sua divina Maternità”.




domenica 27 settembre 2009

La SS. Trinità





A Nicea e Costantinopoli la Chiesa ha difeso la verità dell’unico Dio in tre Persone, così come Gesù lo ha rivelato nel Vangelo: Padre, Figlio, Spirito Santo.

Il sommo mistero della Santisssima Trinità non è qualcosa che vuol rendere più complicata la vita a coloro che credono o cercano la verità. Non è un rompicapo da risolvere.
Al contrario, è la più mirabile e feconda delle verità che possiamo incontrare.

La Trinità delle Persone divine ci dice anzitutto che Dio non è una monade solitaria, ma una comunione di amore di tre Persone, unite nell’unica natura divina.

È una comunione di amore, che si fonda sulla relazione tra le tre Persone; ed è una comunione così profonda che non solo non intacca l’unità di Dio, ma la costituisce nella sua pienezza.

Il mistero trinitario è normativo anche per l’essere umano. Per noi significa che il modello da seguire non è l’individualismo, ma il riconoscimento reciproco.

L’uomo deve riconoscersi come persona; cioè, la sua identità si realizza pienamente nella relazione con gli altri esseri umani; e gli uomini si riconoscerannno membri della stessa natura umana solo quando ogni persona entrerà in autentica relazione con l’altro.

La fede cristiana non potrà mai avere come legge morale quella dell’occhio per occhio o della vendetta, ma quella dell’amore, perché Dio è Amore: amore verso di noi, e prima ancora amore in sé stesso, nella relazione tra Padre, Figlio e Spirito Santo.

La riflessione sul mistero trinitario ha portato nel corso dei secoli ad una fecondissima riflessione sulla realtà umana.

È nei concetti di natura e di persona, derivanti proprio dalla riflessione trinitaria, che la nostra cultura, anche quella laica, ha le sue più nobili radici.

Dignità di ogni essere umano, rispetto verso tutti, relazioni di pace tra individui e tra popoli, unità del genere umano…

Nei vecchi o antichi documenti, anche in quelli più “materiali” come una compravendita, si iniziava sempre con questa dicitura: “Nel nome del Padre, del Figlio, dello Spirito Santo”.

Ogni cosa cominciava, come si dice in Toscana, “dal Nome del Padre”.

La Trinità per la nostra gente non era solo qualcosa di incomprensibile, ma prima di tutto garanzia di verità e potente sostegno nell’agire.

C’è un popolo che ancor oggi ha come simbolo nazionale un simbolo trinitario: la cattolica Irlanda. Il simbolo nazionale è il trifoglio (shamrock). Nella verde isola S. Patrizio, evangelizzatore del IV-V secolo, prima di entrare in Chiesa coglieva una piantina di trifoglio e mostrandola poi alla gente nella predica diceva: “Ecco un’immagine della Trinità; questa piantina di trifoglio: tre foglioline, una piantina sola”.

Un modo umile per avvicinarsi al mistero più grande della fede cristiana.

sabato 26 settembre 2009

Il Concilio di Costantinopoli (381)



Il Concilio di Nicea del 325 aveva riaffermato la divinità del Figlio di Dio, contro gli attacchi di Ario e dei suoi seguaci.
Il cuore del cristianesimo era salvo. Se Cristo non fosse Dio, l’annuncio del Vangelo verrebbe vanificato e la fede cristiana non avrebbe senso. Sarebbe la fede in una creatura e non in Colui che ci dà l’accesso a Dio.

Ma dopo Ario un altro ecclesiastico, anzi, il patriarca stesso di Costantinopoli, Macedonio, negò la divinità dello Spirito Santo. Secondo Macedonio e i suoi seguaci lo Spirito Santo era semplicemente una creatura spirituale, inferiore al Figlio e a lui sottomessa.

Si trattava in pratica di una continuazione dell’arianesimo, qui rivolto alla persona dello Spirito Santo. Come dissero i Padri: “l’arianesimo cambiava nome, ma non la sua malizia”.

L’imperatore Teodosio convocò nel 381 a Costantinopoli un concilio per definire la questione. Con la presidenza di S. Gregorio Nazianzeno i padri conciliari condannarono l’eresia macedoniana e riaffermarono la divinità dello Spirito Santo.

Al simbolo niceno, che si concludeva con le parole “Credo nello Spirito Santo”, i padri constantinopolitani aggiunsero: “che è Signore, e dà la vita, e procede dal Padre, e con il Padre e il Figlio è adorato e glorificato e ha parlato per mezzo dei profeti”.

Con il termine "Signore" (Dominus) affermavano la piena divinità, e condannavano la subordinazione al Figlio; con le parole “dà la vita” indicavano l’onnipotenza divina dello Spirito Santo; le altre espressioni, specialmente la generazione immanente dal Padre [e dal Figlio], ricordavano per sempre il mistero trinitario, come Cristo ce lo ha rivelato: Dio è Padre, Figlio e Spirito Santo; e perciò ogni persona divina, essendo unita nella medesima natura, è ugualmente adorata e glorificata.

Il Concilio Costantinopolitano I può essere definito il concilio dello Spirito Santo, perché ha messo in rilievo la Terza Persona della Santissima Trinità, difendendola dagli attacchi ereticali.

Lo Spirito Santo ha dimostrato di essere Signore Dio e di dare la vita quando ha fecondato il grembo della vergine Maria, e quando ha trasformato degli uomini pusillanimi rinchiusi in una stanza “per paura dei Giudei”, in apostoli di Cristo e testimoni coraggiosi della sua Risurrezione.

Lo Spirito Santo ha dimostrato di essere Dio quando ha riunito i vari linguaggi dei popoli nell’unico linguaggio della fede in Cristo. E dimostra di essere Dio quando trasforma interiormente una persona con la potenza della sua azione.

Aveva già detto Origene: Per credere occorre anzitutto leggere i Vangeli, dove c’è la testimonianza di persone fededegne su Gesù risorto. Inoltre bisogna ascoltare l’insegnamento della Chiesa, che continua nel tempo l’insegnamento degli Apostoli. Ma tutto questo non basta: occorre che uno sia interiormente illuminato dallo Spirito Santo, e trasformato dalla sua potenza.

I concili di Nicea e di Costantinopoli ci hanno consegnato il Credo, il simbolo niceno-costantinopolitano, che esprime la fede cristiana nella sua pienezza.

Mi pare perciò opportuno proporlo in una forma geniale, con la musica di Mozart: il Credo della Messa dell’Incoronazione, del 1779, in Do maggiore, per coro, soli, organo e orchestra.

venerdì 25 settembre 2009

Il Concilio di Nicea





L’annuncio del “lieto messaggio” fu affidato da Cristo ai dodici apostoli guidati da Pietro.
Gesù non ha lasciato un libro, ma una comunità di persone per continuare la sua opera: “Chi ascolta voi, ascolta me; chi disprezza voi, disprezza me” (Lc 10, 16).

Ma ben presto ci furono coloro che si allontanarono dal’insegnamento della Chiesa apostolica, prendendo della figura e dell’insegnamento di Cristo solo ciò che loro interessava.

Tertulliano, nel condannare queste persone, indica anche il criterio per riconoscerle: non sono in continuità con l’insegnamento della Chiesa apostolica, ma scelgono di propria iniziativa ciò in cui credere. Fanno una scelta arbitraria. In greco, scegliere si dice “airein”, da cui la parola “eretico”.
L’eretico perciò è colui che fa di testa sua. Oggi si direbbe, un cristiano fai-da-te.

La più grave eresia che si presentò alla fine delle persecuzioni, agli inizi del IV secolo, fu l’arianesimo.

Ario era un sacerdote di Alessandria d’Egitto e sosteneva che il Figlio di Dio non era Dio come il Padre, ma un essere creato, e quindi di natura inferiore.
Per avvalorare la sua tesi egli citava alcune frasi del Vangelo in cui Gesù sembra dichiararsi inferiore al Padre; ad esempio, quando Gesù afferma che nessuno conosce il giorno e l’ora della fine del mondo, “neanche gli angeli del cielo, né il Figlio, ma solo il Padre” (Mt 24, 36).

Le frasi “subordinazioniste” citate da Ario si riferivano ovviamente alla natura umana del Figlio, e in quanto tale certamente creata e “inferiore” al Padre.

A fronte però c’è nei Vangeli il costante insegnamento della divinità del Cristo: “Io e il Padre siamo una cosa sola” (Gv 10, 30). “Da tanto tempo sono con voi e non mi avete conosciuto, Filippo? Chi vede me vede il Padre" (Gv 14, 8-9). "Gesù rispose: Prima che Abramo fosse Io Sono" (Gv 8, 58). “Il Verbo era Dio” (Gv 1, 1); etc.
E c’era l’insegnamento comune della Chiesa che aveva sempre affermato la divinità di Cristo; e solo la divinità di Cristo può salvare l’uomo dai suoi peccati, diceva S. Atanasio.

Poiché le tesi di Ario stavano creando un forte scompiglio tra i cristiani, l’imperatore Costantino, dietro suggerimento del vescovo Osio di Cordova, convocò nella città di Nicea (attuale Iznik, in Turchia) un concilio di tutti i vescovi e mise a loro disposizione il “cursus publicus”, cioè il formidabile sistema di trasporti romano, affinché da ogni parte dell’immenso impero potessero partecipare.

Fu il Concilio dei 318 Padri, dell’anno 325. I cronisti del tempo fanno presente che la maggior parte dei padri conciliari portava nel corpo i segni delle persecuzioni subite.

Arrivarono vescovi anche da oltre l’impero romano, dalla Scizia, dalla Persia; e questo testimonia come il cristianesimo si fosse già diffuso ovunque e avesse superato le barriere socio-politiche e razziali.

Riferiscono gli atti conciliari che quando Ario parlava, i Padri “si turavano le orecchie per non sentire quelle bestemmie”.

L’eresia di Ario venne riassunta nella celebre espressione: “erat quando non erat”; cioè, “ci fu un tempo in cui (il Figlio) non c’era”.

L’eresia venne condannata con anatema, e fu riaffermata la divinità del Figlio con le parole proposte da S. Atanasio, che fanno parte del Simbolo Niceno, cioè il Credo:

“Il Figlio è generato dal Padre, non creato”, cioè è la Sapienza stessa del Padre, il Logos, il Verbo, nel quale il Padre conosce se stesso ab aeterno, e quindi “consustanziale”, della medesima natura divina.
Un atto di generazione interiore, “luce da luce”, non di creazione esterna dal nulla.

Dice il Vangelo: "Nessuno conosce il Padre se non il Figlio" (Mt 11, 27).

L’arianesimo colpiva al cuore il cristianesimo, poiché negava proprio la divinità del Figlio.

E anche oggi, ogni volta che qualcuno nega la divinità di Cristo, ripropone in altra forma l’eresia ariana, condannata fin dal primo concilio della Chiesa.


Foto in alto: Costantino e i Padri di Nicea con il simbolo niceno, il Credo. Icona russa

giovedì 24 settembre 2009

I primi quattro Concili della Chiesa











Dopo aver letto nel web alcuni articoli sui primi concili della Chiesa, articoli non sempre ben informati, mi pare doveroso parlare dei primi quattro concili ecumenici.

Sono i Concili di Nicea (325), Costantinopolitano I (381), Efeso (431), Calcedonia (451).

Per il loro valore dai Padri della Chiesa sono stati paragonati ai quattro Vangeli.

In effetti, la loro importanza è stata fondamentale, per due motivi:

- hanno trasmesso con fedeltà l’annuncio del Vangelo in una nuova realtà sociale, la cultura greco-romana, con un linguaggio appropriato;

- hanno mostrato gli errori degli eretici, puntualizzando le principali verità della fede.

Alcuni pensano che le verità, i cosiddetti dogmi di fede, che questi concili hanno definito e proclamato, siano qualcosa di diverso dall’annuncio evangelico, una specie di imposizione della gerarchia sui fedeli.

È vero esattamente il contrario. I dogmi non sono altro che puntualizzazioni del messaggio evangelico, in termini semplici e chiari, negli aspetti messi in dubbio o negati dagli eretici.
E spesso, come vedremo, furono proprio i fedeli a sostenere la parte della verità, contro gli errori di alcuni ecclesiastici (l’eretico Nestorio era addirittura patriarca di Costantinopoli, la seconda autorità della Chiesa).

I primi due concili (Nicea e Costantinopoli) hanno difeso la fede trinitaria, e l’hanno formulata nella preghiera del Credo, chiamato anche “Simbolo niceno-costantinopolitano”; una preghiera nella quale sono espresse, in modo essenziale, le verità in cui credono tutti i cristiani.

Gli altri due (Efeso e Calcedonia) hanno chiarito la principale verità su Gesù Cristo: egli è l’unigenito Figlio di Dio, vero Dio e vero uomo. Sbagliano coloro che riducono Gesù solo ad un uomo, negandone la divinità; sbagliano coloro che negano la reale umanità di Cristo, riducendola ad un’apparenza.

Come si può capire fin da ora, niente altro che l'annuncio del Vangelo.

Dopo questa necessaria introduzione, nel prossimo post parlerò del Concilio di Nicea.


Nella foto in alto: Benedetto XVI e Bartolomeo I, nella sede del patriarcato di Costantinopoli, il 30 novembre 2006.

mercoledì 23 settembre 2009

Autunno. Vivaldi vs Verlaine



Autunno è sinonimo di malinconia, di tristezza, di nostalgia. Talvolta di depressione...

Solo i violini di Vivaldi possono vincere "les sanglots longs des violons de l’automne", i lunghi singhiozzi dei violini d’autunno, di Verlaine.

Vivaldi vs Verlaine, dunque.

Il brano di Vivaldi è la celebre “Follia”, tema con variazioni, in Re minore.

Il vivace Ensemble musicale che lo esegue mi pare ben intonato al tema...

martedì 22 settembre 2009

L'equinozio, il giorno perfetto!
















L’equinozio, un giorno perfetto: 12 ore di sole, 12 ore di buio.

La terra tagliata per metà, alla perfezione, da capo a piedi.

Non è possibile tagliare una mela in due parti perfettamete uguali; ma il sole ci riesce, due volte all’anno.

Una divisione esatta, biblica, salomonica. Ogni abitante della terra, compresi gli orsi bianci e i pinguini, ha la sua equa parte: unicuique suum, a ciascuno il suo.

Il sole imperterrito spacca a metà il capello, senza guardare in faccia a nessuno: anzi, guardando proprio in faccia la terra nella sua pienezza.

E non c’è mai pericolo di ingiustizia, di tribunali corrotti, di toghe colorate, di scandali veri o presunti, di stampa asservita al regime, di governi di destra, di centro o di sinistra…

Niente, neppure l’inquinamento delle prove, volevo dire atmosferico, riesce a fermare l’azione del sole: non praevalebunt, le forze del male non prevarranno.

Ecco riassunto l’equinozio: unicuique suum, non praevalebunt.

Ma dov’è che ho letto queste due frasi?...

lunedì 21 settembre 2009

Per onorare la memoria dei militari uccisi a Kabul



Stamani si sono svolti a Roma, nella Basilica di S. Paolo fuori le Mura, i solenni funerali di Stato dei sei militari italiani uccisi nell’attentato terroristico di Kabul, il 17 settembre scorso.

Anche noi vogliamo unirci al dolore dei familiari e al lutto nazionale con questo grande corale di Bach: O Haupt voll Blut und Wunden.

È tratto dalla Passione sercondo Matteo. Oggi è anche la festa di S. Matteo, e Matteo era anche il nome di uno dei parà della Folgore caduti nel vile attentato.

La passione di Cristo continua in tutti coloro che lottano e muoiono per un mondo più giusto.


O Haupt voll Blut und Wunden

O Haupt voll Blut und Wunden,
Voll Schmerz und voller Hohn,
O Haupt, zum Spott gebunden
Mit einer Dornenkron’,
O Haupt, sonst schön gezieret
Mit höchster Ehr’ und Zier,
Jetzt aber höchst schimpfieret;
Gegrüßet sei’st du mir!

Du edles Angesichte,
Davor sonst schrickt und scheut
Das große Weltgewichte,
Wie bist du so bespeit!
Wie bist du so erbleichet!
Wer hat dein Augenlicht,
Dem sonst kein Licht nicht gleichet,
So schändlich zugericht’t?


O capo pieno di sangue e di ferite,
pieno di dolore e di derisione!
O capo, legato per scherno
con una corona di spine!
O capo, solitamente abbellito
con massimi onore ed ornamenti,
eppure ora gravemente insultato:
ricevi il mio saluto!

O nobile volto,
al cui cospetto prova timore e sgomento
il grande giudizio universale,
come ti hanno sputato addosso!
Come sei impallidito,
chi ha così ignobilmente deturpato
la luce dei tuoi occhi
cui nessun'altra luce somiglia?

Er papa re (pasquinata)

La presa di Roma da parte dei bersaglieri di Raffaele Cadorna, il 20 settembre 1870, mi ispira la fantasia.

Da una parte un esercito vero e proprio, quello italiano; dall’altra un manipolo di soldati, comprese le guardie svizzere, che fece una resistenza simbolica all’invasore.

Roma fu presa, cadde ciò che restava dello Stato della Chiesa e il Papa re.

È stato un bene, ovviamente, per la Chiesa e per l’Italia. Si trattò comunque di un atto arbitrario e di sopraffazione. Ma la provvidenza divina sa trarre il bene anche dal male.





Er papa re


Entronno a Porta Pia li bersajeri

e ‘r Papa perse er trono de sovrano;
nun volle contratta’ con li stranieri,
se chiuse priggioniero in Vaticano.

Ar Qurinale venne un altro re,
e ‘na cifra de gente ar Parlamento,
cor capo der Governo, a fa’ pper sé,
e tutti li ministri: un reggimento.

Mò so’ ccent’anni e ppiù ch’hanno occupato;
so’ ccambiati i governi co’ su’ capi,
ma anvedi te che cambiamento è stato:
ar posto ‘n do’ era er Papa ora c’è er papi.

domenica 20 settembre 2009

O Roma o... (pasquinata)











'Na città che sia ddegna de rispetto
ce dev' ave' 'na statua a Garibbaldi.
La mia ce ll’ha: l’eroe ci ha 'n fiero aspetto,
la spada 'n mano, e ritto a ppiedi saldi.

Je ci han messo 'na scritta assai famosa,
quer ch' ebbe a dire un giorno: “O Roma o morte!”
Ma er tempo, anvedi te, sciupa 'gni cosa;
l'emme 'un ce ppìù; mo' leggi: "O Roma o orte!”

Roma capitale. Un sonetto del Belli



Il 20 settembre 1870, con la presa di Roma, la città è diventata capitale d’Italia.

Voglio ricordare questo avvenimento con un sonetto del più grande poeta romanesco, Giuseppe Gioachino Belli (1791-1863), vissuto nella Roma papalina e che ha dedicato alla sua città oltre 2200 sonetti.

In quello che riportiamo, Er Miserere de la Sittimana Santa, si fa riferimento al canto del Miserere di Gregorio Allegri (1582-1652), a doppio coro e 9 voci, in polifonia a cappella, cioè senza strumenti (“nissun’istrumento l’accompagna”).

Era un brano così gelosamente custodito, che le partiture non venivano date a nessuno al di fuori della Cappella Sistina, e per di più veniva cantato al buio.

Il video riporta l'inizio di questo stupendo canto polifonico.

Nel sonetto si dice che gli inglesi (“l’ingresi”) e altri stranieri accorrevano ad ascoltarlo.

È noto che Mozart, appena quattordicenne, dopo averlo anche lui ascoltato due volte nella Settimana Santa del 1770, lo trascrisse perfettamente a memoria.

Ma il Belli, più che fermarsi sull’aspetto artistico, fa notare la parola “magna”. Quel classico vocabolo latino evoca nel poeta un altro e ben diverso termine popolaresco romano.

Il primo versetto del Salmo 50 dice: “Miserere mei Deus, secundum magnam misericordiam tuam” (Pietà di me o Dio, secondo la tua grande misericordia).



Er Miserere de la Sittimana Santa


Tutti l’ingresi de Piazza de Spagna
nun hanno altro che ddí ssi cche ppiacere
è de sentí a Ssan Pietro er Miserere
che nissun’istrumento l’accompagna.

Defatti, cazzo!, in ne la gran Bretagna
e in nell’antre cappelle furistiere
chi ssa ddí ccom’a Rroma in ste tre ssere
”Miserere mei Deo sicunnum magna?”

Oggi sur “magna” ce sò stati un’ora;
e ccantata accusí, ssangue dell’ua!, [uva]
quer maggna è una parola che innamora.

Prima l’ha ddetta un musico, poi dua,
poi tre, ppoi quattro; e ttutt’er coro allora
j’ha ddato ggiú: “mmisericordiam tua”.


(31 marzo 1836)

venerdì 18 settembre 2009

Dieci cose Dieci






















L'amica Rita mi ha coinvolto in un simpatico gioco virtuale, e cioè, dire in dieci battute ciò che caratterizza la propria personalità.

"Dieci cose Dieci".

http://graziella.myblog.it/archive/2009/09/17/dieci-cose-dieci.html

Sono un po' restio a parlare di me stesso. Ma, una tantum, si può fare un'eccezione, senza rivelare segreti di stato...



1. Mi piace scrivere di notte.

2. Mi piace il caffè. Ecco perché scrivo di notte...

3. Amo la musica, tutta: gregoriana, classica e leggera. Naturalmente faccio una graduatoria di valori. Tra i cantanti moderni, non potrei fare a meno di Lucio Battisti e Fabrizio De André. Suonicchio il piano e la chitarra. Ne faccio un uso personale.

4. Amo lo sport. Da giovane ho praticato il calcio, dilettantistico. Ero attaccante, e non poteva essere diversamente, dato il mio carattere...
Sono tifoso di una squadra di calcio, che naturalmente non dico.

5. Mi piace la letteratura, da Omero ai giorni nostri. I poeti che mi ispirano di più: Dante, Petrarca, Leopardi, Gozzano. I più grandi prosatori: Manzoni, Pirandello, Joyce.

6. Amo l’arte. Al vertice Michelangelo e Caravaggio (mi verrebbe la voglia di togliere la e...).
E il più grande storico dell’arte: Giorgio Vasari.

7. Ho avuto la ventura di trovare a scuola ottimi insegnanti, e sono loro grato, perché mi hanno fatto amare il bello, in ogni sua forma.
Io sono insegnante, e speriamo che me la cavo.

8. Sono cattolico praticante. Mi piace ripetere una frase di Don Milani: “Dire che credo in Dio è troppo poco: a Dio gli voglio bene”. E anche la lapidaria risposta che Sonia dà a Raskolnikov, in Delitto e Castigo: "Cosa fa Dio per te?" "Tutto!"

9. Ritengo che la ragione umana possa arrivare all'esistenza di Dio. Per questo considero Aristotele il più grande pensatore; con il lume della ragione ha dimostrato l'esistenza di Dio.

10. Mi piace studiare e fare studiare molte cose a memoria. Platone diceva: "Conoscere significa ricordare". Non mi piacciono gli 'smemorati di Collegno'.

Come si vede, ho finito citando Platone e Aristotele; non per niente essi sono il mio avatar e il mio nick: Amicusplato. Cioè, "Amicus Plato, sed magis amica veritas" (Amico è Platone, ma più amica la verità).

Lo disse Aristotele, quando si staccò dall'insegnamento del suo grande maestro.

La verità, innanzi tutto, se siamo veramente amici.

giovedì 17 settembre 2009

Alla barbarie una risposta di civiltà. Beethoven





Noi rispondiamo alla barbarie dell’attentato terroristico talebano a Kabul, nel quale hanno perso la vita 6 soldati italiani e 15 civili afghani, con la forza e la grandezza dell’arte, rappresentata dalla musica di Beethoven e dalla esecuzione di Arturo Benedetti-Michelangeli.

Dedichiamo perciò ai caduti di Kabul, e ad ognuno di essi singolarmente, la Marcia funebre sulla morte d’un eroe, dalla Sonata n. 12 per pianoforte, III movimento, Maestoso.

La pioggia: poesia e prosa














È notte e piove.

Qualche lampo fragoroso squarcia la tenebra e la quiete notturna.

Non ho paura dei fulmini; ma la connessione Adsl sì, e a ogni scarica, la spia del modem trema di spavento.

La pioggia ora è diventata un temporale. Sento l’acqua che batte a ogni lato della stanza, come in un assedio: preme dal tetto, dalle finestre, dai muri perimetrali. Tranne che dal piano di sotto.

Continuo a scrivere, accompagnato dal crepitio continuo delle gocce, che in certo senso accompagna il battere delle mie dita (i due indici, ovviamente) sulla tastiera.

Mi vengono perfino pensieri poetici, mi torna in mente D’Annunzio: “Ascolta, piove…”

La poesia mi fa alzare le dita, cioè gli indici, dalla nera tastiera comprata a buon mercato in un discount in tempo di saldi.

E mi fa alzare anche gli occhi verso l’alto, verso il soffitto… e in un angolo mi par di notare una macchiolina scura, che diventa sempre più larga.

La poesia lascia immediatamente il posto alla prosaica realtà. Il nemico si è aperto una breccia tra la grondaia e la parete, ed ora sta penetrando a gocce nel mio studio.

Cerco di correre ai ripari, con l’aiuto della tecnologia più sofisticata, cioè con una bacinella.

Ma un fulmine guizzante e fragoroso manda in tilt la luce del condominio e l’Adsl…

L'acqua è l'archè, il principio dei tutte le cose, diceva Talete.

E anche la fine di questo post.


mercoledì 16 settembre 2009

I sette vizi capitali del blogger









La gola (particolare de I sette vizi capitali)

Hieronymus Bosch
(1485)

Museo del Prado (Madrid)






1. Se ritieni che il tuo blog sia l’ombelico del mondo: SUPERBIA

2. Se concupisci i post altrui e ne saccheggi di nascosto i contenuti più attraenti: LUSSURIA

3. Se vedi che un post sta sorpassando il tuo, e gli tagli la strada: INVIDIA

4. Se desideri di giungere sempre in Home: GOLA

5. Se dai l’appoggio solo a chi ti dà l’appoggio: AVARIZIA

6. Se scrivi sempre le stesse cose contro le stesse persone: IRA

7. Se voti un post senza aprirlo: ACCIDIA.


Io a vizi capitali sto bene, ce li ho quasi tutti.
L’unico che sicuramente non ho è l’ultimo; non voto mai un post senza averlo letto.

Per quanto riguarda i veri vizi capitali, quelli reali, sarà bene che non dica nulla…

martedì 15 settembre 2009

L'Addolorata. Stabat Mater (Rossini)



Oggi la Chiesa ricorda la Madonna Addolorata, ai piedi della Croce.

Jacopone da Todi agli inizi della nostra letteratura (XIII secolo) ha scritto la bellissima sequenza “Stabat Mater”, che ricorda con parole commosse il dramma del Calvario, visto con gli occhi della Madre.

La sequenza divenne subito uno dei canti gregoriani più conosciuti; una melodia semplice e popolare.

Ma in seguito non c’è stato musicista che non si sia voluto confrontare con il canto di Jacopone, dalla polifonia di Palestrina, alla musica barocca di Vivaldi, a quella preromantica e romantica di Haydn e Verdi, fino ad autori contemporanei come Kodàly e Arvo Pärt. E tutti con risultati eccellenti.

Il più bello di tutti rimane pur sempre quello di Giovanni Battista Pergolesi (1710-1736), composto a 26 anni, con le ultime note scritte sul letto di morte: “Quando corpus morietur, fac ut animae donetur Paradisi gloria. Amen”.

Questo Stabat Mater, come quello di Kodàly, l’ho già segnalato.

Questa volta voglio ricordare lo Stabat Mater di Giovacchino Rossini.

Il genio pesarese interruppe il suo silenzio artistico, dopo la composizione del Guglielmo Tell nel 1829, proprio per cantare le lodi di Maria, Madre di Gesù. E lo fece con questo grande Stabat Mater, pubblicato nel 1841 ed eseguito l’anno successivo.

Siamo lontani dallo spirito del gregoriano, fatto di compostezza e pathos interiore. Qui siamo nella musica lirica, nella teatralità, nel “bel canto” italiano.

Eppure, anche in questo spirito, distante dalla musica liturgica, vibra un sincero sentimento religioso. Rossini vuol esprimere il suo riavvicinamento alla fede con la sua geniale inventiva, con le sue affascinanti atmosfere musicali, con la freschezza dell’ispirazione.

Riporto l’aria del tenore “Cuius animam gementem, contristatam et dolentem pertransivit gladius” (una spada penetrò la sua anima gemente, contristata e dolente).

Si tratta di uno dei brani più noti di questo Stabat Mater, cavallo di battaglia di ogni tenore che si rispetti. Rossini ha voluto esprimere, nelle battute finali, l’idea della spada che penetra nel cuore della Madre, con l'acuto di un re bemolle sopra il rigo.

Non è da tutti arrivare oltre il do con la voce vibrante.

La voce è quella del grande tenore peruviano Juan Diego Florez.

lunedì 14 settembre 2009

La classe degli asini





















Ricomincia la scuola...

Non entro in merito alle questioni e ai problemi che riguardano e travagliano questo fondamentale aspetto della realtà sociale.

Ma per iniziare in maniera più serena il nuovo anno scolastico, consoliamoci con i problemi che avevano gli insegnanti in epoche passate.

Ecco una classe nel XVI secolo, al tempo di Brueghel il Vecchio (1525/1530–1569).

Si tratta di un disegno a stampa del 1556 del geniale pittore fiammingo. Il disegno è firmato e datato. Per visualizzare, allargare l'immagine cliccandovi sopra.

Brueghel, insieme a Hieronymus Bosch, può essere considerato un antesignano delle moderne avanguardie artistiche; le sue pitture sono quasi sempre “esasperate” o caricaturali, e anche qui ha evidentemente esagerato nel proporci questa “classe degli asini”.

Ma qualcosa di vero doveva pur esserci, se non altro per poterla immaginare in questo modo.

Per completezza di informazione, la didascalia in fondo al disegno dice all’incirca così:

“È inutile che l’asino vada a scuola; egli è un asino, non sarà mai un cavallo”.

Era il modo comune di pensare, una volta. Ma, fuori metafora, io credo che sia profondamente sbagliato, e preferisco pensare come D. Milani: “Agli svogliati, diamogli uno scopo”, cioè una scuola che sappia interessare e sollecitare la curiosità e l’intelligenza dell’alunno.

E vedremo asini battere alla corsa anche i cavalli…


Mi permetto di fare riferimento a tre post, che ho scritto tempo addietro, sulla scuola, sul metodo di studio e di insegnamento. Chi è interessato può darci un’occhiata.

http://semperamicus.blogspot.com/2008/04/che-cos-la-scuola.html
http://semperamicus.blogspot.com/2008/03/la-scuola-e-il-metodo-dinsegnamento.html
http://semperamicus.blogspot.com/2008/03/la-scuola-e-il-metodo-di-studio.html



domenica 13 settembre 2009

Berlusconi e la Torre de Pisa (Pasquinata)





Nu’ sta’ ssempre a parla’ dde Berlusconi,
a di’: “mmo’ cade, cade tra ‘n mesetto”…
Più je se gufa contro, me' cojoni,
e più rimane ritto pe' ddispetto.

Me par d’esser a Pisa, a controllare
se la Torre se sfa sotto i su’ pesi.
Manco pe’ gnente! Sembra vagillare,
ma non vien giù per via de’ Livornesi.


sabato 12 settembre 2009

Dedicato a Zic Zac. Il ritorno di Amicus







Il mondo lo sappiamo è sferoidale,
e così pur anche la blogosfera;
per questo, gira gira, o bene o male,
si torna sempre al punto dove s’era.

Tra i socialblog ho fatto una girata,
ho fatto incontri e scontri virtuali;
ora la mia navetta un po’ ammaccata
torna a Zic Zac, per riparare i mali.

Cari amici di Forbici taglienti,
mi scuso per la mia non breve assenza,
spero di ritrovar tutti contenti
e soprattutto senza l’influenza.

A Mic e Giulio i miei migliori auguri
pel doppio anniversario ormai imminente.
Nella guida autorevoli e sicuri,
non han perduto punti alla patente.

Anzi, a quel che si dice in blogospia,
Zic Zac si è fatto ancora più brillante.
Dopo questa soffiata, il men che sia
mi spetta un po’ di torta e di spumante!

venerdì 11 settembre 2009

11/9. "Si fece buio su tutta la terra"






Dopo l’abbattimento del muro di Berlino e il crollo dell’Unione Sovietica e dei suoi paesi satelliti, sembrava aprirsi per l’umanità, con il nuovo secolo e millennio, un grande orizzonte di pace.

Il XX secolo è stato il secolo più sanguinario di tutta la storia umana, con due guerre mondiali, bombe atomiche e feroci dittature.

È finito però in bellezza, con la Germania unificata, con nazioni che hanno riacquistato la libertà democratica, e con il grande Giubileo del 2000, celebrato da uno dei più grandi pontefici della storia della Chiesa: Giovanni Paolo II, che ha voluto chiedere perdono per tanti errori commessi dai cristiani nei secoli passati.

Il terzo millennio si è aperto perciò sotto i migliori auspici. Perfino dal punto di vista meteorologico: abbiamo potuto seguire nei video il sorgere del sole dall’estremo oriente fino all’estremo occcidente, in una giornata, quella del 1 gennaio 2001, che è stata ovunque luminosa.

Poi è giunto l’11 settembre. Nello spazio di un mattino è crollato questo sogno di pace universale, di un’umanità riconciliata, di “magnifiche sorti e progressive”, come ironicamente chiamava Leopardi il secolo XIX, il secolo del progresso inarrestabile…

“Si fece buio su tutta la terra, quando crocifissero Gesù”, dicono i Vangeli.

Un buio che si è rinnovato quando altri chiodi terrificanti sono stati conficcati nelle carni vive delle Torri Gemelle di New York.

Solo la consapevolezza che l’uomo è capace di tutto, anche di uccidere Dio, magari credendo di rendergli onore, può ridonarci il senso dei nostri limiti e quell’umiltà necessaria per ritrovare dentro la nostra povera natura umana ciò che ci rende fratelli, anche con chi non la pensa nella stessa maniera.

Con il terribile crollo delle Twin Towers è crollato anche il mito del superuomo.

Mike e Rossini. Agli inizi della TV (seconda parte)




Mike Bongiorno è stato l'autentico iniziatore della TV italiana.

Ma anche Giovacchino Rossini (1792-1868) è legato in qualche modo alla nascita della nostra televisione.

Molti ricorderanno che i programmi dell’unico canale televisivo si aprivano proprio con un bellissimo brano rossiniano, la parte finale del Guglielmo Tell.

http://www.youtube.com/watch?v=9LTrArDVISw

E allora, in attesa dei funerali di Stato di domani nel Duomo di Milano, noi vogliamo onorare Mike con la Petite Messe Solennelle di Rossini.

È un capolavoro assoluto, scritto nel 1863, che interruppe con lo Stabat Mater (1841) il lunghissimo silenzio artistico del genio pesarese, che durava dal 1829, dopo la composizione del Guglielmo Tell.

Lui, non troppo propenso alle cose religiose, scrisse in tarda età questi due capolavori di musica sacra. Come battuta diceva che erano “peccati di vecchiaia”; ma confidava che questa Messa gli avrebbe aperto le porte del Paradiso.

E non può essere che così. L’ascolto di questa musica apre il cuore alla gioia celeste.

Rossini la scrisse per un organico ridotto ai minimi termini (ecco perché “petite”): solo 12 coristi, “come gli Apostoli”, con un accompagnamento di due pianoforti (che raddoppiano) e un harmonium.
Un abbinamento "improponibile", se non da una mente originale come la sua; in pratica uno strumento da salotto e uno da chiesa, il parente povero dell’organo.

Il risultato è una grande Messa Solenne, altro che “petite”!… che fa vibrare tutte le corde dell’animo umano nel suo anelito verso Dio.

Esiste anche la versione per orchestra, che Rossini successivamente fu costretto a scrivere per far contenti gli amici.

Ma in essa si perde gran parte della eccezionalità di questa Messa stupenda.

Della versione originaria presentiamo una parte del Gloria, per tenore solista:

"Domine Deus, Rex caelestis, Deus Pater Omnipotens. Domine Fili Unigenite, Iesu Christe. Domine Deus, Agnus Dei, Filius Patris".

Una vibrante e accorata invocazione a Dio Padre e al Figlio Gesù Cristo.

giovedì 10 settembre 2009

Mike e Rossini. Gli inizi della TV



La morte di Mike Bongiorno, autentico iniziatore della TV italiana, va degnamente celebrata.

Sabato si svolgeranno i solenni funerali di Stato, nel Duomo di Milano.

Noi dedichiamo al grande Mike non una Messa di Requiem, ma la Petite Messe Solennelle di Giovacchino Rossini (1792-1868).

Anche Rossini è legato in qualche modo alla nascita della nostra TV.

Molti ricorderanno che i programmi dell’unico canale televisivo si aprivano proprio con un bellissimo brano rossiniano, la parte finale del Guglielmo Tell.

http://www.youtube.com/watch?v=9LTrArDVISw

Pochi forse conosceranno la Petite Messe Solennelle. È un capolavoro assoluto, scritto nel 1863, che interruppe con lo Stabat Mater (1841) il lunghissimo silenzio artistico del genio pesarese, che durava dal 1829, dopo la composizione del Guglielmo Tell.

Lui, non troppo propenso alle cose religiose, scrisse in tarda età questi due capolavori di musica sacra. Come battuta diceva che erano “peccati di vecchiaia”; ma confidava che questa Messa gli avrebbe aperto le porte del Paradiso.

E non può essere che così. L’ascolto di questa musica apre il cuore alla gioia celeste.

Rossini la scrisse per un organico ridotto ai minimi termini (ecco perché “petite”): solo 12 coristi, “come gli Apostoli”, con un accompagnamento di due pianoforti (che raddoppiano) e un harmonium (col mantice a pedali).
Un abbinamento "improponibile", se non da una mente originale come la sua; in pratica uno strumento da salotto e uno da chiesa, il parente povero dell’organo.

Il risultato è una grandiosa Messa Solenne, altro che “petite”!… che fa vibrare tutte le corde dell’animo umano nel suo anelito verso Dio.

Purtroppo la qualità del video non è delle migliori; ma si potrà notare come l'impensabile accoppiamento dei due strumenti, uno battente e l’altro dalla sonorità continua, sostituisca in modo originale un’intera orchestra e doni alla composizione una freschezza giovanile.

Esiste anche la versione per orchestra, che Rossini successivamente fu costretto a scrivere per far contenti gli amici.

Ma in essa si perde gran parte della eccezionalità di questa Messa stupenda.

Della versione originaria presentiamo l’inizio: Kyrie eleison, Signore, pietà!

È un invito ad ascoltarla tutta.

Un vero godimento per lo spirito.

mercoledì 9 settembre 2009

Mi ritorna in mente... Lucio Battisti



Non posso certo passare sotto silenzio il giorno della morte di Lucio Battisti, avvenuta 11 anni fa, il 9 settembre 1998.

La sua musica ha rallegrato gli anni più belli della mia vita. E continua tuttora.

Ho imparato a suonare la chitarra sui "giri armonici" della sue canzoni e di quelle di Fabrizio De André.

Musica fatta di luci, di colori, di profumi anche..., oltre che di suoni.

E un grande anelito di libertà. Una fragile voce, talvolta quasi incerta, ma che vola verso l'infinito...

La collina dei ciliegi, del settembre 1973, con le parole di Mogol ovviamente, esprime bene questo bisogno di spazio interiore.


9-9-9. La vittoria del bene!




Quando un giorno, un mese e un anno si possono esprimere con un sol numero, la fantasia si accende ed emergono dal nostro io profondo ancestrali reminiscenze.

Pitagora diceva che il numero è il principio stesso della realtà, l’archè, l’essenza di ogni cosa.

Senza giungere a queste esagerazioni si deve riconoscere che nell’inconscio collettivo alcuni numeri assumono valori simbolici.

Se poi uno riesce ad azzeccare sei numeri di fila, allora i valori simbolici si trasformano in valori più tangibili…

Anno scorso abbiamo passato la data 8-8-8, e fino all’anno 12 di questo secolo sarà possibile, a Dio piacendo, segnare i numeri 10, 11, 12. Poi bisognerà aspettare il secolo futuro per questo giochino…

Rimando al post dell’anno passato per ricordare il significato di 8-8-8: l’infinito, l’ottavo giorno della settimana, l’apertura verso il nuovo.

http://semperamicus.blogspot.com/2008/08/08-08-08-linfinito.html

Il numero 9 è un numero più misterioso, dal significato ambivalente.

Da una parte infatti indica incompletezza. La perfezione è il 10, come le dita per contare. Già Pitagora aveva segnalato il significato simbolico della tetraktys. Il 9 è mancanza di qualcosa, attesa di completamento.

Il 9 è anche il rovescio del 6, e nell’Apocalisse il 666 è un numero satanico (in ebraico infatti significa Kaisar Neròn, Cesare Nerone, il persecutore). Siccome Satana è il grande mistificatore, colui che rovescia la realtà e fa apparire vero il falso e falso il vero, qualcuno intende 999 come numero negativo.

Per altri aspetti invece il numero 9 è un numero grandemente positivo. È il quadrato del 3, numero perfetto, quindi perfezione al quadrato. Ed è il numero dei mesi di gravidanza della donna, al termine dei quali viene alla luce un figlio.

E per quanto riguarda 999, essendo il rovescio di 666, è un numero divino, essendo Dio l’antitesi vincente di Satana.

Io preferisco vedere in questi bei tre 9 la vita che nasce e la vittoria del bene sul male.


Buon 9-9-9 a tutti !

martedì 8 settembre 2009

Omaggio a Mike Bongiorno. La battaglia di Alamo



Tutti ricordano giustamente Mike Bongiorno come conduttore televisivo e autentico iniziatore della TV italiana.

In effetti, quando c’era “Lascia o Raddoppia” le strade si svuotavano e tutti si “correva” a vedere questa trasmissione in qualche locale pubblico (mi ricordo il mitico premio finale di 5 milioni e 120 mila lire, una cifra allora da Superenalotto!)

Di televisore in casa, non se ne parlava proprio…

Il mio omaggio a questo straordinario presentatore nasce proprio da una delle domande dei suoi quiz. La domanda era questa: “Quando avvenne la battaglia di Alamo?”.

Mi ricordo che il concorrente non seppe rispondere, e Mike commentò più o meno così: “Ma come! Non sa quando avvenne questo famoso episodio?! Ma non c’è nessuno in America che non sappia rispondere a questa domanda!”

In genere, cercava sempre di consolare coloro che sbagliavano, o di trovare giustificazioni varie. Ma sulla battaglia di Alamo non ci potevano essere scuse di sorta…. Remember the Alamo! Ricordati di Alamo!

Mike è vissuto in Italia, è stato un vero italiano, qui ha avuto successo; ma credo che il suo ventricolo sinistro abbia battuto fino all’ultimo colpo fatale ancora per gli States.

Ecco perché il mio omaggio è la colonna sonora (o meglio, la soundtrack) di Dimitri Tiomkin del film “The Alamo” (in Italia, "La battaglia di Alamo"), del 1960, con J. Wayne, che ricorda il sacrificio dei texani e di Davy Crockett nel celebre assedio.

Caro Mike, l'anno era il 1836.



"The Green Leaves Of Summer"  (Le verdi foglie d'estate)

A time to be reaping
A time to be sowing,
The green leaves of summer
Are calling me home.
't was so good to be young then
In the season of plenty
When the catfish were jumping
As high as the sky.

A time just for planting
A time just for ploughing,
A time to be courting
a girl of your own.
't was so good to be young then
To be close to the earth
And to stand by your wife
At the moment of birth.

A time to be reaping
A time to be sowing
A time just for living
A place for to die. 
't was so good to be young then
To be close to the earth,
Now the green leaves of summer
Are calling me home.

't was so good to be young then
To be close to the earth,
Now the green leaves of summer
Are calling me home.

La parole sono di  Paul Francis Webster. La canzone è eseguita dal gruppo "The Brothers Four".



Le verdi foglie d'estate

Un tempo per mietere,
un tempo per seminare,
le verdi foglie d'estate
mi chiamano a casa.
È stato così bello essere giovani allora,
nella stagione dell'abbondanza,
quando il pescegatto saltava
in alto come il cielo.

Un tempo per piantare,
un tempo per arare,
un tempo per corteggiare
la tua ragazza.
È stato così bello essere giovani allora,
attaccati alla terra,
e stare accanto a tua moglie
al momento del parto.

Un tempo per mietere,
un tempo per seminare,
un tempo per vivere,
un posto per morire.
È stato così bello essere giovani allora,
attaccati alla terra.
Ora le verdi foglie d'estate
mi chiamano a casa.


La natività di Maria. Poesia, bellezza e musica



















Si festeggia oggi la Natività di Maria, la Madre di Gesù.

Mi vengono in mente solo parole poetiche di fronte a questo avvenimento, che segna l’aurora di un mondo nuovo.

Non voglio usare le parole di Dante, che tutti conosciamo.

Voglio questa volta servirmi delle parole di Francesco Petrarca, che non è solo il cantore di Laura, ma prima di tutto è un grande credente, e chiude il suo Canzoniere con una magnifica “Canzone alla Vergine”. Riporto solo l’inizio e la fine.


“Vergine bella, che di sol vestita,
coronata di stelle, al sommo Sole
piacesti sí, che 'n te Sua luce ascose,
amor mi spinge a dir di te parole”…

Il dí s'appressa, e non pòte esser lunge,
sí corre il tempo e vola,
Vergine unica e sola,
e 'l cor or conscienzia or morte punge.
Raccomandami al tuo Figliol, verace
omo e verace Dio,
ch'accolga 'l mio spirto ultimo in pace”.


Ma non si può festeggiare senza musica. E così riporto il link alla brevissima “sinfonia” d’apertura del Magnificat di Marc-Antoine Charpentier (1645-1704), il grande musicista francese autore di quel Te Deum, ridotto oggi a sigla dell’Eurovisione.

Purtroppo non c’è il video di questo Magnificat (H 74, anno 1681-82) diretto da Neville Marriner. Si tratta di un’opera stupenda, verrebbe da dire “magnifica”.

http://www.dada.it/music/dawnupshaw_academy_marriner/sinfonia-(magnificat)_2170935m.html

Nella stessa pagina del sito, a seguire, tutti i versetti del Magnificat. Buon ascolto!




Foto in alto: "Natività della Vergine", Francesco Vanni (1600 ca), Chiesa di S. Maria di Corteorlandini, Lucca

lunedì 7 settembre 2009

Facciamo un break!



Settembre…

In attesa di riprendere a pieno regime la nostra attività consueta, sarà bene fare una breve pausa (sempre che il ministro Brunetta non venga a saperlo…).

Un intervallo musicale, offerto dal genio di Händel con la sua Passacaglia in Sol minore, che conclude la VII Suite per clavicembalo, pubblicata nel 1720.

La passacaglia consiste in un tema con variazioni, ora nelle parti alte, ora nelle sezioni medie e basse del pentagramma. Si distingue perciò dalla Ciaccona, che consiste in una serie di variazioni sopra un tema che si mantiene costantemente nel basso.

Esiste un’altra celebre passacaglia, per organo, quella di Bach (chi, se no?) in Do minore, con 20 variazioni e una Fuga. Un’opera monumentale. Ma non è certo adatta per una pausa pranzo.

Un po’ di relax, con le suadenti variazioni di quella händeliana, eseguita da "piccole mani", ma che promettono bene.

sabato 5 settembre 2009

De André. Preghiera




Voglio concludere i miei post sui Vangeli con un brano di musica. Ho pensato a brani classici importanti, degni della grandezza del tema.

Ma ho preferito scegliere un brano “povero”, più adatto al messaggio evangelico. Mi è subito venuto in mente De André, e la sua “Preghiera in gennaio”, del 1967.

Questa canzone, o meglio, questa preghiera di De André non posso ascoltarla senza commuovermi.

Fabrizio aveva un’anima profondamente religiosa; e del messaggio evangelico ha compreso l’essenza: Gesù ci ha mostrato il volto misericordioso di Dio.

“Dio di misericordia, il tuo bel paradiso
l'hai fatto soprattutto per chi non ha sorriso.
Per quelli che han vissuto con la coscienza pura,
l'inferno esiste solo per chi ne ha paura”.

È dedicata a Luigi Tenco, morto suicida il 27 gennaio 1967 (da qui il titolo della preghiera), ma si rivolge a tutti, e in modo molto incisivo, come solo Faber sapeva fare.

E dopo un altro gennaio, quello del 1999, io la considero il suo testamento spirituale.

venerdì 4 settembre 2009

I quattro Vangeli. Il Vangelo di Giovanni





“In principio era il Verbo (Logos), e il Verbo era presso Dio, e il Verbo era Dio.
E il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi e noi vedemmo la sua gloria.
Dio nessuno lo ha mai visto; proprio il Figlio unigenito, che è nel seno del Padre, lui lo ha rivelato” (Gv 1, 1, 14, 18).

Fin dall’inizio (Prologo) si nota, pur nella sostanziale identità dell’annuncio cristiano, la differenza del Vangelo di Giovanni dai tre Vangeli sinottici.

Giovanni non comincia dal concepimento di Gesù nel grembo di Maria, né dalla sua genealogia umana, come fanno Luca e Matteo. Egli parte dalla generazione eterna del Figlio nel mistero stesso di Dio trinitario.

Il Figlio è il Logos, il Verbo di Dio, cioè la Sapienza eterna del Padre; la Sapienza per mezzo della quale sono state fatte tutte le cose e senza la quale niente è stato fatto di tutto ciò che esiste.
Il Logos è il Figlio di Dio, generato fin da principio, cioè da sempre, dal seno del Padre, perché è la Sapienza stessa del Padre.

Questa Sapienza di Dio, che è fin da principio nell’intimità del Padre, si è fatta “carne”, cioè ha assunto la nostra natura umana. Il Figlio di Dio si è fatto uomo come noi, perché noi potessimo contemplare il Padre per mezzo di Lui, che ne è la conoscenza perfetta, e avere così accesso alla sua gloria.

Commenteranno i Padri: “Dio si è fatto uomo, perché l’uomo potesse diventare Dio”. È l’annuncio della fede cristiana. Siamo figli di Dio non per un generico modo di dire, ma perché il Figlio di Dio ha assunto la nostra natura umana e l’ha unita alla sua natura divina.

Nel Prologo si può notare un altro aspetto tipico del Vangelo di Giovanni. L’evangelista è anche l’apostolo prediletto da Gesù, che ha avuto la gioia di posare il capo sul suo petto, nell’Ultima Cena. Più volte Giovanni interrompe la sua narrazione per fare dei commenti personali, proprio come qui: “E noi vedemmo la sua gloria”. Quel “noi” si riferisce alla sua esperienza personale, alla sua conoscenza diretta di Gesù.

La descrizione più straordinaria di questo Vangelo è la passione. Giovanni è stato l’unico apostolo che ha seguito fin sotto la croce il Maestro. La sua testimonianza perciò assume un valore del tutto particolare, e non a caso la Chiesa legge nel giorno del Venerdì Santo la Passione secondo Giovanni.
L’evangelista, dopo aver detto che il centurione trafisse con la lancia il costato di Gesù, dal quale uscì sangue e acqua, aggiunge questo impressionante commento: “Colui che vide [cioè Giovanni stesso] ne dà testimonianza, e la sua testimonianza è vera ed egli sa di dire il vero, affinché anche voi crediate” (Gv 19, 35).

Vanno segnalati poi alcuni episodi che sono riportati solo da questo Vangelo.

Il primo miracolo di Gesù, alle nozze di Cana, con l’intervento di Maria sua Madre, che in certo senso forza la mano del Figlio. Da questo episodio si comprende che pregare la Madonna perché interceda presso Dio non solo non è una superstizione, ma è un valore evangelico solidamente fondato.
Se Maria non fosse intervenuta a Cana, quelle nozze finivano a acqua: “Non è ancora giunta la mia ora” aveva detto Gesù. E invece finirono con il miglior vino mai bevuto, come disse il capotavola (Gv 2, 1-11).

L’episodio dell’adultera che stava per essere lapidata, (originariamente forse nel Vangelo di Luca): “Chi è senza peccato scagli la prima pietra contro di lei. E quelli udito ciò se ne andarono uno per uno, cominciando dai più anziani, fino agli ultimi” (Gv 8, 7-9). Il rispetto della persona, e della donna in particolare, in una società pronta a lapidare ha avuto in Gesù il primo e più autorevole annunciatore.

L’episodio di Nicodemo e l’insegnamento dello Spirito Santo, paragonato alla libertà del vento: “Il vento soffia dove vuole e ne senti la voce, ma non sai da dove viene e dove va; così è di chiunque è nato dallo Spirito” (Gv 3, 8). La fede in Cristo è libertà di spirito, perché mossa dallo Spirito di Dio, che è novità di vita.

La risurrezione di Lazzaro (Gv 11, 1-44), impressionante anticipo della Risurrezione di Cristo stesso.

La lavanda dei piedi, il gesto di amore e di umile servizio di Gesù, che si china anche ai piedi di Giuda (Gv 13, 1-15).

Sappiamo che quando Giovanni scrisse il suo Vangelo era anziano. Ma quando narra della sua chiamata da parte di Gesù usa questa espressione: “ Era circa l’ora decima” (Gv 1, 39), cioè le quattro del pomeriggio.
Giovanni si ricordava l’ora nella quale Cristo lo aveva invitato a seguirlo… le quattro del pomeriggio.

Un incontro indimenticabile!

Così avvenga per ciascuno di noi, nella lettura del Vangelo.


La foto in alto è il lato verso del famoso Papiro Rylands, P52, datato 125 d. C., che riporta alcuni versetti del Vangelo di Giovanni. Venne scoperto in Egitto nel 1920 e testimonia l'antichità del Vangelo di Giovanni. Il papiro Rylands infatti è una copia, quindi presuppone almeno un passaggio dall'originale, e un tempo adeguato per la sua diffusione dal luogo di origine, che è Efeso. Viene così ampiamente confermata anche da questo reperto la data di composizione del Vangelo di Giovanni, da sempre indicata intorno all'anno 90.
Questo piccolo frammento ha ridotto al silenzio coloro che sostenevano un'epoca più tarda per il Vangelo di Giovanni (qualcuno parlava addirittura del III secolo!).
Per colmo dell'ironia il papiro nel lato verso (quello della foto) riporta la frase che Gesù disse a Pilato: "Sono venuto per rendere testimonianza alla verità" (Gv. 18, 37-38).

E qualcuno non crede ai miracoli...

giovedì 3 settembre 2009

I quattro Vangeli. Il Vangelo di Marco

















Il Vangelo di Marco è il più breve di tutti gli altri, ma ha un’importanza particolare.

È stato scritto per primo e ha fornito il modello per gli altri evangelisti, in particolare per Matteo e Luca.

È Marco che ha avuto la geniale idea di raccogliere in una narrazione scritta le testimonianze sulla vita e sull’opera di Gesù. Senza Marco non avremmo probabilmente i Vangeli, il cui valore storico è fondamentale, perché tutti scritti nel corso del I secolo, in età apostolica.

La composizione del Vangelo avvenne durante la predicazione a Roma di Pietro, di cui Marco era interprete, come riporta Papia di Gerapoli; oppure poco dopo il martirio del capo degli apostoli, avvenuto nella persecuzione di Nerone dell’anno 64.

Pietro, che scrive da Roma, chiama affettuosamente Marco “figlio mio” (1 Pt 5, 13).
Questo discepolo viene ricordato più volte nel corso del Nuovo Testamento, in particolare come valido collaboratore di Paolo (At 12, 12; 13, 5; Col 4, 10; 2 Tm 4, 11) . Un grande discepolo dunque, che si è formato alla scuola di Pietro e Paolo.

Lo scopo per cui egli scrive il suo libro lo dice fin dal primo rigo: “Inizio del vangelo di Gesù Cristo, Figlio di Dio” (Mc 1, 1).

Marco scrive per i pagani e in particolare per i romani, gente pratica e abituata a vedere risultati.
Scrive perciò in uno stile sobrio, asciutto, senza fronzoli né ricercatezze formali. Mira al sodo.
Il suo Vangelo è quello che riporta meno discorsi di Gesù e più episodi miracolosi.
Lo scopo è evidente. Gesù è il Figlio di Dio perché è in grado di compiere opere strepitose; e i romani, abituati alle grandi opere dell’impero, erano molto sensibili a questo riguardo.

Se vogliamo fare un paragone con Matteo si può dire che questi evangelizza il popolo ebraico attraverso i continui riferimenti all’Antico Testamento, che trovano piena realizzazione in Gesù.
Marco, che scrive per gente che non conosce la Sacra Scrittura, preferisce prendere i romani e i pagani nel loro punto debole: l’ammirazione per le grandi imprese. E quelle di Gesù erano divine.

Le grandi opere di Dio non si fermano con Gesù. Marco fa comprendere al mondo pagano che Cristo continua la sua opera attraverso la fede e i gesti della Chiesa.
Aderire alla fede cristiana significa sperimentare una mirabile vita nuova, impossibile con le sole forze umane.

Così infatti si conclude questo Vangelo:

Gesù disse agli Apostoli: “Andate in tutto il mondo e proclamate il Vangelo a ogni creatura”.
“Allora essi partirono e predicarono dappertutto, mentre il Signore agiva insieme con loro e confermava la Parola con i prodigi che la accompagnavano” (Mc 16, 15-20).

In effetti, nel corso di questi due millenni, il Vangelo è stato proclamato in tutto il mondo, e ancora oggi segni prodigiosi accompagnano il cammino della Chiesa.

Per coloro che li sanno umilmente riconoscere.



mercoledì 2 settembre 2009

I quattro Vangeli. Il Vangelo di Matteo














Matteo è un apostolo, quindi un testimone oculare della vita di Gesù. Il Signore lo chiamò mentre era al banco della gabella, ed egli “si alzò e lo seguì” (Mt 9, 9).

Il suo Vangelo è il più ampio e procede con andamento ora maestoso, ora irruento, ora drammatico.

La prima caratteristica che colpisce è il frequente richiamo all’Antico Testamento. Matteo, che si rivolgeva in modo particolare agli ebrei, vuol mettere in evidenza che Gesù è il Messia, l’atteso dalle genti, colui che è stato preannunciato dai profeti.

È Gesù il vero legislatore della nuova alleanza, colui che ha portato a compimento e rinnovato l’opera di Mosè. Si trova spesso questa espressione: “Vi fu detto dagli antichi… ma io vi dico”.

E l’evangelista si sofferma a lungo sull’insegnamento di Gesù, sottolineando, da una parte la continuità con l’antica legislazione, e dall’altra la radicale novità della nuova: “Avete inteso che fu detto: 'Occhio per occhio e dente per dente'; ma io vi dico di non opporvi al malvagio; anzi se uno ti percuote la guancia destra, tu porgigli anche l'altra (Mt 5, 38-39).

Un altro aspetto che Matteo mette in evidenza è la forte lotta di Gesù contro il fariseismo, cioè contro chi vuole apparire rispettabile all’esterno, ma è interiormente malvagio.

Matteo era un pubblicano, cioè una persona disprezzabile, perché riscuoteva le tasse per i romani; ma la sua vita è la dimostrazione che non esistono persone perdute di fronte a Dio, se rispondono alla sua chiamata. Per questo può riportare con serena fiducia la frase che Gesù dice ai farisei: “I pubblicani e le prostitute vi passano avanti nel regno di Dio” (Mt 21, 28).
Fanno impressione le durissime invettive del capitolo 23, che iniziano con “Guai a voi, scribi e farisei ipocriti”. E sono chiamati da Gesù “guide cieche”, “razza di vipere”, sepolcri imbiancati”.
Di fronte a queste parole si capisce perché venne messo a morte…

Dobbiamo a Matteo alcuni dei passi più conosciuti della fede cristiana: la preghiera del "Padre Nostro" e le "Beatitudini", nella forma più nota (ambedue sono riferiti più brevemente anche da Luca), il primato di Pietro (“Tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa”), il Giudizio finale sulle opere di misericordia: “Avevo fame, avevo sete, ero straniero, … e mi avete aiutato”.

“Alla sera della nostra vita saremo esaminati solo sull’amore”. È un’espressione di S. Giovanni della Croce che interpreta bene il messaggio del Vangelo di Matteo.

Un Vangelo che ha ispirato uno dei capolavori di Bach, la “Passione secondo Matteo”.

E ha toccato il cuore di Pier Paolo Pasolini che, da non credente, ha voluto rendere onore a Gesù, nella sua lotta contro ogni ipocrisia e falso potere, con il bellissimo film “Il Vangelo secondo Matteo” (1964).

Un invito per tutti, credenti o meno, a rileggere questo mirabile Vangelo.


Foto in alto: "Vocazione di Matteo", Caravaggio (1600), Chiesa di S. Luigi dei Francesi, Roma

martedì 1 settembre 2009

I quattro Vangeli. Il Vangelo di Luca

















Mi pare utile fare qualche riflessione sui quattro Vangeli.

Poche note, ma essenziali, che siano di stimolo e di guida per una lettura personale.

Voglio partire dal Vangelo di Luca, perché offre alcuni aspetti che sono assai utili per una riflessione iniziale.

Luca è un medico, uno scienziato, e un discepolo e collaboratore di S. Paolo (Col 4, 14; 2 Tm 4, 11; Fm 24).

Proviene dalla cultura greca, e sa che la storia si fa con i documenti. Per questo, come Tucidide, egli inizia il suo libro non con la narrazione dei fatti, ma con una introduzione di carattere metodologico.

Egli ci informa che ha fatto “ricerche accurate” “su ogni circostanza” tra coloro che sono stati “testimoni fin da principio”. Il suo libro è perciò “un resoconto ordinato”, che documenta “la solidità degli insegnamenti” che la comunità cristiana del I secolo annunciava.

È Luca che ci dà notizie storiche preziosissime con le quali possiamo individuare, con grande approssimazione, la data della nascita e della vita pubblica di Gesù.

Luca ci fa sapere che Gesù nacque al tempo del grande censimento di Cesare Augusto (Lc 2, 1), che avvenne intorno all’anno 6 a. C. La nascita di Gesù si deve perciò collocare 5 o 6 anni prima di quello che è il computo corrente, dovuto a Dionigi il Piccolo.

Dionigi il Piccolo, un dotto monaco originario della Scizia, vissuto nel V-VI secolo a Roma, interpretò infatti in modo poco corretto un passo di Luca nel quale si dice che Gesù fu battezzato da Giovanni “nell’anno XV dell’impero di Tiberio”, quando “aveva circa trent’anni” (Lc 3, 1 e 23).

Il dotto monaco intese trent’anni come cifra tonda, eliminando il “circa” del Vangelo.

Di fatto Gesù aveva invece 35 o 36 anni, e l’evangelista Luca con il “circa 30 anni” intendeva dire soprattutto questo: l’età di Gesù era quella di un uomo ormai adulto, che poteva presentarsi al popolo con l’autorità del “maestro”.

Oltre alla metodologia storica, Luca si caratterizza per la capacità della descrizione, sia quando narra i fatti che quando riporta i discorsi di Gesù; la penna di Luca è quella di un grande artista; si potrebbe definire il pennello di un pittore.

Ecco ad esempio come descrive il ritorno di Gesù come “rabbi” nel paese che lo aveva visto crescere:

“Si recò a Nazaret, dove era stato allevato; ed entrò, secondo il suo solito, di sabato nella sinagoga e si alzò per leggere. Gli fu dato il rotolo del profeta Isaia; apertolo trovò il passo dove era scritto: ‘Lo Spirito del Signore è sopra di me’… Poi arrotolò il volume, lo consegnò all’inserviente e sedette. Gli occhi di tutti nella sinagoga stavano fissi sopra di lui. Allora egli cominciò a dire: Oggi si è adempiuta questa Scrittura che voi avete udita con i vostri orecchi” (Lc 4, 16-21).

Una descrizione così viva, che sembra di essere presenti.

Ma l’aspetto più caratteristico di Luca è quello evidenziato anche da Dante (De Monarchia, I, 16) con una espressionbe perfetta: “Scriba mansuetudinis Christi”, lo scrittore della bontà di Cristo.

In Luca infatti sono riportate le parabole del figliol prodigo, della pecorella smarrita, del buon samaritano, del povero Lazzaro, che indicano la predilezione di Gesù per i poveri e per i peccatori. E quasi certamente era di questo Vangelo la narrazione dell'adultera salvata dalla lapidazione, episodio che troviamo nel Vangelo di Giovanni.

Solo Luca fa presente che, tra i due ladroni, uno si pentì: “Gesù, ricordati di me, quando sarai nel tuo regno”. “Oggi sarai con me in Paradiso”.

È il Vangelo che parla più diffusamente di Maria, la Vergine “piena di grazia”, la “Madre del Signore”, colei che “tutte le generazioni chiameranno beata”.


Buona lettura!