Oggi la Chiesa ricorda la Madonna Addolorata, ai piedi della Croce.
Jacopone da Todi agli inizi della nostra letteratura (XIII secolo) ha scritto la bellissima sequenza “Stabat Mater”, che ricorda con parole commosse il dramma del Calvario, visto con gli occhi della Madre.
La sequenza divenne subito uno dei canti gregoriani più conosciuti; una melodia semplice e popolare.
Ma in seguito non c’è stato musicista che non si sia voluto confrontare con il canto di Jacopone, dalla polifonia di Palestrina, alla musica barocca di Vivaldi, a quella preromantica e romantica di Haydn e Verdi, fino ad autori contemporanei come Kodàly e Arvo Pärt. E tutti con risultati eccellenti.
Il più bello di tutti rimane pur sempre quello di Giovanni Battista Pergolesi (1710-1736), composto a 26 anni, con le ultime note scritte sul letto di morte: “Quando corpus morietur, fac ut animae donetur Paradisi gloria. Amen”.
Questo Stabat Mater, come quello di Kodàly, l’ho già segnalato.
Questa volta voglio ricordare lo Stabat Mater di Giovacchino Rossini.
Il genio pesarese interruppe il suo silenzio artistico, dopo la composizione del Guglielmo Tell nel 1829, proprio per cantare le lodi di Maria, Madre di Gesù. E lo fece con questo grande Stabat Mater, pubblicato nel 1841 ed eseguito l’anno successivo.
Siamo lontani dallo spirito del gregoriano, fatto di compostezza e pathos interiore. Qui siamo nella musica lirica, nella teatralità, nel “bel canto” italiano.
Eppure, anche in questo spirito, distante dalla musica liturgica, vibra un sincero sentimento religioso. Rossini vuol esprimere il suo riavvicinamento alla fede con la sua geniale inventiva, con le sue affascinanti atmosfere musicali, con la freschezza dell’ispirazione.
Riporto l’aria del tenore “Cuius animam gementem, contristatam et dolentem pertransivit gladius” (una spada penetrò la sua anima gemente, contristata e dolente).
Si tratta di uno dei brani più noti di questo Stabat Mater, cavallo di battaglia di ogni tenore che si rispetti. Rossini ha voluto esprimere, nelle battute finali, l’idea della spada che penetra nel cuore della Madre, con l'acuto di un re bemolle sopra il rigo.
Non è da tutti arrivare oltre il do con la voce vibrante.
La voce è quella del grande tenore peruviano Juan Diego Florez.
Jacopone da Todi agli inizi della nostra letteratura (XIII secolo) ha scritto la bellissima sequenza “Stabat Mater”, che ricorda con parole commosse il dramma del Calvario, visto con gli occhi della Madre.
La sequenza divenne subito uno dei canti gregoriani più conosciuti; una melodia semplice e popolare.
Ma in seguito non c’è stato musicista che non si sia voluto confrontare con il canto di Jacopone, dalla polifonia di Palestrina, alla musica barocca di Vivaldi, a quella preromantica e romantica di Haydn e Verdi, fino ad autori contemporanei come Kodàly e Arvo Pärt. E tutti con risultati eccellenti.
Il più bello di tutti rimane pur sempre quello di Giovanni Battista Pergolesi (1710-1736), composto a 26 anni, con le ultime note scritte sul letto di morte: “Quando corpus morietur, fac ut animae donetur Paradisi gloria. Amen”.
Questo Stabat Mater, come quello di Kodàly, l’ho già segnalato.
Questa volta voglio ricordare lo Stabat Mater di Giovacchino Rossini.
Il genio pesarese interruppe il suo silenzio artistico, dopo la composizione del Guglielmo Tell nel 1829, proprio per cantare le lodi di Maria, Madre di Gesù. E lo fece con questo grande Stabat Mater, pubblicato nel 1841 ed eseguito l’anno successivo.
Siamo lontani dallo spirito del gregoriano, fatto di compostezza e pathos interiore. Qui siamo nella musica lirica, nella teatralità, nel “bel canto” italiano.
Eppure, anche in questo spirito, distante dalla musica liturgica, vibra un sincero sentimento religioso. Rossini vuol esprimere il suo riavvicinamento alla fede con la sua geniale inventiva, con le sue affascinanti atmosfere musicali, con la freschezza dell’ispirazione.
Riporto l’aria del tenore “Cuius animam gementem, contristatam et dolentem pertransivit gladius” (una spada penetrò la sua anima gemente, contristata e dolente).
Si tratta di uno dei brani più noti di questo Stabat Mater, cavallo di battaglia di ogni tenore che si rispetti. Rossini ha voluto esprimere, nelle battute finali, l’idea della spada che penetra nel cuore della Madre, con l'acuto di un re bemolle sopra il rigo.
Non è da tutti arrivare oltre il do con la voce vibrante.
La voce è quella del grande tenore peruviano Juan Diego Florez.
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