giovedì 31 luglio 2008

Pensieri morali (4)


All’inizio di questa serie di post in lingua italiana antica, non avevo la minima idea di come avrebbe reagito il mondo della blogosfera.
Finora i risultati sono stati positivi. Nei vari aggregatori i tre articoli pubblicati hanno fatto la loro figura anche in Home Page. Questo significa che nel mondo del blog c’è ancora posto per una lettura che faccia spremere un po’ le meningi… ma con legittima soddisfazione, spero!
Ho intenzione di portare a termine questo mio impegno con altri quattro 'pensieri morali’, che hanno come titolo La Ricchezza (che oggi viene presentato), La Peste, Memento Homo, Dio.
Al termine, ognuno potrà constatare che i problemi fondamentali dell’uomo li abbiamo ancora di fronte, anche se sono cambiati i vocaboli e il frasario.



La ricchezza


Li huomini di ogni tempo hanno desiderato sempre la ricchezza.
Come i fanciulli si trastullano a raccogliere nicchi marini, immagini colorate e simili frivolezze, parimenti l’uomo compiuto trova gaudio e satisfazione nell’accumulare quelle figure appellate denari, tutte consimili e scioccamente istoriate, di carta vilissima o di oscuro metallo.

Io veggo in questa insaziabile fame di denaro una qual certa infermità fanciullesca, come sottilmente ha insinuato Freud libidinoso, un riandare a giuochi e affezioni infantili troppo presto interrotti o tutt’affatto [del tutto] impediti.

Qualcuno potrebbe dire che i denari sono di necessità per vivere, e si accumula per i tempi futuri e calamitosi, come insegna l’industriosa formica, e non la stolta e petulante cicala che sta in su gli alberi e canta, e non vede l’appressarsi del verno.
Ma ciò che hai accumulato, o huomo ricco che leggi, ti basterebbe non per una ma per più vite, non per sofferire [sopportare] una vecchiezza, ma per resistere ad una intiera eternità, se all’uomo fusse concesso tanto; al contrario, giunti in età senile, è scritto che si debba presto morire et appare inutile un cumulo di beni per chi deve partire senza bagagli.

Forse tu hai voluto pensare ai figli e ai figli dei tuoi figli, e alla fedele consorte. Essi già litigano mentre il tuo corpo giace disteso nella funebre coltre in attesa di pia sepoltura, così che appai simigliante a un misero porcello ingrassato, più utile da morto che da vivo, come predica Santo Bernardino Senense.
E non ti dispiaccia, o huomo chiunque tu sia, di essere paragonato al setoloso porco, imperocché quando si tratta di ragunar denaro tu diventi peggiore di qualsivoglia animale. Più del lupo, che almanco risparmia i suoi simili; vieppiù del leone, che, placata la fame, giace satollo; e perfino di più della jena ridente che dispoglia li morti, ma teme li vivi.

Orsù dunque, umano genere, ritorna alla tua natura più propria e riconosci con li occhi dell’intelletto la vanità di questo accumulare ricchezze, che porta la mente ad oscurarsi, il cuore a rompersi come un vaso di creta, e la persona farsi estranea e financo inimica ai suoi simili.

Tu medesimo, huomo dovizioso, comincia piuttosto a dispogliarti del tuo ingombrante fardello, e doppo aver honestamente pensato al bene di chi ti è prossimo per vincoli di sanguine, restituisci quel che hai ottenuto con la fraude con opere giovevoli al pubblico universo. Prendi anche virtuosa satisfazione in soccorrere persone miserabili, né a te legate da parentela alcuna, né da altri sentimenti se non quello di essere tuoi consimili, ma bisognevoli di aiuto.
L’anima ritroverà la sua quiete e gli occhi riposo. E mentre virtuosamente disfai il cumulo delle tue ricchezze terrene, ne prepari un altro più durevole per l’eternità.


Foto in alto: "Il cambiavalute e sua moglie" (1514), Quentin Metsys (Louvre, Parigi)

martedì 29 luglio 2008

Pensieri morali per li huomini d'oggi (3)


Frasi e vocaboli antichi per esprimere concetti e problemi attuali. Un modo per vincere la pigrizia estiva tenendo in sottile esercizio anche la mente, e per non cadere nei soliti temi del gossip e della politica. E poi, un po’ di antiquariato non guasta mai in una casa…
Buona lettura!



La fame


Già ti veggo sorridere, benevolo lettore, all’udir questa parola, tu che non l’hai per certo conosciuta e ti appare oggimai come un fiato di voce, un vocabolo spento e peregrino.

Dal dì del tuo natale in oggi non hai cessato per un sol giorno di satollarti con ogni genere di vivande, terragnole, acquatiche o celesti, verbigrazia [cioè] animali dal piè tondo e dall’unghia fessa, verzure e frutti secondo la loro specie, uccelli alati e pesci guizzanti secondo le loro molteplici specie.
E forse mentre stai leggendo queste mie difettose considerazioni hai sopra il tuo tavolo di computista una bevanda o una munizione da bocca che ti stimola i sopiti e pigri istinti dell’appetito e tiene in esercizio perenne il rumine del tuo stomaco.

Se poi troppo t’incresce notricarti in casa, col far due passi fuora, per certo troverai subito luoghi già apparecchiati alla bisogna; e solo ad un tuo cenno, come alla mano del padrone, si appresseranno a te servizievoli ancelle e coppieri, pronti a satisfare ogni tuo corporale desiderio.
Che dire mai potremo di quei maravigliosi mercati dove in un sol loco si trovan ragunate tutte le robbe e le sustanzie che sono sotto il cielo, e non v’è che la fatica della scelta, al pari dell’asino di Buridano, e ognuno può torre via ciò che gli aggrada, e in massima quantità?

Stupisci cielo, maravigliati terra, ché mai si era udita e vista una simile abbondanza, neppure nel paese di Cuccagna, di cui favoleggia lo sporcissimo Boccaccio, né manco ai tempi della primitiva aurea etade, come canta Ovidio nasuto nelle Metamorfosi; ma, se m’è lecito, solo al tempo del nostro padre Adamo, pria che fusse gittato fuora del Paradiso Terrestre!

Ma vedi anche, o huomo d’oggi, come i tuoi figli e le tue figlie si son fatti obesi, quasi etruschi lucumoni, o evanescenti e macri come ombre serotine. Il vigore si spegne per li acidi grassi e gottosi che intasano le vene, insieme a zuccari melliflui.

I digiuni e i martirii che le antiche genti hanno sopportato per la salvezza dell’anima, sono oggi sofferti per la salute di questo nostro corpo mortale.
C’è chi si nutrica solo di verzura come le capre; chi ha in dispregio i dolci sapori o i sapidi condimenti; a un altro sono negate le grasse vivande, a un altro invece le bevande inebrianti, in guisa tale che la presente generazione in mezzo a tanta abbondanza mi pare condannata al medesimo supplizio di Tantalo.

O huomo, hai dimenticato i beni spirituali e ti sei affaticato solo per quelli corporali. Ma questa perniciosa oblivione ha danneggato e l’anima e il corpo, come accade sovente quando non si vogliono usare le doti che la natura ci diè. Cosicché alcuna si affatica troppo e alcun’altra perisce.
Ritorna a dare nutrimento alla tua anima immortale.
Et in un corpore sano tornerà ad albergare una mente risanata.


Foto in alto: "Cesto di frutta" (1597), Caravaggio (Pinacoteca Ambrosiana, Milano)

lunedì 28 luglio 2008

Pensieri morali per li huomini d'oggi (2)








Vista la buona accoglienza al post introduttivo, proseguo col proporre in antica lingua italiana il primo argomento di riflessione: la morale sessuale.



Maschio e femmina li creò


Imperciocché [poiché] l’uomo e la donna hanno avuto in sorte strumenti tali che ciò che manca all’una parte pare compensato dall’altra, conviensi, come ha scritto il divino Platone, che amendue [ambedue] si ricerchino e si ritrovino, al fine di ricondurre le proprie membra in quella naturale unione che ogni desiderio acquieta.

Et invero la nostra stessa esperienzia ci dice quanto sia difficile vivere senza conoscere donna alcuna, poiché ciò che la natura ha dato nessuno può togliere, o per dirla alla maniera latina quod natura dederat nemo tollere poterat. Lo stesso si dica per la femmina, la cui virginal continenza appare oggimai cosa rara et preziosa.

L’istoria umana adunque non può dirsi solamente istoria della lotta di classe, come vuole Marx todisco, né pure istoria delle idee, come insegna magister Hegel. Simili giudizi attengono per solito alle pubbliche dissertazioni della schola e della politica.

Esiste però eziandio [anche] una lotta meno saputa ma parimenti reale, fatta di fatiche e travagli amorosi, con insidie, pugne, vittorie et sconfitte, eguali al De bello Gallico, Civili, Punico, et Peloponnesiaco; talvolta in campi aperti, ma più sovente in luoghi angusti e secreti; pugne tutte mondiali, che si combattono non per sette, trenta ovvero cento anni, quale la più lunga appare dai libri, ma da sempre et per sempre.
L’uomo e la donna, senza corazza o vestimento bellico, ma del tutto dispogliati, e armati solamente di ciò che la sorte ha variamente distribuito ai due ordini, si azzuffano in singolare tenzone che alla fine dovrebbe lasciare amendue vincitori et vinti.

E come nella storia pubblica si suole distinguere et enumerare due epoche, quella antica e quella moderna, altresì può dirsi per l’istoria amorosa.
Vi fu un tempo in cui l’uomo, aduso a menare la spada di giorno, parimenti in tempore pacis [in tempo di pace] menava il gladio notturno di contro la sposa fedele, che niuna resistenza poteva contro tanto assalitore, espugnatore di città e castella.

Oggi die, persa la dimestichezza con le armi, l’uomo appare pavido e scialbo, mentre le femmine son divenute ardimentose e provocanti; in guisa tale che queste si sono rivestite di caratteri e costumi mascolini, e li homini per contro li vedi portare capelli disciolti e variopinti, orecchini, monili et altre robbe, che faceano un dì ornamento alle membra muliebri.
E come è infiacchito l’aspetto esteriore, sì pure è scomparso il vigore dei lombi; laonde producono scarsa progenie e sembrano simiglianti ad alberi fronzuti, pieni di inutili foglie, ma senza frutto veruno, né pure capaci di sostentare un foco robustoso.

Orsù dunque, homini e donne, ritornate a ciò che la natura vi ha donato di proprio, a ciò che il Signore Iddio ha insinuato nella vostra coscienza! Ritorni la fedeltà coniugale e la giovanile continenza. Scompaiano gli usi disordinati. Per quanto umanamente si puote.


Foto in alto: "Adamo ed Eva" (1186), Bonanno Pisano (Portale del Duomo di Monreale)

sabato 26 luglio 2008

Pensieri morali per li huomini d'oggi


"Giudizio Universale"
(part.),
Luca Signorelli (1499),
Duomo di Orvieto,
Cappella di S. Brizio






Siamo in vacanze o in ferie e vorrei perciò proporre qualcosa di insolito…
Non in rima questa volta, ma in prosa; più precisamente qualche articolo di riflessione (tra il serio e lo scherzoso) in antico volgare toscano, la lingua dei nostri grandi autori del passato.
Direbbe Palazzeschi: “Lasciatemi divertire!”
Ma il vero motivo di questa scelta lo spiego nella introduzione (Benevolo lettore!) che oggi propongo.
E poiché mi immagino che la lettura sarà un po’ impegnativa, prima di rinunciare a leggere, invito ad un iniziale sforzo di attenzione. Passato il primo scoglio, forse sarà più facile continuare la navigazione e magari trovare il viaggio interessante.
Il prossimo eventuale articolo porterà il titolo: Maschio e femmina li creò.
Se invece la cosa non sarà gradita, tornerò alle usate maniere.




Benevolo lettore!


Ti sembrerà strano questo linguaggio antiquo, tu che sei abituato alla novella lingua italica, composta di avocaboli che dicono cose e istrumenti non mai conosciuti dalle precedenti generazioni e variamente condita di barbare voci della terra di Britannia o di quella di Amerigo et altre ancora, sì che l'eloquio non par più latino.

Ma ti maraviglierà forse, con il suono delle parole, anche la sustanzia degli argomenti, imperocché [poiché] alle disputazioni filosofiche tu preferisci i sollazzi corporei, o se mai investigare i secreti della natura e architettare macchine ingegnose per sollievo dell’umano genere, al pari di Prometeo, rapinatore di fuoco e artefice di infinite invenzioni.

Ho voluto scrivere in questo linguaggio ormai spento, acciocché le mie parole paiano provenire da lontano, quasi monito di profezia per questo terzio millennio. Et ancora perché la curiosità e novità della cosa ti spingano a leggere, e leggendo tu possa più agevolmente avvicinarti, come per giuoco, a norme et principii morali in oggidì poco auscultati.

Così questi miei discorsi, se pure imperfetti e difettosi, potranno recarti la preziosa eredità dei nostri virtuosissimi padri, la quale invero anche a te appartiene.

mercoledì 23 luglio 2008

Se fossi Dio... (in versi)












Se fossi Dio vorrei rifare il mondo
e lo farebbi piatto anziché tondo;
così dei poli smetton di parlare
e i politici vanno a lavorare.

Rifarei un po’ più alto Berluscone
perché si crede lui Napoleone,
e lo farei più bello e più avvenente,
così pensa alle donne solamente.

Veltrone invece lo lascerei stare,
ché finora si è dato un gran da fare;
egli ha fatto davvero un repulisti:
ha fatto scomparire i comunisti.

Anche Carfagna ‘unn'è venuta male:
l’avete vista tutti, al naturale…
Guzzanti la ritocco qua e là,
così le do pari opportunità.

Guardando il mondo della blogosfera
ci dovrei fare una riforma vera.
Nei social networks ed aggregatori
io vedo buchi neri ed altri orrori.

Gli algoritmi oramai son misteriosi
più di tutti i misteri religiosi;
e gli amministrator fan concorrenza
alla nostra divina onnipotenza.

Quel post lo mandan su, l’altro sparisce,
ed il perché nessuno lo capisce;
o meglio, si capisce molto bene,
devi pensarla come lì conviene.

Chi più le spara grosse, sale in vetta;
se c’è un po’ di volgar, si va più in fretta.
Se poi non si conosce l’alfabeto
allora il repertorio è al suo completo.

Vorrei vedere invece aggregatori
che sian comunità di postatori,
senza fakes, senza trolls, senza cordate,
né falsi accounts ed altre bischerate.

Ci sono tante idee quante persone,
e ognuno deve dir la sua ragione;
Si discuta, si parli, ci si inca**i,
ma come adulti, non come ragazzi.

Non sono Dio; son solo Amicusplato
e quel che ho detto è solo un po’ di fiato.
Ma immaginare il mondo un po’ migliore
non costa nulla e mette buonumore.




Foto in alto: "Paesaggio con uccelli gialli" (1923), Paul Klee (Collezione privata, Basilea)

mercoledì 16 luglio 2008

Il senso del ridicolo




Una cosa che colpisce negativamente nel mondo della blogosfera è la polemica spesso astiosa, accompagnata da fanatismi preconcetti e volgarità espressive.

Spesso non si discute, si offende; non si argomenta, si fa propaganda; non si scrive in italiano, ma in ‘volgare’. Non parliamo poi della grammatica, che ormai per molti è un optional…

Certo, ognuno ha diritto a dire quello che crede e nel modo in cui crede (almeno nei limiti consentiti dalla legge).

Ma quando ci confrontiamo con gli altri, dovrebbe scattare in noi un limite che non è imposto solo da una legge esterna, ma da un grande regolatore interno, che è il senso del ridicolo.

Una persona dovrebbe avere l'intelligenza di far passare quello che sta per dire al vaglio del ridicolo: "È esagerato quello che dico o è ben documentato? Esprimo idee o aggredisco le persone? Dico cose vere, oppure sto dando i numeri del lotto?"
Allora tutto ritorna alle dimensioni naturali: le polemiche si stemperano, le offese scompaiono, i termini si arricchiscono ed emergono sfumature impensate. Appare anche un po’ di humor, che non guasta mai e dà un po’ di vivacità al tutto, come il sale nelle vivande.

Bergson, il grande pensatore francese del XX secolo, ha scritto, in un libro dedicato proprio al riso (Il riso. Saggio sul significato del comico), che il senso del ridicolo distingue l’uomo dall’animale.
L’uomo lo possiede, l’animale no.

Teniamola presente questa osservazione, quando scriviamo un post.


Foto in alto: "Il prestigiatore" (1502), Hieronymus Bosch (Museo di S. Germain-en-Laye)

sabato 12 luglio 2008

Vivere da uomini





Di fronte al degrado, anche culturale, che caratterizza la società odierna, nel mio piccolo cerco di ritemprare le forze della ragione e della speranza anche con la lettura di qualche classico.
In questo caso, Aristotele, morto 322 anni avanti Cristo.

Nella sua Etica Nicomachea fa una lucida analisi dell’agire umano e individua gli aspetti fondamentali che dovrebbero caratterizzare il nostro comportamento per essere definito morale. È uno di quei libri che si tengono volentieri a portata di mano.

La conclusione è questa:

“Non bisogna dar retta a coloro che consigliano all’uomo, poiché è uomo e mortale, di limitarsi a pensare cose umane e mortali; anzi, al contrario, per quanto è possibile, bisogna comportarsi da immortali e far di tutto per vivere secondo la parte più nobile che è in noi”
(Etica Nicomachea, X, 7. Trad. E. Berti).

La politica fa pena, la TV fa schifo, i blog talvolta sembrano blob, come l’ultima manifestazione di Piazza Navona… Ce la prendiamo - secondo i punti di vista - con Berlusconi, con Veltroni, col Papa e perfino con Dio, che per qualcuno non dovrebbe esistere, ma che altri si ostinano a dire invece che è dappertutto.
La rabbia che spesso coviamo dentro la proiettiamo su coloro che, per qualche motivo, risvegliano in noi sentimenti negativi, delusioni, pensieri o fatti rimossi.

La verità di fondo è che non vogliamo anzitutto confrontarci con noi stessi. Abbiamo paura di chi siamo, di chi si nasconde dentro di noi.
E incredibilmente abbiamo paura di liberare le nostre capacità interiori, che si aprono in ogni parte verso l’infinito. Mente e cuore non si accontentano di poco, ma vogliono comprendere e abbracciare tutto.

Dobbiamo fare leva sulla limpida forza della ragione e sulla vigorosa spinta dell’amore, che ci aprono verso gli altri e fanno saltare il bunker interiore di paura, nel quale si vive asserragliati in attesa del nemico da colpire.



Foto in alto: Il Partenone di Atene (V sec. a. C.), Fidia

martedì 8 luglio 2008

A che cosa serve essere cristiani oggi (2)


Una persona abbraccia la fede cristiana perché trova risposte esaurienti per la sua vita, desiderosa di verità e di amore. La fede è anche una risposta alla morte, perché l’uomo è e rimane di natura mortale.
Quest’ultimo aspetto oggi viene quasi del tutto ‘rimosso’. Eppure è proprio dal concetto che si ha della morte che prende significato quello della vita, come ha detto efficacemente Heidegger (Sein und Zeit).
Il cristiano guarda la morte in faccia con coraggio, anche se, come tutti, con timore e tremore, illuminato dalla certezza della risurrezione di Cristo.

Tra le molteplici conseguenze di una vita vissuta con fede, ne ricorderò due.

1. La fede cristiana dà pieno significato e valore all’esistenza umana.

Il mondo antico pagano si è convertito al Cristianesimo vedendo il modo di vivere dei cristiani: una comunità di amore e di fratellanza, in un mondo di discriminazioni e di violenza. Lo ricorda, ad esempio, Tertulliano, anch’egli convertito, nel suo Apologeticon: “Guarda come si amano e sono pronti a sacrificarsi gli uni per gli altri” (39, 7), dicevano i pagani nei confronti dei cristiani.
In modo analogo, gli intellettuali di ogni tempo sono rimasti affascinati dagli insegnamenti di Cristo, perché hanno trovato risposta alle domande fondamentali dell’essere umano. Farò solo due esempi, uno relativo all’epoca antica e uno all’epoca moderna.
Al tempo dell’imperatore-filosofo Marco Aurelio (165 ca), il filosofo Giustino fu condotto davanti al tribunale, perché reo di insegnare la religione cristiana. Gli fu ordinato di smettere. Giustino rispose: “Per tutta la vita ho cercato la verità, e ora che l’ho trovata, dovrei rinunciarvi?” E fu decapitato insieme ai suoi scolari (Acta martyrum, 1 giugno).
John Henry Newmann, studioso anglicano, organizzò un gruppo di studio per dimostrare l’erroneità del Cattolicesimo, e si ritrovò a constatare che la pienezza della verità cristiana era proprio nella fede cattolica (1845).
Anche la vita della nostra gente, così concreta, sobria, solidale, è un’altra testimonianza di come ha operata la fede nel corso dei secoli fino ad oggi. Ha trasformato “un volgo disperso che nome non ha” in un popolo di grandi valori umani, universalmente apprezzati.
Esiste anche una controprova oggi, sempre più evidente purtroppo: parallelamente alla perdita della fede stiamo assistendo alla comparsa di nuovi modelli di comportamento nei quali prevale l’egoismo, l’arbitrio, la violenza; il tutto riassumibile nel detto: “è lecito tutto ciò che piace”.
Le conseguenze sono una società che si consuma nell’effimero e non è più in grado di reggere l’impatto con le prove della vita e con la realtà esigente dei valori morali, sui quali unicamente è possibile una civile convivenza.

2. Il Cristianesimo suscita e anima lo spirito artistico, in tutte le sue espressioni.

Ogni esperienza religiosa porta l’animo umano verso il bello. Lo testimoniano i templi greci, le piramidi e la valle dei templi d’Egitto, le pagode buddiste, le moschee dell’Islam…
Ma onestamente bisogna riconoscere che nel Cristianesimo il bello diventa spesso sublime, perché questa fede è ancorata all’incarnazione di Cristo: è Dio che si fa Uomo. Evidentemente questo fatto, che costituisce il centro della fede, sa suscitare le potenzialità più belle dell’animo umano. Pensiamo solo alla tenerezza del Natale, alla drammaticità della Passione, alla gloria della Risurrezione, al mistero di Maria, vergine madre. Quanti musicisti, poeti, letterati e artisti hanno preso ispirazione da questi aspetti della fede cristiana! Il Messia di Haendel, la Passione secondo Matteo di Bach, il Crocifisso di Cimabue (Arezzo), il Cristo Risorto di Piero della Francesca (Sansepolcro), l'Annunciazione del Beato Angelico (Cortona), l'Assunzione della Vergine del Tiziano…
Quando Michelangelo scolpisce il David non solo supera (come scrive il Vasari) la bellezza delle statue greche, ma esprime col marmo una pagina biblica: “Tu vieni a me con la lancia e la spada, io vengo a te nel nome di Dio che hai bestemmiato”: questo esprimono gli occhi sereni e intensi del giovane David, nudo e quasi disarmato di fronte alla prepotenza del gigante Golia.
Anche su questo secondo aspetto abbiamo oggi una prova per contrasto.
Nel mondo dell’arte e dello spettacolo, e in quasi tutti gli aspetti della vita, domina ormai la volgarità e la trivialità di ogni tipo, anche espressiva.
E nel web? Ma cari amici blogger, non ve ne accorgete? Anche la blogosfera, che ama tanto fare da grillo parlante e da coscienza critica, è un crescendo di volgarità e di turpiloquio. E la volgarità non è solo manifestazione di cattivo gusto, ma è sempre frutto di un pensiero debole, molto debole, quasi nullo… Usa il turpiloquio o l’offesa chi non sa argomentare.

La bellezza salverà il mondo, diceva Dostoevskij, e si riferiva proprio a Cristo, alla sua purezza di spirito, alla sua compassione, alla sua capacità di sopportare il male altrui. Ma si riferiva anche alla bellezza delle icone, della letteratura, della musica…
Quella di oggi è spesso una società sgangherata, triviale, senza humor, violenta, e vuota come le zucche di Halloween. È una società che ha smarrito Cristo, infatti.

Poiché solo seguendo Cristo ho ritrovato me stesso, credo nella sua Resurrezione; credo nei suoi Sacramenti, cioè nella Chiesa Cattolica, dove ho sperimentato la sua presenza e la sua infinita misericordia.

venerdì 4 luglio 2008

A che cosa serve essere cristiani oggi (1)


Nel mondo attuale, tutto rivolto al pragmatismo e all’efficienza, una religione corre il rischio di apparire inutile, se non addirittura d’impaccio per il progresso dell’uomo.
Scienza e tecnica sembrano invece gli strumenti più adeguati per risolvere i problemi.
Si pone perciò la domanda: a che serve il Cristianesimo?
Si pensa che esso sia una religione che allontana dalla realtà, illude con paradisi ultramondani, svaluta il valore della scienza, induce alla sopportazione passiva della sofferenza e del dolore.
Una religione triste, diceva Nietzsche.

Per rispondere a questa domanda cominciamo subito con il mostrare quante banalità e falsità si nascondono in queste affermazioni critiche.

1. Scienza e tecnica

La scienza e la tecnica hanno certamente risolto alcuni problemi della vita quotidiana: semplificato il lavoro con le macchine, debellato alcune malattie, allungato di qualche anno l’esistenza, reso più vario il tempo libero (anche attraverso il pc e il web).
Ma sono sorte nuove patologie, l’allungamento della vita umana ha significato anche solitudine, abbandono... La morte, esorcizzata con la consegna di un silenzio omertoso, rimane realtà ineludibile.
In definitiva, scienza e tecnica non hanno modificato affatto la struttura dell’essere umano, che rimane sempre un essere desideroso di sapere e di amore, e di natura mortale.
Per alcuni aspetti i problemi si sono addirittura acuiti, come indicano chiaramente vari segnalatori psicologici: ansia, stress, depressione… L’uso della droga e dell’alcool, che devastano il mondo giovanile, indica il vuoto esistenziale che travaglia il periodo di per sé più bello della vita umana; figuriamoci quando “cadrà l’inverno sopra il suo viso”, per usare una bella metafora della vecchiaia, di De André (Geordie).

E non si deve credere che in passato, poiché la gente era più religiosa (almeno in senso numerico), scienza e tecnica non avessero importanza. Ne avevano, eccome! Il pane non si faceva invocando solo “dacci oggi il nostro pane quotidiano”, ma mettendo la lievita alla sera nella madia e impastando e infornando il pane al mattino dopo nel forno a legna; ed era molto migliore di quello di oggi.
Tra gli infiniti esempi ho portato questo, perché quei bei pani con il loro profumo che invadeva la casa li ho ancora nella mente…

2. Cosa ha da insegnare la fede cristiana all’homo technologicus.

Anzitutto un più corretto modo di vedere ed apprezzare proprio la scienza e la tecnica.
Il Cristianesimo considera la scienza e la tecnica dei grandi mezzi, ma non i fini ultimi a cui sacrificare i valori morali insiti in ogni essere ragionevole. Non tutto ciò che è possibile scientificamente, è anche lecito moralmente. Questo è il primo grande contributo della fede per il moderno Faust. Le mirabili scoperte e invenzioni della nostra epoca non ci devono far dimenticare gli orrrori del XX secolo (si pensi alle bombe atomiche e alle camere a gas).

La fede rimane l'unica risposta alle domande fondamentali della vita.
Si può certamente sopravvivere seguendo come robots gli algoritmi imposti dalla società attuale; ma l’agire sarà più efficace e gratificante quanto più sarà chiaro il punto di riferimento fondamentale della nostra esistenza.
Abbiamo bisogno di una “reductio ad unum”, cioè di non disgregare il nostro io in tanti gesti scollegati, ma di strutturarlo in una unità fondamentale, dalla quale tutto prende significato e valore. Lo esige la nostra ragione (la ricerca e la scoperta del primo principio da cui tutto deriva) e lo esige il nostro cuore inquieto (il bisogno di amore, che va anche oltre la sessualità).
Gesù Cristo ci indica il punto di riferimento assoluto in Dio creatore; e alla nostra ricerca affettiva risponde presentandoci le altre persone come esseri da amare, al pari di noi stessi.
Con la consapevolezza di un principio assoluto, garanzia di ogni verità, e di un amore che ci avvolge e ci penetra nel profondo, l’uomo si presenta compatto nella sua personalità, per cui si liberano tutte le potenzialità della sua natura: la mente è sgombra nella ricerca e il cuore è libero nel donarsi.

“La verità vi farà liberi” (Gv 8, 32). “Ama, e fa’ ciò che vuoi” (Agostino, hom. 7 in I Gv).
Verità e amore. Su questi valori, che la fede cristiana considera essenziali per capire l’uomo di ieri e di oggi, anche la scienza e la tecnica trovano un punto di partenza e una direzione da seguire per il vero progresso dell’umanità.



Foto in alto: "L'adultera" (1653), Nicolas Poussin, Louvre