venerdì 18 dicembre 2009

La lezione politica di Dante

















La lotta politica in Italia è nata con la nascita dell’Italia stessa, nel Medioevo.

Spesso si è trasformata in odio e violenza, non solo tra città e città, ma tra gli stessi concittadini, proprio quelli racchiusi dalle medesime mura e dal medesimo fossato di difesa, per dirla con le famose espressioni dantesche del VI canto del Purgatorio:

“Ed ora in te [Italia] non stanno sanza guerra
li vivi tuoi, e l’un l’altro si rode
di quei ch’un muro ed una fossa serra” (vv. 82-84).

Dante, che sulla sua pelle ha provato l’odio avverso e l’umiliazione dell’esilio, è stato uno dei più severi accusatori della degenerazione politica e uno dei più tenaci assertori della pace “grande e generale”, per la costruzione di una civitas degna di essere vissuta.

Il suo sogno è stato quello di un’Europa unita, con a capo l’imperatore e con il riferimento ai grandi valori cristiani, insegnati dalla Chiesa e dal Papa.

Il Dante “politico” nella Divina Commedia lo troviamo in particolare nei tre VI canti del poema: il VI canto dell’Inferno, il VI canto del Purgatorio, il VI canto del Paradiso.

Ognuno di essi è un ampliamento progressivo di orizzonte: Firenze, l’Italia, l’Europa cristiana.

Il VI canto dell’Inferno descrive la situazione politica di Firenze, dove le fazioni e la corruzione stanno distruggendo la città. Con sarcasmo Dante dice che ci sono rimaste solo due persone giuste, e per di più inascoltate:

“Giusti son due e non vi sono intesi;
superbia invidia ed avarizia sono
le tre faville ch’hanno i cuori accesi” (vv. 13-15).


Il VI canto del Purgatorio presenta la situazione del’Italia, con parole che non hanno bisogno di commento:

“Ahi serva Italia, di dolore ostello,
nave sanza nocchiero in gran tempesta,
non donna di provincie, ma bordello!” (vv. 16-18).

Il VI canto del Paradiso è il canto dell’Impero romano e dell’Europa cristiana impersonati da Giustiniano, il grande imperatore che ha saputo unire gli aspetti più vitali dell’antica Roma, di cui descrive la storia, e la rivoluzionaria novità dello spirito cristiano.

“Cesare fui e son Giustiniano,
che per voler del primo amor ch’io sento,
d’entro le leggi tolsi il troppo e il vano” (vv. 10-12).

Il "primo amore" è lo Spirito Santo.

Colui che in terra fu imperatore ("Cesare"), ed ora è l’anima beata di Giustiniano, ha compiuto l’opera più importante per fondare la pace universale: dotare l’umanità di un nuovo codice di diritto, che rispecchiasse i valori della giustizia, dopo aver tolto da quello precedente le cose sbagliate (“il troppo”) e i mille garbugli che lo inceppavano (“il vano”).

Solo sul diritto e sulla giustizia si può fondare la vera pace. Diritto e giustizia che mondo romano e cristiano hanno saputo offrire alla nascente Europa.

E c'è qualcuno che pensa che le radici cristiane dell'Europa siano un optional.

Dante non sarebbe d'accordo.


Foto in alto: Giustiniano e i suoi dignitari, Basilica di S. Vitale (548), Ravenna

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