domenica 19 dicembre 2010

Per un pugno di dollari. E il cinema non fu più lo stesso





Stasera Rai 3 ha trasmesso “Per un pugno di dollari”, il mio film preferito.

Ovviamente me lo sono rivisto per l’ennesima volta.

Ogni volta che lo guardo, oltre alla soddisfazione di gustare un capolavoro, provo un sottile piacere per una piccola vittoria personale.

Quando uscì il film, nel 1964, la critica cinematografica dominata dai soliti intellettuali ideologizzati lo stroncò. Di fronte al neorealismo italiano ancora in voga, oppure alla cinematografia “impegnata” che stava dominando, questo western così rozzo e improbabile, e senza valori sociali, oltretutto copiatura di un film di Kurosawa, sembrò qualcosa di incomprensibile e da gettare al macero.

Io ne rimasi incantato. Non avevo mai visto né udito nulla di simile in una sala cinematografica.

Anzitutto una musica affascinante, con il suono dello scacciapensieri, le note della chitarra elettrica, addirittura il fischio, e quella tromba svettante che disegnava una linea melodica appassionata e drammatica al tempo stesso.

Poi un linguaggio ridotto ai minimi termini; una specie di ermetismo plebeo. Alla fine del film si potevano ripetere tutte le battute, alcune diventate subito proverbiali, a partire dal titolo.

E soprattutto le incredibili scene di violenza, portata in primo piano in tutta la sua crudeltà e sadismo; una crudeltà mai vista prima in quella forma così esplicita, dal massacro di Rio Bravo a quello dei Baxter, dal pestaggio bestiale del pistolero senza nome (ma Joe), alle violenze sul suo amico locandiere.

Il tocco di femminilità, dato da Marisol, aggiungeva una nota di grazia in quel mondo disumano.

Il duello finale raggiunge le vette dell’epica, non meno del duello tra Ettore e Achille, o se vogliamo,  di Odisseo contro i Proci.
L’astuzia di Joe contro la ferocia di Ramon, la forza vendicatrice contro la prepotenza senza limiti, la giustizia contro il delitto.
Alla bellezza degli esametri di Omero corrisponde adeguatamente la musica di Morricone.

La gente che usciva dalla sala aveva la mia medesima impressione. Avevamo assistito non ad un film, ma ad un evento.

Oggi tutti esaltano Sergio Leone, Ennio Morricone, Clint Eastwood (tutti illustri sconosciuti allora); oltre a Gian Maria Volonté (che fu criticato per questa sua partecipazione “disimpegnata”), il quale riesce a dare il meglio di sé proprio qui, con un personaggio tanto odioso, quanto convincente.

Non solo il film ebbe un successo strepitoso, ma si rivelò come un inizio di un nuovo genere, il western all’italiana; e molto di più ancora. Il crudo realismo di Sergio Leone (come a suo tempo fece Caravaggio) è divenuto un “topos” artistico nella filmografia. Dopo quel film il cinema ha cambiato davvero vestito.

Non voglio dire che la violenza, per di più gratuita, vada bene; anzi!
Voglio solo dire che da allora ogni aspetto della realtà, anche il più crudo, è stato messo a tema.

Non sempre con la genialità di Sergio Leone.

Non posto il duello finale con il leitmotiv più noto, perché già l'ho fatto.
Presento il primo brano che appare nel film, durante lo scorrere dei titoli di testa: "Titoli", ovviamente  di  Ennio Morrricone, con il motivo fischiato da Alessandro Alessandroni.

Lo presento dal disco tratto dalla colonna sonora. Chi non ha avuto tra le mani questo disco, con questa mitica copertina, non può capire l'emozione che provammo quando lo vedemmo.


4 commenti:

  1. Antonio, ottimo post, come tu sai fare.
    Condivido tutto sul film.

    RispondiElimina
  2. Anch'io ieri sera ho rivisto con molto piacere il film. Grancapolavoro. E che dire della musica. Qui il merito ci sta tutto.
    grazie.
    ciao
    luisa

    RispondiElimina
  3. Mi piacciono tutti i tipi di film, quando sono fatti bene :-)

    Ma questo ha un fascino tutto particolare per me... ;-)

    Grazie di queste tue osservazioni, carissima Gianna :-))

    RispondiElimina
  4. Grazie, cara Luisa, di questo tuo commento :-)

    Certo, la musica di questo film ha qualcosa di unico ;-))

    RispondiElimina