venerdì 31 ottobre 2008

Non festeggio zucche vuote...




C’è chi festeggia le zucche vuote di Halloween, vero emblema di tante teste del mondo attuale.

Io invece festeggio i Santi, veri uomini e donne, che nella loro vita hanno dato, ognuno con le sue caratteristiche, un contributo di sana umanità, oltre che di fede.

Teste piene, insomma, che hanno illuminato il corso della storia, e non certo con un mozzicone di candela.

La santità non è qualcosa di strano, ma consiste nel fare al meglio ciò che siamo chiamati a fare. In questo senso i santi non sono soltanto quelli del calendario, ma un’infinità di persone che, senza clamore, mandano avanti la baracca del mondo.

E non solo quelli del calendario cristiano, ma ogni persona di buona volontà.

Sull’esempio di quell’ Uomo Giusto, senza il quale, per ripetere un’espressione di Solgenitzin, non può esistere né un villaggio, né una città, né il mondo intero.


Nel video, il "Santo" della Messa Beat (1966), di Marcello Giombini, eseguito da The Bumpers

mercoledì 29 ottobre 2008

Ritratto di donna (dedicato a Rossaura)
















Arte difficoltosa la pittura,
specialmente ritrarre un personaggio;
se poi non l’hai mai visto di figura,
o sei un po’ matto, oppur sei Caravaggio.

Non ti ho mai visto, Ross, nemmeno in foto;
ho solo il nome e solo i tuoi commenti;
proverò a ricolmare questo vuoto
con fantasia e con i sentimenti.

Il destino talvolta è un po’ severo;
sei del nord-est padanico e leghista
tu che Rossa di nome e di pensiero
sventoli la bandiera comunista.

Sei di Venezia, al pari del Goldoni,
ti piace l’ironia e il parlare sano;
ecco perché tu chiami Berlusconi
“diversamente alto”, anziché nano.

Tra le stupende chiese veneziane
non ce n’è una che bene ti stia;
forse saranno fredde o poco sane,
o forse per i preti hai un’allergia…

Il tuo volto non so, né so il tuo aspetto,
ma son certo che attira l’attenzione;
bella come la Leda in Tintoretto,
o come la Tempesta del Giorgione.

Se vedi dei banchetti e tavolini,
o passegger che per Venezia vai,
dove si firma contro la Gelmini:
fermati; certo Ross vi troverai.

Anche se il morbo infuria e il pane manca
la troverai al suo posto; non si è mossa.
Come nel 68, non è stanca;
sul ponte sventola bandiera rossa.

Mia cara amica, molto ci divide,
ma un pittore non giudica, disegna.
E fin dal primo giorno ch’io ti vide,
ho visto un cuor che lotta e che s’impegna.

Ed un parlar sincero e spiritoso,
specie se parli in anglo-veneziano!
Vorrei baciarti, ma ci hai il tuo moroso,
vorrei abbracciarti, ma sei un po’ lontano…

Ti lascio queste rime, come segno
di stima e affetto, fior bianchi e vermigli.
Il pittore ha finito il suo disegno:
Ross, puoi guardarlo; spero ti somigli.


Amicusplato

martedì 28 ottobre 2008

Alle radici della musica sacra moderna: La Messa Beat (1966)



Il 27 aprile 1966 nella Chiesa della Vallicella a Roma il gruppo sardo dei “Barrittas”, insieme ai due gruppi romani “The Bumpers” e “Angel and the Brains”, eseguì “La Messa dei giovani”, per voci, chitarre elettriche, tastiera e percussioni, composta da Marcello Giombini.

Gli strumenti usati (chitarre elettriche e batteria in chiesa!), i ritmi incalzanti del rock, gli innovativi testi in italiano di Scoponi, Gasbarri e Federici, e le geniali armonie di Giombini non solo suscitarono una vastissima eco, ma cambiarono improvvisamente il modo di fare musica sacra.

Si passava dal mistico gregoriano alla musica prediletta dalla nuova generazione, la “beat generation”. E non a caso la Messa di Giombini venne detta comunemente “Messa Beat”.

Da quel 27 aprile 1966 nelle chiese la musica non è stata più la stessa.

Devo dire che anch’io allora facevo parte, come bassista, di un gruppo che “mise su” questa Messa nella mia città, con grande entusiasmo, e con grande soddisfazione dei partecipanti alla liturgia.

Nel video di You Tube, che sono riuscito a scovare, c’è una inesattezza. La data non è 1965, come appare, ma 1966, perché i Barrittas e gli altri due gruppi pubblicarono i loro singoli 45 giri dopo l’esecuzione della Vallicella e nel medesimo anno, per l’etichetta Ariel.

Ho scelto tra i vari brani il Gloria anche perché, oltre alla sua bellezza, la chitarra basso ha una parte rilevante. Un po' di nostàlghja...

lunedì 27 ottobre 2008

Come suona la campana di Gauss?



La curva di Gauss è un grafico a forma di campana e viene spesso usata per esprimere il modo in cui si distribuiscono molti fenomeni, sia nel campo delle scienze naturali che di quelle umane.
La curva di Gauss è di facile lettura ed ha anche, esteticamente, una sua bellezza intrinseca: è infatti perfettamente simmetrica rispetto all’asse centrale, al pari della siluette di una campana.

Secondo le mie osservazioni, anche la distribuzione delle idee politiche e religiose di quelli che postano negli aggregatori è rappresentata da una curva gaussiana.

Partiamo dalla politica.

Esiste un gruppo di persone che difende strenuamente l’operato del governo. Sembra la Guardia di Napoleone a Waterloo, quella che muore ma non s’arrende. È un gruppo nettamente minoritario e costituisce il primo piede della campana.
La grande massa, che determina tutta l’ampiezza della curva, è formata da persone che vanno da una critica argomentata ad un’opposizione sempre più netta e viscerale; fino a piegare nel drappello di avanguardia, per il quale Berlusconi e soci non ne fan bene una, a prescindere. Quest’ultimo è il piede basso opposto, simmetrico al primo.

Significativo è anche il modo di esprimersi al riguardo.
Per il primo gruppo il capo del governo è chiamato col suo cognome, Berlusconi; nella massa centrale diventa l’innominato, con epiteti sempre più coloriti: l’uomo di Arcore, il piduista, il mafioso, il diversamente alto, lo psiconano; finché si torna al cognome di partenza, preceduto però questa volta dal nome Benito, oltre al quale non ci può essere di peggio.
Come si vede una curva simmetrica perfetta.

Per quanto riguarda la religione, la distribuzione delle idee è analoga, anche se le persone non sono sovrapponibili alle precedenti; all’interno dei gruppi ci sono infatti scambi significativi, che per brevità non starò ad analizzare.

Una piccola minoranza difende la chiesa e il papa; mi sembrano un po’ come gli antichi cristiani. Stanno spesso nascosti nelle catacombe dei loro account e dei loro blog, e quando vengono fuori, finiscono spesso in pasto “ai leoni” del web.
Poi c’è tutto il gruppone centrale, che va da alcune critiche argomentate a posizioni sempre più radicali, secondo cui il papa sbaglia sempre (e pensare che i cattolici dicono che è infallibile…). Infine si arriva al gruppo di punta, tipo UAAR, che predica lo sbattezzo.

Anche qui la terminologia usata è illuminante.
Si passa da Papa Benedetto XVI, a Papa Ratzinger, Pastore tedesco, Papa Ratzi, Natzi, B 16.
Una curva simmetrica perfetta, come appunto la campana di Gauss.

E pensare che la campana è uno dei segni più tipici del cristianesimo: campana e relativo campanile.

A quanto pare la campana del web suona così.

Ma come spesso accade, la realtà supera la fantasia e il mondo virtuale.

Nella realtà sembrano suonare altri tipi di campane di Gauss, secondo le quali le parti sembrano esattamente rovesciate.

È lecito perciò domandarci, prendendo lo spunto da Hemingway: come suona la campana?

sabato 18 ottobre 2008

Si fa presto a dire... forbici! (dedicato a ZicZac)


Il social news Zic Zac ha compiuto un anno. Mi è sembrato opportuno dedicare un post all'avvenimento. Ho cercato di farlo in modo scherzoso, in quartine. È anche il mio saluto a tutte le persone che vi ho incontrato.



Se una vita serena vuoi godere,
senza paure e senza turbamenti,
a portata di mano devi avere
sempre un paio di forbici taglienti.

Pende un filo dal vecchio maglioncino:
Zic! ed ecco che nuovo è ritornato.
Spunta un capello bianco, malandrino:
Zac! e così qualche anno hai eliminato.

Un alluce ti fa veder le stelle?
Armato di coraggio e forbicine,
attento a non tagliarti anche la pelle,
l’unghia malfatta te la fai a fettine.

Sei nel tuo studio superattrezzato:
pc, stampanti, soft multimediali;
ma se a un fotomontaggio hai lavorato,
forbici usasti, vere o virtuali.

C’è poi chi con le forbici ci vive:
sarti e sarte, barbieri e parrucchiere;
quelle del pedicure sono incisive,
trancianti sono quel del giardiniere.

Possiamo usarle in modo originale:
se t’entra in casa un malintenzionato,
impugni le tue forbici a pugnale
e in fuga metterai lo scellerato.

E se di notte, mentre stai dormendo,
tua moglie è assai delusa e insoddisfatta,
attento, che può farne uso tremendo:
basta un zic-zac, e la frittata è fatta…

Ma il miglior uso, quello più intrigante,
lo scopri navigando in blogosfera,
in un aggregator fresco e brillante
che ha compiuto già un anno l’altra sera.

Un bel paio di forbici ha per logo,
ZicZac si chiama, e non certo per niente:
se la news non ti piace tu dai sfogo
al tuo sadismo e zacchi immantinente.

Se invece la notizia ti è gradita,
con uno zic la metti in evidenza;
e può giungere in cima alla salita
ziczacando tra i voti dell’utenza.

Ci sono news che salgono in volata,
altre scendon senza paracadute,
qualcuna è malamente contrastata;
e allora Mic fa stop alle battute.

Quel che a ZicZac di bello vi ho trovato,
oltre alla veste grafica brillante,
è un mondo di persone variegato,
che in questi mesi è in crescita costante.

Utenti di ZicZac, d’ogni colore,
non sciupate il bel sito rinnovato!
A Mic e Giulio un doppio Zic di cuore
perché questo bel sito han realizzato.

Qui do un bel taglio ed una sforbiciata
a questa mia canzon di compleanno.
Amicusplato lascia la brigata;
spera non aver fatto troppo danno.

martedì 14 ottobre 2008

Il bello, il brutto e... Benedetto Croce




Un grande contributo per capire ciò che è bello e ciò che non lo è, in ogni forma espressiva, ci viene da Benedetto Croce. Il suo pensiero, dopo quello di Aristotele, appare il più geniale ed anche il più utile per educare al gusto del bello.
Per illustrare l’estetica di Croce non comincerò dal suo pensiero filosofico, come normalmente viene fatto; ma partirò da alcune sue riflessioni immediatamente comprensibili, per giungere a definizioni più generali.

1. Ognuno di noi si accorge che quando parla e tratta di argomenti che conosce bene e lo appassionano, le parole fluiscono quasi spontaneamente a illustrare concetti che sono ben chiari e vivi nella mente. Insieme ai concetti, anche le relazioni logiche vengono espresse con grande proprietà, in un frasario ben articolato ed efficace, grammaticalmente corretto.
Al contrario, quando dobbiamo affrontare argomenti di cui non possediamo completa cognizione o di fronte ai quali proviamo poco interesse, il discorso diventa faticoso e si stenta a trovare parole appropriate. Anche i periodi si fanno involuti o sgrammaticati.

Ecco quindi la prima conclusione. Forma e contenuto di un argomento o di un’opera qualunque non sono separabili; e una forma espressiva sarà efficace, ben articolata e corretta (perciò bella) quando il contenuto di idee in noi è chiaro, vivo e ben organizzato.

Se uno dicesse: Ho delle idee in testa, ma non le so esprimere, Croce risponderebbe: Non le sai esprimere perché non le hai ben chiare in testa. Se uno studente dicesse: Il professore conosce la materia, ma non la sa spiegare, Croce direbbe: Quel professore non sa spiegare la materia perché non la conosce bene; magari non ha appprofondito le strutture e le connessioni logiche, o forse ha una preparazione lacunosa. Se uno conosce bene una cosa, trova sempre il modo di farsi capire correttamente; l’espressione comprensibile dei concetti è la misura di quanto sono chiari dentro di noi. Un appassionato di Internet riuscirà senz’altro a fare un tutorial perfetto, in poco tempo e in modo piacevole. Cosa che io non potrei fare mai…

2. Che cos’è allora un’opera d’arte? Si ha un’opera d’arte quando il contenuto, che l’autore vuole comunicare, è così vivo, potente, efficace che non può che esprimersi in una forma espressiva altrettanto viva, efficace e convincente. In altri termini, è un’idea brillante e geniale, che si fa sempre più chiara nella mente dell’artista e alla fine, quando è pienamente matura, si sprigiona quasi per forza propria (la famosa ispirazione!) in una forma brillante e geniale.
Quando Michelangelo si poneva davanti a un masso di marmo di Carrara, cominciava subito a vedervi dentro muscoli, nervature, atteggiamenti, figure, che poi egli “liberava dalla prigionia del marmo” con lo scalpello.
Le sue sculture incompiute (i Prigioni ad esempio) danno proprio questo senso di liberazione dalla prigionia della materia.

3. Ciò che distingue l’opera d’arte da ogni altra forma dello spirito umano è il modo di esprimersi.
Mentre il filosofo per esprimere la realtà del mondo usa forme astratte e universali (i concetti), l’artista esprime la realtà universale per mezzo di forme individuali, singolari (le intuizioni). Questo è un aspetto fondamentale che, in parte, collega l’estetica crociana all’estetica classica.
In altri termini, il filosofo si esprime per concetti astratti: forma e contenuto sono perciò universali. L’artista invece esprime ugualmente idee universali, ma per mezzo di una forma individuale, sensibile, concreta, che può essere un disegno, una poesia, un romanzo, una scultura… Il tutto in un frammento: questa è la caratteristica dell’opera d’arte.

Per fare qualche esempio; quando Leopardi parla dell’amore (concetto universale) non fa una dissertazione filosofica, ma ci presenta il suo amore per Silvia; Silvia esprime meglio di concetti astratti il significato dell’amore giovanile: “lingua mortal non dice, quel ch’io sentiva in seno”. E ancora, quando vuole esprimere l’illusione della gioia e la realtà del dolore, non fa una descrizione sistematica alla Schopenhauer, ma descrive Il sabato del villaggio: “la donzelletta vien dalla campagna…" tutti gioiosi in attesa della domenica; ma poi tornerà la noia del lunedì.

La grandezza dell’artista sta tutta qui: quando riesce a esprimere nella singolarità della sua esperienza e delle sue immagini l’universalità dei sentimenti umani.

Foto in alto: I Prigioni: Atlante (1530 ca), Michelangelo, Galleria dell'Accademia (Firenze)

sabato 11 ottobre 2008

Bello è ciò che piace; o no? (3)


In questo celebre dipinto, con pochi e drammatici tratti di spatola, Goya riesce a raffigurare il martirio del popolo spagnolo e la violenza brutale degli invasori napoleonici. La "bellezza" è qui rappresentata dalla drammaticità della scena e dal modo per molti aspetti nuovo di esprimerla, con figure appena abbozzate. Un anticipo della pittura moderna.

Normalmente il bello ha una sua naturale forza, che si impone per l’armonia delle forme, per la simmetria delle parti, per la proporzione del tutto.

Queste caratteristiche sono colte con una certa immediatezza, per cui se un’opera è veramente bella, non ha bisogno di particolari spiegazioni.

Quando il grande Prassitele (IV secolo a. C.) venne accusato di empietà per i suoi nudi della dea Venere, come prova a discolpa portò in tribunale la sua modella, la bellissima Frine, e la fece denudare; i giudici, pur avanti negli anni, assolsero modella e scultore. La Venere Cnidia, il suo capolavoro, si può ammirare, guarda un po’ il caso, nei Musei Vaticani…

Quando venne scoperta la volta della Cappella Sistina affrescata da Michelangelo, “le persone rimasero trasecolate e mutole”; così scrisse il Vasari testimone di quell’evento.

L’oratorio Il Messia di Haendel emozionò talmente il re Giorgio II e l’uditorio inglese, che dal celebre “Alleluia” fino alla fine (quasi un’ora) venne ascoltato in piedi.

In epoca a noi più vicina, molti eventi artistici, di carattere musicale, cinematografico, letterario, etc., hanno avuto echi planetari. E lo skyline di Manhattan, caratterizzato in modo particolare dal World Trade Center, prima del tragico 11 settembre 2001, era una delle cose più mirabili della moderna architettura.

Tuttavia è anche vero che non sempre un’opera d’arte ha avuto immediato riconoscimento. I casi più clamorosi sono Caravaggio, le cui opere venivano spesso respinte dai committenti; Mozart che non ebbe a suo tempo particolare successo; Bach che per 100 anni rimase nel dimenticatoio e fu riscoperto dal genio di Mendelssohn.
Non parliamo di molti artisti moderni, che hanno avuto notorietà soprattutto post mortem. Basterà ricordare il grande Paul Cézanne, uno dei padri della pittura contemporanea, a cui si sono ispirati Matisse, Picasso, Modigliani e infiniti altri. Durante la vita non trovò quasi nessuno che esponesse o acquistasse le sue opere. Sorte simile toccò anche al nostro Modigliani.

Come mai tutto questo?
Perché questi autori ampliano e innovano il concetto di bellezza, rispetto a modelli stereotipati.
Il sermo humilis di Caravaggio non era in continuità con la bellezza rinascimentale, né con la magniloquenza del barocco.
Il rigore e le strutture armoniche bachiane, unite al potente ma sempre misurato pathos, non erano nel gusto dei romantici, molto più declamatori, per cui questi lo ignorarono.
Le ‘troppe note’ di Mozart e le ardite innovazioni strumentali (si pensi ai concerti per corno!) sembravano quasi più adatte ai baracconi, che ai teatri e ai concerti.
Cézanne poi rivoluzionava forme, colori e punti di riferimento: le strutture della realtà stanno diventando una struttura interiore dell’io. È il moderno concetto di arte, di cui abbiamo già parlato nel post precedente.

Ecco dunque che per capire il bello artistico non basta una prima impressione. Alcune volte sì; ma in molti altri casi bisogna ripercorrere il cammino fatto dall’autore, comprendere le novità che ha introdotto, mettersi dal suo punto di vista e capire il messaggio che ci ha voluto comunicare.

C’è un proverbio che dice: “il tempo è galantuomo”. Lo è anche per l’opera d’arte.
Le mode passano. Rimane solo ciò che è bello, ciò che vale, ciò che ha significato.
Il resto svanisce in uno sbadiglio.

Possiamo ora rispondere al nostro interrogativo:
Bello è ciò che piace? Sì, ma non lasciamoci ingannare dalla prima impressione. Occorre anche uno studio attento, e un tempo adeguato di decantazione.
Se il sì resiste a queste due prove, allora si tratta di un'opera d'arte.
Si pensi, come ultimo esempio, alla Tour Eiffel di Parigi. Venne provvisoriamente montata a bulloni per l'esposizione internazionale del 1889, per essere subito dopo smontata. Ma durante quell'anno quel gigantesco "traliccio" moderno piacque tanto, che rimase al suo posto.
Cosa sarebbe Parigi oggi senza la Tour Eiffel?

Avendo cercato di rispondere al titolo del post, nel prossimo affronterò finalmente il tema dell'estetica di Benedetto Croce, che molta importanza ha ed ha avuto nel formare il gusto artistico. Un maestro di cui tutti abbiamo ancora bisogno.


Foto in alto: "I fucilati del 3 maggio 1808", Francisco Goya (1814), Museo del Prado (Madrid)

martedì 7 ottobre 2008

Bello è ciò che piace; o no? (2)



Nella concezione classica, aristotelica, l’arte è imitazione della natura secondo regole ed ha una funzione catartica, purificatrice (morale e religiosa), come abbiamo visto nell’articolo precedente.

La tesi aristotelica percorrerà come un leitmotiv tutta la cultura occidentale.

Nel periodo umanistico Piero della Francesca la ribadisce: l’arte è la ricerca della ‘divina proporzione’ presente nella realtà; Leonardo la esprime con la figura dell’uomo vitruviano, inscritto in un cerchio e in quadrato; Vasari, parlando del David di Michelangelo, dirà ammirato che la bellezza di quest’opera supera quella degli antichi greci…

Fino alla fine del 1800, pur nella varietà degli stili e delle scuole, nessun artista ha messo in dubbio il punto fondamentale dell’estetica classica: l’arte è imitazione della natura. L’artista, secondo la propria sensibilità, originale o manierista, realistica o celebrativa, riproduce ciò che vede, perché anche chi osserva l'opera possa comprenderne il significato.

Alla fine del 1800 avviene una 'rivoluzione copernicana’.
Con l’impressionismo e ancor di più con le correnti successive (espressionismo, futurismo, simbolismo, astrattismo, etc.) il punto di riferimento non sono più gli aspetti oggettivi della realtà, indeformabili, e dunque normativi; il punto di riferimento è ora l’artista stesso nella sua soggettività. Contano e sono rappresentati le sue impressioni, i suoi stati d’animo, il suo mondo interiore.
L’arte diviene il mezzo per esprimere l’io, che manipola a piacimento figure, materie, parole, note musicali... Gli oggetti diventano strumenti dei suoi sogni, delle sue immaginazioni, dei suoi deliri.

Questa rivoluzione estetica non è altro che lo specchio di una rivoluzione ancor più profonda, che porta l’uomo a modificare radicalmente la natura, attraverso scoperte scientifiche e nuove tecnologie, inimmaginabili nelle epoche precedenti. L’uomo è da una parte il dominatore della natura, e dall’altra si scopre vittima delle sue stesse invenzioni.
Si pensi solo all’industrializzazione e ai ritmi frenetici che scandiscono le nostre giornate.
Al tempo stesso nuove suggestioni artistiche vengono dalla fotografia, dal cinema (l’ottava musa), dalla tv, dal mondo del web...
Da quando quel treno dei fratelli Lumière entrò nella stazione de La Ciotat, facendo fuggire impaurita la gente dalla prima sala cinematografica, nel 1896, quella corsa verso le novità tecniche e artistiche non si è più fermata.
Oggi si avverte tutta la bellezza di una sinfonia di Beethoven, o di una fuga di Bach, o di un concerto di Vivaldi, ma nessuno scriverebbe opere simili. Suonerebbero false. Come nessuno farebbe delle pitture alla maniera di Michelangelo o di Raffaello; sarebbero dei cloni.

Esprimono meglio l’uomo e la donna di oggi, per fare qualche esempio, l’Urlo di Munch, gli occhi monocromi e spenti degli stupendi volti femminili di Modigliani, i Carmina Burana di Orff (O Fortuna), la Sagrada Familia di Gaudì, la colonna sonora di C’era una volta in America di Morricone, i cartelloni e la grafica pubblicitaria di Marcello Dudovich, un brano di una rockstar, il film Tempi Moderni di Chaplin, il Guernica di Picasso, l’Ulisse di Joyce, e i Coltelli di Andy Warhol, che si vedono riprodotti nella copertina di Gomorra, di Roberto Saviano.

L’arte contemporanea ha un grande problema. Poiché in genere si muove dal presupposto che è l’artista il punto di riferimento, con il suo mondo interiore, è necessario che il messaggio sia compreso.
Quando ciò accade, l’opera può essere anche un capolavoro, se l’idea è espressa con genialità e originalità.
Altrimenti, è bella quanto una scritta geroglifica o cuneiforme.

Avevo promesso che mi sarei soffermato su Benedetto Croce, che ha portato un notevole contributo allo studio del bello. Lo farò in un terzo ed ultimo post.

Foto in alto: La petite Marie (1918), Amedeo Modigliani (Basilea, Kunstmuseum)

sabato 4 ottobre 2008

Bello è ciò che piace; o no? (1)


Bello è ciò che piace. Sui gusti non si discute. La bellezza è soggettiva…

Molte volte non ci si trova d’accordo neppure sulle verità scientifiche o sui grandi valori etici, figuriamoci su argomenti così personali come il bello e il brutto. A uno piace il Manzoni, un altro lo odia; c’è chi ammira Picasso e chi lo rifiuta a priori; chi ama la musica classica, chi l’hard rock; chi preferisce le bionde, chi le brune…

Parlare di valori estetici validi per tutti, o per la maggior parte delle persone, sembrerebbe dunque un’impresa disperata. Mission: impossible.

Eppure c’è chi ci ha provato, a definire cosa è bello e cosa è brutto esteticamente, e a fissarne le regole fondamentali.

Nell’antichità Aristotele è stato colui che ha dato il contributo più geniale.
Nel prossimo post presenterò l'estetica di Benedetto Croce, che grande importanza ha avuto nella cultura contemporanea.

Per Aristotele l’arte è imitazione della natura. Dunque il vero artista, per fare un’opera bella, dovrà imitare la natura. Ma non deve essere un’imitazione qualunque. Deve essere un’imitazione secondo leggi e modelli ‘universali’ presenti nella natura stessa e che vanno scoperti: un’imitazione secondo cànoni.

Farò un esempio. L’uomo è tanto alto, quanto esteso; cioè l’altezza da capo a piedi è normalmente uguale alla misura che va dalla punta delle dita di una mano a quelle dell’altra, in posizione estesa. L’uomo vitruviano è un altro esempio di proporzioni: l’uomo è inscrivibile in un cerchio, di cui il centro è l’ombelico.
Ecco perché l’ombelico è sinonimo di centralità: l’ombelico del mondo di Jovanotti...

Uno scultore, se vuole eseguire una statua, dovrà perciò rispettare queste regole, questi canoni estetici; in questo modo non scolpirà una persona, ma un modello di persona, un ‘universale’, che ognuno potrà comprendere, perché corrispondente al disegno universale della natura.
Da qui il fascino e la comprensione immediata di queste sculture classiche, perfettamente proporzionate: la Venere di Milo, la Nike di Samotracia, il discobolo di Mirone, i bronzi di Riace…

Nel mondo reale, una persona sarà considerata bella quanto più si avvicina a quelle proporzioni ideali volute dalla natura e percepite dall’essere umano. In più, per Aristotele e per tutta la classicità, la bellezza fisica non può mai essere disgiunta dai valori morali: bello e buono devono andare insieme, per avere la vera bellezza della persona.

E qui giungiamo al terzo aspetto che Aristotele rileva: l’opera d’arte ha un significato liberatorio, catartico. Di fronte alla poesia (Aristotele si riferiva soprattutto alla tragedia greca) l’animo deve sentirsi liberato dal male, purificato. Possiamo estendere questo concetto a tutta l’arte, dicendo che per gli antichi un’opera artistica non era mai una pura contemplazione estetica, e meno ancora un oggetto di interesse consumistico; ma aveva un significato morale, religioso.

Nel bello e nel tragico, nella musica e nella danza, l’essere umano rendeva onore alla divinità, purificando se stesso e disponendosi a vivere più serenamente in questo mondo terreno, immagine di un mondo ideale perfetto.


Nella foto in alto: L'uomo vitruviano (1490), Leonardo da Vinci (Galleria dell'Accademia, Venezia)

giovedì 2 ottobre 2008

La madre di tutte le colonne sonore: Quel treno per Yuma (1957)




La canzone Three Ten to Yuma (3:10 to Yuma) di Ned Washington e George Duning, cantata da Frankie Laine, costituisce il leitmotiv dell’omonimo film (in Italia “Quel treno per Yuma”). L’indimenticabile motivo ha costituito un modello per le successive colonne sonore dei film western, e non solo.

Subito dopo seguirà Sfida all’OK Corral, con il tema conduttore cantato ancora una volta da Frankie Laine, un grande artista in questo genere musicale. Quindi le fantastiche soundtracks di Ennio Morricone (Per un pugno di dollari, 1964; Per qualche dollaro in più, 1965; C’era una volta il West, 1968; Giù la testa, 1971; C’era una volta in America, 1984; Mission, 1986), di John Williams (Guerre stellari, 1977; Indiana Jones, 1981; E.T., 1982; Jurassic Park, 1993; La guerra dei mondi, 2005); Vangelis (Momenti di gloria,1981; Blade runner, 1982; 1492: la conquista del Paradiso, 1992); Nino Rota (nei films di Fellini, nonché ne Il Padrino, 1972); ed altri ancora, a tutti ben noti.


"Quando prendi quel treno delle 3 e 10 per Yuma
puoi vedere gli spiriti dei fuorilegge cavalcare nel cielo"


Three Ten to Yuma

There is a lonely train called the 3.10 to Yuma
The pounding of the wheels is more like a mournful sigh
There's a legend and there's a rumour
When you take the 3.10 to Yuma
You can see the ghosts of outlaws go ridin' by (Ridin' by)
In the sky (In the sky), way up high
The buzzards keep circlin' the train
While below the cattle are thirstin' for rain

It's also true they say on the 3.10 to Yuma
A man may meet his fate
For fate travels ev'rywhere
Though you've got no reason to go there
And there ain't a soul that you know there
When the 3.10 to Yuma whistles its sad refrain
Take that train! (Take that train)
Take that train!



C'è un treno solitario, chiamato il 3 e 10 per Yuma. 
Il battere delle ruote è più simile a un  lugubre sospiro. 
C'è una leggenda e c'è una voce: quando prendi il 3 e 10 per Yuma 
puoi vedere gli spiriti dei fuorilegge cavalcare 
nel cielo su in alto. 
Le poiane volteggiano intorno al treno, 
mentre in basso il bestiame è assetato di pioggia.
Veramente si dice anche che sul 3 e 10 per Yuma 
un uomo può incontrare il suo destino, 
perché il destino viaggia ovunque, 
anche se non hai motivo di andare lì 
e non c'è un'anima che conosci, 
quando il 3 e 10 per Yuma fischia il suo  triste ritornello, 
prendi quel treno, prendi quel treno!


mercoledì 1 ottobre 2008

Alle radici del rock, 50 anni dopo. Paul Anka, urlatore, ma con grazia



http://it.youtube.com/watch?v=Mtvl8IbX434

Tutti conoscono di Paul Anka la canzone Diana, una delle prime e più belle espressioni della musica rock, del 1957.

Del 1958 (cinquant'anni fa) è invece You are my destiny, meno conosciuta, ma non meno bella.
Penso che i più grandicelli se la ricorderanno, e chissà, torneranno ai primi dolci ricordi.

Per i più giovani di oggi, un bel brano musicale cantato da un grandissimo artista, un mito degli anni 50-60 (sua la colonna sonora, con la celebre marcia, del film "il giorno più lungo" del 1962, e celeberrima My way, del 1968/69).

Le parole sono una dichiarazione di amore:

"Tu sei il mio destino
tu condividi il mio sognare
sei la mia felicità
ecco cosa sei"



You are my destiny

You are my destiny You are what you are to me You are my happiness That's what you are

You have my sweet caress You share my loneliness You are my dream come true That's what you are

Heaven and heaven alone Can take your love from me 'Cause I'd be a fool To ever leave you dear And a fool I'd never be

You are my destiny You share my reverie You're more than life to me That's what you are

You are my destiny You share my reverie You are my happiness That's what you are



Nello stesso anno, 1958, Domenico Modugno cantava Volare, operando un cambiamento decisivo nella canzone italiana.