mercoledì 29 luglio 2015

Scherzi del solleone




Sarà il solleone, sarà soprattutto la qualità del legno, ma ormai coloro che stanno nei palazzi del potere ci propinano ogni giorno i loro stucchevoli proclami.

Dall’alto delle loro poltrone, e soprattutto dei loro vergognosi stipendi e privilegi, fanno a chi le spara più grosse.

Renzi dice che tutto va bene e che le tasse diminuiranno, dal prossimo anno. Naturalmente il prossimo anno ripeterà le stesse parole.

La Boldrini ovviamente ripete a pappagallo; in particolare, per lei non esiste un’emergenza immigrazione, i clandestini sono pochissimi (stamani ne sono arrivati altri mille) e bisogna costruire ponti (nel Mediterraneo?) 

I giudici si divertono a prendere per il culo la gente: tartassano le suore di Livorno e mettono in libertà delinquenti e pregiudicati.

Marino, il sindaco di Roma, è la somma della protervia del potere. Tutto intorno gli sta crollando, la città è allo stremo, ma lui sembra il titolare di un bar d’Arezzo, noto per essere il ritrovo di stomaci di ferro: “Barkollo, ma non mollo”.

E noi, vil plebe? Tutti buoni e zitti. Siamo di sotto, si prende quel che viene; soprattutto bollette. 

Proprio come scriveva il 21 gennaio 1832 il Belli nel suo 362esimo Sonetto romanesco: “Li soprani der Monno vecchio”. Mario Monicelli ne prese lo spunto per Il Marchese del Grillo.

Da allora il mondo è cambiato poco. Giudicate voi.



Li soprani der Monno vecchio

C'era una vorta un Re che dar palazzo
mannò fora a li popoli st'editto:
"Io sò io, e vvoi nun siete un cazzo,
sori vassalli bbuggiaroni, e zitto.

Io fo ddritto lo storto e storto er dritto:
posso vénneve tutti a un tant' er mazzo:
io, si vve fo impiccà, nun ve strapazzo,
ché la vita e la robba io ve l'affitto.

Chi abbita sto monno senza er titolo
o dde Papa, o dde Re, o dd'Imperatore,
quello nun pò avé mmai voce in capitolo".

Co st'editto annò er boja pe ccurriero,
interroganno tutti in sur tenore;
e arisposeno tutti: "È vvero, è vvero".


G. G. Belli




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