domenica 27 gennaio 2013

Shalom!


 
 
La Shoah è stata il fatto più tragico della storia ebraica.
 
Un popolo intero venne destinato allo sterminio da una ideologia  criminale e folle; solo la fine della guerra e del nazismo nel 1945 non permise che ciò accadesse del tutto. Furono sterminate circa sei milioni di persone, più della metà della popolazione ebraica residente in Europa.
 
Il male assoluto, nel secolo più sanguinario della storia, il secolo XX.
 
Oggi si ricorda la liberazione degli Ebrei dai campi di sterminio di Auschwitz e Birkenau, avvenuta il 27 gennaio 1945, dove furono annientate più di un milione di persone. È il giorno della Memoria.
 
Ma la Schoah è stata il tragico epilogo di una lunga storia di persecuzioni sofferte dagli Ebrei nel corso dei secoli, iniziate già in epoca biblica: la schiavitù in Egitto al tempo di Mosè, l’esilio di Babilonia al tempo di Nabucodonosor II (587 a. C.), e infine la definitiva dispersione ("diaspora") avvenuta ad opera dell’esercito romano di Tito nel 70 dopo Cristo.
 
Nel corso dei secoli successivi le sofferenze del “popolo eletto” sono continuate anche nel mondo cristiano, culminate anche in drammatici episodi di intolleranza e di violenze. Mai però il Cristianesimo ha visto nel popolo di Gesù una popolazione da eliminare o da distruggere; per la quale invece pregare, come sempre ha fatto, il giorno del Venerdì Santo, quando si ricorda la condanna e la morte di Cristo.
 
Le leggi razziali del 1937 furono considerate dal Papa Pio XI frutto di una ideologia folle e neopagana, condannate nell'Enciclica “Mit brennender Sorge”; e non furono recepite dal governo Vaticano (mentre invece furono accolte dal governo fascista italiano).
 
La più antica comunità ebraica in Europa viveva e vive a Roma, nel centro della cristianità, e durante il periodo dello sterminio venne in grandissima parte salvata nelle parrocchie, nei conventi, nelle case dei cattolici, nonché in Vaticano e in Castel Gandolfo, le sedi del papato. Delle oltre seimila persone che la componevano, furono sottratte alla deportazione più di cinquemila.
 
Al termine della guerra il rabbino capo di Roma, Israel Zolli, intimamente colpito da ciò che aveva fatto il Papa Pio XII (Eugenio Pacelli), si convertì al Cattolicesimo e prese il nome del Papa stesso: Eugenio Pio Zolli. Questo fatto ci dice molto di più di tanti slogan precotti anticristiani.
 
Oggi gran parte della popolazione ebraica ha di nuovo una patria, lo Stato di Israele, riconosciuto dalle Nazioni Unite fin dal 1948.
 
Per questo ritorno in patria da un esilio bimillenario, postiamo il Salmo 137 (136), che ricorda l’esilio babilonese del 587 a. C.
 
“Sui fiumi di Babilonia là sedevamo piangendo ricordandoci di Sion.
Ai salici di quella terra appendemmo le nostre cetre.
'Cantateci i canti di Sion', dicevano coloro che ci avevano deportato.
Come cantare i canti del Signore in terra straniera?
Mi si attacchi la lingua al palato se ti dimentico, Gerusalemme”...
 
Il Salmo 137 (136) ha dato spunto per tanti artisti. Basterà ricordare la poesia di Quasimodo “Alle fronde dei salici”, oppure il mottetto di Palestrina “Super flumina Babylonis”, o il "Nabucco" di Verdi, con il celebre coro "Va' pensiero".
 
Ai nostri tempi, negli anni 70, il complesso caraibico Boney M lo ripropose in versione disco, in una canzone dal titolo “Rivers of Babylon”, che ottenne un grande successo internazionale.
 
Non c’è bisogno di trascriverla. Le parole sono nel video in forma di karaoke. 
 
Si tratta proprio del Salmo 137, nei suoi tratti essenziali.
 
Che le sofferenze del popolo ebraico siano definitivamente concluse. Così come quelle del popolo palestinese.
 
Shalom!
 
 
 
 

7 commenti:

  1. Non si può e non si devono dimenticare quegli orrori...

    Buona domenica, Antonio.

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    1. Sono stato due volte ad Auschwitz (attuale Oscwiencim, Polonia) e nella contigua Birkenau (Brzezinka), e ne sono uscito con le lacrime.

      Buona settimana, carissima Gianna :-)

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  2. L'ultima, proprio l'ultima,
    di un giallo così intenso, così
    assolutamente giallo,
    ... come una lacrima di sole quando cade
    sopra una goccia bianca
    - così gialla, così gialla! -
    l'ultima,
    volava in alto leggera,
    aleggiava sicura
    per baciare il suo ultimo mondo.
    Tra qualche giorno
    sarà già la mia settima settimana
    di ghetto:
    i miei mi hanno ritrovato qui
    e qui mi chiamano i fiori di ruta
    e il bianco candeliere del castagno
    nel cortile.
    Ma qui non ho visto nessuna farfalla.
    Quella dell'altra volta fu l'ultima:
    le farfalle non vivono nel ghetto.

    Pavel Friedann

    Lascio il mio contributo, per non dimenticare..Shalom Amicus Nell

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    1. Bellissima e commovente poesia, cara Nell, di uno che ha lasciato la sua vita nel lager di Auschwitz.

      Dove non volano le farfalle, ma solo i demoni di morte.

      Un abbraccio :-)

      Amicus

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    2. Anche io ne uscii molto turbata quando visitai Auschwtz, mi ricordo che ci sedemmo fuori sul marciapiede e rimanemmo li a lungo, senza parole. Una esperienza che rimane per sempre. Questa poesia cosi dolce e tenera e cosi contrastante con l'esperienza di Pavel, mi sorprende e mi testimonia che l'uomo nella condizione piu estrema e disumana, puo salvare bellezza del suo cuore sognando la sua farfalla ..che grandezza..Ciao Nell

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  3. Ciao Antonio, non puoi mancare sul mio blog di poesia, ti pare?

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    1. Mi pare, mi pare... ;-))

      Ho postato sia nel mio blog, che in un commento al tuo.

      Un abbraccio, carissima Gianna, e auguri :-))

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