domenica 29 maggio 2011

Un passo di danza per Yara




La vicenda umana di Yara Gambirasio si è conclusa ieri con le solenni esequie, a tre mesi dal ritrovamento del corpo martoriato della tredicenne e a sei mesi da quel 26 novembre dello scorso anno, in cui venne rapita e uccisa.

Una tragica vicenda, che ci ha fatto provare indicibile angoscia e infinita tristezza.

Solo la certezza di trovarci davanti ad una creatura che è nella gloria del cielo ha dato a tutti, a cominciare dai familiari, quel conforto che ha permesso di trasformare una cerimonia funebre in una liturgia di serena speranza.

Voglio ricordarla ancora una volta. E posterò per lei la dolcissima e commovente “Pavane pour une enfante défunte”, di Maurice Ravel, composta nel 1899.

La pavana è un passo di danza in ritmo binario e di andamento moderato.

Yara amava la danza; era una giovane campionessa di ginnastica ritmica.

Penso che non le dispiaccia ascoltarla.

giovedì 26 maggio 2011

Omaggio alla Vergine Madre. Dante-Verdi



Il “maggio odoroso” volge al termine.

È un mese nel quale il popolo cristiano ricorda con particolare devozione la Madonna.

La corona del Rosario è il modo più semplice (e a portata di mano di tutti…) per onorare la Madre di Dio. Mi piace far scorrere i grani tra le dita, magari in solitudine, bisbigliando con un soffio di voce: Ave Maria…

Ma innumerevoli sono i modi per onorare la Madonna, e gli artisti di ogni epoca hanno fatto quasi a gara per offrirle il fiore più fragrante.

Dante ha scritto forse la più bella preghiera a Maria, che oggi è diventata un inno liturgico: 
“Vergine Madre, figlia del tuo Figlio”.  È l’inizio dell’ultimo canto del Paradiso, come tutti sanno.

Pochi invece sapranno che Giuseppe Verdi (1813-1901) ha messo in musica le prime terzine di questa preghiera dantesca, ottenendo così un bellissimo mottetto a quattro voci bianche (soprani I-II, contralti I-II) a cappella, cioè senza accompagnamento di strumenti. 
Oggi il mottetto viene eseguito normalmente da cori femminili.

“Laudi alla Vergine Maria” fa parte dei “Quattro pezzi sacri”, che Verdi pubblicò tre anni prima di morire, nel 1898.

Più volte nelle sue opere il grande musicista mostra l’amore verso la Madonna, con brani stupendi; basterà ricordare “La Vergine degli Angeli”, nella Forza del Destino, e l’ “Ave Maria” di Desdemona, in Otello.

Ma i Quattro pezzi sacri sono un testamento spirituale vero e proprio: Ave Maria, Stabat Mater, Laudi alla Vergine Maria, Te Deum.

In particolare fa impressione per la sua scrittura proprio il mottetto “Laudi alla Vergine Maria”.
Polifonia pura, come Palestrina, scritta dal Cigno di Busseto che ha dedicato la sua vita al melodramma e alla musica orchestrata.

Un ritorno alle origine più pure della musica.

Verdi affermò che avrebbe dato tutta la sua musica per l’inno gregoriano “Vexilla Regis”, un suggestivo canto monodico del VI-VII secolo, di Venanzio Fortunato.

Alla fine si comprende sempre ciò che veramente vale. E Verdi, che aveva composto la grandiosa Messa di Requiem per il Manzoni, per le sue esequie non volle musica.

Solo il silenzio.

Il suono incomparabile del silenzio.



Laudi alla Vergine Maria

Vergine madre, figlia del tuo Figlio,
umile ed alta più che creatura,
termine fisso d’eterno consiglio.

Tu se’ colei che l’umana natura
nobilitasti si, che’l suo Fattore
non disdegnò di farsi sua fattura.

Nel ventre tuo si raccese l’amore,
per lo cui caldo nell’eterna pace
così è germinato questo fiore.

Qui se’ a noi meridiana face
di caritate e giuso, intra i mortali
se’ di speranza fontana vivace.

Donna, se’ tanto grande e tanto vali
che qual vuol grazia ed a te non ricorre,
sua disianza vuol volar senz’ali.

La tua benignità non pur soccorre
a chi dimanda, ma molte fiate
liberamente al dimandar precorre.

In te misericordia, in te pietate,
in te magnificenza, in te s’aduna
quantunque in creatura è di bontate (Par. XXXIII, 1-21).
Ave. Ave.

lunedì 23 maggio 2011

Dagli abissi del male alla pace. Ancora Beethoven



Forse nessun musicista ha esplorato la ricchezza dell’animo umano al pari di Beethoven, sia negli aspetti più sublimi che in quelli più tenebrosi e oscuri.

Una caratteristica fondamentale della sua opera rimane però la speranza nell’uomo.
Anche nelle pagine più drammatiche (penso alla V sinfonia, ad esempio), alla fine vince la luce, in una battaglia che l’uomo deve comunque affrontare, attraverso l’immane travaglio del negativo.

Ma c’è un’opera in cui si chiarisce in modo inequivocabile dove poggia questa fiducia dell’uomo. Non solo nelle proprie forze, ma in ultima istanza nella misericordia di Dio.

Quest’opera è la grandiosa Missa Solemnis, in Re maggiore, che già nell’ultimo post abbiamo ricordato.

Voglio sottolineare solo due punti, quelli che ora a noi interessano.

La fiducia nell’uomo è espressa magnificamente nel Credo alle parole: “Et homo factus est” (e si è fatto uomo).
Certo, le parole si riferiscono all’incarnazione del Figlio di Dio; ma quella parola “homo”, ripetuta più volte e con forza dal coro e dai solisti, specie dal tenore, fa impressione. In genere infatti i musicisti usano qui dei toni tenui e delle dolci melodie: è la nascita di Gesù, il Natale, con quel che ne consegue.
Beethoven lo interpreta piuttosto come l’esaltazione della natura umana, assunta dal Figlio di Dio, e quindi resa a sua volta “divina”.
È la dignità dell’uomo che trova il suo fondamento. 


All’opposto, nell’Agnus Dei, che postiamo nella sua prima parte, Beethoven esplora le profondità e gli abissi del male, i peccati dell’uomo e del mondo intero: “peccata mundi”. La voce è anzitutto quella del basso solista, che scende con dolorosa commozione negli anfratti dell’animo umano, per poi elevarsi progressivamente con le altre (mezzo-soprano, tenore, soprano e coro) a invocare la misericordia divina, unica speranza per la pace del cuore e del mondo.

L’invocazione “dona nobis pacem” (che non è in questa videoclip, ma nella successiva http://youtu.be/m8a-_q1gIR8) conclude in modo sublime il cammino di liberazione dell’uomo che si affida a Dio.

Più si ascolta questa composizione, più si capisce perché “Ludovico Van” la considerava il suo capolavoro.
 

domenica 22 maggio 2011

Una prova dell'esistenza di Dio. Ludovico Van




In questi ultimi due giorni ho avuto una defatigante discussione sull'esistenza di Dio con alcuni blogger.

Ritengo che non solo la fede, ma anche la ragione, sia in grado di giungere ad affermare l'esistenza di Dio, creatore del cielo e della terra.

Un mondo in divenire, come è quello che conosciamo e di cui facciamo parte, ha bisogno di una causa iniziale. Altrimenti non può partire per la sua avventura nel tempo e nello spazio.

Qualunque causa che sia operante nel tempo e nello spazio non può essere la causa prima, poiché avrebbe anch'essa bisogno di una causa precedente; e così indietreggiando fino all'infinito, senza mai trovare quel punto di partenza di cui abbiamo bisogno. Il problema si sposta indietro, ma non si risolve mai.

Occorre perciò ammettere una Causa trascendente la materia, trascendente il tempo e lo spazio, e dunque totalmente diversa dagli esseri che compongono l'universo.

Occorre ammettere Dio, come Causa prima e onnipotente di questo nostro universo mondo.

Solo in Dio trova pace la ricerca del nostro spirito inquieto ed esigente.

Ma per arrivare a Dio non c'è solo la prova della nostra ragione; ci sono, ad esempio, anche delle dimostrazioni musicali.

Il Credo della Missa Solemnis, in Re Maggiore, op. 123, di Ludwig Van Beethoven ne è una prova indiscutibile. 

Beethoven la considerava il suo capolavoro.

Solo Dio può ispirare, nei limiti della mente umana, tanta forza creatrice.

Nel video, l'inizio del Credo, l'atto di fede di Beethoven.

"Credo in unum Deum, Patrem omnipotentem, factorem  caeli et terrae"...



mercoledì 18 maggio 2011

Moonlight!



La bellezza del plenilunio mi affascina.

Per lo spettacolo che la luna sa dare nel pieno del suo limpido fulgore, come stanotte.

Ma per un’altra infinità di motivi.

Mi fa pensare alla poesia; a Saffo, per esempio, che in un frammento di ode descrive un plenilunio con tocchi quasi romantici; a Leopardi, che con la luna ci parlava; a Salvatore Di Giacomo, col suo “Pianefforte ‘e notte”…

Mi viene da pensare a Tolomeo, il grande astronomo, che per primo spiegò il fenomeno di una luna apparentemente grande quando si trova vicina all’orizzonte, e molto più piccola quando è nel mezzo del cielo. E stasera era proprio grande sull’orizzonte…

E mi fa venire in mente la musica. Tanta musica!

Tutti i notturni di Chopin, anzitutto. E poi la “Sonata quasi una fantasia” di Beethoven, più nota come “Al chiar di luna”, e l’incantevole “Claire de lune” di Debussy.
Più brillante, per una notte bianca, “Eine kleine Nachtmusik” (Una piccola serenata) di Mozart, il capolavoro che apre il film Amadeus: il povero e ormai quasi dimenticato Salieri fa ascoltare al confessore alcuni suoi brani, ma il confessore riconosce solo il brano di Mozart, la Piccola Serenata…

Ho in mente anche uno splendido concerto di Vivaldi, La Notte, appunto, che ha come protagonista un flauto sbarazzino.

Per questo magnifico plenilunio di maggio voglio presentare il secondo dei quattro “Impromptus” di Franz Schubert, in Mi bemolle maggiore, op. 90, del 1827.

Tutti e quattro gli Improvvisi dell’ op. 90 sono adatti a esaltare lo spettacolo di un plenilunio.

Ho scelto il II perché ha dato spunto per la celebre canzone “Fly me to the moon” (1954), un successo internazionale.

Ma il brano di Schubert è ineguagliabile.

E perfetta è l’esecuzione del grande pianista polacco Krystian Zimerman.

domenica 15 maggio 2011

Fiocco rosa per Costanza!





Amiche e amici della blogosfera,
una bella notizia questa sera!

L’amico Gero, grande bloggatore,
è di nuovo papà. Su in alto il cuore!

Mamma Irene, senz’ una titubanza,
ieri ha dato alla luce la Costanza.

E con Vincenzo, di due anni e mezzo,
la famiglia festeggia; e anch’io, da Arezzo.

Regali, fiori, auguri per la madre,
e un complimento faccio pure al padre.

Costanza ti somiglia, caro Gero;
è nata a tarda notte. È tua davvero!


Amicusplato

sabato 14 maggio 2011

Gli inizi di "Ludovico Van"



Le 32 sonate per pianoforte di Ludwig Van Beethoven (1770-1827) rappresentano uno dei vertici della musica e dell’arte di ogni tempo.

Sonate come la Patetica (n. 8), la Marcia funebre (n. 12), Al Chiaro di Luna (n. 14), la Tempesta (n. 17), la Waldstein (n. 21), l’Appassionata (n. 23), les Adieux (n. 26), la Hammerklavier (n. 29), per citare le più celebri, sono dei capolavori assoluti, di una bellezza sublime, nella varietà dei loro temi.

E queste sonate rappresentano solo un aspetto dell’immensa produzione del genio di Bonn, che spazia in quasi tutti i generi musicali, compresa l’opera: dalle poderose sinfonie al semplice foglio d’album ("Per Elisa"), dalla musica cameristica alla grandiosa "Missa Solemnis" in Re maggiore, che egli considerava il suo capolavoro.

Possiamo paragonare la produzione musicale di Beethoven ad un fiume travolgente, che sfocia nel mare con una infinità di ramificazioni.

A me interessa far notare come questa immensa onda sonora abbia la sua origine nell’apparente fragilità di un tema di poche note della I Sonata per pianoforte, in Fa minore, op. 2, n. 1, pubblicata nel 1796.

Un filo di note che contiene tutta l’energia di una sorgente perenne; un’apparente fragilità che indica invece intenso pathos; un tema che, più volte ripetuto, alla fine affascina e convince.

“Ludovico Van”, come viene familiarmente chiamato da Stanley Kubrik in “Arancia Meccanica” e la cui musica è parte fondamentale della sontuosa colonna sonora del film, mostra già in questa prima Sonata la sua prometeica personalità.

La Sonata è dedicata ad Haydn, ma il discepolo ha  già superato il maestro.


Perfetta l'esecuzione di Daniel Barenboim.

domenica 8 maggio 2011

Un mazzolin di rose e di viole...





Il bellissimo pomeriggio di questa domenica di maggio era troppo allettante per farmi rimanere chiuso in casa e in città.

Così ho preso l’auto e mi sono diretto in collina, dove ormai la primavera, dopo un inizio stentato, comincia a mostrare tutto il suo fulgore.

Una bella passeggiata tra boschi e campi è quanto di più salutare, per il corpo e per lo spirito, si possa immaginare.

Mi sono inoltrato nel bosco, mentre i miei polmoni facevano il pieno di ossigeno e di essenze balsamiche profumate, rigorosamente naturali, ovviamente.

Camminando lungo un sentiero accanto ad un rigagnolo, con mia grande sorpresa ho notato nel greppo un cespuglio di viole ancora fiorite.

Sono rimasto incantato. Poco più sopra, illuminate dal sole, spiccavano rose di macchia, con il loro delicato colore.

Rose e viole…. Per la verità, non è stata la prima volta che ho visto insieme nel bosco questi due fiori, il cui ciclo vitale si svolge in periodi diversi. Le altre volte però mi era accaduto di vedere anticipata la fioritura delle rose, in primavere precoci.

Questa è stata una delle poche volte che ho visto invece, almeno dalle mie parti, le viole ai primi di maggio, nel pomeriggio di una lenta primavera.

Ho pensato al Leopardi, e alla donzelletta del Sabato del villaggio, che reca in mano “un mazzolin di rose e di viole”.

Ho anche pensato ai commenti, talvolta poco benevoli, dei critici (il Pascoli, ad esempio) che hanno voluto sottolineare le scarse conoscenze “botaniche” del grande poeta di Recanati.

Altri invece hanno parlato di “licenza poetica”. Ai grandi poeti tutto è permesso; rose e viole fioriscono in periodi differenti, ma se il verso lo esige, vengono fatte sbocciare in contemporanea.

Viene in mente un’altra licenza poetica famosa: l’upupa dei Sepolcri del Foscolo, che svolazza notturna sopra le tombe; mentre sappiamo che è un uccello diurno, con una simpatica cresta di penne, ma con un nome che sta bene nei cimiteri. E il Foscolo ce l’ha collocata.

Anche il Manzoni non scherza, e mette in bocca al brianzolo Renzo un “La c’è la Provvidenza!”, che si sente solo in Toscana. Ma lo scrittore aveva risciacquato “i suoi panni in Arno” e intendeva proporre un modello di lingua nazionale.

Licenze poetiche…

Ma stasera, 8 maggio, di fronte a quel cespuglio di viole, e con una macchia di rose canine che svettavano al sole primaverile, ho pensato che la donzelletta che veniva dalla campagna, in quel sabato del 1829, doveva aver trovato una stagione simile a questa del 2011.

Con buona pace del Pascoli.


Foto in alto: "La gerbe" (1953), di Henry Matisse, Los Angeles, County Museum of Art

C'è mamma e madre...



Nella festa della mamma voglio evitare ogni forma di retorica; e senza ripetere che “son tutte belle le mamme del mondo”, ne indico una che le rappresenta adeguatamente tutte: la Madre di Gesù.

“In te misericordia, in te pietate,
in te magnificenza, in te s’aduna
quantunque in creatura è di bontate” (Par., XXXIII, 19-21).

Così Dante, nella persona di S. Bernardo, si rivolge alla Vergine Madre, prima di accedere alla visione di Dio, meta suprema del suo (e nostro) peregrinare.

Voglio onorare la Madre per antonomasia, e perciò tutte le mamme, con una lauda tanto bella quanto semplice, una lauda “filippina” (dell’Oratorio di S. Filippo Neri), a tre voci femminili: “Madre, per le tue grazie caste e rare”.

La musica è di Francisco Soto de Langa, del 1589, scritta originariamente per tre voci miste.
Le parole sono un adattamento moderno mariano del testo “Anime affaticate e sitibonde”.

Posto questo canto polifonico anche perché il volenteroso coro è costituito da un gruppo di “madri” della regola di S. Francesco. Non ci sono solo madri in senso fisico. Ci sono anche madri in senso spirituale, cioè donne che dedicano completamente la loro vita agli altri, nella preghiera e nelle opere di carità.

Anche queste vanno festeggiate oggi.

Un piccolo coro volenteroso, “Gratia Vocis”, nato da poco, con buone voci di soprano (i contralti dovranno migliorare un po’).

Un coro delle mie parti...

Auguri, mamme e “madri”! 



Madre, per le tue grazie caste e rare,
ad avvivare un palpito d’amore in ogni cuore
il ciel fatto terreno
ti scese in seno (2 v).


Madre, ridoni il riso tuo giocondo
la pace al mondo che la cerca invano da te lontano,
né sa ch'è sol nel cuore
pien di candore (2 v).


Madre, a te canti unita l’alma mia,
nell’armonia dei Santi in Paradiso e del tuo viso,
nell’estasi soave,
l’eterno Ave (2 v).


sabato 7 maggio 2011

Un'ouverture alla vita




La musica più bella del più grande musicista siciliano per il carissimo amico Gero, che sta per diventare per la seconda volta papà.

È ovviamente la musica di Vincenzo Bellini, quella della Norma.
Il tema dell’opera è drammatico, ma è pur sempre un tema d’amore appassionato; e la musica è sublime.

La Sinfonia iniziale è quello che ci occorre per festeggiare: potente, grandiosa, delicata, festosa, drammatica, tenera, travolgente. Il Cigno di Catania fa qui vibrare tutte le corde dei sentimenti dell’animo umano.

Raramente, in poco più di sei minuti, è dato di ascoltare tanta ricchezza e varietà di colori musicali.

Si tratta di un’ouverture, l’ aprirsi dell’opera. È anche l’augurio di un aprirsi festoso alla vita per Costanza, la nascitura.

Vincenzo è il nome del grande compositore. Ed è anche il nome del primo figlio di Gero.

Auguri alla mamma (siamo in prossimità della festa della mamma, oltretutto!), al papà, a Vincenzo e alla nascitura Costanza.

Noi ci prepariamo ad accoglierla con quanto di più bello l’arte può offrire.

Auguri!

giovedì 5 maggio 2011

Grieg: un omaggio musicale alla Madonna



Il mese di maggio è il mese dedicato alla Madonna.

La sensibilità popolare ha voluto associare i colori e lo splendore del “maggio odoroso” alla luminosa bellezza della Madre di Dio.

“De Maria numquam satis”, dice S. Bernardo; di Maria non si dirà mai abbastanza.

Moltissime infatti sono le preghiere e le forme di pietà popolare che la onorano. E non meno numerose le opere d’arte a lei dedicate.

Una delle preghiere più belle è certamente l’inno Ave Maris Stella, geniale opera poetica di Venanzio Fortunato (VI secolo) o di Paolo Diacono (VIII secolo).  La melodia gregoriana, con cui viene abitualmente cantato questo inno, è il suo degno coronamento.

Musicisti di ogni epoca ne hanno data la loro interpretazione, fino ai nostri tempi.

Mi piace presentare quella del più grande musicista norvegese, Edvard Grieg (1843-1907), per più motivi.

Grieg è un autore che amo particolarmente. Le sue musiche, ispirate al Peer Gynt di Ibsen, sono affascinanti. Il Canto di Solveig è la clip audio del mio profilo di blogger.

L'inno "Ave maris stella", pubblicato nel 1899, è in polifonia a cappella, e la polifonia è il genere musicale che prediligo.
A parte la bellezza in sé di questo genere musicale, quando uno ha cantato per molti anni in un coro polifonico, un po' di nostalgia rimane...

È un brano perfetto sia dal punto di vista armonico che interpretativo.
Si tratta infatti di una mirabile costruzione a 4-6-8 voci miste (Soprani I-II, Contralti I-II, Tenori I-II, Bassi I-II), che nel suo andamento “Allegretto tranquillo” coglie il significato più profondo dell’inno: un fiducioso affidarsi alla protezione della Madre di Dio.

Devo infine far notare che Edvard Grieg era di confessione luterana.
Confrontandosi con questo testo della tradizione cattolica, e per di più ottenendo un mirabile risultato, Grieg ha dimostrato la sua grandezza di uomo e di artista.

Un po’ come il luterano J. S. Bach, che ha composto la più bella Messa cattolica, quella in Si minore.


Ottima la prestazione del coro belga "Dulcisona".


Ave maris stella

Ave, maris stella, Dei mater alma
atque semper virgo, felix caeli porta.

Solve vincla reis, profer lumen caecis,
mala nostra pelle, bona cuncta posce.

Vitam praesta puram, iter para tutum,
ut videntes Jesum, semper collaetemur.

Sit laus Deo Patri, summo Christo decus,
Spiritui Sancto, tribus honor unus. Amen.


Ave, stella del mare, alma Madre di Dio
e sempre vergine, porta felice del cielo.

Sciogli le catene ai rei, ridona la luce ai ciechi,
allontana i nostri mali, ottienici ogni bene.

Donaci una vita pura, preparaci un cammino sicuro,
affinché, vedendo Gesù, siamo sempre nella gioia.

Sia lode a Dio Padre, gloria al sommo Cristo
e allo Spirito Santo, ai tre un unico onore. Amen.

domenica 1 maggio 2011

Un gigante della musica per un gigante di santità



Per festeggiare un gigante della storia ci vuole un gigante della musica.

Per un gigante della santità ci vuole il canto liturgico del Sanctus.

In altre parole, questa giornata memorabile, che ha visto la beatificazione di Giovanni Paolo II, va festeggiata con il Sanctus della "Messa dell’Incoronazione", K 317, di W. A. Mozart.

Grandioso, possente, mirabile il Sanctus; dolce, tenero, celestiale il Benedictus.

Sembra la descrizione della figura del Beato Giovanni Paolo II.

L’eccezionale esecuzione, diretta da H. Von Karajan, è addirittura in S. Pietro durante la celebrazione di Giovanni Paolo II, il 29 giugno 1985.

Quasi un augurio di santità allora; una realtà oggi.

Sanctus, Sanctus, Sanctus
Dominus Deus Sabaoth.
Pleni sunt caeli et terra gloria tua.
Hosannna in excelsis!

Benedictus qui venit
in nomine Domini. 
Hosanna in excelsis!

Santo, Santo, Santo
il Signore, Dio dell'universo.
I cieli e la terra sono pieni della tua gloria.
Osanna nell'alto dei cieli!

Benedetto colui che viene
nel nome del Signore.
Osanna nell'alto dei cieli!