lunedì 27 agosto 2012

È arrivata Beatrice!

















È arrivata finalmente,
invocata dalla gente,
di freschezza apportatrice
Beatrice,


dopo un luglio ed un agosto
che ci han fatto tutti arrosto
con un caldo tropicale,
anzi infernale.


Già Caronte e poi Minosse
han minato le uman posse;
poi Lucifero è venuto,
quel cornuto,


per finire la cottura
di ogni umana creatura,
e portarci già arrostiti
nei suoi siti.


Ma Beatrice su dal cielo
con le nubi ha fatto velo
e ha mandato un temporale,
(meno male!)


che il gran caldo ha stemperato,
l’uman genere ha salvato,
e Lucifero ha cacciato
giù scornato.



Amicusplato






martedì 21 agosto 2012

Pasquino, l'Aretin Pietro e il caldo

















“Pasquino, qua ad Arezzo in mezzo al giorno
c’eran 43 gradi infuocati.
Me sembrava de stare dentro a un forno,
so’ fuggito a Camaldoli, coi frati...”


“E io che devo dire, Aretin Pietro?
qui fermo, senza gambe e senza bbracci.
Er caldo m'ha spellato avanti e ddietro,
e ‘un posso move’ er culo, li mortacci!”


Amicusplato



venerdì 17 agosto 2012

Un canto di lode a Maria (Péter Wolf)





Non posso lasciar passare questi giorni dedicati alla Madonna Assunta in Cielo, senza un pensiero di lode alla Madre di Dio.

Le parole non riescono ad esprimere appieno la sovrabbondanza del cuore per la “tutta bella”, “piena di grazia”.

Perciò bisogna affidarsi alla musica.

Anche ai nostri giorni, nonostante la miseria dei tempi, gli artisti trovano felice ispirazione nel cantare le lodi di Maria. E questo è un segno di speranza.

Una delle più belle composizioni recenti è l’ Ave Maria del musicista ungherese Péter Wolf (21 giugno 1947).

È stata pubblicata nel 2003 ed ha avuto subito un successo straordinario, del tutto meritato.

Il testo è di Fülop Kálmán.

La voce è della cantante ungherese Peller Anna.






lunedì 13 agosto 2012

Games Over!


















I giochi olimpici di Londra 2012 sono finiti. Games over!

Questa frase fa venire in mente, almeno a quelli della mia età, il flipper e la fatale scritta a fine partita: Game Over!

Ricordo bene il gioco del flipper, il primo gioco elettronico dei mitici anni 60; le sue luci, i suoni, i colori, le immagini (per lo più donnine ammiccanti) nel grande display, e una selva di funghi e funghetti respingenti in ogni direzione, specialmente verso il basso, in quel fatale piano inclinato, che ingoiava ad una una le cinque biglie d’acciaio che i due flippers di difesa non riuscivano a respingere.

Possiamo perciò paragonare i risultati della partecipazione italiana a questi Olimpic Games ad una grande partita a flipper, con le sue cinque palline.

La prima pallina, quella della scherma, è partita lancia in resta ed ha scorrazzato a lungo nella parte alta del biliardino, da assoluta padrona, accendendo luci e colori, riempiendo di suoni il locale, accumulando punti a migliaia, e attirando alla fine l’attenzione un po’ irritata del padrone del luogo, uno scozzese emigrato a Londra. Una pallina che non voleva scendere nelle parti basse, contro ogni logica newtoniana, e tanto meno in buca; le poche volte che lo ha fatto, fino a quella fatale, ha trovato un’abile e accanita resistenza.

La seconda pallina, quella delle armi da fuoco, ha seguito l’esempio della prima; ha fatto, come logico, fuoco e fiamme suscitando l’ammirazione dello stesso biliardino, che di fronte ad ogni colpo ben assestato non ha potuto fare a meno di sottolinearlo con suoni vari, coloratissimi Wow!!! di meraviglia, nonché Bonus! di premio. Il barista anglo-scozzese si stava già preoccupando della grande quantità di luce elettrica consumata con due sole, miserabili biglie.

Così è partita la terza sfera, quella del nuoto, che deve aver risentito delle imprecazioni in celtico del proprietario. Intorno al flipper si erano intanto radunati tutti i clienti del bar, attirati dalla bellezza e dalla decantata abilità italiota nel settore. Ma questa volta la biglia, tra la sorpresa generale (e la gioia del padrone) ha cominciato subito a scendere verso i bassifondi ed è miseramente affogata in buca.

Il lancio della quarta biglia, quella dell’atletica, è stato effettuato nella sfiducia più totale. È una palla, quella, che non gira più da tempi remoti. E invece ha cominciato subito a far sentire la sua voce con nuovi suoni e a mettersi in luce con nuovi colori. Un Wow!!! è comparso quando la sfera, con un triplice salto, ha attraversato tutto il biliardino, dal fondo alla cima, e per poco non è uscita fracassando il vetro, con sicuro infarto per l’anglico landlord.

L’ultimo lancio è stato quello della squadra dei picchiatori. Calci e pugni a volontà. La pallina si è battuta con furia gladiatoria contro funghi e funghetti del biliardino, portanto colpi sonori a destra e a manca, e facendo vedere lo zodiaco colorato al display. La pallina ha continuato a menare colpi in basso e in alto, senza la minima intenzione di farla finita. Per il povero barista è stata una doccia scozzese; quella pallina rischiava di farlo finire in miseria, con la prossima bolletta della luce.

Allora ha preso una drastica decisione. Si è avvicinato al flipper, lo ha mosso lateralmente mandandolo in Tilt! tra lo stupore degli astanti, che di nuovo si erano radunati intorno al biliardino. In un inglese un po’ stentato (forse per la vergogna) ha sentenziato che la partita era finita e che il giocatore italiano doveva tornarsene a casa. At home.

Alle legittime proteste dell'italiano, il barista ha detto chiaro e tondo che il padrone di casa era lui e che l’ultima partita doveva finire con l’inno inglese. Appena accennato all’inno, tutti gli astanti si sono messi sull’attenti e hanno intonato a squarciagola God save the Queen... Qualcuno ha anche sventolato la bandiera.

Per il nostro valoroso flipperista non c’è stato altro da fare che tornarsene a casa.

Game over!




domenica 12 agosto 2012

Due calci in bocca e ti danno una medaglia




Il taekwondo è un’ arte marziale e una disciplina olimpica, di origine coreana, che significa letteralmente «l'arte dei pugni e dei calci in volo».

Più calci riesci a sferrare, più accumuli punti. Un calcio al petto, un punto; un calcio in faccia, tre punti. Con un paio di calci in bocca all’avversario ti assicuri la medaglia d’oro.

Ciò che stupisce in questo sport è la straordinaria varietà di calci previsti: calcio frontale, calcio circolare, calcio laterale, calcio in verticale, calcio int./esterno, calcio est./interno, calcio a martello, calcio a schiaffo, calcio a gancio, calcio frontale esterno, calcio a spinta, calcio laterale indietro, calcio semicircolare, calcio circolare indietro.

Esistono anche i “calci Kulo”, che vengono lanciati con la gamba anteriore.

Al confronto, i muli sono dei poveri dilettanti.

A quanto pare l’Italia è una delle nazioni più esperte in questo genere di sport.

Carlo Molfetta nella categoria dei massimi (+ 80 kg) ha battuto ieri in finale, con calci in bocca dati e ricevuti, Anthony Obame del Gabon.

Mauro Sarmiento, dopo l’argento di Pechino nel 2008, ha conquistato invece la medaglia di bronzo nella categoria fino a 80 kg. Un calcio al petto all’afgano Bahawi gli ha portato un punto e un successivo calcio ben assestato in bocca all’avversario ne ha fruttati altri 3.

L’Italia è una nazione abituata ultimamente ad essere presa a calci, anche a calci (in) Kulo, da altre nazioni.

In queste Olimpiadi l’oro di Molfetta e il bronzo di Sarmiento, “nell’arte dei calci in volo”, hanno dimostrato al mondo che siamo in grado di darne qualcuno ben assestato anche noi.

Almeno ogni quattro anni.



sabato 11 agosto 2012

Giamaica. Un'isola di frettolosi

















La polemica Carl Lewis-Usain Bolt mi ha molto colpito.

In poche parole, Lewis ha accusato Bolt di doping: “Non si può correre un anno in 10.3 e l’anno successivo in 9.69".

Il piè-veloce-Bolt ha risposto irritato per le rime: "Non ho più rispetto per Lewis. Penso che voglia solo attirare l’attenzione su di sé, ora che nessuno parla più di lui".

La diatriba tra il Bolt e il "figlio del vento" tocca un aspetto che nello sport è ormai un indesiderato ospite fisso.

Devo dire la verità. Non riesco a entusiasmarmi per le prestazioni di Bolt e me ne dispiace. Sono rimasto scottato dai 100 metri di Ben Johnson alle Olimpiadi di Seul nel 1988, corsi in 9.79. Mi sembrò la volata di un extraterrestre. Purtroppo di extra c’era solo il doping. Anche le strepitose gare della statunitense Griffith nelle medesime Olimpiadi, successivamente messe in forte dubbio per i medesimi motivi, mi portano a dubitare a priori di  risultati "stupefacenti".

La Germania Est, con i suoi 16 milioni di abitanti, nei pochi decenni della sua esistenza ha contrastato agli USA e all’URSS il primato nel medagliere olimpico. Decine e decine di medaglie d’oro venivano appese al collo di donne che sembravano uomini, e di uomini che sembravano usciti da una catena di montaggio.

Dopo la caduta del muro di Berlino si è saputo come venivano “allenati” e nutriti questi atleti: steroidi e anabolizzanti come pane e nutella. La Germania oggi, 80 milioni di abitanti, ha dovuto fare una bella cura dimagrante di medaglie...

Sulla polemica del giorno, ciò che mi lascia perplesso è la piccolezza dell’isola di Giamaica (due milioni e mezzo di abitanti) e l’incredibile “tasso” di velocità degli stessi, uomini e donne indifferentemente. In queste olimpiadi londinesi hanno fatto incetta di medaglie d’oro.

Nei 200 metri i giamaicani sono arrivati addirittura primi, secondi e terzi: Bolt, Blake, Weir; e tutti con tempi eccezionali. Weir l’anno scorso correva la distanza in 20.43 ed era il 33° nel ranking dei velocisti; in queste olimpiadi ha corso in 19.84 ed è arrivato 3° battendo anche lo statunitense Spearmon (accreditato di un 19.65), uno dei favoriti della gara. Ma non vi sembra un po’ troppo?

Che devo dire? Forse l’aria della Giamaica è altamente tonica, forse il cibo è particolarmente indicato per il movimento degli arti inferiori, o forse gli abitanti dell’isola hanno tutti una gran fretta, e corrono dalla mattina alla sera, a piedi naturalmente, con il cronometro in mano, e in un anno riescono a fare salti di velocità, che nel recente passato avvenivano in un decennio almeno.

L’evoluzione della specie. Ma solo a Giamaica.

A proposito. Ben Johnson, cittadino canadese, è di origini giamaicane.

Ho espresso solo dei dubbi. Spero che siano infondati.

Il tempo, un velocista che non ha bisogno di aiuti esterni per correre, alla fine ci dirà chi ha vinto, tra Lewis e Bolt.

Spero Bolt, per il bene dello sport.


venerdì 10 agosto 2012

Due bronzi dorati














10 km a piedi sono già un bell’impegno.

 Ma se li devi fare a nuoto, bisogna appartenere un po’ al genere dei pesci.

Come la nostra Martina Grimaldi, che dopo quasi due ore di bracciate (1h 57m 41s) sembrava più una guizzante sirena che un mammifero terrestre.

Il bronzo che ha conquistato nelle torbide acque del laghetto di Hyde Park ha un valore tutto particolare.

Anzitutto è venuto dalla gara più massacrante del nuoto. La presenza sul podio di un’italiana ha ricordato a tutti che in Italia c’è ancora gente capace di impegnarsi a fondo.

Inoltre quel bronzo è l’unico che è stato vinto nelle gare natatorie. Ha salvato dal totale naufragio una squadra che era partita per fare sfracelli, e invece si è sfracellata sul primo scoglio che ha incontrato.

Non facciamo confronti penosi con altri nuotatori più blasonati. Diciamo solo che la Grimaldi si allena 16 km al giorno, sei giorni la settimana, tutto l’anno, tranne un breve periodo di ferie.

L’altro bronzo, quello di Fabrizio Donato nel salto triplo, mi ha fatto tornare indietro alle Olimpiadi di Città del Messico del 1968, al bronzo di Giuseppe Gentile nella stessa specialità.

Anche questo bronzo ha un peso specifico pesantissimo. È l’unica medaglia conquistata finora dagli italiani nell’atletica leggera, la regina delle Olimpiadi.

Il bronzo è stato conquistato da un atleta di quasi 36 anni (il 14 agosto).

Un invito a tornare ai fasti di un tempo, quando nell’atletica non mancava mai qualche campione italiano: Consolini, Dordoni, Pamich, Damilano, Ottoz, Mennea, Bordin, Simeoni...

Intanto Daniele Greco, 23 anni,  è arrivato quarto, alle spalle di Fabrizio Donato.

Una delle nostre tante medaglie di legno? Preferisco pensare ad una futura prossima medaglia vera.

A Rio de Janeiro.




mercoledì 8 agosto 2012

Niente medaglie, ma un'impresa leggendaria!


















Ieri non abbiamo vinto medaglie; ma l’impresa di Josefa Idem che, a 48 anni e alla sua ottava olimpiade consecutiva (da Los Angeles, 1984) ha vinto la sua batteria della semifinale nel K1 500 metri, va al di là di ogni oro olimpico, che pur in passato ha già vinto (Sydney 2000), insieme a due argenti e due bronzi.

È una di quelle imprese che rimarranno nella memoria collettiva e che entrano di diritto nella leggenda.

Mi vengono in mente altre gesta, degne di essere cantate da Pindaro nelle Odi Olimpiche.

Il salto in lungo (lunghissimo!) di m. 8, 90 di Bob Beamon alle Olimpiadi di Città del Messico nel 1968. Quel volo che non finiva mai, e che atterrò al bordo estremo della sabbiera. Per poco non usciva fuori...

I salti in alto di Valerij Brumel, fino a quota 2, 28, vincitore alle Olimpiadi di Tokyo del 1964, tanto potenti quanto eleganti, con lo scavalcamento ventrale. Poi è venuto lo stile Fosbury alle Olimpiadi di Città del Messivo del 1968. Quando vidi per la prima volta Dick Fosbury saltare come un gambero, mi venne da ridere. Eppure fu lui a vincere la medaglia d’oro. Ma il salto in alto è diventato ormai un salto all’indietro e ha perso così gran parte del suo fascino.

La velocità pura dei 100 metri “piani”: il teutonico Armin Hari, dallo scatto bruciante, che li corse per primo in 10 netti, vincitore delle Olimpiadi di Roma nel 1960; e Valerij Borzov, l’ “homme machine”, un fascio di muscoli assemblati nelle palestre sovietiche, una perfetta macchina da corsa, l’ultima, prima dell’avvento dei “negri” americani. Quando Jim Hines scese sotto la soglia “invalicabile” dei 10 secondi, e vinse l’oro a Città del Messico con 9, 95 mi sembrò di assistere ad un film di fantascienza.

Poi sono venuti gli altri, Carl Lewis in testa, il “figlio del vento”, finché anche i neri americani sono stati soppiantati dai neri della Giamaica, con Usain Bolt e il suo erede Yohan Blake. Ma non ci meraviglieremo più di nulla, fino a quando un altro centometrista percorrerà la distanza in 9 secondi netti, e poi ancora sotto.

Per tornare all’Italia, e per tornare all’universo femminile, vogliamo rendere omaggio alla grande, grandissima Sara Simeoni, la prima donna al mondo a saltare sopra i 2 metri (2, 01), nel 1978. Medaglia d’oro a Mosca (1980), d’argento a Montreal (1976) e a Los Angeles (1984).

Saltava alla Fosbury, ovviamente; ma non si può avere tutto dalla vita.


martedì 7 agosto 2012

Stelle e polvere di stelle




















Ieri non ci siamo fatti mancare proprio nulla.

Anzitutto nelle gare.

L’oro di Niccolò Campriani alla carabina, l’argento di Massimo Fabbrizi nella fossa olimpica (il classico tiro al piattello), bronzo negli anelli per Matteo Morandi.

A quanto pare gli italiani sono pericolosi con ogni tipo di arma, e non solo all’arma bianca.

Campriani ha dimostrato, a terra, in piedi e in ginocchio, di essere il miglior cecchino di tutto l’orbe terracqueo. Uno che manovra con tanta abilità la carabina, dovrebbe essere nominato sul campo “carabiniere" ad honorem.

Fabbrizi ha seguito le orme di Jessica Rossi, ma per qualche piattello in meno si è dovuto accontentare della medaglia d’argento. Non tutti i piattelli riescon col buco...

Evoluzioni pressoché perfette ha inanellato Matteo Morandi. Ci ha ricordato Yuri Chechi e Franco Menichelli.

Purtroppo, oltre a questo bel tris per la nostra squadra, c'è stato anche il tristissimo bluff  di Alex Schwazer, trovato positivo a un controllo doping.

Il campione olimpionico di Pechino dei 50 km di marcia è stato ovviamente escluso da Londra 2012.

Vergogna marcia.







lunedì 6 agosto 2012

Dalla scherma il solito oro...




















Cambiando l'ordine dei sessi, il prodotto non cambia.

È la nuova regola olimpica che l’Italia ha introdotto a Londra (Londinium) nelle gare di fioretto a squadre.

Fratelli o sorelle d’Italia, con il fioretto in mano, fanno sempre lo stesso risultato: medaglia d’oro.

Forse è l’elmo di Scipio dell’inno nazionale a ricordare agli schermidori l’invincibile valore dei nostri antichi legionari, che all’arma bianca non avevano rivali.

Così invece di Orazio Coclite, Decio Mure, Tito Labieno, Giulio Agricola (il conquistatore della Gran Bretagna), oggi abbiamo Giorgio Avola, Valerio Aspromonte, Andrea Cassarà e Andrea Baldini, che hanno conquistato un’altra volta la Britannia, ma questa volta senza spargimento di sangue.

Basta la medaglia d’oro.




domenica 5 agosto 2012

Jessica Rossi. Un piattello tutto d'oro















Ricordati che sei polvere, e polvere tornerai!

Questo deve essere stato il pensiero ricorrente di Jessica Rossi, mentre dalla fossa olimpica si accingeva con il suo fucile a ridurre, uno ad uno, i 99 piattelli della gara in una spolverata rosso-argilla fucsia.

Implacabile, spietata, distruttiva, strepitosa.

Qualunque oggetto volante dalla forma rotonda, che si aggirasse nel raggio della sua azione, è stato immancabilmente impallinato e incenerito dalla nostra giustiziera.

Benché residente a Crevalcore, il cuore di Jessica, così come la sua mira, non ha avuto cedimenti.

Una giustizia quasi divina: 99 centri su 100, medaglia d’oro e record degli umani.

Solo un piattello è sfuggito al micidiale fucile della ventenne emiliana.

Non l’ha mancato. L’ha lasciato andare. Era il numero 17...

In queste olimpiadi londinesi 2012 le donne italiane si sono dimostrate eccellenti spadaccine, judoke, fucilieri... Gli uomini sono avvertiti!

Jessica ha dedicato la sua medaglia d'oro all’Emilia, devastata dal terremoto.

Un oro per chi sta combattendo, da una fossa più profonda, colpo su colpo, la gara della vita.





sabato 4 agosto 2012

Una medaglia al giorno...















Aldo Montano, Diego Occhiuzzi, Luigi Samele e Luigi Tarantino, hanno conquistato un bel bronzo nella sciabola a squadre, aggiungendo così un’altra medaglia alla pluridecorata bacheca della nostra scherma.
Per Luigi Tarantino è la quarta olimpiade coronata da successo; per Montano, vero trascinatore della squadra, la terza; per Occhiuzzi la seconda; per Samele, il più giovane della compagnia, la prima. Ma visto il piglio, la prima di una bella serie certamente.
L’afa di questi giorni è insopportabile, lo spread non si decide a metter giudizio, le borse sono volatili più dei fringuelli, l’euro è ancora un brutto anatroccolo.
Un’Italia in malattia, più che in ferie.
Per fortuna che, tra moschettiere e moschettieri, il tricolore italiano sventola ogni giorno sui pennoni di Sua Maestà la Regina d’Inghilterra, Dio la salvi.
Una medaglia al giorno ha un valore terapeutico, come una mela, e riesce ad abbassare lo spread meglio dei discorsi di Monti e Draghi.
En garde!  Êtes-vous prêts? Allez!
Touchée, Madame Merkèl!



giovedì 2 agosto 2012

Le tre moschettiere. Anzi, quattro!





















I tre moschettieri erano in realtà quattro. Così ha immaginato la fantasia di Alessandro Dumas padre. Ed erano francesi e maschi, ovviamente.

Ma i tempi cambiano. La Francia non è più la “grande nation”, le donne si sono emancipate e invece di donzellette che vengon dalla campagna con i fiorellini in mano, te le ritrovi oggi con un fioretto in acciaio temperato, pronte a infilzarti come un pollo.

Le migliori in assoluto sono quelle italiane. Belle, sorridenti, eleganti, se le incontri per la strada; aggressive, micidiali, assetate di sangue, volevo dire di medaglie, in pedana.

Ad una ad una hanno fatto fuori, sia singolarmente che in compagnia, tutte le avversarie che hanno incontrato: francesi, inglesi, tedesche, russe, giapponesi, cinesi, coreane, venezuelane, libanesi, ... tutte.

Non avendo trovato spadaccine degne di loro, alla fine han dovuto incrociare le lame tra di sé, in una lotta fratricida, anzi, sorellicida; finché è rimasta in piedi solo Elisa Di Francisca, dopo aver fatto fuori Arianna Errigo, che aveva fatto fuori Valentina Vezzali.

Le tre moschettiere delle Olimpiadi di Londra 2012.

No, quattro, come nel racconto di Dumas. Vogliamo forse lasciar fuori Ilaria Salvatori?

Jamais!

Anche D'Artagnan si sarebbe complimentato con le nostre schermitrici e, inchinandosi davanti a tanta bravura, le avrebbe salutate con un immancabile: "Enchanté!"



Molmenti... di gloria!





I friulani sono gente tosta, lo sappiamo.
Vedere scendere il friulano Daniele Molmenti con il suo kaiak nelle “rapide” e tra le strette porte del torrente olimpionico di Londra, nella gara di K1 slalom,  ci ha risollevato il morale, messo KO dal naufragio completo della nostra squadra di nuoto, maschile e femminile.

Se ancora ha senso fare le Olimpiadi, in un mondo smaliziato e con pochi riferimenti ideali, lo ha nel recupero dei valori fondanti questa manifestazione sportiva mondiale. Altrimenti è meglio chiudere il baraccone.
Sono valori così semplici, da apparire ovvii. Eppure sembra necessario ricordarli.

Alle doti che madre natura ha fornito all’atleta, occorre aggiungere disciplina, impegno assiduo e non ultimo lo spirito della nazione che uno rappresenta. Ma nel vero campione non deve mai mancare l’umiltà, se vuol rimanere campione.
Un bel compendio di tutto questo è la medaglia d’oro del “forestale” Molmenti: passione, grinta, precisione, e soprattutto un grande cuore.

Furlan e italiano.



Nel video l'inizio di "Chariots of fire" (in Italia, "Momenti di gloria") del 1981, con la colonna sonora di Vangelis, anch'egli premiato con l'oro dell'Oscar (1982).