Mi pare doveroso continuare a festeggiare la patrona della musica, Santa Cecilia, con un canto della tradizione gregoriana.
Il canto gregoriano è il canto liturgico per eccellenza. È monodico, cioè ad una sola voce, senza accompagnamento di strumenti, in lingua latina.
Abbraccia il corso di oltre un millennio, poiché i più antichi canti risalgono al IV-V secolo, al tempo cioè del basso impero. Ad esempio, il Te Deum e molti inni sono dell’epoca di S. Ambrogio, e alcuni a lui attribuiti; lo stupendo introito “Circumdederunt me gemitus mortis” della Domenica di Settuagesima risale certamente al tempo delle invasioni barbariche, come suggerisce il testo.
Una prima raccolta di questi canti si ebbe con Papa S. Gregorio Magno (morto nel 604); da qui il nome di Canto “Gregoriano”. Il repertorio andò ampliandosi grandemente con l’andare del tempo, e un’altra codificazione si ebbe nel XVI secolo, attribuita a Palestrina e alla sua scuola, pubblicata poi nel 1618 e denominata “Editio Medicea”.
In realtà questa edizione fu molto criticata, perché non avrebbe rispettato gli antichi codici, ma avrebbe semplificato e mutilato i bei melismi dei canti originari.
Per questo motivo nel XIX secolo, per opera geniale di Dom Guéranger, monaco benedettino di Solesmes, fu iniziata una revisione critica dell’edizione medicea, e si giunse con l’utilizzo sistematico degli antichi codici a pubblicare il “Graduale Romanum” (e il “Liber Usualis” che ne è un compendio), dopo un celebre Congresso tenuto nel 1882 ad Arezzo, patria di Guido Monaco, e dopo l’approvazione del Papa S. Pio X, nel 1908.
In epoca recente, nel 1979, anche il Graduale Romanum e il Liber Usualis sono stati rivisti in base ad altri codici, ed è stata pubblicata una nuova edizione, denominata “Graduale Triplex”.
Il canto gregoriano è un canto casto, ma vibrante; non ha eccessi lirici, ma è pieno di pathos interiore; racchiude la sublime bellezza nella semplicità di una linea melodica, che non è mai gridata, ma si esprime nella “sobria ebbrezza” della preghiera.
Ha un valore enorme, sia dal punto di vista artistico che storico. Costituisce la base di tutta la musica occidentale, e ha dato origine prima alla polifonia, poi alla musica trascritta per i vari strumenti.
Come invito al gregoriano ho pensato di far ascoltare il canto dell’Ave Maria.
Il canto gregoriano si muove normalmente per gradi congiunti, cioè senza salti di voce, con andamento graduale, sia nel salire che nello scendere della melodia; è come la natura, che non fa salti.
Se ciò avviene, è per esprimere un’esultanza particolarmente intensa.
All’inizio del canto dell’Ave Maria si noterà proprio un salto di quinta, sulla vocale i di Maria. Si vuole esprimere tutta l’ammirazione e lo stupore per questa straordinaria creatura.
Un identico intervallo di quinta si ha nell’Introito della III Messa di Natale, “Puer Natus est”.
Lì è immediato, sulla vocale u di Puer: un’esultanza incontenibile, quel Bambino è Gesù.
Il canto gregoriano è il canto liturgico per eccellenza. È monodico, cioè ad una sola voce, senza accompagnamento di strumenti, in lingua latina.
Abbraccia il corso di oltre un millennio, poiché i più antichi canti risalgono al IV-V secolo, al tempo cioè del basso impero. Ad esempio, il Te Deum e molti inni sono dell’epoca di S. Ambrogio, e alcuni a lui attribuiti; lo stupendo introito “Circumdederunt me gemitus mortis” della Domenica di Settuagesima risale certamente al tempo delle invasioni barbariche, come suggerisce il testo.
Una prima raccolta di questi canti si ebbe con Papa S. Gregorio Magno (morto nel 604); da qui il nome di Canto “Gregoriano”. Il repertorio andò ampliandosi grandemente con l’andare del tempo, e un’altra codificazione si ebbe nel XVI secolo, attribuita a Palestrina e alla sua scuola, pubblicata poi nel 1618 e denominata “Editio Medicea”.
In realtà questa edizione fu molto criticata, perché non avrebbe rispettato gli antichi codici, ma avrebbe semplificato e mutilato i bei melismi dei canti originari.
Per questo motivo nel XIX secolo, per opera geniale di Dom Guéranger, monaco benedettino di Solesmes, fu iniziata una revisione critica dell’edizione medicea, e si giunse con l’utilizzo sistematico degli antichi codici a pubblicare il “Graduale Romanum” (e il “Liber Usualis” che ne è un compendio), dopo un celebre Congresso tenuto nel 1882 ad Arezzo, patria di Guido Monaco, e dopo l’approvazione del Papa S. Pio X, nel 1908.
In epoca recente, nel 1979, anche il Graduale Romanum e il Liber Usualis sono stati rivisti in base ad altri codici, ed è stata pubblicata una nuova edizione, denominata “Graduale Triplex”.
Il canto gregoriano è un canto casto, ma vibrante; non ha eccessi lirici, ma è pieno di pathos interiore; racchiude la sublime bellezza nella semplicità di una linea melodica, che non è mai gridata, ma si esprime nella “sobria ebbrezza” della preghiera.
Ha un valore enorme, sia dal punto di vista artistico che storico. Costituisce la base di tutta la musica occidentale, e ha dato origine prima alla polifonia, poi alla musica trascritta per i vari strumenti.
Come invito al gregoriano ho pensato di far ascoltare il canto dell’Ave Maria.
Il canto gregoriano si muove normalmente per gradi congiunti, cioè senza salti di voce, con andamento graduale, sia nel salire che nello scendere della melodia; è come la natura, che non fa salti.
Se ciò avviene, è per esprimere un’esultanza particolarmente intensa.
All’inizio del canto dell’Ave Maria si noterà proprio un salto di quinta, sulla vocale i di Maria. Si vuole esprimere tutta l’ammirazione e lo stupore per questa straordinaria creatura.
Un identico intervallo di quinta si ha nell’Introito della III Messa di Natale, “Puer Natus est”.
Lì è immediato, sulla vocale u di Puer: un’esultanza incontenibile, quel Bambino è Gesù.
Piacere di conoscerti.
RispondiEliminaBuon inizio settimana.
Complimenti, Stella, per il tuo bellissimo blog, anzi, i tuoi blog :-)))
RispondiEliminaE grazie della tua presenza ;-)
Buona settimana anche a te :-)
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