giovedì 29 agosto 2013

50 anni dopo il sogno di King




Il 50° anniversario della "Marcia su Washington"  dei 250.000 americani, bianchi e neri,  guidati da Martin Luther King non può essere passato sotto silenzio, anche se attualmente il mondo è in fibrillazione per i venti di guerra che soffiano in Siria, e in casa nostra per i problemi economici e politici che travagliano l'Italia.

"I have a dream"...

Il sogno di Martin Luther King, in quel memorabile 28 agosto 1963 davanti al monumento di Lincoln, non fu vanificato dalla pallottola che uccise il leader religioso a Memphis nel 1968; quella marcia è continuata ed ha raggiunto ormai la Casa Bianca, dal 2008...

Quando dico che non si può passare sotto silenzio la memoria di quella marcia pacifica e insieme grandemente rivoluzionaria, intendo sottolineare che non bastano le parole scritte. La marcia di Martin Luther King fu una marcia scandita anche dal canto "We shall overcome" (Noi trionferemo) eseguito da Joan Baez, un inno alla fratellanza universale, una ballata popolare entrata nella memoria collettiva.

Non lo ripropongo, perché troppo noto. Preferisco il meno noto ma altrettanto significativo "Wade in the water" (Entra nell'acqua).

Un canto con commoventi riferimenti biblici, un gospel, nel quale si invitano i "bambini" (children, cioè il popolo di Dio) a guadare il fiume della schiavitù, come Mosé aveva attraversato il Mar Rosso con gli Israeliti.

Anche ora Dio sta per far muovere le acque (God's gonna trouble the water)...





Wade in the water.Wade in the water, children.Wade in the water.God's gonna trouble the water.

Well, who are these children all dressed in red?God's a-gonna trouble the waterMust be the children that Moses ledGod's a-gonna trouble the water.

Refrain

Who's that young girl dressed in whiteWade in the waterMust be the children of IsraelitesGod's gonna trouble the water.

Refrain

Who's that young girl dressed in blue
Wade in the water
Must be children coming true
And God's gonna trouble the water.



Refrain

mercoledì 21 agosto 2013

Non esiste più l'agosto di una volta...




C’era una volta l’agosto.

L’agosto di una volta era soprattutto una stato mentale.

Tutte le preoccupazioni e i problemi venivano messi, almeno per un mese, in stand by. L’unica preoccupazione era il “divertimento” nel senso etimologico del termine, cioè l’allontanarsi dal quotidiano, il “divergere” dal consueto. 

E con tanta musica: da quella a tutto volume degli altoparlanti delle colonie a quella delle radioline a transistors dei vicini d’ombrellone.  

Agosto significava fuga dalle città, affollamento delle spiagge, oppure viaggi senza mete prefissate, magari con una tenda, un sacco a pelo e in cinquecento (parlo della Fiat, ovviamente...).

Tutto doveva essere comunque rigorosamente al di fuori della quotidianità.

Il tran tran riprendeva a settembre.

Ora in agosto è aperto perfino il parlamento (!).  Il traffico cittadino, tranne un leggero calo nei fine settimana, sembra quello di un mese qualunque. I supermercati fanno a gara a chi tiene aperto più a lungo, domeniche e feste comandate comprese. Nessuno si sentirebbe più di affrontare un viaggio, se non prenotando con un’agenzia nei minimi dettagli, all inclusive.

Soprattutto è entrato in crisi lo stato mentale delle vacanze. Non si stacca più, la quotidianità ci tiene per le gonadi, e in certo senso ci attrae. Sarà la crisi economica, sarà lo stress delle vacanze affollate, sarà il fatto che il “divertimento” è oggi raggiungibile senza spostarsi troppo lontano da casa, senza bisogno di andare a Rimini o a Viareggio; o nelle Dolomiti.

Non esiste più l’agosto di una volta.

Di quelle estati mi manca soprattutto un aspetto: la certezza che quei venti-trenta giorni da passare in piena libertà e magari con pochi soldi sarebbero stati comunque bellissimi, qualunque luogo o meta avessimo raggiunto. E con qualunque tempo.

Ripropongo una delle canzoni che ho amato di più, in un’estate di tanti anni fa: Happy together, dei Turtles (1967).






domenica 18 agosto 2013

Treni e... trenodie. Mina





Stasera ho avuto modo di rivedere un vecchio film di John Sturges, con Kirk Douglas: "Last train from Gun Hill" (in Italia, Il giorno della vendetta), del 1959. Non è un capolavoro (Sturges era stato più convincente in Sfida all'OK Corral); ma vedere all'opera un attore come Kirk Douglas è sempre una grande soddisfazione.

A parte la recitazione del grandissimo attore, il protagonista del film è - come indica anche  il titolo originario - ancora una volta il treno. Quell'ultimo treno delle 9 di sera sul quale lo sceriffo (Kirk Douglas) devo caricare un giovane assassino, figlio del padrone della città, che è tutta o quasi dalla parte del boss.
Mi è tornato alla mente che il treno è stato spesso grande protagonista nella cinematografia, fin dalle origini nel 1896 con quel memorabile "Arrivo del treno alla stazione de La Ciotat" dei Fratelli Lumière, proiettato in una sala paragina. All'arrivo del treno in primo piano, il pubblico parigino fuggì di sala terrorizzato.

Quelle lunghe attese che caratterizzano il film di Sturges fanno venire in mente la spasmodica attesa del treno di mezzogiorno che porta in città un gangster assetato di vendetta, in "Mezzogiorno di fuoco" (1952); e soprattutto il treno delle 3 e dieci, in  "Three Ten to Yuma" (Quel treno per Yuma), del 1957, a cui la pellicola del 1959 si è chiaramente ispirata.

Il treno mi ha fatto venire in mente la parola "trenodìa", che però con il treno non c'entra nulla. Trenodia è un termine di origine greca che significa lamento, compianto. Forse si può osservare umoristicamente che i nostri treni spesso sono un lamento, un vero strazio. Ma l'etimologia dei due termini rimane pur sempre diversa...

Detto questo, si può gustare la "Trenodia" cantata da MIna. Fu il primo brano che la Tigre di Cremona incise con la sua propria casa discografica, la PDU, nel dicembre 1967. È un adattamento del celebre Concerto de Aranjuez, di Joaquìn Rodrigo (1939), con parole di Giorgio Calabrese.

Il disco fu subito fatto ritirare da Rodrigo per violazione dei diritti d'autore, per cui non compare nella discografia di MIna (se non come rarità) , e pochi lo conoscono. Molto noto invece il brano di Massimo Ranieri, "Amore mio", sempre basato sulle note di Aranjuez, che poté cantare a Canzonissima nel 1970 senza alcuna contestazione, con diverso arrangiamento.

Appassionata la canzone di Ranieri; ma molto più convincente la versione di MIna, una vera "trenodia".

Buona settimana, con i treni che non fanno attendere e perciò senza trenodie!



Trenodia 


E così 
non mi resta che andarmene 
e incominciare adesso a non pensare più a te 
quando per te sembra impossibile 
cominciavo a sorridere. 
E così 
non ho niente da aggiungere 
e il canto disperato che intonavo per te 
lo finirà senza concluderlo 
un silenzio di morte. 
E così 
per la notte di incubi 
che è stata la mia vita fino a qui 
vedevo già un'alba di sereno 
che vivevo ma sono io che ho sbagliato. 
Cercherò di non piangere 
cercherò di resistere 
cercherò di sorridere. 
E così 
le mie dita non leggono 
leggere sul tuo viso il desiderio di me 
nacque per te un bene inutile 
ed è morto per sempre.


giovedì 15 agosto 2013

Un canto alla Regina del Cielo. Dall'Indonesia con amore




La solennità della Madonna Assunta in Cielo è la gloria di Maria, Madre di Dio, "umile ed alta più che creatura".

Infiniti nel corso dei secoli gli omaggi alla Regina del Cielo da parte degli artisti, oltre che ovviamente del popolo cristiano, come aveva predetto Maria stessa nel cantico del Magnificat: "Tutte le genti mi chiameranno beata".

Voglio offrire a Maria, Regina del Cielo un bellissimo mottetto, di Gioacchino Rossini (1792-1868). Sappiamo che il genio pesarese nella sua tarda età si dedicò volentieri alla musica sacra, lui che in precedenza aveva cantato altri aspetti della vita umana, nella vasta gamma delle sue espressioni, dal comico al tragico, dal grottesco al sublime.

Rossini chiamò, in modo simpatico, queste tardive composizioni religiose "peccati di vecchiaia" (péchés de vieillesse), e - come lui stesso scrive a proposito della Petite Messe Solennelle - sperava con questi di poter essere perdonato da Dio per quelli di gioventù.

Capolavori come la Petite Messe Solennelle (1863) o lo Stabat Mater (1841) meriterebbero da soli il perdono di ogni peccato e la gloria eterna, in cielo e in terra...

Il fatto è che tra le altre composizioni tardive troviamo spesso brani dedicati alla Madonna, segno di un cuore sicuramente devoto. Tra di essi troviamo quello che oggi viene qui postato, e una incredibile (ma per Rossini tutto è musicalmente possibile) "Ave Maria, su due note", un canto per solista e pianoforte. Il solista canta l'Ave Maria su due sole note: sol e la bemolle!

La posterò in altra occasione.

Ora ascoltiamo la "Salve, o Vergine Maria". Spesso il brano è detto impropriamente "Salve Regina", o anche "Ave Maria", come nel video presente. È a quattro voci miste (Soprani, Contralti, Tenori, Bassi) con accompagnamento di pianoforte), e datato 20 marzo 1850. Rossini non era poi così vecchio... 

Discreta l'esecuzione (e la pronunzia) del Coro di Bandung (Indonesia).

Buona festa dell'Assunta e buon Ferragosto!



Salve, o Vergine Maria. Salve, o  Madre in ciel Regina.
Sulla terra il guardo inchina, de’ tuoi figli abbi pietà.

Tu di sol tutta vestita, Tu di stelle incoronata,
Tu speranza, Tu avvocata, del tuo popolo fedel.



Salve! (ripete).




sabato 10 agosto 2013

In cammino verso la meta (quale?)




Una delle metafore più efficaci della vita è il viaggio. 

Un  viaggio più o meno lungo, più o meno faticoso, più o meno bello; ma è un procedere incessante, anche quando ci fermiamo al bar a prendere un caffè, o ci prendiamo un periodo di riposo al mare o in montagna.

L'uomo è un viandante. Lo dimostra il fatto che non può stare fermo, deve fare, deve andare, deve arrivare...

Dove voglia arrivare, quale sia la sua meta, questo è il problema di fondo. C'è chi non si pone nemmeno la questione, e vive alla giornata navigando a vista. 

Altri pensano che non sia sufficiente raggiungere piccoli traguardi, ma allungano il passo e la prospettiva verso mete più lontane e più gratificanti della routine quotidiana.

In particolare ritengo soprattutto significativa la vita di coloro che si sentono in cammino verso l'infinito, verso l'Assoluto. Null'altro può pienamente soddisfare il cuore se non la completa realizzazione di ciò che di più grande è impresso nell'intimo della natura umana.

Ognuno comunque è in cammino; e anche chi non vuol vedere oltre il suo naso, alla fine si troverà comunque davanti al naso un cartello con la scritta: "Pay toll", paga il pedaggio.

Mi piacciono molto i Canti Scout, che hanno spesso come tema il cammino, la marcia. Ovviamente.

Non lasciamoci ingannare dalla loro apparente semplicità; esprimono il vero senso della vita.

Ascoltiamo "La route est longue" (la strada è lunga). 

Buona strada!


La route est longue, longue, longue.
Marche sans jamais t'arrêter.
La route est dure, dure, dure.
Chante si tu es fatigué.

Tu marcheras des heures entières
Sous le dur soleil de l'été.
Tu marcheras dans la poussière
Que soulèveront tes souliers.

La route...

Si ta route est creusée d'ornières
Et si tu as peur de tomber,
Que ta voix se fasse plus fière
Et que ton pas soit plus léger.

La route...

Si ta route est souvent austère,
Garde-toi jamais d'oublier
Qu'elle te mène à la lumière,
A la joie, à la vérité.


La strada è lunga, lunga, lunga,
marcia senza mai fermarti.
La strada è dura, dura, dura,
canta se sei stanco.

Marcerai ore intere
sotto il duro sole dell'estate.
Marcerai nella polvere
che  solleveranno le tue scarpe.

Se la tua strada è scavata da solchi
e se tu hai paura di cadere,
che la tua voce si faccia più fiera
e il tuo passo sia più leggero.

Se la tua strada è  spesso difficile,
guarda di non dimenticare mai
che essa ti porta alla luce,
alla gioia, alla verità.




martedì 6 agosto 2013

Il gladiatore




Mi piace il film "Gladiator". Non credo di essere l'unico ad amare questo film, vincitore di 5 Premi Oscar.

Mi piace il protagonista, Massimo Decimo Meridio, l' "ispanico", e la superba interpretazione di Russel Crowe. 

Mi piace la vicenda di quest'uomo forte e valoroso, che sfida e sconfigge il potere tirannico di Commodo e dei suoi accoliti.

Mi piace questo film, perché mi piacciono le persone che lottano fino all'ultimo, come l'Ispanico, e non hanno paura di affrontare la morte per una causa giusta.

Chissà perché in questi giorni ho pensato al gladiatore Massimo, l'Ispanico, e ovviamente alla bellissima colonna sonora (composta da Hans Zimmer e Lisa Gerrard),  che accompagna le sue gesta.

Buon ascolto!



venerdì 2 agosto 2013

Il processo di Kafka, cioè di Berlusconi











L’Italia non è più una repubblica fondata sul lavoro (anche perché il lavoro scarseggia assai); è una repubblica fondata sulle sentenze dei giudici.

Da vent’anni a questa parte questi signori eletti da nessuno, che pretendono di parlare “in nome del popolo italiano”, stanno decidendo come deve essere formato il parlamento e il governo, chi ci deve accedere e chi no, e soprattutto in quale parte i parlamentari devono sedere:  a sinistra.

Esagerazioni? No, pura e semplice constatazione dei fatti.

20 anni fa tutti i partiti di governo (e solo quelli) furono messi sotto inchiesta e con processi allucinanti vennero condannati e spazzati via per finanziamento illecito, quando tutto il sistema politico era allora consociativo ed il PCI aveva le medesime identiche responsabilità degli altri.

Rimase così in piedi solo “la gioiosa macchina da guerra” di Achille Occhetto, pronta a entrare vittoriosa in  Roma, dopo che i cosacchi guidati da Di Pietro (ma non era quello di mani pulite?!) avevano spianato la via: un solo partito al potere. Se non vince da solo...

Scese in campo Silvio Berlusconi e la gioiosa macchina da guerra di Occhetto si rivelò come l’esercito di Mussolini: carri armati da rottamazione e scarpe di cartone per i soldati dell’Armir. Una completa disfatta politica.

Ma, parafrasando Von Clausewitz, la via giudiziaria è la continuazione della guerra in altro modo. E così l’armata cosacca dei giudici milanesi (pagata lautamente da noi contribuenti) si rimise sovieticamente al lavoro per cercare di eliminare quell’homunculus che si era messo in testa di dare voce alla maggioranza degli italiani.

Un uomo che è stato spiato, passato al setaccio, analizzato ai raggi X, alle risonanze magnetiche, ai controlli satellitari, ai raggi ultravioletti, infrarossi, agli ultrasuoni e infrasuoni. In nome del popolo italiano gli hanno fatto l’analisi del sangue e dell’urine, prelevato campioni di capelli sintetici o naturali e di altro materiale biologico, si sono messi al buco della serratura della sua camera da letto e hanno imbastito 50 processi (cinquanta!) in meno di vent’anni. Roba da Jack lo squartatore.

Dopo tanto travaglio, ieri alla fine si è vista la condanna. Non si capisce nemmeno per quale motivo sia stato condannato, come il protagonista del "Processo" di Kafka. Importante che sia stato condannato. Ciò che conta è la preda.

Mi sento vicino al Signor Silvio Berlusconi, per l’inaudita sentenza di condanna di ieri; e lontano anni luce dalla casta dei giudici che lo hanno condannato, con quel ridicolo codicillo di una ridefinizione della pena accessoria.

Una tirata di sigaretta per il condannato a morte. Penosi!

Non credo che Berlusconi fumi; e non credo sia disposto a mettere il collo nel cappio dei Mastro Titta romano-milanesi.

Di certo chi ha perso è l’Italia, una ex-repubblica fondata sui Mastro Titta.

E poi qualcuno ancor oggi osa scandalizzarsi della medievale Inquisizione...