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lunedì 27 marzo 2017

Un fischio che non muore





Ieri è morto Alessandro Alessandroni (18 marzo 1925-26 marzo 2017).

Molti diranno: “Chi era costui?” 

In effetti non era un personaggio famoso per qualche straordinario motivo, se non quello di avere un “fischio” perfetto.

Sì, un fischio. Suo è quello della trilogia dei film western di Sergio Leone. 
Alessandroni era anche un ottimo musicista, ma la sua specialità era proprio il fischio.

In particolare mi piace ricordare il primo della serie: “Per un pugno di dollari”.

Ogni volta che guardo questo film, oltre alla soddisfazione di gustare un capolavoro, provo un sottile piacere per una piccola vittoria personale.

Quando uscì il film, nel 1964, la critica cinematografica dominata dai soliti intellettuali ideologizzati lo stroncò. Di fronte al neorealismo italiano ancora in voga, oppure alla cinematografia “impegnata” che stava dominando, questo western così rozzo e improbabile, e senza valori sociali, oltretutto copiatura di un film di Kurosawa, sembrò qualcosa di incomprensibile e da gettare al macero.

Io ne rimasi incantato. Non avevo mai visto né udito nulla di simile in una sala cinematografica.

Anzitutto una musica affascinante, con il suono dello scacciapensieri, le note della chitarra elettrica, addirittura il fischio, e quella tromba svettante che disegnava una linea melodica appassionata e drammatica al tempo stesso.

Poi un linguaggio ridotto ai minimi termini; una specie di ermetismo plebeo. Alla fine del film si potevano ripetere tutte le battute, alcune diventate subito proverbiali, a partire dal titolo. E si poteva soprattutto “fischiare” anche noi il caratteristico motivo della colonna sonora.

Ovviamente fecero impressione soprattutto le incredibili scene di violenza, portata in primo piano in tutta la sua crudeltà e sadismo; una crudeltà mai vista prima in quella forma così esplicita, dal massacro di Rio Bravo a quello dei Baxter, dal pestaggio bestiale del pistolero senza nome (ma Joe), alle violenze sul suo amico locandiere.

Il tocco di femminilità, dato da Marisol (Marianne Koch), aggiungeva una nota di grazia in quel mondo disumano.

Il duello finale raggiunge le vette dell’epica, non meno del duello tra Ettore e Achille, o se vogliamo,  di Odisseo contro i Proci.
L’astuzia di Joe contro la ferocia di Ramon, la forza vendicatrice contro la prepotenza senza limiti, la giustizia contro il delitto.
Alla bellezza degli esametri di Omero corrisponde adeguatamente la musica di Morricone.

La gente che usciva dalla sala aveva la mia medesima impressione. Avevamo assistito non ad un film, ma ad un evento, mentre già qualcuno fischiettava il motivo iniziale, quello di Alessandroni (ma allora si pensava a un motivo realizzato con strumenti elettronici).

Oggi tutti esaltano Sergio Leone, Ennio Morricone, Clint Eastwood (tutti illustri sconosciuti allora); oltre a Gian Maria Volonté (che fu criticato per questa sua partecipazione “disimpegnata”), il quale riesce a dare il meglio di sé proprio qui, con un personaggio tanto odioso, quanto convincente.

Non solo il film ebbe un successo strepitoso, ma si rivelò come un inizio di un nuovo genere, il western all’italiana; e molto di più ancora. Il crudo realismo di Sergio Leone (come a suo tempo fece Caravaggio) è divenuto un “topos” artistico nella filmografia. Dopo quel film il cinema ha cambiato davvero vestito.

Non voglio dire che la violenza, per di più gratuita, vada bene; anzi!
Voglio solo dire che da allora ogni aspetto della realtà, anche il più crudo, è stato messo a tema.

Non sempre con la genialità di Sergio Leone.

Presento il primo brano che appare nel film, durante lo scorrere dei titoli di testa: "Titoli",ovviamente  di  Ennio Morrricone, con il motivo fischiato da Alessandro Alessandroni.

Lo presento dal disco tratto dalla colonna sonora. Chi non ha avuto tra le mani questo disco, con questa mitica copertina, non può capire l'emozione che provammo quando lo vedemmo.


E un omaggio a un “grande” musicista. Un fischio che non muore più.

Grazie, Alessandro Alessandroni! 

RIP







martedì 1 marzo 2016

Un Oscar che ci fa onore




La conquista dell’Oscar 2016 da parte di Ennio Morricone per la miglior colonna sonora, nel film “The Hateful Eight” diretto da Quentin Tarantino, non può essere passata sotto silenzio in questo blog, che ama la bella musica e che ritiene Morricone un genio.

È il secondo Oscar per il Maestro delle colonne sonore; ma il primo, del  2007, fu un doveroso, riconoscimento alla carriera. Questo, di domenica scorsa, è invece riferito ad un film in concorso ed acquista un significato di valore assoluto.

Mi piace aprire il mese di Marzo con questa bellissima notizia (ci voleva una buona nuova dopo tante brutture) che fa onore all’Italia e soprattutto ad un artista che, oltre ad essere entrato nella leggenda, è rimasto un vero uomo, con i piedi per terra. Sono ben note le due doti di umiltà e di schiettezza.

Tanto per non smentirsi, ha detto che non considera la colonna sonora che gli ha dato l’Oscar la sua migliore composizione (ed è vero, anche se bellissima).

Ha dedicato la vittoria a sua moglie Maria, compagna di una vita, sposata nel lontano 1956.
Del resto lui è del 1928 e questo Oscar è venuto a 87 anni. Una freschezza d’inventiva che a quanto pare non si è affatto esaurita.

Non starò qui a ricordare quali siano le colonne sonore più belle delle sue oltre 500. Non voglio neppure ricordare che egli non è un “musicista per caso”, dal momento che si è diplomato con Goffredo Petrassi.

Voglio solo ricordare un episodio (che ho già fatto presente in un altro mio post) di cui vado particolarmente orgoglioso e che mi ha sempre fatto diffidare dell’ “intellighentzia” dell’ “artisticamente corretto” (esiste anche questo!).

http://semperamicus.blogspot.it/2010/12/per-un-pugno-di-dollari-e-il-cinema-non.html

Quando nel 1964 uscì “Per un pugno di dollari” la critica cinematografica, dominata allora da una ottusa ideologia marxista, stroncò il film di Sergio Leone, con annessi e connessi (tra cui la musica di Morricone). Film inguardabile, disimpegnato, sciocco, e così via... 

Io, che non mi sono mai (o quasi mai, almeno) lasciato condizionare da giudizi preconcetti di qualunque genere, uscii dalla sala convinto di aver assistito ad un evento eccezionale. Una musica “divina”, una recitazione straordinaria, una trama avvincente, se pur ripresa in molte parti da un film di Kurosawa.

Mi aveva colpito la novità assoluta del linguaggio cinematografico, quel fascinoso mondo irreale ma così realistico e crudo, e quell’accompagnamento musicale che non aveva precedenti: motivi cantati, fischiati, parlati, suonati con la chitarra elettrica e con i più vari strumenti (compreso lo scacciapensieri), e l’ineguagliabile motivo affidato alla tromba, che faceva venire la pelle d’oca per l’emozione.

Oggi tutti riconoscono il valore inestimabile di quel film, la sua importanza nella storia della cinematografia, oggi...

Allora, chi non aveva i paraocchi ideologici e le orecchie foderate di prosciutto, e cioè i più, tributò un immediato e clamoroso successo al film di Sergio Leone ed Ennio Morricone.

Già allora Morricone era da Oscar.

Per me, quella rimane la colonna sonora più bella, e quello rimane il film più bello che abbia visto (e ne ho visti...).

Grazie, Maestro! 



martedì 10 novembre 2015

Un saluto (musicale) a Papa Francesco in Toscana




In occasione della visita odierna di Papa Francesco a Prato e a Firenze voglio festeggiare anch’io, da casa mia, questo straordinario evento. Ovviamente con un brano musicale e possibilmente di un compositore di queste due città.

Perciò, mirando ai più grandi, ho pensato a Domenico Zipoli (1688-1726) di Prato e a Luigi Cherubini di Firenze.

Ho preferito Zipoli, per vari motivi.

Anzitutto per la sua importanza nella storia della musica. Senza nulla togliere al valore di Cherubini (artista oggi un po’ dimenticato, ma considerato sommo da Beethoven, tanto per gradire), le "Sonate d’Intavolatura per Organo e Cimbalo" del 1716 del grande pratese fecero scuola (furono “copiate” da Händel, Haydn e altri maestri ancora) e mantengono intatto il loro straordinario fascino. 
L’Adagio che presento ne è una riprova (Ennio Morricone lo conosceva di certo quando ha composto il “Gabriel’s Oboe” per il film “Mission”...).

Inoltre, la vita di Domenico Zipoli è una straordinaria partitura essa stessa, e ha rilevanti punti di contatto con quella di Papa Francesco. Giunto al successo Zipoli lasciò tutto, si fece gesuita e partì missionario per l’America Latina. Visse a Buenos Aires e a Cordoba, e finiti gli studi teologici divenne maestro di musica degli Indios del Paraguay (e qui torna in mente di nuovo il film Mission). Un grande che si fa piccolo con gli ultimi, nelle periferie del mondo, e che muore a poco più di 37 anni...

Non posso poi tralasciare il fatto che la limpida scrittura musicale di Zipoli è uno dei cavalli di battaglia di tutti i dilettanti organisti (mi ci metto anch’io fra questi). Tra le sue “Sonate d’Intavolatura”, la Canzona in Re minore, quella in Sol minore, la Partita in La minore, i Versi, il Largo (Sarabanda), la Giga, e la festosa Pastorale natalizia (cito solo alcuni brani noti a tutti), sono abitualmente suonati ancor oggi in ogni chiesa. Una buona parte del primo e secondo volume del “Liber Organi” di Sandro Dalla Libera è costituito dalla musica di Zipoli.

Voglio infine far presente che Papa Francesco fa la sua prima breve tappa in mattinata a Prato perché è vescovo di quella diocesi Mons. Franco Agostinelli, aretino. Mons. Agostinelli è a sua volta amico fraterno del dott. Domenico Giani, aretino, Capo della gendarmeria vaticana, e bodyguard del Papa.

Come postare un musicista fiorentino, con queste premesse, io che sono aretino?


Buona giornata in Toscana, Papa Francesco!




lunedì 4 maggio 2015

Benvenuto pianoforte!





Google celebra con un bel doodle il 360° anniversario della nascita di Bartolomeo Cristofori, il geniale inventore del pianoforte, o per essere più precisi, del “gravicembalo con il piano e il forte”.

Iniziò così alla fine del 1600 a Firenze alla corte dei Medici l’avventura di quello che diverrà il re degli strumenti (violino permettendo), con la sua straordinaria carica espressiva.

Senza pianoforte non sarebbe immaginabile la musica di Mozart, Beethoven, Chopin, Schubert, Schumann, Liszt e via dicendo.

Lo strumento ha dato occasione per celebri duelli virtuosistici: Clementi-Mozart, Beethoven-Steibelt, Liszt-Thalberg...

Ma anche a un indimenticabile duello “virtuale” tra Jelly Roll Morton e Lemon Novecento nel film di Giuseppe Tornatore “La leggenda del pianista sull’oceano” (1998).

Jelly Roll Morton è stato realmente un famoso pianista (sedicente inventore del jazz), mentre Danny Boodman T.D. Lemon Novecento è frutto della fantasia di Alessandro Baricco, a cui si è ispirato Tornatore per il suo film.

La sfida tra i due pianisti è immaginata nel transatlantico Virginian, e i brani che Jelly Roll Morton esegue sono sue reali e famose composizioni: Big Fat Ham, The Crave, Fingerbreaker

Il brano Enduring Movement invece, con cui “Novecento” si aggiudica il match, è di uno straordinario Ennio Morricone in versione virtuosistica, che ha preso spunto dal Volo del Calabrone di Rimskij-Korsakov.

Quelle rapidissime mani che nel film si moltiplicano e scorrono sulla tastiera per suonare l’impossibile brano di Morricone sono della pianista Gilda Buttà, di Patti (1959).

Davvero brava! 

E benvenuto pianoforte!



martedì 27 gennaio 2015

70 anni dal male assoluto




Per non dimenticare l’Olocausto del popolo ebraico nei campi di sterminio nazisti, che vide l’inizio della fine 70 anni fa, con la liberazione dei prigionieri di Auschwitz da parte dell’Armata Rossa, propongo all’attenzione un canto del musicista ebreo francese Elie Botbol.

Il testo è costituito dal versetto 4 del Salmo 23 (22), "Il Signore è il mio pastore". Si tratta quindi di una notissima preghiera biblica.

"Se dovessi camminare in una valle oscura, non temerei alcun male, 
perché tu sei con me; il tuo bastone e il tuo vincastro mi danno sicurezza".

Il canto ("Gam Gam Gam") è scritto per un coro di bambini; per questo ha l’andamento tipico delle filastrocche.
Ma è proprio questo il suo fascino, e la sua drammatica bellezza.
L’innumerevole strage di quegli innocenti è nell'orrore della Shoah il crimine più aberrante.

Il canto fa parte della colonna sonora del bel film “Jona che visse nella balena” del regista Roberto Faenza (1993), tratto dall'autobiografico libro “Anni d'infanzia" (1978)  dell’olandese Jona Oberski, che racconta la sua tragica vicenda di bambino nel campo di concentramento di Bergen-Belsen, dove perse entrambi i genitori (e dove morì Anna Frank).

L’arrangiamento musicale del brano è di Ennio Morricone, che ha curato la colonna sonora del film. Ancora una volta, in modo perfetto.


venerdì 11 luglio 2014

Dopo il dramma, la noia: Argentina-Olanda




Dopo il diluvio di reti abbattutosi sui brasiliani l'8 luglio scorso a Belo Horizonte, Argentina e Olanda si sono premunite e sono scese in campo il giorno dopo a San Paolo con l'ombrello.

Per due ore abbiamo assistito ad una partita che per varietà di azioni mi ha fatto venire in mente "Il deserto dei Tartari", e come strategia complessiva "Aspettando Godot". 

In effetti i 120 minuti (tempi regolari+tempi supplementari) sono stati interpretati da ambedue le parti come una pallosa (è proprio il caso di dirlo!) pratica da sbrigare per giungere alla squallida - se pur sempre spettacolare- soluzione dei calci di rigore.

Così, dopo lo psicodramma brasiliano della prima semifinale, abbiamo assistito allo psicofarmaco della seconda: un noiosissimo 0-0 che è riuscito a far addormentare anche me. 

Chi ha visto Messi? Qualcuno ha osato paragonarlo a Maradona... Sarà meglio che Messi si accontenti del suo nomignolo: "la Pulce". Comunque, vedremo meglio con i tedeschi in finale.

Qualcun altro ha visto Robben? In realtà una volta è riuscito a minacciare la porta argentina. Ma non sarà un po' troppo, in due ore di gioco?

I portieri sono entrati in azione solo sui calci di rigore. Mai impegnati durante la partita.

Le ragnatele della porta sono state ripulite dai rigoristi albiceleste con infallibile mira. Risultato finale: 4-2.

Il povero portiere orange, inoperoso per tutta la gara, ha continuato la sua inattività anche nella serie dei rigori.  Non ne è parato uno.

Invece Romero, vero eroe della serata, con due strepitose parate ha portato l'Argentina in finale: domenica prossima, al Maracanà di Rio de Janeiro, nel tempio del calcio carioca.

Così lo psicodramma del Brasile continua.  Da una parte, la Germania che lo ha eliminato, e dall'altra l'odiata (calcisticamente) Argentina. 

Senza parlare della finalina di sabato: riuscirà il Brasile (questo Brasile...) a battere l'Olanda?

Prepariamoci a due scontri da western all'italiana: regia di Sergio Leone, musica di Ennio Morricone.

Per una rete in più.




martedì 11 giugno 2013

L'estate con il flauto di Pan




Si avvicina il solstizio. Tra dieci giorni è estate.
Chi l’ha intravisto/a?  

Speriamo che i flussi di aria umida e fredda provenienti dalla Deutschland lascino il posto a correnti più calde e un po’ più gradevoli della signora Merkel.

Ma vedrete che anche questa volta il sole italiano riuscirà a evadere dalla nuvolaglia teutonica e irraggerà con tutto il suo vigore mediterraneo il bel Paese.

I signori tedeschi, se ne vorranno godere un po’, dovranno uscire dalle loro foreste e valicare Alpi (e Appennini). Senza armi, ovviamente. Solo con il portafoglio.

Oggi ho fatto una bella passeggiata in campagna. E insieme ai suoni della fiorente natura mi è sembrato di sentire anche il flauto di Pan, annunciatore dell’estate.

In realtà stavo pensando ai versi del Carducci, in “Davanti San Guido”:


E Pan l'eterno che su l'erme alture
a quell'ora e ne i pian solingo va,
il dissidio, o mortal, de le tue cure
ne la diva armonia sommergerà.


E così, per favorire l’arrivo dell’estate, posto un brano musicale, suonato dal maggior virtuoso di questo strumento, il rumeno Gheorghe Zamfir (sua l'esecuzione dell'indimenticabile Cockeye's Song in C'era una volta in America di Ennio Morricone).

Pan era il dio pastore, e il brano non può che essere “Il pastore solitario” di James Last.

domenica 12 agosto 2012

Due calci in bocca e ti danno una medaglia




Il taekwondo è un’ arte marziale e una disciplina olimpica, di origine coreana, che significa letteralmente «l'arte dei pugni e dei calci in volo».

Più calci riesci a sferrare, più accumuli punti. Un calcio al petto, un punto; un calcio in faccia, tre punti. Con un paio di calci in bocca all’avversario ti assicuri la medaglia d’oro.

Ciò che stupisce in questo sport è la straordinaria varietà di calci previsti: calcio frontale, calcio circolare, calcio laterale, calcio in verticale, calcio int./esterno, calcio est./interno, calcio a martello, calcio a schiaffo, calcio a gancio, calcio frontale esterno, calcio a spinta, calcio laterale indietro, calcio semicircolare, calcio circolare indietro.

Esistono anche i “calci Kulo”, che vengono lanciati con la gamba anteriore.

Al confronto, i muli sono dei poveri dilettanti.

A quanto pare l’Italia è una delle nazioni più esperte in questo genere di sport.

Carlo Molfetta nella categoria dei massimi (+ 80 kg) ha battuto ieri in finale, con calci in bocca dati e ricevuti, Anthony Obame del Gabon.

Mauro Sarmiento, dopo l’argento di Pechino nel 2008, ha conquistato invece la medaglia di bronzo nella categoria fino a 80 kg. Un calcio al petto all’afgano Bahawi gli ha portato un punto e un successivo calcio ben assestato in bocca all’avversario ne ha fruttati altri 3.

L’Italia è una nazione abituata ultimamente ad essere presa a calci, anche a calci (in) Kulo, da altre nazioni.

In queste Olimpiadi l’oro di Molfetta e il bronzo di Sarmiento, “nell’arte dei calci in volo”, hanno dimostrato al mondo che siamo in grado di darne qualcuno ben assestato anche noi.

Almeno ogni quattro anni.



giovedì 22 settembre 2011

Un soffio indimenticabile

















https://youtu.be/f1YrefGvHgg


Tra i films che hanno fatto la storia del cinema un posto in prima fila lo occupa certamente “C’era una volta in America” di Sergio Leone (1984).

Non è solo la storia di New York all'epoca dei gangsters e del proibizionismo, ma è la metafora della realtà attuale: una società disgregata e violenta, dove anche i sogni più belli si tramutano spesso in amare delusioni.

La narrazione è accompagnata dalla musica di Ennio Morricone che qui raggiunge uno dei vertici assoluti, con il "tema di Deborah".

Un tema dolcissimo e quasi trasognato, che viene variato al variare delle situazioni, ma che dà un senso unitario alla narrazione e in certo senso ne stempera la crudezza.

Ci sono altri spunti tematici, come lo struggente "Poverty", che dimostrano la genialità del compositore romano.

A mio parere però il tema più originale e incisivo è quello che scandisce la tragica morte di Dominic, il più piccolo della banda di giovani delinquenti di Noodles ("Cockeye's theme").

Il gioioso saltellare del ragazzo è descritto inizialmente da un tema fischiettato (addirittura!), che improvvisamente con un semplice flauto di Pan si trasforma in un drammatico “grido di allarme" e che va a spegnersi con l’ultimo respiro di Dominic colpito a morte. 

La musica diviene allora in breve una serena e commossa composizione orchestrata, in una efficacissima antitesi con la mano di Noodles, bagnata dal sangue dell’amico, che si chiude rabbiosamente a pugno, pronta a sua volta a colpire.

È praticamente impossibile in due minuti dire tante cose con il soffio di un fischio e di un flauto di Pan (quello che si usava una volta da ragazzi...). Il tema è eseguito dal grande virtuoso di questo strumento, il rumeno Gheorghe Zamfir.

Ennio Morricone e Sergio Leone (e Zamfir) ci hanno lasciato due minuti indimenticabili.

domenica 19 dicembre 2010

Per un pugno di dollari. E il cinema non fu più lo stesso





Stasera Rai 3 ha trasmesso “Per un pugno di dollari”, il mio film preferito.

Ovviamente me lo sono rivisto per l’ennesima volta.

Ogni volta che lo guardo, oltre alla soddisfazione di gustare un capolavoro, provo un sottile piacere per una piccola vittoria personale.

Quando uscì il film, nel 1964, la critica cinematografica dominata dai soliti intellettuali ideologizzati lo stroncò. Di fronte al neorealismo italiano ancora in voga, oppure alla cinematografia “impegnata” che stava dominando, questo western così rozzo e improbabile, e senza valori sociali, oltretutto copiatura di un film di Kurosawa, sembrò qualcosa di incomprensibile e da gettare al macero.

Io ne rimasi incantato. Non avevo mai visto né udito nulla di simile in una sala cinematografica.

Anzitutto una musica affascinante, con il suono dello scacciapensieri, le note della chitarra elettrica, addirittura il fischio, e quella tromba svettante che disegnava una linea melodica appassionata e drammatica al tempo stesso.

Poi un linguaggio ridotto ai minimi termini; una specie di ermetismo plebeo. Alla fine del film si potevano ripetere tutte le battute, alcune diventate subito proverbiali, a partire dal titolo.

E soprattutto le incredibili scene di violenza, portata in primo piano in tutta la sua crudeltà e sadismo; una crudeltà mai vista prima in quella forma così esplicita, dal massacro di Rio Bravo a quello dei Baxter, dal pestaggio bestiale del pistolero senza nome (ma Joe), alle violenze sul suo amico locandiere.

Il tocco di femminilità, dato da Marisol, aggiungeva una nota di grazia in quel mondo disumano.

Il duello finale raggiunge le vette dell’epica, non meno del duello tra Ettore e Achille, o se vogliamo,  di Odisseo contro i Proci.
L’astuzia di Joe contro la ferocia di Ramon, la forza vendicatrice contro la prepotenza senza limiti, la giustizia contro il delitto.
Alla bellezza degli esametri di Omero corrisponde adeguatamente la musica di Morricone.

La gente che usciva dalla sala aveva la mia medesima impressione. Avevamo assistito non ad un film, ma ad un evento.

Oggi tutti esaltano Sergio Leone, Ennio Morricone, Clint Eastwood (tutti illustri sconosciuti allora); oltre a Gian Maria Volonté (che fu criticato per questa sua partecipazione “disimpegnata”), il quale riesce a dare il meglio di sé proprio qui, con un personaggio tanto odioso, quanto convincente.

Non solo il film ebbe un successo strepitoso, ma si rivelò come un inizio di un nuovo genere, il western all’italiana; e molto di più ancora. Il crudo realismo di Sergio Leone (come a suo tempo fece Caravaggio) è divenuto un “topos” artistico nella filmografia. Dopo quel film il cinema ha cambiato davvero vestito.

Non voglio dire che la violenza, per di più gratuita, vada bene; anzi!
Voglio solo dire che da allora ogni aspetto della realtà, anche il più crudo, è stato messo a tema.

Non sempre con la genialità di Sergio Leone.

Non posto il duello finale con il leitmotiv più noto, perché già l'ho fatto.
Presento il primo brano che appare nel film, durante lo scorrere dei titoli di testa: "Titoli", ovviamente  di  Ennio Morrricone, con il motivo fischiato da Alessandro Alessandroni.

Lo presento dal disco tratto dalla colonna sonora. Chi non ha avuto tra le mani questo disco, con questa mitica copertina, non può capire l'emozione che provammo quando lo vedemmo.


mercoledì 23 giugno 2010

Argentina, hacia el Mundial!




Per complimentarmi con la fortissima squadra dell'Argentina di Maradona in versione allenatore, che a punteggio pieno è passata agli ottavi di finale nel Campionato Mondiale di Calcio in Sud Africa e sta già allungando le mani sulla Coppa 2010, voglio riproporre l’Inno Ufficiale di “Argentina ‘78”, ben impresso nella mia mente.

Anzitutto perché è un bellissimo brano di Ennio Morricone.

E poi perché non ho mai capito il significato del grido iniziale che vi è inserito.
Stasera l’ho scoperto nel web: “!Argentina, hacia el Mundial!”: Argentina verso il Mondiale!

Il campionato del 1978 fu vinto (con qualche aiuto arbitrale) proprio dall’Argentina, ma l’Italia l’aveva battuta nelle fasi iniziali con una rete di Bettega su magnifico assist di tacco di Paolo Rossi.

C’è forse qualcuno che non lo ricorda? http://www.youtube.com/watch?v=s5nsREBszGo&feature=related

Le opere d’arte non sono solo quadri o monumenti. Sono anche più pedestri, ma incantevoli, colpi di tacco e splendide reti come quella di Roberto Bettega del 10 giugno 1978.
 


giovedì 26 novembre 2009

Ave Maria "Guarani". Ennio Morricone



Ennio Morricone (Roma, 1928) è il geniale compositore che tutti conosciamo.

L’Oscar che gli è stato attribuito nel 2007 è il riconoscimento internazionale ad una straordinaria carriera, che ha segnato la nostra epoca con musiche già entrate nella leggenda.

Le sue 401 colonne sonore, a partire dal 1961 con “Il Federale” e poi “Per un Pugno di dollari” (1964) fino al recente “Baarìa”, hanno costituito la soundtrack della nostra vita.

La genialità non si apprende; ma la tecnica compositiva e della strumentazione, sì. E forse tanti non sanno che Morricone si è diplomato al Conservatorio di Santa Cecilia a Roma in composizione, nientemeno che con Goffredo Petrassi, studiando anche musica corale e direzione di coro.

Per questo non ci si può meravigliare che un artista come lui abbia saputo cogliere il valore della polifonia classica e ne abbia dato saggio nella colonna sonora di “The Mission” (1986), con una stupenda “Ave Maria” a quattro voci (soprani, contralti, tenori, bassi). Nel film è cantata dagli indios Guarani; per questo è detta Ave Maria “Guarani”.

Accademico Effettivo dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia, una delle massime istituzioni musicali nel mondo, fondata nel 1584 da Palestrina e dai grandi polifonisti della Scuola Romana dell’epoca, il Maestro Ennio Morricone ha reso onore a questa grande tradizione, e l’ha in certo senso continuata.

Credo che Palestrina e Victoria siano soddisfatti di un così illustre allievo e maestro.



Ave Maria “Guarani”

Ave Maria quae nos Deo coniungis
inter hominum electa universi pulchritudinem
memorares ne obliviscaris
naturam tuam at Deo restituas nos dilectos.

Cum nobis panem fregit. (ter)

Sancta Maria nobis doceas
ut omnibus assentiamus cum humilitate. Ah!


Ave Maria, che ci congiungi a Dio,
scelta tra la bellezza del genere umano
ricorda di non abbandonare
la tua natura, ma riportaci graditi a Dio.

Con noi spezzò il pane. (3 v.)

Santa Maria insegnaci
ad accettare tutto con umiltà. Ah!

giovedì 19 novembre 2009

L'oboe, uno strumento incantatore



L’oboe è uno strumento che incanta appena emette una nota, con quel suono dolce e tipicamente nasale.

È un’ancia doppia, che vibra nell’inconfondibile e delicata forma a “becco” al soffio dell’oboista, emettendo il suo struggente suono.

Il concerto più celebre dedicato a questo strumento rimane quello in Re Minore, per oboe, archi e basso continuo, di Alessandro Marcello (1669-1747), trascritto poi da Bach per clavicembalo (BWV 974), e che ha fatto da colonna sonora a più di un film, a partire dall’Anonimo Veneziano (1970). L’anonimo veneziano è proprio Alessandro Marcello, dal momento che il brano, all'epoca del film, non era stato ancora attribuito con certezza a questo musicista, fratello del ben più celebre Benedetto Marcello.

La forza suggestiva di questo piccolo strumento ad ancia è stata magistralmente messa in evidenza da Ennio Morricone nel film The Mission (1986). Nel film, Il gesuita Gabriel “conquista” gli indios Guaranì con il suono di questo strumento.

Quel tema musicale, conosciuto come Gabriel’s Oboe, è una delle cose più belle scritte dal grande Morricone.

Senza nulla togliere alla geniale invenzione del compositore italiano, uno spunto a mio parere è da ricercare nel II Movimento, Andante, del Concerto per Oboe e Orchestra, in Do maggiore, di Franz Joseph Haydn (1732-1809).

Qui metto il riferimento a “Gabriel’s Oboe” del film The Mission. Ognuno giudichi da sé.

http://www.youtube.com/watch?v=ksK4PZUo1Kw

Buon ascolto e buona visione!

venerdì 10 luglio 2009

Far West. Dio e il signor Colt




Oggi il Far West non solo ha perso il suo fascino romantico, ma ha assunto addirittura un significato negativo.

Far West è diventato sinonimo di assenza di legge, di giustizia fai-da-te, di legge del più forte.

In effetti, oltre al problema degli “indiani”, i conquistatori bianchi americani si trovarono a fare i conti tra di loro per problemi legati al banditismo, alla violenza, alla carenza di leggi e di coloro che dovevano farle rispettare.

I nuovi insediamenti umani, che nascevano con l’avanzare della ferrovia e dei pionieri, dovevano provvedere anche alla propria sicurezza. E lo Stato era lontano...

“Dio ha creato gli uomini diversi, Colt li ha resi uguali”.
Un detto memorabile, nato in questo contesto. L’invenzione della pistola a tamburo da parte di Samuel Colt (1814-1862) rese possibile una facile difesa personale contro il prepotente di turno. In questo senso tutti ora diventavano uguali, e piccoli, davanti ad una Colt 45.

La filmografia ha dato un grande contributo a rendere mitica la lotta tra la legge e i fuorilegge, tra sceriffo e banditi, tra il bene e il male.

La grande rapina al treno, di Edwin Porter (1903), diede inizio a questa saga, continuata con capolavori come Mezzogiorno di fuoco (1952), Quel treno per Yuma (1957), Sfida all’OK Corral (1957), Un dollaro d’onore (1959), I magnifici sette (1960).

Un’infinità di films e di grandi attori, ben rappresentati tutti da John Wayne.

Ma è stato il cinema italiano a dare l’ultimo grande contributo al genere western.

I films di Sergio Leone, con la musica di Ennio Morricone, sono entrati nella leggenda.

Per questo, nonostante tutto, il Far West a me fa sempre sognare...



lunedì 22 giugno 2009

La libertà: un duello all'ultimo sangue (o all'ultima nota)




La vita umana è una sfida continua. Spesso è una lotta contro ignoti: avversità, malattie, situazioni impreviste e imponderabili.

L’io deve aprirsi la strada verso la pienezza dell’autocoscienza superando, come diceva Hegel, l’immane peso del negativo, che la realtà gli oppone continuamente.

Quando però l’ostacolo ha un nome e una faccia, allora la sfida assume l’aspetto del duello.

La storia e la letteratura sono piene di singolar tenzoni, dall’episodio biblico di David e Golia, al mitico duello tra Achile ed Ettore nell’Iliade, fino a quelli dei film di Sergio Leone; quest’ultimi resi memorabili dalla musica di Ennio Morricone.

Il duello che abbiamo postato reca proprio la firma di Ennio Morricone, ma è per fortuna incruento; un virtuoso duello all’ultima nota. È la scena cult del bel film La leggenda del pianista sull’oceano (1998), di Giuseppe Tornatore.

Vorrei solo notare come “Novecento”, cioè il protagonista del film, vincitore della sfida al pianoforte con il presuntuoso Jelly Roll Morton (personaggio realmente esistito) esegua un’improvvisazione virtuosistica sbalorditiva, che fa pensare al Volo del calabrone di Rimskij-Korsakov (nella trascrizione pianistica di Rachmaninoff), o agli Studi trascendentali di Liszt o a qualche brano di Rachmaninoff stesso.

Sia Liszt che Rachamaninoff sono celebri per aver composto brani virtuosistici di incredibile difficoltà, direttamente proporzionale alla lunghezza delle loro mani…

Ma quelle rapidissime mani che nel film scorrono e si moltiplicano sulla tastiera sono di una donna: la pianista Gilda Buttà, di Patti (1959).

Davvero brava!