Tra persone educate si parla poco della morte; è un argomento quasi tabù, che mette a disagio l’interlocutore, e perciò socialmente “scorretto”.
Quando poi se ne parla, il tema della morte viene affrontato sempre in maniera un po’ accademica. Nell’espressione “si muore” si pensa sempre, diceva Heidegger, alla morte degli altri; l’argomento quasi non ci tange…
Forse per questo mi ha fatto sempre impressione una delle più belle e drammatiche poesie della nostra letteratura: “Verrà la morte e avrà i tuoi occhi”, di Cesare Pavese (1908-1950).
Il grande scrittore piemontese stava pensando purtroppo di porre fine alla sua vita, a causa del suo amore non più corrisposto da parte di una bella attrice americana, Constance Dowling, che accentuò il suo “male di vivere”.
La riflessione sulla morte diventa perciò un riflessione sul fallimento della propria esistenza; la vita è ormai sentita come “un vizio” da perdere, e la morte è uno scendere “nel gorgo muti”.
Ma quella morte avrà un volto e degli occhi ben precisi, quelli della donna amata e perduta per sempre.
La poesia porta la data 22 marzo ‘50. Il 27 agosto successivo Cesare Pavese poneva fine ai suoi giorni in un albergo di Torino.
Verrà la morte e avrà i tuoi occhi,
questa morte che ci accompagna
dal mattino alla sera, insonne,
sorda, come un vecchio rimorso
o un vizio assurdo. I tuoi occhi
saranno una vana parola,
un grido taciuto, un silenzio.
Così li vedi ogni mattina
quando su te sola ti pieghi
nello specchio. O cara speranza,
quel giorno sapremo anche noi
che sei la vita e sei il nulla.
Per tutti la morte ha uno sguardo.
Verrà la morte e avrà i tuoi occhi.
Sarà come smettere un vizio,
come vedere nello specchio
riemergere un viso morto,
come ascoltare un labbro chiuso.
Scenderemo nel gorgo muti.
Voglio associare questi versi ad una canzone di Fabrizio De André, di cui oggi ricordiamo invece il giorno della nascita (18 febbraio 1940).
È una canzone ("Per i tuoi larghi occhi") che si adatta bene alla lucida e disperata poesia di Pavese.
Quando poi se ne parla, il tema della morte viene affrontato sempre in maniera un po’ accademica. Nell’espressione “si muore” si pensa sempre, diceva Heidegger, alla morte degli altri; l’argomento quasi non ci tange…
Forse per questo mi ha fatto sempre impressione una delle più belle e drammatiche poesie della nostra letteratura: “Verrà la morte e avrà i tuoi occhi”, di Cesare Pavese (1908-1950).
Il grande scrittore piemontese stava pensando purtroppo di porre fine alla sua vita, a causa del suo amore non più corrisposto da parte di una bella attrice americana, Constance Dowling, che accentuò il suo “male di vivere”.
La riflessione sulla morte diventa perciò un riflessione sul fallimento della propria esistenza; la vita è ormai sentita come “un vizio” da perdere, e la morte è uno scendere “nel gorgo muti”.
Ma quella morte avrà un volto e degli occhi ben precisi, quelli della donna amata e perduta per sempre.
La poesia porta la data 22 marzo ‘50. Il 27 agosto successivo Cesare Pavese poneva fine ai suoi giorni in un albergo di Torino.
Verrà la morte e avrà i tuoi occhi,
questa morte che ci accompagna
dal mattino alla sera, insonne,
sorda, come un vecchio rimorso
o un vizio assurdo. I tuoi occhi
saranno una vana parola,
un grido taciuto, un silenzio.
Così li vedi ogni mattina
quando su te sola ti pieghi
nello specchio. O cara speranza,
quel giorno sapremo anche noi
che sei la vita e sei il nulla.
Per tutti la morte ha uno sguardo.
Verrà la morte e avrà i tuoi occhi.
Sarà come smettere un vizio,
come vedere nello specchio
riemergere un viso morto,
come ascoltare un labbro chiuso.
Scenderemo nel gorgo muti.
Voglio associare questi versi ad una canzone di Fabrizio De André, di cui oggi ricordiamo invece il giorno della nascita (18 febbraio 1940).
È una canzone ("Per i tuoi larghi occhi") che si adatta bene alla lucida e disperata poesia di Pavese.
Una poesia che amo profondamente e una canzone che mi commuove. caro amicus stavolta hai fatto centro nella mia anima.
RispondiEliminaUn caro saluto
Ross
Ti ringrazio, Ross, di questo tuo gratificante commento :-)
RispondiEliminaDietro ai tuoi larghi occhi chiari (magari sono piccoli e scuri) non batte un cuore di neve... ;-)
Ciao, carissima Ross!
Amicus
TEMPOSCADUTO
RispondiElimina…la voglia di stare in una mia domanda
è più forte di una risposta attesa per troppo tempo…
Guardami adesso!
Pensi che gli occhi siano veramente lo specchio dell’anima
e che niente come i nostri occhi interpretino la morte?
Ha detto il persuasivo:
Si, penso che gli occhi siano la nostra dimensione,
il momento del dialogo, l’approccio con gli altri e nella solitudine…
Sarà l’ultima immagine che ricorderemo di un nostro caro affetto.
Ha detto il presunto contraddittorio:
Lo specchio dell’anima ?
L’anima non esiste
È soltanto una sciocca menzogna di avvicinamento a Dio.
Una fastidiosa invenzione dell’uomo per non aver paura di morire,
per convivere con il lavoro, con l’amore e come bambini comportarci nel bene.
Proviamo ad improvvisare un mondo senza questa falsa fede,
come sarebbe la vita?
Un vero e proprio caos, tutti a spasso per il mondo vivendo di negligenza totale.
Gli occhi ci servono per guardare di fronte a noi una vita, una sola vita e
l’unica morte.
La nostra nullità è di fronte ad una natura più forte dell’uomo.
Ha detto il riflessivo:
Gli occhi sono viaggiatori di curiosità e fanno uscire i nostri pensieri mentre la morte non voglio interpretarla…ma vederla un po’ assonnata o svogliata.
E adesso…
Nessuno è convincente, nessuno sa più niente, nessuno è sentore.
Tutto è mentitore nel buio.
Da un’idea
in musica e parole
di Maurizio Spagna
©
di Maurizio Spagna
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L’ideatore
paroliere, scrittore e poeta al leggìo-