L’inno gregoriano Vexilla Regis è un canto di penitenza e di gloria al tempo stesso, come lo è il tempo di Quaresima, che prepara la Pasqua, nel quale viene cantato.
Le parole dell’inno infatti sono un’esaltazione della Croce, strumento di passione e di salvezza.
Sono opera di un grande poeta della tarda latinità, Venanzio Fortunato (530-609).
Hanno una grande importanza sia come preghiera, che come composizione letteraria.
Da quest’ultimo punto di vista, la poesia segna il passaggio dalla metrica latina classica, fondata sulla quantità delle sillabe e relativi piedi, a quella nostra moderna, fondata sugli accenti tonici e sul numero delle sillabe.
Artisticamente è un capolavoro, per la bellezza e la potenza delle immagini, per lo splendore dei concetti.
I vessilli di Cristo avanzano vittoriosi, dopo il mortale duello con la morte stessa, che viene sconfitta. “Vexilla Regis prodeunt, fulget Crucis mysterium”, "qua vita mortem pertulit et morte vitam reddidit".
E il commosso saluto della strofa finale diventa un grido di esultanza: “O Crux, ave spes unica!”
La vibrante melodia gregoriana, nel suo incedere processionale e solenne, segue alla perfezione l’andamento dell’inno, che appare perciò nel suo complesso un canto stupendo, opera geniale di fede e di arte.
Non per niente Giuseppe Verdi disse che avrebbe dato tutta la sua musica in cambio del Vexilla Regis.
Vexilla Regis
Avanzano i vessilli del Re, risplende il mistero della Croce, e in questo patibolo l’autore della carne fu appeso nella carne.
Dopo essere stato ferito dalla punta crudele di una empia lancia, per lavarci dal peccato versò acqua e sangue.
O nobile e luminoso albero, tinto di porpora regale, eletto a toccare così sante membra con il tuo degno tronco!
Beato albero, ai cui bracci fu appeso il prezzo del mondo, fu bilancia del corpo e sottrasse la preda all’inferno.
Salve altare, salve vittima di gloria della passione, per cui la vita sopportò la morte, e con la morte ci ridonò la vita.
Ti saluto o Croce, unica speranza! in questo tempo di passione, accresci la grazia ai giusti e cancella le colpe ai peccatori.
O Trinità, fonte di salvezza, Ti lodi ogni spirito, proteggi per sempre quelli che salvi con il mistero della Croce. Amen.
Le parole dell’inno infatti sono un’esaltazione della Croce, strumento di passione e di salvezza.
Sono opera di un grande poeta della tarda latinità, Venanzio Fortunato (530-609).
Hanno una grande importanza sia come preghiera, che come composizione letteraria.
Da quest’ultimo punto di vista, la poesia segna il passaggio dalla metrica latina classica, fondata sulla quantità delle sillabe e relativi piedi, a quella nostra moderna, fondata sugli accenti tonici e sul numero delle sillabe.
Artisticamente è un capolavoro, per la bellezza e la potenza delle immagini, per lo splendore dei concetti.
I vessilli di Cristo avanzano vittoriosi, dopo il mortale duello con la morte stessa, che viene sconfitta. “Vexilla Regis prodeunt, fulget Crucis mysterium”, "qua vita mortem pertulit et morte vitam reddidit".
E il commosso saluto della strofa finale diventa un grido di esultanza: “O Crux, ave spes unica!”
La vibrante melodia gregoriana, nel suo incedere processionale e solenne, segue alla perfezione l’andamento dell’inno, che appare perciò nel suo complesso un canto stupendo, opera geniale di fede e di arte.
Non per niente Giuseppe Verdi disse che avrebbe dato tutta la sua musica in cambio del Vexilla Regis.
Vexilla Regis
Avanzano i vessilli del Re, risplende il mistero della Croce, e in questo patibolo l’autore della carne fu appeso nella carne.
Dopo essere stato ferito dalla punta crudele di una empia lancia, per lavarci dal peccato versò acqua e sangue.
O nobile e luminoso albero, tinto di porpora regale, eletto a toccare così sante membra con il tuo degno tronco!
Beato albero, ai cui bracci fu appeso il prezzo del mondo, fu bilancia del corpo e sottrasse la preda all’inferno.
Salve altare, salve vittima di gloria della passione, per cui la vita sopportò la morte, e con la morte ci ridonò la vita.
Ti saluto o Croce, unica speranza! in questo tempo di passione, accresci la grazia ai giusti e cancella le colpe ai peccatori.
O Trinità, fonte di salvezza, Ti lodi ogni spirito, proteggi per sempre quelli che salvi con il mistero della Croce. Amen.
Stupefacente la bellezza del canto gregoriano
RispondiEliminaCaro Hayal'el,
RispondiEliminala bellezza del canto gregoriano nasce anche dal fatto che gli anonimi autori di queste musiche componevano "ex abundantia cordis", dalla pienezza del cuore, e non certo per arrivare primi a Sanremo... ;-)
Ciao!
Il canto gregoriano è intramontabile, tanto quanto il Latino.
RispondiEliminaA tramandare questo genere musicale unico, sono i monaci di vari ordini, gli amanuensi benedettini davanti a tutti.
Non conoscevo l'affermazione di Verdi!
Sì, carissima Stella, gregoriano e latino sono un patrimonio di inestimabile valore, elementi fondamentali della nostra civiltà :-))
RispondiEliminaLa frase di Verdi sul Vexilla Regis l'ho sentita più volte ripetere dal M° Fosco Corti, docente al Conservatorio "Cherubini" di Firenze, impareggiabile direttore di coro e grande esperto di canto gregoriano.
Non ti saprei indicare in quale preciso documento la puoi trovare. Ma puoi star certa che, citata da Fosco Corti, autorità assoluta nel canto gregoriano, la frase è stata sicuramente pronunciata da Verdi.
Ciao! e di nuovo auguri per il tuo bellissimo compleanno :-)