Fabrizio De André ci ha lasciato alcune delle canzoni più belle e indimenticabili del repertorio musicale di ogni tempo.
La canzone di Marinella, La guerra di Piero, Via del Campo, sono le prime che mi vengono subito in mente; poi molte altre a seguire: Geordie, Carlo Martello, Preghiera in Gennaio, Per i tuoi larghi occhi, Dolcenera, e così via.
Sappiamo che De André considerava particolarmente ben riuscita “Bocca di rosa”. A mio parere la canzone, benché popolarissima, non rientra tra le migliori; appare un po’ troppo “caricata”, e l’esagerata ironia scade nella retorica. Raramente invece egli accennava a La canzone di Marinella e che sembrava quasi voler “dimenticare”. Ma era quella che gli aveva aperto il successo, e che rimane – a mio parere, ovviamente - la più affascinante delle sue ballate.
D’altra parte, non è detto che l’autore sia sempre il miglior giudice di sé stesso. Anzi, molto spesso non lo è. Basti pensare a Petrarca, che considerava suo capolavoro il poema De Africa (che molti non sanno nemmeno cosa sia), e chiamava “nugae” e “nugellae” (cioè, piccolezze) le poesie del Canzoniere, il vertice della lirica di ogni tempo. Anche Chopin, per ritornare nell’ambito musicale, non pubblicò mai il Notturno in Do diesis minore (quello de “Il Pianista”, per intendersi), perché lo considerava imperfetto. Oggi è ritenuto comunemente il più bello in assoluto.
Un altro luogo comune vede in De André solo il cantore della contestazione degli anni 60-70.
Certamente gran parte della sua produzione è una durissima critica alla società del tempo. Con sferzante ironia, oppure con dolente amarezza, mette a nudo il perbenismo e la falsità della società borghese o i limiti e la fragilità dell’animo umano.
Molti però sembrano dimenticare che un’altra gran parte della produzione di Faber è dedicata al sentimento dell’amore, visto in ogni suo aspetto: appassionato, tragico, tenero, tradito, perduto, e perfino tragicomico. Le figure femminili delle sue canzoni sono veri e propri simboli, quasi icone, della infinita e insondabile varietà del sentimento amoroso (Marinella, la donna di Geordie, la ragazza di Via del Campo, la donna dai larghi occhi chiari e dal cuore di neve, la “moglie di Anselmo”, solo per citarne alcune).
E il sentimento religioso. Non si può capire De André senza sviscerare questo aspetto, che percorre tutta la sua produzione artistica, e non solo "La Buona Novella", scritta non a caso nel periodo della massima contestazione giovanile (1970). Nessun cantante moderno ha osato, come lui, affrontare con tanta passione i temi della religiosità, di Dio, di Gesù Cristo, di Maria, dei valori morali, e della morte. Temi considerati quasi tabù dalla musica leggera; non per niente è detta leggera... Con De André anche questa diventa musica “di spessore”; per cui la sua opera, dall’inizio alla fine, può essere definita la “storia di un’anima”.
Dall’inizio.
E com’è iniziato il cammino di questo moderno “trovatore”?
Mi piace riascoltare, in questo giorno nel quale ne ricordiamo l’anniversario della morte (11 gennaio 1999) proprio il suo primo disco, il suo primo 45 giri, del 1961: “Nuvole barocche” (nel lato B: “E fu la notte”), pubblicato per l’etichetta Karim.
È solo l’inizio di un cammino. Ma già il titolo ci fa intuire l’originalità della composizione. Nuvole “barocche”, strane e affascinanti insieme, esagerate, come è l’arte barocca. Nuvole che il vento di scirocco crea e scompone in figure fantasmagoriche. È lo stato d’animo del giovane menestrello genovese, combattuto tra sogno e realtà, e che soltanto nell’amore trova il senso della vita.
Non per niente De André inserisce nel brano un accenno al tema della canzone “L’amore è una cosa meravigliosa”. Ma tra quelle “nuvole barocche”, e con un “fiume che si sciacqua sotto l’ultimo sole”, gli “occhi di verde dolcezza” della donna amata sfuggono a sdolcinature retoriche e prende maggior risalto la bellezza muliebre, capace di trasfigurare la realtà.
Un tema che tornerà spesso nelle canzoni di Faber. E infatti “Nuvole barocche” darà il nome all’album del 1969, nel quale sono raccolte alcune tra le più significative canzoni del grande cantautore genovese.
Di questa canzone mi ha sempre colpito quella frase misteriosa: "Tu mi hai insegnato a vivere. Insegnami a partir".
Ci manchi tanto, grande De André!
Splendido questo riferimento a Nuvole barocche con tutta l'analisi che ne hai ricavato.
RispondiEliminaSai che non lo conoscevo?...
E quanta ricchezza di conoscenze e di riflessioni, nel tuo post!
Grazie!!!
E che aggiungere al tuo post così esauriente?
RispondiEliminaGrande cantante e uoomo Faber.
Bacioni, Antonio.
Ti ringrazio del tuo commento, carissima Annamaria.
RispondiEliminaHo cercato di puntualizzare alcuni aspetti essenziali dell'arte di De André ;-)
Ho visto anche il tuo bellissimo post, ma finora non ho potuto commentare per un guasto al PC.
Ora il problema sembra risolto ;-)
Un caro saluto :-))
Carissima Gianna :-))
RispondiEliminaDel grande cantautore genovese spesso si sorvolano o si tralasciano aspetti che sono invece fondamentali, per conoscerlo veramente.
Ho cercato di ricordarli ;-)
Bacioni anche a te :-))