Le Lettere a Lucilio, scritte da Lucio Anneo Seneca (21 a. C.- 65 d. C.) sono un monumento di sapienza, e ci dimostrano che la ragione umana, rettamente usata, può raggiungere i principi fondamentali della morale.
La Lettera n. 47 parla della schiavitù, una realtà del tutto normale nel mondo antico.
Cito alcuni passaggi essenziali. Riporto in latino (lo stupendo e sentenzioso latino di Seneca!) le frasi più belle.
“Seneca al suo Lucilio, salute!
Ho sentito con piacere da persone provenienti da Siracusa che tratti familiarmente i tuoi servi: questo comportamento si addice alla tua saggezza e alla tua istruzione. "Sono schiavi." No, sono uomini! "Sono schiavi". No, vivono nella tua stessa casa. "Sono schiavi". No, umili amici. "Sono schiavi." No, compagni di schiavitù, se pensi che la sorte ha uguale potere su di noi e su di loro.
["Servi sunt". Immo homines. "Servi sunt". Immo contubernales. "Servi sunt". Immo humiles amici. "Servi sunt". Immo conservi].
Considera che costui, che tu chiami tuo schiavo, è nato dallo stesso seme, gode dello stesso cielo, respira, vive, muore come te! Tu puoi vederlo libero, come lui può vederti schiavo.
[Vis tu cogitare istum quem servum tuum vocas ex isdem seminibus ortum, eodem frui caelo, aeque spirare, aeque vivere, aeque mori. Tam tu illum videre ingenuum potes quam ille te servum].
Non devi, caro Lucilio, cercare gli amici solo nel foro o nel senato: se farai attenzione, li troverai anche in casa. Spesso un buon materiale rimane inservibile senza un abile artefice: prova a farne esperienza. Se uno al momento di comprare un cavallo non lo esamina, ma guarda la sella e le briglie, è stupido; così è ancora più stupido chi giudica un uomo dall'abbigliamento e dalla condizione sociale, che ci sta addosso come un vestito. "È uno schiavo." Ma forse è libero nell'animo. "È uno schiavo." E questo lo danneggerà? Mostrami chi non lo è: c'è chi è schiavo della lussuria, chi dell'avidità, chi dell'ambizione, tutti sono schiavi della speranza, tutti della paura”.
["Servus est." Sed fortasse liber animo. "Servus est." Hoc illi nocebit? Ostende quis non sit: alius libidini servit, alius avaritiae, alius ambitioni, omnes spei, omnes timori.]
Dante nella Divina Commedia descrive Seneca con un unico aggettivo: “morale”.
Una moralità fondata sulla ragione.
Contemporaneamente a Seneca, Paolo di Tarso scriveva un’altra lettera, ai Cristiani della regione della Galazia, nella quale diceva:
“Non c’è più Giudeo né Greco, non c'è più schiavo né libero, non c'è più uomo né donna, ma tutti voi siete uno in Cristo Gesù” (Lettera ai Galati 3, 28).
L'uomo, a qualunque condizione appartenga, trova la sua dignità piena non solo nella ragione, ma nel fatto che il Figlio di Dio è realmente diventato uomo.
E da ora in poi non sarà più possibile discriminare un essere umano. Significherebbe discriminare Dio.
Seneca e Paolo, da due punti di vista diversi, ma convergenti, minano alla base la giustificazione della schiavitù.
Ambedue finirono vittime della follia di Nerone.
Foto in alto: "Galata morente", III secolo a. C., Musei Capitolini, Roma
La Lettera n. 47 parla della schiavitù, una realtà del tutto normale nel mondo antico.
Cito alcuni passaggi essenziali. Riporto in latino (lo stupendo e sentenzioso latino di Seneca!) le frasi più belle.
“Seneca al suo Lucilio, salute!
Ho sentito con piacere da persone provenienti da Siracusa che tratti familiarmente i tuoi servi: questo comportamento si addice alla tua saggezza e alla tua istruzione. "Sono schiavi." No, sono uomini! "Sono schiavi". No, vivono nella tua stessa casa. "Sono schiavi". No, umili amici. "Sono schiavi." No, compagni di schiavitù, se pensi che la sorte ha uguale potere su di noi e su di loro.
["Servi sunt". Immo homines. "Servi sunt". Immo contubernales. "Servi sunt". Immo humiles amici. "Servi sunt". Immo conservi].
Considera che costui, che tu chiami tuo schiavo, è nato dallo stesso seme, gode dello stesso cielo, respira, vive, muore come te! Tu puoi vederlo libero, come lui può vederti schiavo.
[Vis tu cogitare istum quem servum tuum vocas ex isdem seminibus ortum, eodem frui caelo, aeque spirare, aeque vivere, aeque mori. Tam tu illum videre ingenuum potes quam ille te servum].
Non devi, caro Lucilio, cercare gli amici solo nel foro o nel senato: se farai attenzione, li troverai anche in casa. Spesso un buon materiale rimane inservibile senza un abile artefice: prova a farne esperienza. Se uno al momento di comprare un cavallo non lo esamina, ma guarda la sella e le briglie, è stupido; così è ancora più stupido chi giudica un uomo dall'abbigliamento e dalla condizione sociale, che ci sta addosso come un vestito. "È uno schiavo." Ma forse è libero nell'animo. "È uno schiavo." E questo lo danneggerà? Mostrami chi non lo è: c'è chi è schiavo della lussuria, chi dell'avidità, chi dell'ambizione, tutti sono schiavi della speranza, tutti della paura”.
["Servus est." Sed fortasse liber animo. "Servus est." Hoc illi nocebit? Ostende quis non sit: alius libidini servit, alius avaritiae, alius ambitioni, omnes spei, omnes timori.]
Dante nella Divina Commedia descrive Seneca con un unico aggettivo: “morale”.
Una moralità fondata sulla ragione.
Contemporaneamente a Seneca, Paolo di Tarso scriveva un’altra lettera, ai Cristiani della regione della Galazia, nella quale diceva:
“Non c’è più Giudeo né Greco, non c'è più schiavo né libero, non c'è più uomo né donna, ma tutti voi siete uno in Cristo Gesù” (Lettera ai Galati 3, 28).
L'uomo, a qualunque condizione appartenga, trova la sua dignità piena non solo nella ragione, ma nel fatto che il Figlio di Dio è realmente diventato uomo.
E da ora in poi non sarà più possibile discriminare un essere umano. Significherebbe discriminare Dio.
Seneca e Paolo, da due punti di vista diversi, ma convergenti, minano alla base la giustificazione della schiavitù.
Ambedue finirono vittime della follia di Nerone.
Foto in alto: "Galata morente", III secolo a. C., Musei Capitolini, Roma
ti ho trovato grazie ad annavercor, grazie per il bell'accostamento...
RispondiEliminase non ti spiace ti ho linkato da me
a presto
Non capisco!
RispondiEliminaAvevo lasciato un commento, ma se l'è mangiato!
Era per avvertirti de "l'esproprio proletario";) del post così interessante e attuale che l'ho riproposto agli amici del mio blog!!!
Buona domenica!
Come ho scritto ad Anna: se questi due hanno minato le fondamenta della schiavitu', perche' non e' cambiato niente?
RispondiEliminaGiovanni Bazzana
Carissima Merins,
RispondiEliminaMi fa molto piacere vedere anche il mio piccolo blog nel tuo elenco ;-)
Complimenti per il tuo :-))) molto simpatica quell'alunna che recita con tanto impegno davanti al Direttore.. :-)
Ciao!
Mia cara Anna,
RispondiEliminami piacciono gli espropri proletari fatti da te... So che vanno a buon fine :-)))
Un abbraccio affettuoso :-)
Carissimo Giovanni Bazzana,
RispondiEliminail Cristianesimo, ed anche lo Stoicismo, su questo aspetto, hanno dato gli strumenti razionali e di fede per superare le discriminazioni sociali, che avevano radici in epoca preistorica.
È chiaro che gli strumenti vanno usati...
Tuttavia io non sarei così pessimista come te. Nessuno oggi, ad esempio, sosterrebbe la liceità della schiavitù, e almeno a livello di coscienza morale si combatte perché siano superate le varie discriminazioni.
Se pensi che nella Roma imperiale di Paolo e Seneca, su due milioni di abitanti un milione e mezzo erano schiavi...
Un caro saluto!
Mi sembra che nessuno oggi sosterrebbe la liceita' della schiavitu' perche' c'e' stato di mezzo l'illuminismo. Per Paolo, ad esempio, l'uguaglianza fra gli uomini non e' affatto un valore assoluto, ma va subordinata alla sovranita' di Dio (lettera a Filemone). Non e' un caso che molti sostenitori della schiavitu' hanno potuto usare Paolo a loro sostegno senza molti problemi.
RispondiEliminaGiovanni
Caro Giovanni,
RispondiEliminala schiavitù era già scomparsa in Occidente intorno al 1000, come ricorda ad es. anche il marxista Marc Bloch. Nel Medioevo cristiano la schiavitù non è praticamente esistita.
È ritornata invece con l'epoca moderna, per l'avidità delle nazioni, con una grave colpa contro i principi del Vangelo e della sana ragione.
Non dobbiamo dimenticare che l'Illuminismo è nato in ambito di cultura cristiana (anche se in polemica spesso con la Chiesa).
Per quanto riguarda S. Paolo, anche Lutero si rifà a S. Paolo per sostenere le sue tesi sulla grazia (Lettera ai Romani), interpretandola male...
Paolo non è un rivoluzionario alla Sparacus, ma la sua rivoluzione è più profonda, perché si appella a Dio Padre e al Figlio Gesù Cristo. Dunque figli dello stesso Padre e fratelli in Cristo.
È questa la rivoluzione cristiana. E per questo può rivolgersi a Filemone chiedendo di riaccogliere Onesimo fuggitivo (al quale spettava il marchio a fuoco) non più come schiavo, ma come un fratello carissimo.
Ha rivoluzionato più la società questo "biglietto da visita" di Paolo, che tutte le rivoluzioni armate.
Basterà ricordare la matrona Melania, diventata cristiana (IV secolo), che liberò in un sol giorno i suoi 8000 schiavi.
Ciao!