La lotta politica in Italia è nata con la nascita dell’Italia stessa, nel Medioevo.
Spesso si è trasformata in odio e violenza, non solo tra città e città, ma tra gli stessi concittadini, proprio quelli racchiusi dalle medesime mura e dal medesimo fossato di difesa, per dirla con le famose espressioni dantesche del VI canto del Purgatorio:
“Ed ora in te [Italia] non stanno sanza guerra
li vivi tuoi, e l’un l’altro si rode
di quei ch’un muro ed una fossa serra” (vv. 82-84).
Dante, che sulla sua pelle ha provato l’odio avverso e l’umiliazione dell’esilio, è stato uno dei più severi accusatori della degenerazione politica e uno dei più tenaci assertori della pace “grande e generale”, per la costruzione di una civitas degna di essere vissuta.
Il suo sogno è stato quello di un’Europa unita, con a capo l’imperatore e con il riferimento ai grandi valori cristiani, insegnati dalla Chiesa e dal Papa.
Il Dante “politico” nella Divina Commedia lo troviamo in particolare nei tre VI canti del poema: il VI canto dell’Inferno, il VI canto del Purgatorio, il VI canto del Paradiso.
Ognuno di essi è un ampliamento progressivo di orizzonte: Firenze, l’Italia, l’Europa cristiana.
Il VI canto dell’Inferno descrive la situazione politica di Firenze, dove le fazioni e la corruzione stanno distruggendo la città. Con sarcasmo Dante dice che ci sono rimaste solo due persone giuste, e per di più inascoltate:
“Giusti son due e non vi sono intesi;
superbia invidia ed avarizia sono
le tre faville ch’hanno i cuori accesi” (vv. 13-15).
Il VI canto del Purgatorio presenta la situazione del’Italia, con parole che non hanno bisogno di commento:
“Ahi serva Italia, di dolore ostello,
nave sanza nocchiero in gran tempesta,
non donna di provincie, ma bordello!” (vv. 16-18).
Il VI canto del Paradiso è il canto dell’Impero romano e dell’Europa cristiana impersonati da Giustiniano, il grande imperatore che ha saputo unire gli aspetti più vitali dell’antica Roma, di cui descrive la storia, e la rivoluzionaria novità dello spirito cristiano.
“Cesare fui e son Giustiniano,
che per voler del primo amor ch’io sento,
d’entro le leggi tolsi il troppo e il vano” (vv. 10-12).
Il "primo amore" è lo Spirito Santo.
Colui che in terra fu imperatore ("Cesare"), ed ora è l’anima beata di Giustiniano, ha compiuto l’opera più importante per fondare la pace universale: dotare l’umanità di un nuovo codice di diritto, che rispecchiasse i valori della giustizia, dopo aver tolto da quello precedente le cose sbagliate (“il troppo”) e i mille garbugli che lo inceppavano (“il vano”).
Solo sul diritto e sulla giustizia si può fondare la vera pace. Diritto e giustizia che mondo romano e cristiano hanno saputo offrire alla nascente Europa.
E c'è qualcuno che pensa che le radici cristiane dell'Europa siano un optional.
Dante non sarebbe d'accordo.
Foto in alto: Giustiniano e i suoi dignitari, Basilica di S. Vitale (548), Ravenna
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