Il canto gregoriano è una musica che mira all’essenziale.
Anzitutto niente strumenti; solo la voce umana, che del resto è lo strumento musicale più bello, perché naturale.
Il canto è ad una sola voce, una monodia.
Il canto è ad una sola voce, una monodia.
E questo canto si muove senza grandi salti melodici, che sono tipici invece della musica melodrammatica; anche in questo caso il gregoriano segue per lo più l’andamento della natura, che “non fa salti”.
Come si vede, il minimo indispensabile, sotto il quale c’è solo il silenzio, che per molti aspetti si può considerare una musica interiore.
Sbaglierebbe però chi pensasse che il gregoriano sia una musica povera, elementare, noiosa.
È una musica a cui ci si deve avvicinare facendo una bella doccia di umiltà e togliendosi i tappi dalle orecchie, abituati al chiasso (anche musicale) che ci circonda.
Allora scopriamo che quella monodia così apparentemente fragile, vibra di intenso pathos; quei piccoli salti melodici sono più significativi di un “do” di petto o di un gorgheggio di soprano; quell’andamento libero del canto ha in sé un ritmo più serrato di una musica rock.
“Sobria ebbrezza” (sobria ebrietas), dice con un bellissimo ossimoro un inno liturgico, riferendosi al dono dello Spirito Santo: un’esultanza che ha in sé l’autocontrollo, il senso della misura.
In certo modo ciò è riferibile anche al canto gregoriano: una musica casta, ma ricca di sentimenti; libera nel ritmo, ma non disordinata; profondamente espressiva, ma senza intemperanze melodrammatiche.
Siamo nel tempo di Avvento. Mi pare perciò doveroso postare l’inno "Rorate caeli desuper", che è proprio un canto di Avvento. Un inno bellissimo, come ognuno può verificare ex auditu.
Al primo ascolto sembra un canto con 4 strofe più o meno uguali. In realtà hanno significative varianti, e io ne indicherò alcune come esempi.
Nel ritornello, l’invocazione “Rorate caeli” (mandate la rugiada o cieli) per chiedere la venuta del Messia è un canto che sale, e molto, fino ad un salto di quarta (la-re), per esprimere ardente desiderio. Invece alla parole “et nubes pluant Iustum” la melodia scende per significare proprio la venuta in terra del Salvatore.
Nella prima strofa, l’angoscia per la desolazione della Città Santa, è espressa da note a lungo ribattute, e in particolare dal doloroso ed espressivo inciso “Jerusalem desolata est”.
Nella seconda strofa, la confessione delle proprie colpe da parte del popolo ha il suo punto più intenso nella frase discendente “et cecidimus”, siamo caduti (tra l’altro giustamente rallentata nel ritmo dagli ottimi cantori).
Nella medesima strofa, Dio che nasconde la faccia davanti alle vergogne del suo popolo (“abscondisti faciem tuam a nobis”), è espresso con una melodia nel basso; e l'intervallo discendente di terza (la-fa) indica il netto distacco di Dio dal suo popolo.
Nella terza strofa ritorna perciò ancor più pressante l’invocazione a Dio, affinché mandi il Salvatore. Questa invocazione ha il suo acme nella frase “Et mitte” (e manda), con un salto di quarta, già presente nel ritornello - come si è detto- ma qui senza preparazione; quasi un grido, che i cantori avrebbero dovuto, a mio parere, sottolineare con un leggero ritardo (allargamento, avrebbe detto Fosco Corti), come il salto impone.
Nella quarta e ultima strofa è Dio stesso che parla al suo popolo e lo consola.
Belllissimo il doppio “Consolamini” (consolatevi). È una strofa che si muove tutta nella parte alta del tetragramma, con salti frequenti, che sono una rarità nel gregoriano, come abbiamo detto.
Ma qui si vuole esprimere a chiare note la gioia della salvezza ormai vicina.
Per coloro che non conoscono la notazione gregoriana, faccio presente che il brano è in chiave di Do, come indica la C in capo all'ultimo rigo del tetragramma.
Ed ora dimentichiamo tutto ciò che ho detto, e lasciamoci prendere dalla bellezza di questo canto accorato di trepida attesa del Salvatore.
Rorate caeli desuper
Mandate la rugiada, o cieli, dall'alto,
E le nubi piovano il Giusto.
1. Non adirarti, o Signore, non ricordarti più dell'iniquità.
Ecco, la città del Santuario è divenuta deserta,
Sion è divenuta deserta, Gerusalemme è desolata:
la casa della tua santificazione e della tua gloria,
dove i nostri padri Ti lodarono.
Mandate la rugiada, o cieli, dall'alto,
e le nubi piovano il Giusto.
2. Abbiamo peccato e siamo divenuti come gli immondi,
e siamo caduti tutti come foglie;
e le nostre iniquità ci hanno dispersi come il vento.
Hai nascosto a noi la tua faccia,
e ci hai schiacciati per mano delle nostre iniquità.
Mandate la rugiada, o cieli, dall'alto,
e le nubi piovano il Giusto.
3. Guarda, o Signore, l'afflizione del tuo popolo,
e manda Colui che sei per mandare.
Manda l'Agnello dominatore della terra,
dalla pietra del deserto al monte della figlia di Sion,
affinché Egli tolga il giogo della nostra schiavitú.
Mandate la rugiada, o cieli, dall'alto,
e le nubi piovano il Giusto.
4. Consòlati, consòlati, o popolo mio: presto verrà la tua salvezza.
Perché ti consumi nella mestizia, mentre il dolore ti ha rinnovato?
Ti salverò, non temere!
perché io sono il Signore Dio tuo,
il Santo d'Israele, il tuo Redentore.
Mandate la rugiada, o cieli, dall'alto,
e le nubi piovano il Giusto.
Carissimo Antonio, il canto gregoriano aiuta veramente ad elevare lo spirito.
RispondiEliminaIn tempo di avvento, questo è l'inno più che appropriato.
Complimenti per la approfondita conoscenza musicale!
Un abbraccio grande.
Sì, un inno bello e intenso, carissima Gianna, che invita a vedere nel Natale del Signore la liberazione dell'uomo :-))
RispondiEliminaUn abbraccio forte :-))