sabato 14 marzo 2009

Un popolo canta



La caduta del muro di Berlino (1989) ha fatto cadere, con un effetto domino, i regimi dell’Est europeo.

Sono così spariti sistemi totalitari, di cui non sentiamo certo la mancanza.

Ma in un settore almeno, qualcosa di bello è andato forse irrimediabilmente perduto: la musica corale.

I cori dell’Est europeo, oltre all’imponenza degli organici, avevano una grande tradizione di musica polifonica.

Tra queste nazioni spiccava l’Ungheria, che ha avuto nel sec. XX due geni musicali come Béla Bártok e Zoltán Kodály, i quali hanno dedicato molte delle loro opere alla musica polifonica.

Kodály (1882-1967) inoltre è stato un eccellente organizzatore della cultura musicale. Insieme ad un altro grande, Lajos Bárdos, ha ideato un metodo che permette l’insegnamento della musica fin dalla scuola dell’infanzia.

Grandi musicisti, grandi cori e grandi direttori di coro. Questa è stata musicalmente l’Ungheria prima del 1989. Si può anzi dire che Kodály ha cercato di ridare un'identità allla nazione a partire proprio dall'educazione musicale. E in nessun'altra nazione la musica corale ebbe una diffusione così capillare.

Il canto che presentiamo, in una monumentale esecuzione del 1982, nel centenario della nascita di Kodály, aveva ed ha per gli ungheresi un significato particolare. È un po’ il simbolo stesso della nazione magiara: A Magyarokhoz (Agli Ungheresi).

Si tratta di un’ode patriottica, scritta nel 1807 da Dániel Berzsenyi. In essa si incita il popolo magiaro a risollevarsi dalla decadenza e a ritornare all’antico vigore della grande Ungheria.

La musica è stata composta da Kodály nel 1925, in forma di cànone. Il canto, cioè, viene prima eseguito all’unisono, poi viene ripetuto dalle varie sezioni, femminili e maschili, con ingressi in successione.
Si forma così progressivamente una vera costruzione polifonica e data l’imponenza della massa corale si giunge ad una grandiosa, ma non sguaiata, conclusione.

Per l’enorme spazio che separa il direttore dai coristi, le note iniziali sono date simpaticamente con un oboe, e non certo con il diapason.

È il canto di un intero popolo.


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