Prima di Guido d’Arezzo tutta la musica veniva necessariamente imparata a memoria, perché potesse essere anche trasmessa alle generazioni successive.
Ci furono tentativi per fissare sopra un rigo di carta i suoni musicali, ed erano degli accenti rivolti verso l’alto o verso il basso, a indicare l’andamento della melodia. Ma è chiaro che da quei segni sibillini non si poteva ricavare nulla, se il canto non era conosciuto a memoria.
Il monaco benedettino Guido, che insegnava nella scuola episcopale di Arezzo agli inizi del 1000, notò che un canto gregoriano, l’inno dei primi vespri di S. Giovanni Battista, aveva una caratteristica particolare: ogni mezzo versetto (emistichio) iniziava con una nota che saliva di un tono o semitono, secondo l’ordine naturale, conosciuto fin dal tempo di Pitagora.
L’inno era questo:
UT queant laxis REsonare fibris
MIra gestorum FAmuli tuorum
SOLve polluti LAbii reatum
Sancte Iohannes.
(Affinché i tuoi servi possano cantare con voci libere le meraviglie delle tue azioni, cancella il peccato del loro labbro impuro, oh San Giovanni).
Egli pensò così di segnare sopra dei righi (in genere 4, il tetragramma) e negli spazi intermedi le singole note di qualsiasi canto, semplicemente confrontandole a mente con quelle iniziali dell’inno di S. Giovanni.
Aveva così inventato il solfeggio cantato e soprattutto il nome delle note (Ut Re Mi Fa Sol La) e il modo di segnarle sui righi: aveva inventato l'alfabeto musicale, come i fenici quello letterale.
La prima nota, per la durezza della pronunzia, nei paesi latini (ma non in Francia) venne sostituita con il Do; la settima nota, il Si venne aggiunta da altri, e sono le iniziali di Sancte Iohannes, nell'ultimo emistichio dell'inno.
Il papa, Giovanni XIX, venuto a conoscenza del nuovo sistema di scrittura musicale, chiamò Guido monaco a Roma e volle cimentarsi con la scrittura guidoniana. Con sua stessa grande meraviglia imparò in pochi minuti un canto che altrimenti avrebbe richiesto ore ed ore. Ed era ovviamente un canto monodico.
Pensiamo ai canti polifonici, oppure alla VIII sinfonia di Mahler, denominata Sinfonia dei Mille: mille sono gli orchestrali e i coristi…
Noi oggi non potremmo ascoltare la musica che ci piace, qualunque sia, se il monaco Guido, ad Arezzo, nel 1025, non avesse inventato l’alfabeto musicale.
Foto in alto: "Monumento a Guido Monaco" (1882), Salvino Salvini, Piazza Guido Monaco, Arezzo (la colomba in testa al grande Guido non fa parte della scultura...)
Ci furono tentativi per fissare sopra un rigo di carta i suoni musicali, ed erano degli accenti rivolti verso l’alto o verso il basso, a indicare l’andamento della melodia. Ma è chiaro che da quei segni sibillini non si poteva ricavare nulla, se il canto non era conosciuto a memoria.
Il monaco benedettino Guido, che insegnava nella scuola episcopale di Arezzo agli inizi del 1000, notò che un canto gregoriano, l’inno dei primi vespri di S. Giovanni Battista, aveva una caratteristica particolare: ogni mezzo versetto (emistichio) iniziava con una nota che saliva di un tono o semitono, secondo l’ordine naturale, conosciuto fin dal tempo di Pitagora.
L’inno era questo:
UT queant laxis REsonare fibris
MIra gestorum FAmuli tuorum
SOLve polluti LAbii reatum
Sancte Iohannes.
(Affinché i tuoi servi possano cantare con voci libere le meraviglie delle tue azioni, cancella il peccato del loro labbro impuro, oh San Giovanni).
Egli pensò così di segnare sopra dei righi (in genere 4, il tetragramma) e negli spazi intermedi le singole note di qualsiasi canto, semplicemente confrontandole a mente con quelle iniziali dell’inno di S. Giovanni.
Aveva così inventato il solfeggio cantato e soprattutto il nome delle note (Ut Re Mi Fa Sol La) e il modo di segnarle sui righi: aveva inventato l'alfabeto musicale, come i fenici quello letterale.
La prima nota, per la durezza della pronunzia, nei paesi latini (ma non in Francia) venne sostituita con il Do; la settima nota, il Si venne aggiunta da altri, e sono le iniziali di Sancte Iohannes, nell'ultimo emistichio dell'inno.
Il papa, Giovanni XIX, venuto a conoscenza del nuovo sistema di scrittura musicale, chiamò Guido monaco a Roma e volle cimentarsi con la scrittura guidoniana. Con sua stessa grande meraviglia imparò in pochi minuti un canto che altrimenti avrebbe richiesto ore ed ore. Ed era ovviamente un canto monodico.
Pensiamo ai canti polifonici, oppure alla VIII sinfonia di Mahler, denominata Sinfonia dei Mille: mille sono gli orchestrali e i coristi…
Noi oggi non potremmo ascoltare la musica che ci piace, qualunque sia, se il monaco Guido, ad Arezzo, nel 1025, non avesse inventato l’alfabeto musicale.
Foto in alto: "Monumento a Guido Monaco" (1882), Salvino Salvini, Piazza Guido Monaco, Arezzo (la colomba in testa al grande Guido non fa parte della scultura...)
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