L’Ungheria è oggi nell’occhio del
ciclone per il muro e il reticolato che ha innalzato ai suoi confini per impedire
l’ingresso di clandestini nel suo territorio.
Ieri si è svolta una vera e
propria “battaglia” tra le migliaia di emigranti e le forze dell’ordine magiare
schierate a difesa delle barriere.
Non è stato un bello “spettacolo”,
certamente. In effetti, respingere le persone con la forza non è mai un bel
vedere. Specialmente se queste persone hanno fatto un migliaio e più di km, tra
sacrifici di ogni genere.
Detto questo, faccio due considerazioni,
senza lasciarmi condizionare né dal “politicamente corretto”, sempre di gran
moda, né dall’ideologia opposta, cioè quella del bastian contrario.
La prima è di carattere
storico-sociale.
L’Ungheria ha subito nel corso del
tempo molte invasioni e occupazioni, e negli ultimi secoli in particolare quelle turche,
quelle austriache e quelle sovietiche. Sono state tutte drammatiche. Le battaglie
del popolo magiaro per liberarsi da quei gioghi sono epiche. Basterà ricordare il
re Mattia Corvino contro i Turchi, l’insurrezione del 1848 contro l’impero asburgico
sotto l’impulso di Sándor Petőfi, l’insurrezione
del 1956 contro l’Unione Sovietica, guidata da Imre Nagy.
Da pochi decenni, dopo la caduta
dell’impero sovietico, ha potuto finalmente riacquistare la sua libertà e la
sua dignità di popolo sovrano, la sua identità.
Come si fa a non capire che un
flusso incommensurabile di persone provenienti
da ogni dove, e praticamente ignote, può mettere in crisi una società che si è
a mala pena rimessa in sesto da pochissimo tempo?
La seconda considerazione
riguarda questi flussi “migratori”.
Vedere migliaia e migliaia di
giovani-non-si-sa-chi “pretendere” di entrare con la forza in casa altrui (l’Ungheria
non è casa loro), dare battaglia alle forze dell’ordine, cercare di smantellare
le barriere di recinzione, non è stato un bello spettacolo neppure da parte di
questi elementi.
Per dirla tutta, è un brutto
segno. Entrare in Europa, per questi tali, sembra ormai un diritto acquisito;
passare o restare, non farsi registrare, andare dove vogliono, è il loro modo
di vedere le cose.
Se l’Europa non trova alla svelta
la maniera di regolare questi flussi, e rispedire al (paese) mittente la
maggior parte di questi tali, che non hanno i requisiti dell’accoglienza, ci
ritroveremo con qualche brutta sorpresa.
Spero di no, ovviamente.
Nella clip, il grande canone "A magyarokhoz" (1942) di Zoltán Kodály, su parole del poeta ungherese Dániel Berzsenyi (1807). Un inno alle glorie della storia ungherese.
Nella clip, il grande canone "A magyarokhoz" (1942) di Zoltán Kodály, su parole del poeta ungherese Dániel Berzsenyi (1807). Un inno alle glorie della storia ungherese.
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