Il 25 aprile scorso, mentre una
stucchevole retorica celebrava in Italia i partigiani (?), un tremendo
terremoto ha scosso e fatto crollare “il tetto del mondo”, in particolare il
Nepal.
In poco più di un minuto si sono
avute migliaia di vittime; la tragica conta è giunta a 4.000, ma il numero è
destinato purtroppo a salire. Sono state distrutte città e luoghi mitici,
patrimonio dell’umanità, come Kathmandu e Pokhara.
In luoghi che nell’immaginario
collettivo sono il simbolo stesso della pace e della serenità dello spirito, si
è scatenato un vero e proprio inferno. Dall’Everest si è staccata una valanga
che ha seppellito decine di alpinisti e ha fatto centinaia di feriti.
Nel disastro totale sono morti anche
4 italiani, e 40 risultano ancora dispersi.
La situazione si aggrava di
giorno in giorno, per la mancanza di qualsiasi genere di necessità, compresa (sembra incredibile)
anche l’acqua. Un milione di bambini sono a rischio di morte per malattie e denutrizione.
Un ennesimo trionfo della morte,
in questa nostra epoca che sembra diventata davvero, per dirla con Neruda, “l’età
della cenere” e pare di udire “le ruote dell’Apocalisse”.
La vita e la morte, nel loro ennesimo
scontro.
Voglio postare Der Erlkönig, una
drammatica romanza di Goethe con la musica sublime di Schubert (1815). È la storia di un fanciullo che il padre cerca di strappare inutilmente alla morte, rappresentata dalla voce del re degli Elfi.
Un appello perché in Nepal invece la
morte non vinca, ma prevalga la forza del bene, espressa nell’aiuto ai
sopravvissuti, specialmente ai più piccoli.
E un omaggio alle vittime con una
musica di altissimo valore, degna del “tetto del mondo”.
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