Ci sono alcune canzoni napoletane che sono veri e propri capolavori
d’arte. Non per niente sono conosciute in tutto il mondo e sono state cantate
dalle più celebri voci della lirica, da Caruso a Mario Del Monaco, da Tito
Schipa a Beniamino Gigli, da Franco Corelli a Giuseppe Di Stefano, da Carlo
Bergonzi a Luciano Pavarotti, per limitarci ad alcuni massimi tenori italiani.
Non starò qui a dissertare sul perché il territorio di
Napoli sia stato così fertile di capolavori canori. Voglio solo far presente
che già al tempo di Scarlatti e Pergolesi nella capitale borbonica erano in
piena attività ben quattro conservatori musicali, senza parlare dei numerosi
teatri, oltre al San Carlo, il più antico teatro d’opera del mondo.
Una civiltà musicale che affonda le sue radici nei secoli
passati e che ha trovato nell’anema e core del popolo partenopeo la sua
caratteristica principale.
In effetti, non possiamo ascoltare ad esempio Marechiare, O
sole mio, Torna a Surriento, Dicitencello vuje, Anema e core, Reginella (“T’aggio
voluto bene”), senza emozionarci. Così come, più vicino a noi, le geniali canzoni
di Renato Carosone.
Voglio perciò ascoltare uno dei brani più affascinanti del
repertorio napoletano: "Tu ca nun chiagne" (Tu che non piangi). È stato composto
dall’autore di Torna a Surriento, Dicitencello vuje, Non ti scordar di me, e
cioè Ernesto De Curtis (1875-1937), un vero maestro compositore. Era
pronipote di Saverio Mercadante, e si era diplomato in pianoforte nel celebre
Conservatorio napoletano di S. Pietro a Majella, quello stesso dove avevano
insegnato Paisiello e Donizetti, e dove avevano studiato Bellini, Mercadante, Giordano,
Leoncavallo, Cilea, Denza (“Funiculì funiculà”), Tosti (“Marechiare”) ed altri
nomi eccellenti fino a Carosone, Salvatore Accardo e Riccardo Muti.
La canzone è stata composta nel 1915, nel periodo in cui l’Italia
entrò in guerra, nella Grande Guerra. Le parole, del valente poeta Libero Bovio, parlano invece di un'altra “montagna” (il Vesuvio), di luna bianca, di amore. Un
amore non corrisposto, che lascia indifferente l’amata, e fa piangere l’innamorato.
Una guerra di amore, che non fa vittime, ma che strazia
ugualmente il cuore.
Ho preferito postare l’esecuzione di Mario Merola, anziché quella
di un grande tenore. E ho preferito ascoltarla in una specie di “sceneggiata
napoletana” (in realtà è una scena del film “Giuramento”, del 1982), e in una
versione in bianco e nero molto imperfetta (ce ne sono di migliori nel web), ma
a mio parere molto efficace.
E poi c’è sovrimpressa la lirica, in lingua italiana, inglese e
napoletana. What else?
Dico la verità. Non posso ascoltare questa canzone senza
commuovermi un po’.
L’inizio è davvero “leopardiano”, con la luna, la montagna
e la notte. E un amore infelice.
Buon ascolto notturno...
Che grande e gradita sorpresa, caro Antonio.
RispondiEliminaQuando ascolto le canzoni napoletane, l'emozione mi assale sempre...
Mi fa piacere che le apprezzi pure tu.
Ho vissuto con te un attimo di commozione.
Un abbraccio affettuoso.
Napoli, la sua cultura, la sua gente, le sue canzoni, il suo grande passato! So che tu, carissima Gianna, hai qualche legame con questa città, che ha dato molto all'Italia, più di quanto abbia ricevuto.
EliminaLe canzoni napoletane fanno veramente fremere di emozione, e non lasciano certo indifferenti.
Grazie per aver condiviso con me questa emozione... ;-)
Un grande abbraccio :-)