La festa del Corpus Domini richiama la nostra attenzione sul mistero centrale della fede cattolica: Cristo è realmente presente nel sacramento dell’Eucarestia e si dona ai fedeli in cibo di vita eterna.
“Pane del cielo”, si definisce Gesù stesso nel discorso a Cafarnao (Gv 6, 51); “medicina d’immortalità”, commentano i Padri della Chiesa; “ostia di salvezza”, scrive S. Tommaso d’Aquino.
Una festa radiosa, nella quale viene affermato con forza e dolcezza che la vita di Cristo risorto entra nella vita mortale dell’uomo per divinizzarlo: “Chi mangia questo pane, vivrà in eterno” (Gv 6, 58).
È Cristo vivo e vero che si fa nutrimento dell’uomo, “non confractus, non divisus, integer accipitur”, come mirabilmente si esprime S. Tommaso nel “Lauda Sion”. Viene ricevuto Cristo “non spezzato, non diviso, nella sua integrità”; e in forma sacramentale, cioè nelle apparenze del pane e del vino.
Ma è Cristo Risorto.
Innumerevoli sono le preghiere eucaristiche, e ancora di più i compositori che le hanno messe in musica.
Senza parlare di altri generi d’arte.
In questa festa mi piace ricordare una bellissima composizione di Gioachino Rossini (1792-1868).
Il genio pesarese del melodramma è noto piuttosto per la sua vita da buon “viveur”, che per le pratiche religiose.
Sta di fatto che, dopo il suo forsennato ventennio in cui sfornò una quarantina di opere, in gran parte capolavori immortali a tutti noti, dopo il “Guglielmo Tell” del 1829 smise improvvisamente di comporre.
Questo “silenzio musicale” , che durò fino alla morte, fu interrotto solo da alcune composizioni, soprattutto di carattere religioso: lo “Stabat Mater” (1841) e soprattutto la stupenda, incredibile, geniale “Petite Messe Solennelle” (1863), una Messa che di piccolo ha solo l’aggettivo del titolo, poiché si tratta di un capolavoro assoluto.
Ma Rossini fece onore alla sua fede cattolica con altre brevi composizioni, come quella che oggi postiamo, dedicata all'Eucarestia: “O Salutaris Hostia”, del 1857.
Il Maestro ritorna alle origini della musica con questo mottetto in polifonia a cappella, a quattro voci miste, dimostrando anche qui il suo genio e la sua grande sensibilità.
Le parole sono la prima strofa del celebre inno di S. Tommaso d'Aquino (1264). Rossini ha musicato solo la prima strofa (la seconda è una dossologia trinitaria) probabilmente perché ha voluto mettere in risalto gli aspetti più chiaroscurali del testo sacro.
"Ostia di salvezza, che apri la porta del cielo, le forze ostili premono, dacci forza, aiutaci!"
Così notiamo che la prima parte del brano è dolce e suadente; poi diviene quasi drammatico (il coro che esegue, sottolinea le parole “bella premunt hostilia” addirittura con la gestualità).
Nella ripetizione della strofa, l’andamento è similare, ma non uguale. Dopo il suadente inizio e un accentuato tocco drammatico, l’andamento da omofonico diventa contrappuntistico, con movimenti delle parti che danno vivacità al canto e mettono in risalto la incalzante richiesta di forza (“da robur”) e di aiuto per vincere la battaglia contro il male.
Si ritorna poi ad un movimento corale, in cui la richiesta di forza e di aiuto si fa accorata, fino a spegnersi nell’ultimo accordo.
Ottima la prestazione del Coro giovanile “Cantilene” di Ekeren (Anversa). Finalmente un buon coro! Auspicabile il potenziamento della sezione maschile.
Comunque bravi!
Comunque bravi!
O salutaris Hostia, quae caeli pandis ostium;
bella premunt hostilia, da robur, fer auxilium!
Ostia di salvezza, che apri la porta del cielo;
le forzi ostili premono, dona forza, aiutaci!
Sia lodato e ringraziato ogni momento il Santissimo e Divinissimo Sacramento.
RispondiEliminaBentornato, Antonio!
Sempre sia lodato!
RispondiEliminaUn caro abbraccio, carissima Gianna :-))
Gianna, auguri vivissimi (è proprio il caso di dirlo!) per la nascita della tua nipotina Sara!!!
RispondiEliminaLa bellissima notizia, l'ho vista solo ora.
Complimenti ai genitori! :-))
A presto ;-)
Antonio
Mi sei mancato, Antonio!
RispondiElimina