Il 10 febbraio è il giorno che ricorda i massacri delle foibe e l’esodo forzato degli italiani dell’Istria, di Fiume e della Dalmazia.
I partigiani comunisti di Tito (aiutati da partigiani
comunisti italiani, questo ancora viene appena sussurrato) massacrarono
migliaia di italiani durante e dopo la II guerra mondiale.
Quelli che
scamparono alle foibe, vennero costretti a lasciare le loro terre e i loro beni
e a fuggire in Italia, dove i comunisti italiani di Bologna e di Ancona li
accolsero a sputi in faccia e a offese di ogni genere. Alla stazione i
ferrovieri non dettero loro nemmeno un bicchier d’acqua.
Un esodo biblico, di trecentomila italiani.
Nelle foibe finirono uccise oltre 10.000 persone, tra cui la
giovane universitaria istriana, laureanda in filosofia, Norma Cossetto, rea unicamente
di essere figlia di un dirigente fascista di Visinada (attuale Croazia). Sottoposta a violenze, stupri e sevizie di ogni genere, il 4 ottobre 1943 venne infoibata insieme ad altri innocenti
cittadini istriani a Villa Surani. Prima di essere gettata viva nella foiba profonda 136 metri, venne nuovamente seviziata (le tagliarono le mammelle) e
stuprata con un bastone. Quando il corpo fu recuperato aveva ancora un bastone “inficcato
nella vagina” (testimonianza raccolta dai riesumatori).
Per la mia quasi collega Norma Cossetto (laureanda in
filosofia) l’omaggio in memoriam: “Plorate,
filii Israel”, piangete figli d’Israele, struggente coro finale a sei voci dall’Oratorio “Jephte” (1648) di
Giacomo Carissimi.
La tragica vicenda della figlia di Jefte è troppo nota per
essere narrata. Si trova nel libro dei Giudici, cap. 11.
Plorate filii
Israel,
plorate omnes virgines
et filiam Jephte unigenitam
in carmine doloris, doloris lamentamini.
plorate omnes virgines
et filiam Jephte unigenitam
in carmine doloris, doloris lamentamini.
Piangete, figli d’Israele,
piangete vergini tutte,
e fate un lamento in un canto di dolore
per l’unica figlia di Jefte.
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