sabato 15 aprile 2017

Gli "improperi" (Victoria)





Tra i Responsori della Settimana Santa di Tommaso Ludovico da Victoria (1585) il “Popule meus”, a quattro voci miste, è certamente uno dei più belli.

È Gesù che si lamenta del suo popolo per le offese (gli “improperia”) ricevute nella sua dolorosa passione e morte.

Il mottetto a prima vista si differenzia dallo stile di Victoria, in genere ricco di pathos e armonicamente caratterizzato dal movimento delle parti.
Qui abbiamo praticamente un corale. Le parti si muovono pressoché in modo uniforme e a prima vista senza particolari spunti emotivi.

In realtà si tratta di un mirabile capolavoro d’arte e di fede.

Il movimento omofonico dà giustamente il senso di un dramma collettivo: è un popolo intero che ha peccato, che ha ricambiato con tutto il male possibile il bene ricevuto dal suo salvatore.
L’intensità del pathos non è appariscente, ma è ben presente a chi lo sappia scoprire con una lettura attenta della partitura.
Basterà sottolineare le due frasi finali, una greca e la sua traduzione latina: “Aghios athanatos eleison imas. Sanctus et immortalis, miserere nobis”.
Nella frase greca la parola “athanatos” (immortale) è collocata in una scala discendente e giunge alla nota più bassa del mottetto, quasi a ricordare che l’immortale Dio è sceso nella profondità della morte. 
Nella corrispondente frase latina la parola “immortalis” è posta invece in una scala ascendente e tocca la nota più alta: l’immortalità di Dio viene proclamata nella sua pienezza.

Rimasi a bocca aperta quando ascoltai da ragazzetto questo brano nella Cattedrale della mia città. Anche la doppia lingua, greca e latina, colpì la mia fantasia e si impresse nella mia memoria in modo indelebile.
Poi, da corista, ho avuto infinite occasioni per cantarlo, nella sezione dei tenori.

Un episodio particolare me lo ha reso ancor più caro. Con il coro eravamo stati invitati in Grecia per una serie di concerti nel 1978. Fu un’occasione per visitare quella terra, così cara a chi conosce il mondo classico. In una delle nostre gite fummo condotti ad Epidauro, dove c’è un bellissimo antico teatro con un’acustica perfetta. La guida ci fece collocare nelle gradinate e lui, lontano una cinquantina di metri, nel luogo dove recitavano gli attori, fece cadere una moneta in una lastra di pietra lì collocata. Sentimmo distintamente il suono della monetina che cadeva dalla sua mano…
Mentre eravamo nel mezzo di quell'antico teatro, si alzò da un lato un coro improvvisato di un gruppo tedesco che cantò  “Popule meus” di Victoria. 
Una emozione indescrivibile. In quel luogo, dove erano risuonate le tragedie di Eschilo, Sofocle, Euripide, ora risuonava questo canto corale che ricordava una tragedia ancor più sublime.

Non ho trovato nel web una esecuzione che metta nel giusto rilievo la bellezza del mottetto.
Ho scelto quello che mi sembrava il meno peggio. Ad esempio, è incomprensibile perché il direttore del coro si fermi ad ogni frase greca e alla sua traduzione latina; la partitura non ha pause. Direbbe Fosco Corti che c’è il pericolo di fare lo “spezzatino”. Anche le note espressive sopra ricordate non sono sufficientemente messe in risalto. 

Nonostante tutto, il mottetto è così bello che anche in una imperfetta esecuzione si può se non altro intuire la sua perfezione.



Popule meus, quid feci tibi? Aut in quo contristavi te? Responde mihi.
Aghios o Theos. Sanctus Deus.
Aghios ischyros. Sanctus fortis.
Aghios athanatos, eleison imas.
Sanctus et immortalis, miserere nobis.

Popolo mio, che ti ho fatto? O in che cosa ti ho rattristato? Rispondimi!
Santo Dio, Santo forte, Santo immortale, abbi pietà di noi!




3 commenti:

  1. Che grande emozione ascoltare questo brano nella splendida acustica del teatro di Epidauro!!!
    Grazie di cuore delle tue bellissime spiegazioni e tanti cari auguri di una Pasqua serena!
    Ti abbraccio!!!

    P.S. Che esperienza meravigliosa dev'essere stata quella di cantare un coro prestigioso come il tuo!!!

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    1. Mi sembra ancora di sentirlo quel gruppetto di persone, in mezzo ai turisti, che all'improvviso iniziò a cantare il Popule meus. Si fece un silenzio immediato, e quella musica sublime risuonò per il teatro come proveniente da un sorround; saranno state dieci/dodici persone: intonazione perfetta, interpretazione esemplare. Forse sarà stata la magia del luogo, ma a me sembrò qualcosa di sublime :-)
      È vero, il coro di Fosco mi ha regalato momenti indimenticabili, e non solo nel palco dei teatri :-)

      Un grande abbraccio anche a te, carissima Annamaria, e auguri di una serena Pasqua anche da parte mia :-))

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  2. Caro corista, ti auguro una serena e Santa Pasqua con un abbraccio affettuoso.

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