Molti aspetti della realtà sono definiti da due poli: poli terrestri, poli magnetici, poli politici…
Per ricordare più efficacemente la figura di S. Tommaso d’Aquino,
di cui oggi ricorre la memoria, lo voglio mettere a confronto con l’altro
grande dottore della Chiesa, S. Agostino.
Sono due figure che costituiscono in certo senso i due poli
entro i quali può oscillare il pensiero filosofico e teologico cristiano.
Lo farò mettendo a confronto alcune loro affermazioni
fondamentali.
Agostino (354-430) è
un animo irrequieto; fino alla conversione, avvenuta a 33 anni, non si decide
a lasciare i suoi legami passionali: “Dammi
la castità, Signore, ma più tardi!”
Tommaso è un puro di cuore, che fin da ragazzo ha volontariamente
rinunciato ai privilegi della nobile famiglia dei Conti d’Aquino, per entrare a
far parte dell’ordine mendicante dei Domenicani. Per le sue virtù è noto con l’appellativo
di “Doctor Angelicus”.
Agostino ha cercato la verità attraverso le varie scuole
filosofiche del tempo: materialismo, manicheismo, aristotelismo, scetticismo,
neoplatonismo; fino ad approdare alla fede cristiana:
“Ci hai creati per Te, o Signore, e il nostro cuore è inquieto finché
non riposa in te!”
Tommaso (1225-1274) è il geniale discepolo di Aristotele, da
cui eredita la fiducia nella ragione, la potenza speculativa, la limpidezza del
pensiero. Ne completa i punti lasciati in sospeso con l’apporto della fede. “La grazia di Dio non distrugge la ragione,
ma la porta a compimento”.
Agostino, platonicamente, sottolinea l’importanza dell’analisi
interiore, del “cuore”, per usare un termine pascaliano. E dall’analisi
interiore, capace di verità ma cosciente dei suoi limiti, si apre alla trascendenza
di Dio: “Non uscire fuori, rientra in te
stesso, nell’intimo dell’uomo abita la verità. E se ti trovi mutevole,
trascendi te stesso”. La finitezza dell’uomo porta alla scoperta della
trascendenza divina.
Tommaso, aristotelicamente, parte dall’osservazione della
realtà esteriore, della natura che ci circonda. È il divenire della natura, il
suo procedere per cause ed effetti, che lo porta a postulare una Causa
trascendente la realtà mutevole. Trascendente, perché se fosse immanente nella
natura, avrebbe bisogno anch'essa di un’altra causa, fino all’infinito, senza
mai poter dare inizio ed esistenza alla realtà.
Non è l’infinità del numero delle cause il problema, ma il tipo di causa. Se
non si ammette una Causa trascendente, la natura non può aver avuto
inizio. “Tutto ciò che è mosso, è mosso
da altri. Ma non si può procedere all’infinito senza una Causa iniziale, che chiamiamo
Dio”.
Agostino, anche per esperienza personale, sottolinea la
presenza del male nel mondo. Per questo ama evidenziare la fragilità dell’essere
umano, che talvolta definisce “prope nihil” (quasi
un niente). Proprio per questo la grazia di Cristo è così necessaria per la
salvezza. Non a caso, Agostino è denominato “Doctor
gratiae”(dottore della grazia).
Tommaso, con esperienza diversissima di vita, sottolinea
invece l’altro aspetto della natura umana, e cioè la sua capacità di operare, di
raggiungere validi obiettivi. L’essere umano mantiene sempre una sua dignità,
nel pensare e nel volere. Perciò “sottrarre
le perfezioni alle creature, è come sottrarre le perfezioni a Dio”, che è
il Creatore.
Agostino, il polo inquieto dell’esistenza; Tommaso, il suo polo
fiducioso.
Sono in fondo i due poli dove la nostra stessa vita spesso
oscilla: un po’ agostiniani, un po’ tomisti.
Ieri era il giorno della Memoria, la morte della ragione.
Tra le vittime di Auschwitz c’è Edith Stein, ebrea,
discepola di Husserl. Proprio l’incontro con il pensiero di S. Tommaso d’Aquino
la portò alla conversione cristiana e poi alla vocazione carmelitana.
Edith Stein, cioè S. Teresa Benedetta della Croce: la
luce della fede e della ragione, dentro il buio del male assoluto.Nella foto in alto, da sinistra: S. Agostino, S. Tommaso, Papa Innocenzo III, S. Bonaventura (part. della "Disputa del SS. Sacramento" 1509-1510), Raffaello, Stanze Vaticane, Stanza della Signatura,
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