Il funerale di una persona cara è sempre un momento di profonda commozione. Se poi partecipa anche una bella folla di amici, la loro presenza lenisce grandemente le lacrime dei parenti.
Nei funerali di Stato invece accade, forse a causa del cerimoniale, che la liturgia si trasformi spesso in una grande "parata", nella quale l'attenzione è catturata (magari inconsapevolmente) dalle autorità presenti schierate in prima fila. Poi vengono i parenti con i loro defunti. Il popolo in fondo o fuori.
Sono rimasto al contrario molto impressionato dalle esequie che si sono svolte ad Amatrice stasera in un grande capannone adibito celermente per l'occorrenza, data la pioggia.
È stata una vera celebrazione liturgica, senza parate, senza primi posti in platea, senza formalismi; fuori sono rimasti i fiori mandati dalle massime autorità dello Stato: "No sponsorizzazioni" ha detto la gente.
La TV e i suoi telecronisti non si davano pace, perché non riuscivano a inquadrare le facce dei vari Mattarella, Renzi, Grasso e Boldrini, immersi e stretti nella folla di amatriciani, come dovrebbe accadere ad ogni comune mortale in una celebrazione così partecipata e sentita.
Nessuno si è guardato bene dal far posto a Lor Signori; non per disprezzo, ma perché quella gente era lì per pregare e pregava con fervore, come tutti abbiamo potuto vedere e ascoltare; era lì per rendere omaggio ai loro parenti e compaesani uccisi dal sisma e non certo per omaggiare i potenti di turno.
Mi è piaciuto molto il discorso del vescovo di Rieti. Breve, coraggioso, concreto. Pochi concetti, ma chiari e tondi. Nessuna concessione alla retorica.
Tre concetti mi piace ricordare di quel discorso.
- Non sono i terremoti a fare i morti, ma le opere dell'uomo.
- La ricostruzione dei paesi distrutti non sia occasione di polemiche politiche o di sciacallaggio.
- Disertare questi luoghi sarebbe ucciderli una seconda volta.
Il Vescovo di Rieti Domenico Pompili ha concluso con uno dei tanti messaggi ricevuti:
"Non ti abbandoneremo uomo dell'Appennino; l'ombra della tua casa tornerà a giocare sulla natia terra".
Di Amatrice finora conoscevo solo il luogo geografico e la celebre pastasciutta. In questi tragici giorni abbiamo potuto conoscere anche il carattere fiero e dignitoso della popolazione.
In questa celebrazione liturgica mi sono reso conto della religiosità profonda di questa gente, che ha messo alla porta i fiori dei "papaveri", ha lasciato tra la folla i loro "donatori" (capirai!), e ha pensato solo a pregare, perché in Chiesa si va per pregare, non per essere ripresi dalla TV.
Con il disorientamento dei cronisti, che tra l'altro non hanno quasi mai smesso di commentare, sovrapponendosi al rito funebre, invece di farcelo semplicemente vedere e ascoltare. Una cosa davvero vergognosa (rivedere in Rai Replay, please!). Ma pensavano che le loro parole valessero più dei canti e del solenne rito funebre che si celebrava? Tra l'altro il coro ha fatto del bellissimi canti: in gregoriano (Kyrie-Sanctus-Agnus Dei della Missa Defunctorum), un corale di Bach (Se tu mi accogli Padre buono, BWV 197), un canto di Taizé (Misericordias Domini) ed altro ancora.
Per i cronisti TV e i loro "mandanti": ma lo sapete che in Chiesa durante la Messa non si chiacchiera?
Tanto più in una celebrazione funebre, e così dolorosa.
Tanto più in una celebrazione funebre, e così dolorosa.
Ho postato il canto "Misericordias Domini" di Taizé, di J. Berthier, eseguito durante la celebrazione di Amatrice. Un' accorata invocazione a Dio per i defunti e un inno di speranza per i sopravvissuti.
Grazie per aver rafforzato con estrema chiarezza quanto accaduto.
RispondiEliminaTerry
^_^
EliminaHelloo nice blog
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