Se c’è un uomo per il quale la ricerca della verità non è stata solo qualcosa di accademico, ma il significato dell’intera esistenza, questi è certamente Sant’Agostino (354-28 agosto 430).
La sua vita è stata un anelito incessante verso il vero, e al tempo stesso una lotta contro ogni genere di falsità e di errori.
Perfino una lotta agli errori grammaticali, che all’inizio del suo cammino di conversione considerava più gravi di un peccato mortale.
La prima lotta che ha dovuto combattere è stata quella contro lo scetticismo.
La risposta che dà a sé stesso e ai negatori della verità è racchiusa nella celebre espressione, ripresa in epoca moderna da Cartesio: “Anche se sbaglio, esisto” (etiam si fallor, sum).
Di tutto posso dubitare, posso anche sbagliarmi su tutto, ma di me che sbaglio non posso dubitare (altrimenti non sbaglierei).
La verità parte perciò dal mio stesso io, è un’evidenza e un’esigenza che scaturisce dal mio stesso essere.
Nel mio intimo trovo poi altri principi che sono indubitabili e certi: sono verità assolute, sia nel campo della logica che in quello della morale.
I principi primi della conoscenza, così come i principi morali, sono validi per tutti e per sempre.
Non uccidere, non rubare, non dire il falso, sono altrettanto veri come il principio di non contraddizione e il teorema di Pitagora.
“È vero che tavolta mentiamo, ma nessuno vorrebbe essere ingannato”.
In noi abita perciò la verità, assoluta, eterna, e non solo le opinioni personali.
Ma noi siamo esseri mortali e manchevoli. Da dove provengono queste verità assolute? Devono avere una causa altrettanto eterna, assoluta, perfetta; cioè Dio. Solo Dio può essere la causa della verità, che ci supera nel tempo e nello spazio, e che scopriamo dentro di noi.
“Non uscire fuori di te. Rientra in te stesso. Nell’intimo dell’uomo abita la verità. E se ti trovi manchevole, trascendi te stesso!” (De vera religione, 39).
Bisogna trascendere sé stessi, appellarsi al Maestro interiore, che è Dio trascendente.
Per questo la verità, quando viene raggiunta, ci appare solida, perché fondata su Dio, Verità assoluta, che permane in eterno e non è soggetto al divenire del mondo.
Il Maestro interiore, il Logos di Dio, non è solo una scoperta umana, a cui sono pervenuti in certa misura anche Platone e i Platonici, così come Aristotele, gli Stoici ed altri ancora.
Il Logos di Dio, la Sapienza di Dio si è fatta carne, si è fatta conoscere visibilmente nella persona di Gesù Cristo, che ci ha rivelato la pienezza della verità, con il suo messaggio di amore e con la sua Risurrezione.
La fede cristiana è l’incontro tra la nostra ragione, desiderosa di verità, e la Verità in persona, Cristo, figlio di Dio: “Io sono la Via, la Verità, la Vita”. Non solo Cristo è la verità, ma è anche la guida per raggiungerla. E solo in Cristo la vita raggiunge la sua pienezza: “Ci hai creati per te, e il nostro cuore è inquieto, finché non riposa in te” (Confessioni, I).
Agostino giunse all’incontro con Cristo in età adulta, ascoltando soprattutto gli insegnamenti di S. Ambrogio. Il suo battesimo avvenne a Milano quando egli aveva trentatré anni.
L’ultima battaglia l’aveva combattuta contro i suoi amori disordinati: “Dammi la castità e la continenza, o Signore, ma più tardi!” (Conf. VIII, 7).
Ma troppo forte era il suo amore per Cristo e per la verità, per cui riuscì a superare con un amore ancora più grande l’amore terreno. Così descrive la sua conversione:
“Mi tenevano lontano da te quelle creature, che, se non fossero in te, neppure esisterebbero. Mi hai chiamato, hai gridato, hai infranto la mia sordità. Mi hai abbagliato, mi hai folgorato, e hai finalmente guarito la mia cecità. Diffondesti la tua fragranza e io l’ho respirata, e ora anelo a te. Ti ho gustato e ora ho fame e sete di te” (Conf. X, 27).
Dopo la conversione Agostino si rammarica di aver perso tanto tempo nelle sue indecisioni:
“Tardi ti ho amato, bellezza tanto antica e tanto nuova, tardi ti ho amato. Ed ecco, tu stavi dentro di me e io ero fuori e là ti cercavo. Eri con me ed io non ero con te” (Conf. X, 27).
Ma il tempo “perduto” (si fa per dire) fu ampiamente recuperato da un cammino di vita e di sapienza ineguagliabili. Il suo pensiero, espresso in opere poderose (Le Confessioni, La Città di Dio, La Trinità, Grazia e Libero arbitrio, etc.), ha contribuito più di ogni altro a formare la cultura occidentale di cui siamo eredi, “come nani portati sulle spalle da giganti”.
Ciò che ha convinto il pagano e inquieto Agostino a convertirsi a Cristo e a cedere alla sua chiamata è stato un messaggio irresistibile, quello dell’amore: “Ama, e fa’ ciò che vuoi” (Commento alla I Lettera di Giovanni, 7, 7).
Un messaggio che Agostino mette a fondamento del suo capolavoro: La Città di Dio (De civitate Dei).
“Due amori fondarono due città. L’amore di sé fino al disprezzo di Dio ha fondato la città degli uomini; l’amore di Dio fino alla rinuncia di sé ha fondato la città di Dio” (XIV, 28).
Il bene e il male hanno origine comunque dall’amore, che muove le azioni dell’uomo.
Ma solo l’amore che si apre agli altri porta alla salvezza.
L’amore egoistico porta alla disgregazione. Come accadde all’impero romano.
E mi pare che anche la nostra società sia un po’ simile a quella del Basso Impero, ridotto a un “grande latrocinio” (magnum latrocinium), di cui Agostino preannunciò la fine, prospettando al tempo stesso la nascita di un nuova “città” fondata sui valori morali e sulla giustizia, che tutti gli uomini, cristiani o no, sono chiamati a costruire.
C'è ancora bisogno del messaggio agostiniano. Molto più attuale di quello di tanti "filosofi" e maîtres-à-penser di oggi.
Foto in alto: Sant' Agostino in cattedra, Miniatura padovana del 1500, British Library, Londra