Sono uno che ricerca la verità e che non si accontenta di wikipedia.
Se dici che la verità non esiste, sbagli, perché ne hai già affermata una.
Se poi dici che la ricerca della verità non ti interessa, allora non te la prendere troppo quando qualcuno ti vuole ingannare.
Il cake-walk è una danza dei neri d'America della seconda metà del 1800, caratterizzato in particolare da un ritmo binario sincopato, che riuscì a ottenere un grande successo anche tra i bianchi, fino agli anni venti del secolo successivo.
Nato in ambienti popolari, e talvolta malfamati, divenne oggetto di attenzione da parte di musicisti di talento.
Il cake-walk fu la prima forma di ragtime ("tempo a brandelli"), che ha avuto in Scott Joplin il più noto esponente. La colonna sonora del film "La Stangata" (1973), ha ripreso il brano più celebre di Joplin, The Entertainer, del 1902.
Il cake-walk varcò l'oceano e sbarcò anche in Europa, attirando l'attenzione di Claude Debussy, che gli ha dedicato un gioiello pianistico, "Le petit nègre", del 1909, oltre all'ultimo brano del Children's Corner.
Dai sobborghi di New Orléans alla Ville Lumière; dai locali malfamati al più raffinato dei pianoforti.
Di strada ne aveva fatta il cake-walk del "piccolo negro"...
Non so se avete visto lo splendido plenilunio di stanotte...
Solo un Notturno di Chopin può adeguatamente descrivere l'emozione che si prova di fronte allo spettacolo che il nostro satellite sta offrendo a noi poveri mortali.
Un Notturno di Chopin; oppure "Claire de Lune" di Debussy, o "Al Chiaro di Luna" di Beethoven...
Se poi questo non basta, ci aiuta una poesia di Leopardi, un frammento poetico di Saffo, o un racconto di Pirandello.
Già, Luigi Pirandello.
Chi non ricorda, "Ciàula scopre la luna"? Il racconto del povero caruso che passa la sua gioventù lavorando come un animale in una miniera di zolfo, disprezzato da tutti e senza alcuna stima di sé stesso.
Ma quella notte Ciàula, risalendo dal ventre della montagna col suo carico di zolfo...
"Restò – appena sbucato all’aperto – sbalordito. Il carico gli cadde dalle spalle. Sollevò un poco le braccia; aprí le mani nere in quella chiarità d’argento. Grande, placida, come in un fresco, luminoso oceano di silenzio, gli stava di faccia la luna.
Sí, egli sapeva, sapeva che cos’era; ma come tante cose si sanno, a cui non si è data mai importanza. E che poteva importare a Ciàula, che in cielo ci fosse la luna? Ora, ora soltanto, così sbucato, di notte, dal ventre della terra, egli la scopriva.
Estatico, cadde a sedere sul suo carico, davanti alla buca. Eccola, eccola, eccola là, la una… C’era la luna! La luna!
E Ciàula si mise a piangere, senza saperlo, senza volerlo, dal gran conforto, dalla grande dolcezza che sentiva, nell’averla scoperta, là, mentr’ella saliva pel cielo, la luna, col suo ampio velo di luce, ignara dei monti, dei piani, delle valli che rischiarava, ignara di lui, che pure per lei non aveva piú paura, né si sentiva piú stanco, nella notte ora piena del suo stupore." (Novelle per un anno).
Non meravigliamoci troppo di Ciàula.
Anche i blogger troppo spesso vivono rinchiusi nella loro tana, sapendo che c'è la luna; ma forse non l'hanno mai vista...
Nella vastissima produzione musicale di G. F. Händel (1685-1759) non possono certo mancare i concerti per arpa.
Benché nelle orchestre del tempo la presenza dell’arpa obbligata non fosse una cosa frequente, in terra inglese, dove Händel svolse in gran parte la sua opera, lo strumento era di casa.
Egli ebbe modo di conoscere i grandi arpisti gallesi, come Thomas Jones e William Powell, che certamente stimolarono la sua fantasia di compositore.
Nasce così nel 1736, per onorare la patrona della musica S. Cecilia, il Concerto in Si bemolle maggiore per Arpa e Orchestra, op. 4, n. 6.
Di questo celebre Concerto presento il primo movimento, "Andante Allegro".
Una musica fresca, gioiosa, quasi sbarazzina. Un inno alla serenità.
Esegue il brano l’arpista sedicenne Elisa Netzer, che dimostra già notevoli doti.
L’Orchestra di Lugano è composta da strumenti a plettro, praticamente da mandolini.
Direttore e trascrittore del concerto Mauro Pacchin.
Il Concerto n. 3 in Re minore, op. 30, per Pianoforte e Orchestra, composto nel 1909 da Sergej Rachmaninov, conosciuto ormai come "Rach 3", è considerato il più difficile brano per pianoforte che sia stato mai scritto.
Ma oltre che leggendario per la sua difficoltà, il Rach 3 è anche una monumentale composizione di musica ispirata. I suoi tre movimenti (Allegro ma non tanto, Adagio, Alla breve) della durata complessiva di circa 40 minuti sono una summa di virtuosismo, fantasia, potenza ed espressività.
Il pianoforte è il protagonista assoluto, per la pressoché continua presenza e per la sua svettante sonorità nell’insieme orchestrale.
Il concerto inizia con un affascinate spunto melodico, immediatamente elaborato in maniera virtuosistica.
Propongo questo stupendo incipit, per invogliare tutti all’ascolto dell’intera composizione.
Magari a puntate…
Insuperabile l’esecuzione di Martha Argerich, con l’Orchestra Sinfonica della Radio di Berlino, diretta da Riccardo Chailly.
Il titanico sforzo di un pianista per affrontare questa partitura è descritto in modo affascinante e drammatico nel film “Shine” del 1996. http://www.youtube.com/watch?v=qkH7CydWW18
Il popolo zingaro, discendente da popoli nomadi dell’Asia centrale, nel suo infinito peregrinare per tutta Europa, ha sempre presentato per una società stanziale notevoli problemi di inserimento.
Al tempo stesso ha costituito un fascino indiscutibile nell’immaginario collettivo. Una vita errabonda, ma libera; senza patria, ma al tempo stesso senza frontiere, se non l’orizzonte sconfinato.
Un popolo con forti legami familiari e di clan, passionale e al tempo stesso malinconico, come dimostrano le melodie e i canti gitani. La musica e la danza hanno sempre avuto un posto di rilievo nella vita di questa gente.
Grandi artisti, specie nel periodo romantico, hanno preso spunto da temi o argomenti zigani e ne hanno saputo trarre autentici capolavori. Basterà citare Brahms e le sue “Danze Ungheresi” (in realtà, zigane), le "Rapsodie Ungheresi” di Liszt, la “Carmen” di Bizet, la rapsodia da concerto “Tzigane” di Ravel…
Un grande omaggio al popolo gitano è costituto dalle “Zigeunerweisen” (“Aires Zingaros”), op. 20, del 1878, di Pablo De Sarasate, celeberrimo violinista e grande compositore spagnolo (1844-1908).
Presentiamo le “arie zingaresche” di Sarasate con il violino di Sarah Chang, l’Orchestra Filarmonica di Berlino e la direzione di Placido Domingo.
Una musica straordinaria con interpreti eccezionali, per onorare i figli del vento…
Il Coro degli Zingari, nell’opera Il Trovatore (1853) di Giuseppe Verdi, è un brano notissimo.
Noi lo postiamo per due motivi.
Anzitutto per la sua ruvida bellezza, come si addice ad un gruppo di zingari che improvvisano un canto.
In secondo luogo perché il protagonista dell’opera è il trovatore Manrico, creduto figlio della zingara Azucena. E il melodramma descrive, da una parte, i pregiudizi e le persecuzioni nei confronti degli zingari, e dall’altra, il loro fortissimo temperamento e i loro saldi affetti familiari.
In fondo Giuseppe Verdi ci dà una lezione anche di umanità.
L’orrendo pregiudizio, che aveva portato la madre di Azucena al rogo come strega, sarà la causa del tragico finale, nel quale tutti i protagonisti saranno vittime.
Anche il Conte di Luna, che scoprirà di aver fatto morire non il rivale in amore e figlio della zingara Azucena, ma in realtà suo fratello stesso.
Mi pare che quest'opera abbia qualcosa da insegnarci anche oggi...
Sergej Rachmaninov (1873-1943) è un musicista russo celebre per la sua bella musica, ma anche per alcune caratteristiche da Guiness dei primati.
Anzitutto per le sue mani gigantesche, che gli permettevano di coprire, si dice, un intervallo di quattordicesima (!). Da pollice a mignolo l’estensione della sua mano doveva essere di circa 28 cm… Mah!
Amplissime erano, ad esempio, le mani di Sviatoslav Richter, con estensione di una dodicesima; e sono già belle mani da pianista quelle che raggiungono bene una decima (la classica Do4-Mi5, per intendersi).
Inoltre, il suo Concerto per Pianoforte e Orchestra, n. 3, in Re minore, op. 30, noto come "Rach 3", è ormai considerato il pezzo più difficile mai scritto per pianoforte.
Pezzi non meno difficili sono stati scritti da Brahms e da Prokofiev, nonché da Liszt. Ma è indiscutibile che il film “Shine” del 1996 ha contribuito a fare del “Rach 3” la vetta del virtuosismo musicale.
La grandezza di Rachmaninov non consiste ovviamente nelle sue... mani, ma in una musica che è erede della tarda tradizione romantica, alla quale egli unisce alcune novità del XX secolo e l’inconfondibile sensibilità russa.
Come dimostra il bel Preludio 23, n. 5, in Sol minore, suonato magnificamente dal grandissimo Emil Gilels.
Ci sono duetti che fanno scintille per i contrasti che li caratterizzano, come quello che abbiamo visto ieri tra Berlusconi e Fini.
Ce ne sono altri invece che sono autentiche opere d’arte e allietano lo spirito, come “Il duetto dei fiori”, dall’opera Lakmé (1883) del francese Léo Delibes (1836-1891).
Un duetto notissimo, soprattutto per l'uso che ne viene fatto dalla pubblicità commerciale e dalla quale ne esce sempre malconcio.
Noi lo proponiamo integralmente, cantato da due superstars, il soprano Anna Netrebko e il mezzosoprano Elina Garanca.
È un dialogo tra la principessa indiana Lakmé e la sua ancella Mallika, nel I Atto dell'opera, mentre le due giovani donne stanno per entrare nel fiume, cogliendo fiori.
Ci sono parti dialogate, e una lunga parte (ripetuta) in duetto.
Nel duetto le due voci cantano parole leggermente diverse, come si può vedere nel testo di E. Gondinet e P. Gille. L'opera è tratta da un racconto di Pierre Loti.
LAKME
Viens, Mallika, les lianes en fleurs
Jettent déjà leur ombre
Sur le ruisseau sacré qui coule, calme et sombre,
Eveillé par le chant des oiseaux tapageurs!
MALLIKA
Oh! maîtresse,
C'est l'heure ou je te vois sourire,
L'heure bénie où je puis lire dans le coeur toujours fermé de Lakmé!
LAKME
Dôme épais le jasmin,
A la rose s'assemble,
Rive en fleurs, frais matin,
Nous appellent ensemble.
Ah! glissons en suivant
Le courant fuyant:
Dans l'onde frémissante,
D'une main nonchalante,
Gagnons le bord,
Où l'oiseau chante, l'oiseau, l'oiseau chante.
Dôme épais, blanc jasmin,
Nous appellent ensemble!
MALLIKA
Sous le dôme épais, où le blanc jasmin
A la rose s'assemble,
Sur la rive en fleurs, riant au matin,
Viens, descendons ensemble.
Doucement glissons;
De son flot charmant
Suivons le courant fuyant:
Dans l'onde frémissante,
D'une main nonchalante,
Viens, gagnons le bord,
Où la source dort
Et l'oiseau, l'oiseau chante.
Sous le dôme épais,
Sous le blanc jasmin,
Ah! descendons ensemble!
Lo dicevano i contadini e i pastori dopo il rigido inverno, quando i segni della buona stagione erano già evidenti, ma le giornate piene di sole si facevano ancora desiderare.
Lo ripetevano poi in tutte le occasioni, nelle quali lo scoraggiamento stava prendendo il sopravvento.
Un invito alla speranza. Un po’ come la celebre frase di Eduardo “ha da passa' 'a nuttata!”, divenuta anch’essa ormai proverbiale.
E visto che si parla di Napoli, niente di meglio per una buona carica che un caffè napoletano, oppure una musica di Domenico Scarlatti, il genio del clavicembalo.
La Sonata in Si minore, L 449 (K 27), eseguita alla perfezione da Arturo Benedetti-Michelangeli, è proprio quello che ci vuole.
Una giornata, quella di oggi, densa di avvenimenti.
La chiusura degli spazi aerei in Europa, con il caos che ne è seguito per i viaggiatori appiedati. Le solenni esequie di Stato in Polonia per le 96 vittime della sciagura di Smolensk. La visita apostolica di Papa Benedetto XVI a Malta, accolto con grande calore, e la sua ennesima e ferma condanna per la pedofilia nella Chiesa.
Una giornata memorabile, nel male e nel bene.
Tre avvenimenti, a cui se ne possono aggiungere altri, ovviamente, come la liberazione dei nostri tre connazionali di Emergency in Afghanistan, oppure (si parva licet…) la vittoria della Roma nel derby capitolino, con il nuovo sorpasso sull’Inter in vetta alla classifica.
Una giornata intensa, che solo una grande musica ispirata può esprimere adeguatamente.
E allora bisogna riascoltare il Trio in Mi bemolle maggiore, op. 100, di Franz Schubert, del 1827.
Tre soli strumenti: pianoforte, violino e violoncello; ma una musica “totale”.
Proponiamo la suggestiva versione che ne offre il il film Barry Lyndon, di Stanley Kubrick, del 1975.
Il Preludio in Mi minore, op. 28 n. 4, di Fryderyk Chopin ha un significato tutto particolare, che forse molti non conoscono.
Questo breve ma intenso Preludio venne suonato, con l’altro Preludio n. 6 in Si minore, al monumentale organo della Chiesa della Madeleine di Parigi dall’insigne organista Louis Lefébure-Wély proprio durante i funerali di Chopin, il 30 ottobre 1849.
Dopo Lefébure-Wély hanno ottenuto il prestigioso incarico di organisti alla Madeleine, Camille Saint-Saëns e Gabriel Fauré, per citarne solo due.
Mi pare opportuno postare questo commovente e storico Preludio nel giorno delle esequie del Presidente della Polonia Lech Kaczyński, di sua moglie Maria e degli altri dirigenti e vittime della sciagura aerea di Smolensk, del 10 aprile scorso.
Un velo di tristezza, resa ancor più palpabile dalle ceneri che hanno chiuso i cieli d’Europa per l’eruzione del vulcano islandese dal nome impossibile.
Quest'anno 2010 può essere già considerato sufficientemente "tempestoso".
E non mi riferisco solo all'aspetto climatico, con un inverno tra i più rigidi e piovosi degli ultimi cento anni.
Ben più grave il tremento terremoto di Haiti, a cui ne è seguito in questi giorni un altro in Cina.
L'orribile sciagura aerea di Smolensk ha cancellato in un attimo la dirigenza della Polonia.
Ci si mettono ora anche i vulcani a far sentire la loro voce inquietante, e dall'Islanda è partita una nube di cenere che ha coperto i cieli di mezza Europa.
Tempesta anche nella Chiesa, con gli scandali della pedofilia, contro la quale Papa Benedetto XVI sta combattendo con coraggio e fermezza.
Una tempesta costrinse S. Paolo a fermarsi a Malta per tre mesi, dopo il drammatico naufragio della nave che doveva portarlo a Roma, per essere processato da Nerone (Atti degli Apostoli, 27 e 28). Ma in quei tre mesi di sosta forzata convertì l'isola, che ancora oggi è una roccaforte della fede cattolica.
Era l'anno 60 dopo Cristo.
Nel ricordo del naufragio di Paolo, che significò anche la conversione di Malta, Papa Benedetto compie il suo viaggio apostolico di due giorni, oggi e domani.
Voglio accompagnarlo anzitutto con la mia preghiera.
A questa unisco una più laica sonata di Beethoven, ovviamente la "Tempesta", in Re minore, Op. 31, n. 2, III movimento. Una tempesta avvincente, questa volta, piena di fascino.
Tanto più eseguita da quel mitico pianista che è stato Wilhelm Kempff.
Anche dagli sconquassi più rovinosi possono sorgere nuovi germogli di vita e di speranza.
È ciò che accadde a S. Paolo nel naufragio di Malta, 1950 anni fa.
Domani 16 aprile Papa Benedetto XVI compie 83 anni, e tra quattro giorni festeggia il 5° anniversario della sua elezione al soglio pontificio.
Il Santo Padre sta guidando con sapienza e fermezza la Chiesa, in un momento difficile e delicato.
Le forze dell’inferno non prevarranno, come ha promesso Gesù a Pietro nel Vangelo (Mt 16, 18).
La barca di Pietro è inaffondabile, perché costruita dalle mani di un falegname molto esperto, il Figlio di Dio.
Le squallide e ossessive accuse contro il Santo Padre da parte del laicismo nostrano ed estero ritornano al mittente come un boomerang.
Mai come in questo momento la Chiesa si stringe intorno al successore di Pietro per esprimergli il suo affetto e la sua fedeltà, e per fare un serio esame di coscienza.
Anch’io voglio festeggiare Papa Benedetto XVI, fine estimatore di musica, con un grande brano sinfonico, "Die Hebriden" (Le Ebridi), di Felix Mendelssohn-Bartholdy, del 1830.
Mendelssohn voleva in certo modo rappresentare il mare delle Ebridi nel suo incessante movimento. A volte il mare si fa agitato, ma alla fine si placa, in una serena distesa di acque.
È quello che auguriamo a Papa Benedetto, al timone della nave di Pietro: una sicura e serena traversata nel mare di questo mondo inquieto.
Di fronte alla tremenda sciagura aerea di Smolensk nella quale hanno perso la vita molti dirigenti della Polonia, tra i quali lo stesso Presidente della Repubblica Lech Kaczyński, il mondo intero è rimasto sgomento.
C'è stato comunque in Italia chi ha cercato di fare del lugubre umorismo politico perfino su una tragedia così immane.
La "jena ridens" non è il mio genere preferito. Non mi fa ridere. Aumenta solo la tristezza.
Una tristezza che voglio esprimere ancora una volta con le note di Fryderyk Chopin, figlio di quel fiero popolo.
Le note dello Studio 10, n. 3, in Mi maggiore, denominato "Tristesse".
In questa Domenica dopo Pasqua la liturgia presenta il Vangelo con l'episodio dell'apostolo Tommaso: "Se non metto la mia mano nel costato di Gesù, non crederò!"
Venne Gesù a porte chiuse e disse: "Metti qua la tua mano nel mio costato, e non essere più incredulo, ma credente!" E Tommaso disse: "Mio Signore e mio Dio!"
Commentano i Padri della Chiesa: "L'incredulità di Tommaso, che ha obbligato il Signore a manifestarsi in modo così evidente, è stata utile anche per noi, perché ci fa superare la nostra incredulità".
Pochissimi artisti hanno rappresentato questa scena, forse per rispetto a Tommaso, l'apostolo "incredulo". L'iconografia lo rappresenta con la palma dei martiri, oppure con una lancia, lo strumento del suo martirio, avvenuto in India. E la numerosa comunità cristiana in India ha le sue radici proprio nella testimonianza dell'Apostolo Tommaso.
Caravaggio invece ha voluto rappresentare l'Apostolo proprio nella sua incredulità, nel suo toccare con mano la ferita del costato di Cristo.
Il geniale artista non si lascia condizionare dalle immagini oleografiche tradizionali; i suoi quadri non sono "santini", ma impietose rappresentazioni della realtà, sia pure sacra.
Anche i due apostoli che gli sono vicini sono raffigurati in una umanissima tensione, ben espressa dal corrugarsi della fronte. I volti sono quelli di gente comune, senza aureole sul capo.
Ma a ben guardare la loro santità è espressa in modo ancor più efficace.
Anzitutto, il dono della grazia li avvolge come un fascio di luce, proveniente da sinistra, e li fa emergere dalle tenebre in cui è immersa la scena.
E la mano di Cristo, che prende il dito di Tommaso e lo porta con decisione al suo petto squarciato, è la traduzione iconografica delle parole stesse di Gesù: "Metti qua la tua mano nel mio costato!" Caravaggio non le intende come un invito retorico, ma come una presa per mano dell'apostolo, affinché verifichi la realtà del Risorto.
Si noti infine come i quattro personaggi formino con le loro teste ravvicinate una croce perfetta.
Ben poco aveva capito il Marchese Vincenzo Giustiniani, committente del quadro, che rimase scandalizzato dalla pittura, a suo parere senza sacralità. Forse si aspettava Tommaso in ginocchio mentre dice: "Mio Signore e mio Dio!"
Ma Caravaggio ha colto dell'incontro di Tommaso con Cristo il momento decisivo per la sua conversione: mettere la mano nel costato del Risorto.
E lo ha fatto per ciascuno di noi.
Grande Caravaggio!
Foto in alto: "Incredulità di San Tommaso" (1601), Caravaggio, Bildergalerie, Potsdam.
La tragica sciagura area di stamani nei boschi di Smolensk ha decapitato i vertici della nazione polacca.
Tra le 96 vittime, il Presidente Lech Kaczynski, sua moglie Maria, il capo della cancelleria della presidenza, il capo del consiglio di sicurezza nazionale e il governatore della Banca centrale. Inoltre, il viceministro della Difesa Staniskaw Komorowski, il capo di Stato maggiore Franciszek Gagor e altri sette generali.
Il presidente Kaczynski si stava recando in Russia per commemorare il 70° anniversario dell'eccidio di Katyn nel 1940 da parte della polizia segreta dell'Nkvd, quando su ordine di Stalin furono uccisi quasi 22.000 esponenti della élite politica e militare polacca.
Un'incredibile tragica concomitanza. Tra l'altro Katyn è a pochi km di distanza dal luogo del disastro aereo odierno.
Anche noi vogliamo unirci al grande dolore della nazione polacca, e lo facciamo con la voce del suo più grande artista, Fryderyk Chopin.
Tra i capolavori della musica operistica spicca per la sua freschezza e la sua immediata comprensione la “Cavalleria Rusticana” di Pietro Mascagni.
Fin dalla sua “prima”, al Teatro Costanzi di Roma il 17 maggio 1890, ottenne un successo strepitoso.
Abbiamo già postato nei giorni scorsi l’Inno di Pasqua e l’Intermezzo.
Ma fin dall’inizio l’opera di Mascagni, un atto unico tratto dall’omonima novella di Giovanni Verga, affascina l’ascoltatore con un Preludio di rara bellezza, nel quale è contenuta un’autentica perla musicale: la serenata, ma meglio sarebbe dire la “mattinata” (nel libretto è chiamata “Siciliana”, per la lingua usata) di Turiddu a Lola, giovane moglie di Alfio, di cui è innamorato.
Sarà proprio questo amore adulterino che, scoperto, porterà al duello finale “nei fichidindia della Canziria” tra i due rivali; e Alfio laverà nel sangue del suo coltello l’onta del disonore.
Cavalleria Rusticana, appunto.
Considero la “siciliana” di Turiddu la più bella serenata della storia della musica, sia per la svettante linea melodica, che per il suo colorito linguaggio.
Perfetta l'interpretazione del tenore Gianfranco Cecchele, nella registrazione del 1968 con l'Orchestra della Scala diretta da Herbert Von Karajan.
Non si può ricordare la "Cavalleria Rusticana" (1890) senza citare l’Intermezzo, una delle pagine più ispirate del grande livornese Pietro Mascagni (1863-1945), padre del verismo operistico.
Una pagina rasserenatrice, con qualche fremito che anticipa il rapido e tragico finale.
È il leitmotiv dell’opera, che fa capolino fin dall’apertura del sipario, e ora si distende in tutta la sua bellezza.
Una musica degna del periodo di Pasqua, giorno nel quale la vicenda si svolge.
Fa una certa impressione ascoltare la nostra musica eseguita alla perfezione da artisti cinesi, diretti dal grande (non mi riferisco alla statura) Lim Kek-tjiang.
Non ci copiano solo i prodotti. Ora ci clonano anche gli artisti...
La festa di Pasqua è il centro della fede cristiana.
Vogliamo prolungare la gioia che scaturisce da questa solennità con uno degli inni più belli alla Risurrezione di Cristo.
È quello della “Cavalleria Rusticana”, il capolavoro di Pietro Mascagni (1890); un’ opera nella quale forse non ci aspetteremmo di trovare una musica religiosa: “Inneggiamo al Signore Risorto”.
Ma la drammatica vicenda, scritta da Giovanni Verga e portata in libretto da Giovanni Targioni-Tozzetti e Guido Menasci, è immaginata svolgersi proprio “nel giorno di Pasqua”.
Ecco perché Mascagni ha composto questa stupenda aria di soprano.
La fede di Santuzza, che non vuol perdere il suo amato Turiddu, fa unire la voce di lei a quella del popolo in preghiera, rappresentato dal doppio coro, esterno e interno alla chiesa.
E molto bella è anche la voce di Fiorenza Cossotto, in una esecuzione del 1976 a Tokio.
Inneggiamo, il Signor non è morto! Inneggiamo al Signore risorto! Oggi asceso alla gloria del Ciel!
Inneggiamo, il Signor non è morto, Ei fulgente ha dischiuso l'avel! Inneggiamo al Signore risorto! Oggi asceso alla gloria del Ciel!
La frase di Nietzsche-Zarathustra è vera. Ma non nel senso che intendeva lui.
Per Nietzsche la morte di Dio è necessaria, affinché possa vivere il superuomo.
Una morte di Dio definitiva, senza risurrezione.
La morte dell'Uomo-Dio invece è il passaggio obbligato per la gloria della Risurrezione.
Dio risorge perché anche l'uomo possa risorgere con Lui a vita nuova.
Per preparare la gioia del giorno di Pasqua, occorre una musica "eroica", degna dell'evento che ha cambiato la storia umana.
Ascoltiamo la Ciaccona in Re minore di J. S. Bach, BWV 1004, nella bella trascrizione per pianoforte di Ferruccio Busoni.
Al pianoforte la bella e brava Hélène Grimaud.
Per chi vuole seguire anche la seconda parte della composizione:
Venerdì Santo. Il giorno della Passione, Morte e Sepoltura di Nostro Signore Gesù Cristo.
Tra le atroci sofferenze di Cristo al Calvario, ce n'è una alla quale non poniamo forse la dovuta attenzione: Gesù venne spogliato delle sue vesti, venne pubblicamente denudato.
Una umiliazione estrema, il totale annullamento della dignità di una persona.
Ho capito pienamente il significato di questa umiliante sofferenza quando mi sono trovato davanti per la prima volta ad una pittura di El Greco: "Espolio", la spoliazione di Cristo.
Due cose mi hanno colpito di questa opera straordinaria: gli occhi di Gesù, e la sua mano destra. Gli occhi sembrano umidi di pianto, e la bellissima mano aperta cerca di trattenere le vesti che stanno per essere strappate di dosso da una mano nemica simile ad un artiglio.
Un capolavoro del geniale pittore greco Domenico Theotokòpulos, detto El Greco (1541-1614), anticipatore per molti aspetti della pittura moderna.
E un commosso sguardo alla passione di Cristo.
Foto in alto: "Espolio" (1577-79), El Greco, Cattedrale di Toledo.