Sono uno che ricerca la verità e che non si accontenta di wikipedia.
Se dici che la verità non esiste, sbagli, perché ne hai già affermata una.
Se poi dici che la ricerca della verità non ti interessa, allora non te la prendere troppo quando qualcuno ti vuole ingannare.
Mentre in Corea soffiano venti di guerra e c'è chi si prepara a distruggere il mondo con mega-bombe, qualcun altro pensa ad un futuro più armonioso, imbracciando un violino-ino-ino e suonando la "Gavotta" in Sol minore di Giovanni Battista Lulli/J-B. Lully (Firenze 1632-Parigi 1687).
Vogliamo togliere il futuro a questa bambina coreana?
Tra i Responsori della Settimana Santa di Tommaso Ludovico da Victoria (1585) il “Popule meus”, a quattro voci miste, è certamente uno dei più belli.
È Gesù che si lamenta del suo popolo per le offese (gli “improperia”)
ricevute nella sua dolorosa passione e morte.
Il mottetto a prima vista si differenzia dallo stile di
Victoria, in genere ricco di pathos e armonicamente caratterizzato dal
movimento delle parti.
Qui abbiamo praticamente un corale. Le parti si muovono pressoché
in modo uniforme e a prima vista senza particolari spunti emotivi.
In realtà si tratta di un mirabile capolavoro d’arte e di
fede.
Il movimento omofonico dà giustamente il senso di un dramma
collettivo: è un popolo intero che ha peccato, che ha ricambiato con tutto il male possibile il
bene ricevuto dal suo salvatore.
L’intensità del pathos non è appariscente, ma è ben presente
a chi lo sappia scoprire con una lettura attenta della partitura.
Basterà sottolineare le due frasi finali, una greca e la sua
traduzione latina: “Aghios athanatos eleison imas. Sanctus et immortalis,
miserere nobis”.
Nella frase greca la parola “athanatos” (immortale) è
collocata in una scala discendente e giunge alla nota più bassa del mottetto, quasi
a ricordare che l’immortale Dio è sceso nella profondità della morte.
Nella
corrispondente frase latina la parola “immortalis” è posta invece in una scala
ascendente e tocca la nota più alta: l’immortalità di Dio viene proclamata nella sua pienezza.
Rimasi a bocca aperta quando ascoltai da ragazzetto questo
brano nella Cattedrale della mia città. Anche la doppia lingua, greca e latina,
colpì la mia fantasia e si impresse nella mia memoria in modo indelebile.
Poi, da corista, ho avuto infinite occasioni per cantarlo, nella
sezione dei tenori.
Un episodio particolare me lo ha reso ancor più caro. Con
il coro eravamo stati invitati in Grecia per una serie di concerti nel 1978. Fu
un’occasione per visitare quella terra, così cara a chi conosce il mondo
classico. In una delle nostre gite fummo condotti ad Epidauro, dove c’è un
bellissimo antico teatro con un’acustica perfetta. La guida ci fece collocare
nelle gradinate e lui, lontano una cinquantina di metri, nel luogo dove recitavano
gli attori, fece cadere una moneta in una lastra di
pietra lì collocata. Sentimmo distintamente il suono della monetina che cadeva
dalla sua mano…
Mentre eravamo nel mezzo di quell'antico teatro, si alzò da un
lato un coro improvvisato di un gruppo tedesco che cantò “Popule
meus” di Victoria.
Una emozione indescrivibile. In quel luogo, dove erano
risuonate le tragedie di Eschilo, Sofocle, Euripide, ora risuonava questo canto
corale che ricordava una tragedia ancor più sublime.
Non ho trovato nel web una esecuzione che metta nel
giusto rilievo la bellezza del mottetto.
Ho scelto quello che mi sembrava il meno peggio. Ad esempio, è
incomprensibile perché il direttore del coro si fermi ad ogni frase greca e alla sua traduzione latina; la
partitura non ha pause. Direbbe Fosco Corti che c’è il pericolo di fare lo “spezzatino”.
Anche le note espressive sopra ricordate non sono sufficientemente messe
in risalto.
Nonostante tutto, il mottetto è così bello che anche in una
imperfetta esecuzione si può se non altro intuire la sua perfezione.
Popule meus, quid feci tibi? Aut in quo contristavi te? Responde mihi. Aghios o Theos. Sanctus Deus. Aghios ischyros. Sanctus fortis. Aghios athanatos, eleison imas. Sanctus et immortalis, miserere nobis.
Popolo mio, che ti ho fatto? O in che cosa ti ho rattristato? Rispondimi! Santo Dio, Santo forte, Santo immortale, abbi pietà di noi!
La Settimana Santa è la settimana
più importante dell’anno. Non soltanto per la Cristianità, ma per il mondo
intero.
La passione, morte e resurrezione
di Gesù Cristo hanno cambiato la storia dell’umanità.
I “soliti noti” avranno da fare le
“solite” osservazioni critiche ai duemila anni di Cristianesimo.
Cominciò l’impero romano, con tre
secoli di persecuzioni, e a quanto pare non sono finite. Dovunque i cristiani
sono minoranza (ma anche dove sono maggioranza) sono perseguitati.
Solo per ricordare gli ultimi
martiri, domenica scorsa, Domenica delle Palme, in Egitto 47 cristiani sono
stati uccisi in Chiesa, e un centinaio feriti, mentre pregavano, a Tanta e ad
Alessandria da terroristi islamici.
In questi ultimi anni intere e
antichissime comunità cristiane, di età apostolica, sono state spazzate via
dagli islamici.
La persecuzione in Europa è più
subdola; qui si cerca di bandire la fede cristiana dalla sfera pubblica e di
ridurla al silenzio delle catacombe.
Ovviamente questa operazione di “sotterramento”
non potrà vincere, perché Cristo è risorto, e con Lui ogni cristiano.
Il Cristianesimo continuerà ad
essere l’ “anima del mondo”, perché solo Cristo ha parole di salvezza per l’uomo;
per ogni uomo, di qualunque etnia, idea, religione e non-religione.
Non è presunzione. È
semplicemente un Fatto, quello che ha portato alla coscienza dell’uomo (ne sia cosciente
o no) ciò che realmente ha valore nella vita.
Tutto il resto è mondo vecchio,
prima di Cristo, anche se uno pensa di essere nel 2017.
Prima della Risurrezione tuttavia
c’è la durezza della Croce.
“Voglio piangere”, sono le parole
tratte dall’ Oratorio “La Maddalena a' piedi di Cristo”, di Giovanni Bononcini
(1690). È il sentimento di ogni fedele in questi giorni che precedono la
Pasqua.
Bella l’interpretazione del soprano Lavinia
Bertotti, scomparsa prematuramente nel
2016.
Domenica delle Palme. Gesù entra in Gerusalemme, accolto festosamente dal popolo con rami di palma e di olivo.
Anch'io mi unisco al coro degli osanna in suo onore con il "Canto di Osanna" dei Delirium. Il testo e la voce è di Ivano Fossati, la musica di Nico di Palo (dei New Trolls).
Mi sembra ieri, quando questa bellissima canzone risuonava nei locali pubblici e nei nostri giradischi.
Era il 1971. Un'epoca di grandi speranze, di sogni ad occhi aperti, di vivacità esuberante.
Oggi, di quell'epoca, di quei sogni, di quella gioia è rimasto poco, purtroppo.
Ma rimane sempre Lui e la sua città, in cui entra come "Rex pacificus", come Re di pace.
Per i nottambuli come me una musica adatta alle ore
piccole.
Naturalmente la voce dello strumento non può che essere
leggera e dolce.
Niente di meglio della chitarra classica, e di una
composizione alle radici della musica classica.
L’autore è il grande Gerolamo Frescobaldi (1583-1643),
innovatore delle armonie e della tecnica organistica.
Il pezzo musicale è l’aria con variazioni denominata “La
Frescobalda” (1627), nell’adattamento per chitarra di Andrés Segovia (il brano originariamente è scritto per organo).
Qualcosa di diabolico si aggira per il mondo, e oggi ha
mostrato il suo ghigno infernale nella metropolitana di San Pietroburgo.
Una bomba è stata fatta esplodere dentro un vagone colmo di
passeggeri, con conseguente carneficina, che poteva essere ancora più orrenda
se non fosse stato disattivato un secondo ordigno più potente del primo.
Quattordici morti e oltre quaranta feriti è il tragico e
provvisorio bilancio dell’attentato, quasi certamente di matrice islamista.
Non ci sono più parole per esprimere l’esecrazione e lo
sdegno verso i vigliacchi attentatori, che si spera vengano quanto prima identificati
e puniti in modo esemplare.
Nessuna giustificazione può essere addotta per questi
crimini, indegni dell’essere umano; chi cerca motivazioni ne è, consciamente o
meno, connivente.
Sappiamo che esistono degli islamici che esultano di fronte
a questi attentati, e non si rendono conto che si attirano addosso l’odio di un
crescente numero di persone, anche le più ben disposte nei loro confronti.
Per onorare le vittime innocenti di questo ennesimo
attentato propongo di ascoltare la “Danza Infernale”, tratta dal balletto “L’uccello
di fuoco” (1910) di Igor Stravinskij, eseguita dal giovane ma già affermato
pianista russo Daniil Trifonov.
Una risposta della genialità musicale russa contro la
barbarie del terrore.
La musica, come la poesia e ogni altra forma di arte, ha nel
corso della vita di una persona uno sviluppo e una evoluzione continua.
I motivi sono evidenti. Cambia l’età, aumenta la conoscenza,
i gusti si modificano, le cose ci appaiono in modo diverso.
Non sono pirandelliano, anche se Pirandello è uno dei miei autori
preferiti; qualcosa rimane ben fermo nella nostra identità personale e nei
nostri gusti artistici. Ma certamente ci sono dei cambiamenti.
Dapprima Mozart, poi Beethoven, quindi Chopin. I suoi
Notturni accompagnavano le mie nottate di studio…
Avendo anche la possibilità di suonare il pianoforte (in
maniera dilettantesca, intendiamoci!), con maestri di grande valore, e di
cantare in un gran coro, ho potuto conoscere tutti i grandi della musica
classica: Bach, Haendel, Vivaldi, Monteverdi, Victoria, Palestrina, il Gregoriano...
Mi sembrava troppo sdolcinato Schubert, troppo freddo Liszt
con quella sua tecnica debordante, incomprensibile Wagner, e insignificante
Debussy.
Rifiuto assoluto della musica novecentesca, dalla
dodecafonia alla musica sperimentale.
Andando avanti nell’età ho cominciato a tralasciare sempre di
più gli autori della mia giovinezza, e ho cominciato ad avvicinarmi e capire un
po’ meglio il "pathos" dei brani di Schubert, il genio di Liszt, la “musica totale” di Wagner, le “impressioni” di Debussy, le
armonie dodecafoniche di Dallapiccola, Bartòk e Petrassi, il “vitalismo” di
Orff, lo sperimentalismo di Romano Pezzati, e così via.
Un punto di riferimento dell’inizio della musica moderna è
certamente la “Suite Bergamasque” (1905) di Claude Debussy. Notissimo al suo
interno “Clair de lune”.
Questa notte mi piace riascoltare l’ultimo movimento della Suite, forse meno conosciuto, il brillante
“Passepied”, una danza francese del secolo d’oro, quello del Re Sole.
Il mese di aprile “apre” alla primavera, al sole, alla bella
stagione, e al periodo pasquale.
Lo voglio aprire non con un pesce, ma con una mirabile “Aria”
del “Magnificat” di Georg Philipp Telemann (1681-1767), grande musicista
tedesco, oggi un po’ dimenticato, ma molto apprezzato ai suoi tempi, amico di Händel e
di Bach, dei quali era coetaneo (un anno più giovane).
È stato probabilmente il più prolifico compositore della
storia (si dice che abbia composto più
di 5.000 opere!).
Da questa sua facilità nel comporre rimase colpito perfino Händel
(che quanto a “fecondità” non scherzava), il quale ebbe a dire che Telemann era
in grado di scrivere un mottetto a otto voci più velocemente di una normale
lettera.
Ma questa sua dote non era a scapito del valore artistico,
come dimostra anche il brano che propongo, magnifico, come è giusto che sia per il “Magnificat”, il
canto di lode di Maria per le grandi opere del Signore.
Si tratta del Magnificat in Sol maggiore (TWV 9, 18), con adattamento di Kurt Redel, eseguito dalla Munich Pro Arte Orchestra.