domenica 29 giugno 2014

Il Brasile vince doppio
















Il Brasile ieri sera ha festeggiato doppiamente.

In primis perché ha battuto il Cile dopo una gara epica (4-3), vinta ai rigori, e dal portiere Julio Cesar (che ne ha parati due) attribuita addirittura all’intervento divino.

Certo, considerando che all’ultimo minuto dei tempi supplementari, sull’1 a 1, il cileno Pinilla ha colpito in pieno la traversa a portiere battuto, Julio Cesar un cero al Cristo del Corcovado lo accenderà di sicuro. Cinque centimetri sotto, e in Brasile si sarebbe assistito a un suicidio di massa.

Secundo loco, perché è stato sconfitto dalla Colombia l’odiato (calcisticamente) Uruguay; tra l’altro con due reti del bomber James Rodriguez, la prima delle quali è una delle cose più belle viste finora al Mundial 2014.

Cosa significhi l’Uruguay per il Brasile bisogna essere brasileiros per capirlo. Nel lontano 16 luglio 1950 ai campionati del mondo che si svolsero proprio in Brasile, di fronte ai 200.000 spettatori del Maracanà (record di presenze ancora imbattuto) l’Uruguay sconfisse la squadra di casa con reti di Schiaffino e Ghiggia, due grandi nomi che agli italiani dicono ancora molto, perché poi hanno militato nel Bel Paese (nel Milan e nella Roma)  e perfino nella Nazionale Italiana, come “oriundi”. Ghiggia è ancora vivente (87 anni), ma non è stato invitato a presenziare alle celebrazioni inaugurali di questo Mundial. Chissà perché...

Forse si temeva un altro “Maracanaço”, cioè un’altra fatale sconfitta in finale al Maracanà di Rio de Janeiro. Il “Maracanaço” fu un evento tragico: venne proclamato il lutto nazionale, ci furono suicidi collettivi  ed anche una vera e propria crisi economica (molti si erano indebitati con le scommesse).

Se invece della Colombia ieri avesse vinto l’Uruguay, il calendario avrebbe fatto scontrare nella prossima partita dei quarti di finale proprio Brasile-Uruguay. Roba da infarto...

Postremo, anch’io sono contento per la sconfitta dell’Uruguay. È la squadra che ci ha mandati a casa, e dunque mi pare giusto che qualcuno abbia subito "lavato" l’offesa. Specialmente l’ingiusta espulsione di Marchisio, che ha permesso a Cavani e soci di passare il turno. Per non parlare del morso di Suarez a Chiellini.

Non mi piacciono i pitbull. Schiaffino era un’altra cosa.




mercoledì 25 giugno 2014

Una brutta rimpatriata!

 













L’Italia di Prandelli non è riuscita a superare le qualificazioni ai campionati mondiali del Brasile, sconfitta dalla Costa Rica (!) e ieri sera dall’Uruguay.

Non ho voglia di scrivere il post. Su chi? Su Prandelli, su Mister uno-nessuno-centomila? Aveva una squadra vincente, l’ha smontata in tante altre, perdenti.

Sull’arbitro dell’Uruguay? Basta dire il nome e la nazionalità: Moreno, messicano. A volte gli incubi ritornano. Come dimenticare l’altro Moreno, equadoriano, che riuscì nell’ardua impresa di farci fuori nei campionati nippo-coreani del 2002?
Deve essere un difetto di fabbricazione. La ditta arbitrale centroamericana dovrebbe ritirare dal commercio tutti quelli che si chiamano, o di nome o di cognome, Moreno.

Il morso (!) di Suarez a Chiellini ha fatto impressione (guarda il web), ma non è stato sanzionato. Siccome è recidivo, dovrebbe giocare con la museruola. Ma è stato sanzionato con l'espulsione il fallo veniale di gioco di Marchisio. 

Detto questo, rimane da dire solo una cosa.

Uno dei detti più noti nel mondo del calcio era, una volta, “palla a terra e pedalare”. Non so se i nostri superpagati "campioni" (si fa per dire) conoscano il detto. 

Sarà stato il clima, sarà stato il fuso orario, sarà stato che erano fusi dalla presunzione...

Ma di corridori in campo neanche l’ombra.

Solo 11 signori a passeggio in mutande, che prendevano il sole brasiliano.
A nostre spese, ovviamente.

Ma non è meglio, allora, una bella (brutta) rimpatriata?



venerdì 20 giugno 2014

L'Italia a Brandelli...




















Con l’Italia pallonara tutto è possibile: vincere con il Brasile e perdere con la Corea del Nord.

È la nostra caratteristica di fondo: siamo creativi, e perciò imprevedibili.

Stasera abbiamo perso imprevedibilmente con la Costa Rica (0-1). Considerata inizialmente la cenerentola del girone, è arrivata la prima, battendoci come tappeti. Complimenti!

C’è una regola d’oro nel gioco del calcio: “squadra che vince, non cambia”. Non è una legge scritta, qualche eccezione può essere concessa, ma non bisogna esagerare.

Il Signor Cesare Prandelli (il Mister, come si dice in gergo, in questo caso il c.t.) aveva trovato una formazione quasi perfetta contro l’Inghilterra. Non ho capito perché i vincitori della battaglia di Manaus non dovevano essere inizialmente confermati (tranne Paletta). Non erano certo stanchi, dopo 6 giorni di riposo.

Avrei, ad esempio, lasciato in porta Sirigu, in forma smagliante; non mi sarei fatto condizionare dalle smanie di Buffon, acciaccato fino a ieri, e comunque utile se mai alle prime avvisaglie critiche del portierone sardo.

Con Sirigu, il traversone che ha portato Ruiz a colpire di testa e mettere in rete, sarebbe stato intercettato da una sua tempestiva uscita. Mentre invece Buffon, incerto nelle uscite, s’è trovato il pallone dietro le spalle dopo un goffo tentativo di parata.

Non parliamo dell’esclusione di Verratti e dell’inclusione di Thiago Motta. 

Non vorrei che Prandelli si sia montato la testa, con quel nome che si ritrova. Si limiti il c.t. a creare una squadra (che già aveva) e ad apportare solo quei ritocchi necessari nelle singole partite.

Mi dite ora, di grazia, chi metterà contro l’Uruguay? Farà un altro turn over o tornerà sui suoi passi?

È riuscito a sciupare un giocattolo che andava a meraviglia.

Martedì prossimo, con l’Uruguay, basterebbe un pareggio per qualificarsi.

Speriamo che Cavani e Suarez (“il pistolero”) siano d’accordo.

E Mister Tabarez, cioè il c.t. uruguagio, anche.

Dimenticavo la Costa Rica. Una vittoria meritatissima. David che abbatte Golia.

Non è la prima volta...



giovedì 19 giugno 2014

La Spagna torna a casa. Col primo aereo





















La Spagna, campione del mondo in carica, è stata subito eliminata.

Dopo l’inizio disastroso con l’Olanda, è venuto il colpo di grazia del Cile che ha vinto 2-0 e ha rispedito i castigliani in madrepatria.

Ormai le colonie non esistono più, neppure calcisticamente.

Il Cile è una nazione simpatica ed unica dal punto di vista geografico e sociale. Il suo territorio va dal Tropico del Capricorno alla Terra del Fuoco, quasi al Circolo Polare Antartico; dai cactus ai pinguini. 4.300 km di lunghezza, per appena 180 di larghezza: uno stato filiforme, una situazione di emergenza anoressica.

Mi immagino i camionisti e gli autisti in genere che, o per lavoro o per diletto, percorrono quella terra. Dovranno portarsi dietro gli infradito e gli scarponi da sci, la maglietta sportiva e il cappotto. Non mi azzardo a parlare del guardaroba femminile; preparare le valigie deve essere un’impresa eroica.

Impresa meno eroica è stata battere la Spagna di ieri sera: un’ombra di quella squadra che quattro anni fa incantò il mondo della pelota.

Devo dire però il vero motivo per cui mi è dispiaciuta la sconfitta della Spagna, anzi, la vittoria del Cile. Il fatto è che quando in campo calcistico sento parlare di Cile, mi viene in mente, come riflesso pavloviano, quel tal Leonel Sánchez, cileno che nel campionato mondiale in Cile del 1962, nella partita con l’Italia, sferrò un pugno micidiale all’italiano Humberto Maschio, fratturandogli il  naso. Lo stesso Sánchez colpì con un altro pugno al volto il nostro Mario David, riuscendo poi nel capolavoro di farlo anche espellere, lui impunito.

In quella partita, passata alla storia calcistica come “la battaglia di Santiago” (2 giugno 1962), i giocatori cileni picchiarono come fabbri, e gli italiani rimasero in nove, con Maschio completamente intontito dal pugno ricevuto.

Senza citare i nostri radiocronisti (ancora ho in mente quella veemente radiocronaca!), un cronista inglese definì quella partita di calcio “la più stupida, spaventosa, sgradevole e vergognosa, possibilmente, nella storia di questo sport”.

Il Cile di ieri sera è stato tutt’altra cosa, ovviamente: una gran bella squadra; e senza bisogno di usare il pugilato, ha steso gli spagnoli a regolari pedate (sul pallone).

Ma nonostante tutto, e nonostante Vidal (non so se mi spiego...), quando gioca il Cile, io parteggio per la squadra opposta.

Mi scuso con il paese più lungo del mondo.




domenica 15 giugno 2014

Un'Italia con le palle (due naturalmente!)





Un missile terra-terra di Marchisio e un’incornata a schiacciare di SuperMario hanno fatto fuori la squadra dei Three Lions.

In un linguaggio meno metaforico e più prosaico, l’Italia ha battuto l’Inghilterra 2-1.

Ogni volta che l’Italia batte l’Inghilterra (e negli ultimi decenni è accaduto spesso) un po’ mi dispiace. Non perché gli inglesi mi rimangano particolarmente simpatici, ma perché battere l’Inghilterra è come commettere un parricidio.

Gli inglesi sono gli inventori del football. Le regole, i termini usati, i campionati sono iniziati con loro. Perfino le prime squadre italiane portano nomi inglesi: Genoa Football Club, Juventus (nome latino) F.C., etc.

Poi mi viene in mente un giocatore come Bobby Charlton, che io considero il più grande playmaker della storia calcistica, insieme a Luisito Suàrez.

Infine, battere l’Inghilterra è stato fino agli anni 70 del secolo scorso (Torino, 14 giugno 1973) un mito irraggiungibile. In quell’anno per la prima volta gli inglesi vennero battuti in Italia per 2-0, e l’anno successivo in casa loro, il 14 novembre, nel tempio del calcio di Wembley, con rete indimenticabile di Fabio Capello.

Dopo quelle vittorie, i Tre Leoni sono stati addomesticati, e per l’Italia battere l'Inghilterra è diventata quasi la norma.

Come il successo, molto incoraggiante, di stanotte; una partita che in Italia è avvenuta il 15 giugno, ma in realtà il 14,  per la differenza  di fuso orario: mezzanotte in Italia, ore 18 a Manaus, alle soglie della foresta amazzonica, dove si giocava.

Decisamente il 14 giugno non porta bene agli inglesi. Hanno perso anche questa volta.

Mi dispiace per Bobby Charlton, ma l’Inghilterra di oggi non è più quella mitica e (per noi) invincibile dei suoi tempi.


L’Italia è più forte.



venerdì 13 giugno 2014

L'Olandese Volante! (Van Persie)




















Non si tratta del fosco melodramma wagneriano, ma della trionfale vittoria per 5-1 della squadra orange contro quella spagnola ai campionati del Brasile.

Qualcosa che ha del surreale: gli olandesi hanno fatto in 5 pezzi l’invincibile armata,  campione del mondo in carica, nonché campione europeo nelle ultime due edizioni (la “triplete”).

Oltre a ciò, si sono presi una gran bella rivincita sulla finale di quattro anni fa a Johannesburg (ricordate?), in cui proprio la Spagna si laureò “campione del mondo”, vincendo per 1-0 sull’Olanda, “eterna seconda”.

Anche la partita di stasera era iniziata sotto cattiva stella per gli abitanti delle Terre Basse. Possesso di palla degli spagnoli, un po’ di tiki-taka, poi un guizzo in area orange di Diego Costa, steso in tutta la sua lunghezza (m. 1, 88 x 85 kg) da un maldestro difensore arancione e susseguente rigore, trasformato da Xabi Alonso.

Ho pensato che la partita, con un’Olanda in stato comatoso e una rete al passivo, fosse già finita. Ma allo scadere del primo tempo accade l’episodio determinante: compare all’improvviso l’olandese volante, cioè Robin Van Persie.

È noto a tutti gli appassionati di calcio, e ancor più a coloro che l’hanno praticato, che fare una rete con un pallonetto, uccellando il portiere, è quanto di più “libidinoso” si possa immaginare.
In genere il pallonetto si ottiene colpendo da terra il pallone e facendolo passare sopra la testa e le mani del portiere, quanto basta per insaccare.

Ma questa volta non è andata così. Si è visto arrivare dalle retrovie olandesi un lancio aereo di 40 metri, fino al limite dell’area di rigore avversaria, e prima che il pallone toccasse terra Robin Van Persie si è alzato in volo, ha colpito di testa in tuffo e ha confezionato un pallonetto aereo, che ha “uccellato” il portiere spagnolo Casillas, fuori dai pali, e si è depositato bellamente nel sacco.

Una rete di quelle che rimarranno nella storia del calcio e che in questa partita ha risvegliato dal coma la squadra orange e l'ha galvanizzata.

Il secondo tempo infatti è stato a senso unico. Gli olandesi si sono scatenati. Robben, Van Persie e gli altri compagni di squadra hanno cominciato a smantellare la difesa e lo stucchevole tiki-taka delle ex “furie rosse”. Sotto una pioggia battente, nel campo spagnolo ha cominciato a grandinare.

Alla fine Casillas ha raccolto una "manita" di  palle gelate, una di queste per la verità dovuta alla disattenzione del nostro arbitro Rizzoli (che nel complesso non mi è piaciuto).

Speriamo che stanotte-domani l'Italia faccia meglio di Rizzoli con i sudditi inglesi di Sua Maestà la Regina.

Che Dio la salvi, e a noi ci faccia vincere.



L'arbitro Nishimura batte la Croazia 3-1. Il Brasile ringrazia


Questa volta il Brasile non mi è piaciuto. Né come squadra, né come comportamento in campo.

Ho sempre ammirato il Brasile per i suoi “fenomeni”; e ne ha avuti in passato una bella schiera.
Ma al tempo stesso la “Seleçao” mi ha sempre impressionato per il  suo fair play, per il suo gioco pulito, senza le “astuzie” e le “cattiverie” tipiche di quasi tutte le squadre del mondo (tranne forse l’Inghilterra e la Germania).

Pulito non significa non combattivo, ma solo senza i meschini mezzucci per ingannare gli arbitri o per danneggiare gli avversari.

Da poche ore è terminata la partita iniziale di questo Campionato del Mondo, in cui il Brasile ha sconfitto la Croazia per 3 a 1.

Eravamo (è un modo di dire, io ero davanti alla TV) nel nuovo stadio di San Paolo del Brasile, davanti a 120.000 spettatori. La squadra brasiliana ha in progetto di arrivare fino in fondo e di vincere, ovviamente, davanti al pubblico di casa.

Lo Stato ha tutto l’interesse che ciò avvenga, se non altro per placare le critiche delle spese folli  per organizzare l’evento.

Anche la Fifa (la Federazione Internazionale del Calcio) ha tutto l’interesse che ciò avvenga. Ve lo immaginate un campionato del mondo in Brasile, senza il Brasile? E chi va a vedere l’Argentina? o l’odiato Uruguay? Stadi semivuoti, fallimento assicurato.

Tutto questo mi sta perfino bene e posso anche capirlo.

Ciò che  non capisco è come si intenda arrivare a questi traguardi. Con i metodi visti nella partita iniziale? Cioè, da una parte la vittima sacrificale  e dall’altra il Brasile vincitore a prescindere?
Abbiamo visto al 27’ del 1° tempo un fallo da espulsione nettissimo da parte di Neymar, sanzionato solo con un cartellino giallo (l’avversario, dopo aver ricevuto una gomitata, è stato cinturato al collo con violenza e volontariamente!). Qualunque arbitro di calcio europeo, e perfino brasiliano, avrebbe estratto il rosso.

Il Brasile perdeva 1 a 0. Due minuti dopo, Neymar (che non doveva essere più in campo) ha segnato invece il pareggio (una rete bellissima). Nel secondo tempo ancora Neymar ha segnato su rigore, concesso graziosamente dall’arbitro giapponese Nishimura per un fallo inesistente in area croata; un giocatore brasiliano si è gettato a terra appena sfiorato da un avversario. Perfino un arbitro di terza categoria avrebbe dato punizione contro il Brasile e ammonito il brasiliano per simulazione.

Così il Brasile ha vinto. La terza rete è venuta all’ultimo minuto, mentre tutta la Croazia, incazzata come una bestia, dava l’assalto a Fort Apache.

Di quelle tre reti, due sono state segnate da un “espulso”. Con il Brasile fin dal primo tempo ridotto in dieci, la partita avrebbe avuto ben altro epilogo. Molto triste per la Seleçao, per i Brasiliani, per la Presidenta Roussef, e per la Fifa. La prossima volta la Fifa chi manderà ad arbitrare il Brasile, un coreano?

Ma ciò che mi ha lasciato di più l’amaro in bocca è il comportamento della Seleçao: astuzie, meschinità, fallacci  volontari...

Non esiste più il Brasile di Pelé, Ronaldo, Kakà, Ronaldinho...

I miti scompaiono. Rimangono solo le vergogne coperte da foglie di fico.

Che prima o poi cadono a terra.





giovedì 12 giugno 2014

Il calcio d'inizio dei pentastellati (brasiliani)










Il Campionato del Mondo di Calcio mi mette sempre in fibrillazione.

Mi tornano in mente tutti i campionati precedenti, da quando la mia memoria è stata in grado di apprezzare il fatto. Ricorderò solo quelli più lontani.

Il primo è stato quello del 1958, giocato in Svezia, dove un diciassettenne brasiliano di nome Pelé seppellì di reti a Stoccolma (5-2; due reti di Pelé) la favorita Svezia di Liedholm, Hamrim, Gren, Skoglund... In semifinale Pelé e compagni avevano fatto fuori la Francia di Just Fontaine con lo stesso punteggio (tre reti di Pelé).

Dopo aver imparato in nome di Pelé, quattro anni dopo nei campionati del Cile del 1962 imparai un altro nome: Leonel Sànchez, il picchiatore cileno che ne combinò di tutti i colori, rimanendo impunito. Ruppe il naso con un pugno al nostro Humberto Maschio, colpì con un altro pugno il nostro Mario David, e provocò l’espulsione dello stesso David. Considerando che già era stato espulso Ferrini, la “battaglia di Santiago” fu giocata dagli italiani in nove, di cui uno col naso rotto. Solo alla fine fummo battuti (2-0) dopo strenua resistenza. Mi sembra ancora di ascoltare, fremente di sdegno, la radiocronaca di quella battaglia sanguinosa...

I campionati inglesi del 1966 sono da “damnatio memoriae”. Con nomi altisonanti in campo (Albertosi, Facchetti, Bulgarelli, Mazzola, Rivera...), fummo ridicolizzati da Pak Doo Ik, un dentista nordcoreano che ci fece rete e ci buttò fuori dal torneo. Meglio dimenticare... Non si può dimenticare però il clamoroso non-gol assegnato all’Inghilterra nella finale vinta con la Germania.

I campionati messicani del 1970 sono così vivi nella mente che non c’è nessun buon cristiano che non ricordi le epiche battaglie contro la Germania (Ovest) in semifinale e il Brasile di Pelé in finale.

Ho iniziato con il diciassettenne Pelé e concludo  con Pelé al termine della sua carriera luminosa.

Stasera, 12 giugno 2014, a San Paolo del Brasile si aprono e iniziano i campionati del mondo, nella patria di Pelé e dei pentastellati del calcio. 

Non c’è Pelé oggi nella squadra. Ma c’è Neymar...

Di fronte al Brasile ci sarà la Croazia. Sono ossi duri. Attenti a Rakitic e Modric.


Attenti a quei due!



venerdì 6 giugno 2014

Metti il denaro nella borsa! (Il “Mose” di Venezia)















Ciò che è accaduto a Venezia per la costruzione del “MOSE” fa impallidire EXPO 2015 e le altre Tangentopoli italiche.

Coinvolte le massime autorità della città lagunare e della regione. Arrestato il sindaco Orsoni, accusato di concussione, corruzione e riciclaggio, e con lui altre 34 persone. Almeno 100 gli indagati. Impressionante il genere di categorie coinvolte: oltre agli imprenditori, si tratta di politici di ogni colore, di funzionari statali, di magistrati (!), di appartenenti alle forze dell’ordine.
Secondo il Gip Alberto Scaramuzza, questi hanno “asservito totalmente l’ufficio pubblico che avrebbero dovuto tutelare, agli interessi del gruppo economico criminale, lucrando una serie impressionante di benefici personali di svariato genere». 

Non si salva nessuno, nelle 711 pagine dell’ordinanza con cui il Gip ha chiesto i provvedimenti disciplinari. Chiesti pure gli arresti  per l’ex Governatore del Veneto, e ora parlamentare, Galan.

Secondo le Fiamme Gialle si tratterebbe di una truffa da 20 milioni di euro. 
[Aggiornamento del 7/6/14: un miliardo di euro!)

Mi è venuto in mente il dialogo-monologo di Jago dell’Otello shakespeariano, quello in cui il cinico  alfiere consiglia malignamente a Roderigo di riempire il più possibile la borsa di denaro, per i suoi illeciti scopi. 
La frase è come un ritornello ossessivo: “Put the money in thy purse!” Geniale il martellante refrain, quasi un letterario lavaggio del cervello. Con esiti disastrosi.

E poi, guarda caso, siamo nella trama del “Moro di Venezia”. E la scena si svolge proprio a Venezia.

Forse questi tali sono stati a scuola di Jago...

Ma esistono sempre i “Piombi” e il “Ponte dei sospiri”?...  Dalla foto in alto, parrebbe di sì.



“OTHELLO, THE MOOR OF VENISE” (SHAKESPEARE)
ATTO I. Sc. III
JAGO (a Roderigo)

Io mi son dichiarato amico tuo e mi sento legato alla tua causa con vincolo tenace e duraturo;
non ho potuto mai esserti utile come in questo momento.
Senti a me: riempiti la borsa di denaro,
camuffati con una barba finta, e vieni al nostro seguito alla guerra.
Ma, ti dico, riempiti la borsa.
L’amore di Desdemona pel Moro non può durare a lungo...
(pensa a metter denaro nella borsa)
così come l’amore suo per lei. Per lei è stato un inizio violento,
e la rottura seguirà, vedrai, altrettanto violenta.
(Metti, metti denaro nella borsa).
Questi mori sono d’umor volubile
(fa che la borsa sia ben riempita)
e il cibo che gli è ora delizioso come carrube, gli sarà amarissimo
come la coloquintide tra poco. Ella dovrà cambiare, perché è giovane;
e, sazia che sarà del di lui corpo, s’accorgerà della scelta sbagliata
e sentirà il bisogno di cambiare.
Perciò metti denaro nella borsa.
Se poi sei proprio deciso a dannarti, fallo almeno in un modo più elegante
che non quello d’andarti ad affogare. 
[Procurati tutto il  denaro che puoi].
Se la sua santimonia ed un labile voto maritale
tra un barbaro selvaggio giramondo ed una superfina veneziana
non sono ostacoli troppo difficili da superare per la mia scaltrezza,
tu la godrai.
Procurati il denaro.


(Traduzione di Goffredo Raponi)




I have professed me thy 695
friend and I confess me knit to thy deserving with 
cables of perdurable toughness; I could never 
better stead thee than now. Put money in thy 
purse; follow thou the wars; defeat thy favour with 
an usurped beard; I say, put money in thy purse. It 700
cannot be that Desdemona should long continue her 
love to the Moor,— put money in thy purse,—nor he 
his to her: it was a violent commencement, and thou 
shalt see an answerable sequestration:—put but 
money in thy purse. These Moors are changeable in 705
their wills: fill thy purse with money:—the food 
that to him now is as luscious as locusts, shall be 
to him shortly as bitter as coloquintida. She must 
change for youth: when she is sated with his body, 
she will find the error of her choice: she must 710
have change, she must: therefore put money in thy 
purse. If thou wilt needs damn thyself, do it a 
more delicate way than drowning. Make all the money 
thou canst: if sanctimony and a frail vow betwixt 
an erring barbarian and a supersubtle Venetian not 715
too hard for my wits and all the tribe of hell, thou 
shalt enjoy her; therefore make money.



domenica 1 giugno 2014

Ascensione. L'uomo oltre i suoi limiti




La solennità dell’Ascensione di Gesù Cristo al cielo conclude la vita terrena di Gesù che si manifesta Signore del creato.

Il suo corpo glorificato non è più sottoposto alle leggi della natura, ma queste sono a Lui sottoposte, dal momento che egli è il Creatore dell’universo.

Sarebbe inutile discutere su questo mistero grandioso. Se uno crede a Dio e alla testimonianza degli Apostoli, l’Ascensione al cielo di Gesù è la prova della sua signoria sul cosmo e sulla storia.

Noi ci atteniamo ai fatti: gli apostoli hanno visto salire al cielo Gesù, nel quarantesimo giorno dopo la sua risurrezione, come riporta in particolare e con precisione il libro degli Atti degli Apostoli, scritto dall’evangelista Luca (At 1, 11).

“Et ascendit in caelum”. Nel Credo, il simbolo in cui si riconoscono tutti i cristiani, così viene affermato l’avvenimento dell’Ascensione di Gesù.

Innumerevoli sono i musicisti che hanno illustrato questo mistero glorioso, nel canto del “Credo”. Penso soprattutto a Palestrina (Missa Papae Marcelli), Bach (Messa in Si Minore), Mozart (Messa per l'Incoronazione), Beethoven (Missa Solemnis), Rossini (Petite Messe Solennelle). In genere tutti questi sommi artisti aprono con potenza assertoria il simbolo di fede: Credo!

Mi piace oggi proporre invece il Credo di Franz Schubert (1797-1828), dalla Messa in Sol Maggiore (Missa in G-dur), una composizione giovanile (1815) che già rivela il genio di questo autore, a me particolarmente caro.

Il suo Credo inizia, a differenza di molti altri, con dolcezza, quasi con “timore e tremore” (la partitura indica come segno espressivo il pianissimo), per poi diventare un vero inno alla vittoria di Cristo sulla morte e sulle dure leggi della natura, nel “Resurrexit” e nell’ “Ascendit in caelum, sedet ad dexteram Patris. Et iterum venturus est cum gloria...” (l'indicazione espressiva è il fortissimo e la voce raggiunge il suo acme). 
Dopo la significativa pausa di un tempo, rafforzata da corona,  il finale, dalla professione di fede nello Spirito Santo in poi, è una ripresa del tema  iniziale, pieno di dolcezza; un affidamento nelle mani di Dio, che si spegne in una serena sequenza di Amen.

Il canto è in forma polifonica a 4 voci miste (SCTB), quasi un lungo mottetto, con andamento per lo più accordale. La parte strumentale ha la forma del Basso continuo, per assumere vita propria nei momenti di cesura tra le parti.

Una grande lezione di musica classica, inserita nel mondo e nella temperie romantica. 

E una bella dimostrazione di fede di questo straordinario genio viennese, discepolo di Salieri, autore di centinaia di capolavori, morto a 31 anni.

Il brano è eseguito dal Coro e Orchestra Nazionale da Camera di Armenia. Considerando le vicende dell'Armenia, caratterizzate da una fede eroica in Cristo, il Credo assume un valore particolarmente significativo, che va ben oltre la musica.

Buona Festa dell'Ascensione!