venerdì 30 novembre 2012

Andrea, un nome per tutti i gusti (S. Andrea ci perdoni!)


 Mettere in Italia come primo nome Andrea ad una femmina finora era vietato dalla legge.
Andrea in Italia è un nome maschile; per il femminile c’è il corrispondente Andreina, e simili.
Il nome deve seguire il genere della persona: poiché le persone sono maschi o femmine, il nome deve essere maschile o femminile, seguendo l’ordine naturale.
Ciò ovviamente per distinguere immediatamente il sesso di un individuo, senza bisogno di far mostrare gli attributi...
Sorprende non poco la Corte di Cassazione che il 20 novembre scorso ha dato ragione a due genitori di Pistoia, i quali hanno imposto il nome Andrea alla propria figlia.
Curiosa la motivazione. Secondo la Cassazione il nome Andrea è un nome “neutro”, perché molte nazioni lo adottano come nome femminile.
La Cassazione sembra dimenticare che in quelle nazioni dove il nome Andrea è femminile (Germania, Spagna, Svezia, Ungheria, etc.), esiste il corrispettivo maschile Andreas, Andrés, Anders, Andràs, etc.
Non mi risulta che esista una nazione che applichi lo stesso nome Andrea ad un uomo e ad una donna. Per ovvii motivi di ambiguità. Esemplare è il caso della Francia: André per gli uomini, Andrée per le donne.
Non so chi siano i signori della Cassazione. Ma se queste sono le loro sentenze e le relative motivazioni, allora sarà meglio metterla sul burlesco (mica tanto!):
“Piacere, io sono Nicola, questa è mia moglie Andrea.”
“Piacere, io sono Andrea, questa è mia moglie Nicola.”
È questo il modello di presentazione tra persone nel prossimo futuro, secondo la Cassazione?
Faccio presente, ai signori della Corte, che il nome Nicola, come quello di Andrea, è femminile in varie nazioni, ma sempre con un diverso corrispettivo maschile (Nicolas e simili).
S. Andrea ci perdoni se invece di parlare di lui, oggi che è la sua festa, abbiamo parlato del suo bellissimo nome (in Italia, maschile, checché ne dicano i signori cassatori).

mercoledì 28 novembre 2012

Il vascello fantasma, ovvero l'Italia oggi




Il mese di novembre si avvia alla conclusione lasciandosi dietro nubi, acquazzoni, temporali, trombe d’aria, allagamenti, disastri ambientali, morti e dispersi.
Ai danni della natura si aggiungono quelli ad opera dell’uomo, con la sua arrogante pretesa di poter fare ciò che vuole e come vuole, senza il rispetto di alcuna regola, né di etica nè di buon senso.
Le conseguenze sono davanti agli occhi di tutti: cielo grigio su, foglie gialle giù, e ancor più a terra il morale della gente, sballottata tra forte sfiducia e flebile speranza.
Mi pare opportuno postare in questo quadro l’ Ouverture del "Vascello Fantasma" (1843) di Richard Wagner. Del resto sono già iniziati  tra i melomani i festeggiamenti per il 2° centenario della sua nascita, così come per Giuseppe Verdi (ambedue i titani dell'opera sono nati nel 1813).
Il melodramma è denominato più propriamente L’Olandese volante, ma è un titolo che può ingannare. In realtà si tratta di una cupa tragedia. Il capitano della nave olandese ha imprecato contro Dio in una tempesta ed è  costretto a subirne il castigo, dovendo vagare all’infinito per gli oceani, finché in uno dei suoi attracchi settennali ad un porto non troverà una donna che con il suo amore fedele ed eterno lo liberi da questo destino e lo salvi.
L’Olandese troverà questo amore puro e immenso nella giovane Senta che, affascinata dalla vicenda, desidera salvarlo. E lo farà, giurandogli eterno amore e morendo in mare per lui.
Una storia cupa, che ha però nella redenzione il suo finale; una redenzione ottenuta da un amore incondizionato, fino al sacrificio di sé.
Ho scelto di postare solo l’inizio dell’Ouverture; ma vi sono concentrati i due temi (Leitmotive) portanti: il drammatico destino del vascello fantasma dell’Olandese, sballottato dalle onde e preda dei venti, e il dolcissimo tema dell’amore puro e fedele di Senta.

 

domenica 25 novembre 2012

Al Re dell'Universo la lode del creato


 
Oggi è la festa di Cristo Re dell’universo. “Re dei re, Signore dei signori”, per usare l’espressione della Sacra Scrittura.
Non è un po’ pretenziosa la fede cristiana, nell’affermare che Cristo è il Signore dell’universo?
A questa domanda si può rispondere con le parole di S. Agostino:
“Interrogai sul mio Dio la mole dell’universo, e mi rispose: "Non sono io, ma è lui che mi fece". Interrogai la terra, e mi rispose: "Non sono io"; la medesima confessione fecero tutte le cose che si trovano in essa. Interrogai il mare, i suoi abissi e i rettili con anime vive; e mi risposero: "Non siamo noi il tuo Dio; cerca sopra di noi". Interrogai i soffi dell’aria, e tutto il mondo aereo con i suoi abitanti mi rispose: "Erra Anassimene, io non sono Dio". Interrogai il cielo, il sole, la luna, le stelle: "Neppure noi siamo il Dio che cerchi", rispondono. E dissi a tutti gli esseri che circondano le porte del mio corpo: "Parlatemi del mio Dio; se non lo siete voi, ditemi qualcosa di lui": ed essi esclamarono a gran voce: "È lui che ci fece".
“Tardi ti ho amato, bellezza così antica e così nuova, tardi ti ho amato! Sì, perché tu eri dentro di me e io fuori. Lì ti cercavo. Deforme, mi gettavo sulle belle forme delle tue creature. Eri con me, e non ero con te. Mi tenevano lontano da te le tue creature, inesistenti se non esistessero in te. Mi chiamasti, e il tuo grido sfondò la mia sordità; sfolgorasti, e il tuo splendore dissipò la mia cecità; diffondesti la tua fragranza, e respirai e anelo verso di te, gustai e ho fame e sete; mi toccasti, e arsi di desiderio della tua pace.” (Confessioni, X).
La ragione ci porta al di sopra di noi, con le nostre infinite domande, fino al Creatore dell’universo.
Gesù Cristo porta Dio dentro di noi, dissipa ogni dubbio, ogni incertezza e sazia la nostra fame e sete di verità e di amore.
“Signore, ci hai creati per te, e il nostro cuore è inquieto finché non riposa in te!” (Confessioni, I). È ancora S. Agostino che ci aiuta in questo passo decisivo della nostra esistenza.
Per questo oggi eleviamo la nostro lode a Dio per averci chiamato a far parte del suo regno: “regno di giustizia, di amore e di pace”.
La risposta a questa chiamata è lasciata al nostro libero arbitrio. Nostra è la scelta a chi servire, se a Dio Creatore e Signore dell’Universo,  o ad altri dei, “opera delle mani dell’uomo”.
Per questa festa “cosmica”, occorre una musica solenne, grandiosa.
Quandi si parla di grandeur, non si può che pensare alla Francia e al Re Sole in particolare.
Operavano allora a Parigi celebri musicisti, come il fiorentino Gianbattista Lulli (francesizzato in Lully) e Marc-Antoine Charpentier (1643-1704) che ha scritto il più bello e solenne Te Deum della storia della musica.
È una una musica grandiosa e brillante, ma anche profondamente espressiva.
Al gran pubblico è noto il Preludio orchestrale, perché è diventato la sigla dell’Eurovisione.

http://youtu.be/iwU37osOkQA
Vengono ora postati alcuni  versetti  del lungo Inno di ringraziamento.
La parte corale si alterna con l’orchestra, in cui sono presenti anche timpani e trombe.
Un vero inno all’onnipotenza divina.

 
O eterno Padre,
tutta la terra ti adora.
A Te cantano tutti gli angeli
e tutte le potenze dei cieli
e i Cherubini e i Serafini,
con voce incessante:
Santo, Santo, Santo
il Signore Dio degli eserciti.
I cieli e la terra
sono pieni della maestà della tua gloria.
Ti acclama il coro glorioso degli apostoli,
il lodevole numero dei profeti
e la candida schiera dei martiri.

 

giovedì 22 novembre 2012

Dove non arriva la mente, arrivano le note




S. Cecilia, di cui oggi ricorre la festa, è legata indissolubilmente al mondo della musica. È la sua Santa Patrona.

In altro post ho spiegato il perché di questo legame, e non starò qui a ripeterlo.


Mi basta ricordare che nel 1584 a Roma i più grandi musicisti del tempo, e cioè Palestrina, Marenzio, Felice Anerio, Giovanni Maria Nanino, Arcangelo Crivelli, Francesco Soriano, Annibale Zoilo, per citarne alcuni, diedero vita alla “Congregazione de’ Musici” sotto il patrocinio di S. Cecilia e con l’approvazione di Papa Gregorio XIII. Da quell’associazione rinascimentale è derivata l’attuale Accademia Nazionale di Santa Cecilia, una delle massime istituzioni musicali mondiali.

Oltre alla celebre istituzione romana, un’ infinità di altre associazioni filarmoniche portano oggi il glorioso nome di S. Cecilia.

S. Agostino afferma che la musica esprime l’inesprimibile: quando la mente e il cuore non riescono a definire la grandezza di ciò che uno sente, solo il canto può supplire a questa carenza espressiva.

In effetti, la musica è qualcosa di sublime; inebria l'anima e conduce verso l’infinito.

Nella festa di S. Cecilia bisogna postare qualcosa che sia degno della Patrona, e dunque una musica perfetta.

Non c’è che l’imbarazzo della scelta. E non solo tra i grandi classici, ma anche - perché no?- tra le canzoni del nostro tempo, una di quelle che ci hanno fatto sognare ad occhi aperti.

Voglio onorare la Santa con la “Marcia Turca” di W. A. Mozart (1756-1791), e ne spiego il motivo.

Ero un ragazzino quando ascoltai per la prima volta questo brano, eseguito dal mio insegnante di musica, il grande Fosco Corti (1935-1986).

Rimasi sbalordito. Non credevo che potesse esistere una musica così meravigliosa. Mi sembrò il massimo della bellezza e della perfezione.

Dissi dentro di me: “Quando sarò capace di suonare la Marcia Turca, allora anch'io sarò un musicista!"

Poco dopo, ascoltando “Per Elisa” di Beethoven, mi accorsi che dovevo imparare anche quel “foglio d’album” per sentirmi soddisfatto.

Sono riuscito ad imparare, con fatica, ambedue i brani, con grande soddisfazione.

Ma il desiderio di ascoltare e imparare altri capolavori musicali non diminuì.

Anzi, si accrebbe...


La "Marcia alla Turca" è il terzo movimento ("Allegretto") della Sonata per pianoforte n. 11 in La maggiore, K 331. Si tratta di un Rondò, in La minore/La maggiore.

Esegue alla perfezione la grande pianista giapponese Mitsuko Uchida.

mercoledì 21 novembre 2012

Virgo Fidelis




L’Arma dei Carabinieri ha come patrona la Virgo Fidelis, cioè Maria Santissima, Vergine fedele.
Fedele a Dio e all’umanità, sempre disposta al bene, fino ad accettare il sacrificio del Figlio per la salvezza dell’umanità.
Può sembrare strano che un’Arma abbia come patrona la più mite delle creature, la più dolce, la più pacifica, e per di più una donna.
Su questo ultimo aspetto non c’è più alcuna sorpresa; oggi anche le donne possono indossare la divisa da carabiniere...
Che cos’è allora che unisce l’Arma con la disarmata grazia della Madre di Dio?
La fedeltà alla propria missione, senza se e senza ma.
La Vergine Maria ha detto sì al Signore e lo ha mantenuto per tutta la vita, fin sotto la croce del Figlio. Virgo Fidelis, Vergine fedele.
L’Arma dei Carabinieri ha per motto “Nei secoli fedele”, al servizio dello Stato e della legalità. Anche questo è un grande sì, che implica abnegazione e sacrificio, ed è ciò che il popolo ha sempre particolarmente apprezzato nella figura del carabiniere.
Due fedeltà che stanno bene insieme. La fedeltà a Dio e la fedeltà allo Stato. “Date a Cesare quel che è di Cesare e a Dio quel che è di Dio” (Mc 12, 13-17).
Ma c’è un altro motivo, a mio parere, che rende significativo questo legame.
La fedeltà di Maria implica il coraggio di una scelta di campo, la lotta incessante contro il male morale, fino al trionfo del bene e alla conquista della Patria eterna.
La fedeltà di un Carabiniere implica una strenua lotta contro l’illegalità, contro il crimine; in una parola, contro il male, per il bene comune della patria terrena.
Per onorare la Virgo Fidelis ascoltiamo due stupendi, se pur brevi, versetti del “Magnificat” musicato da Antonio Vivaldi (1678-1741).
Sono le parole di Maria stessa: “Fecit potentiam in brachio suo, dispersit superbos mente cordis sui. Deposuit potentes de sede et exaltavit humiles”.
“[Il Signore] ha spiegato la potenza del suo braccio, ha disperso i superbi nei pensieri del loro cuore. Ha rovesciato i potenti dai troni, ha innalzato gli umili” (Lc 1, 51-52).
Vivaldi riesce ad esprimere musicalmente, con la forza e la potenza  di un’armata militare, il “rivoluzionario” progetto di giustizia, che Dio vuole per l’umanità.
 
 

martedì 20 novembre 2012

L'abito (non) fa il monaco




Domani ricorre la festa della patrona dell’Arma dei Carabinieri.
Si può onorare la benemerita Arma ricordando i gesti valorosi ed eroici di singoli militari, come Salvo D’Acquisto e Carlo Alberto Dalla Chiesa, o famose azioni di guerra, come la Carica di Pastrengo (1848) e la battaglia di Gondar (21 novembre 1941).
Ma si può ricorrere anche all’umorismo di un regista come Sergio Corbucci e all’ inimitabile recitazione di Totò in veste di maresciallo dell’Arma.

Nel film “I due marescialli” (1961) Totò  è un ladruncolo  (Antonio Capurro) che per sfuggire alla cattura indossa abusivamente la divisa di maresciallo dei carabinieri. Ma, a differenza del famoso adagio, l’abito alla fine fa il monaco, e di fronte alla ferocia del tenente Kessler e dei nazisti, è pronto a sacrificarsi da vero carabiniere per salvare degli innocenti.

http://youtu.be/t8ksPZutmn8

Molte sono le scene cult del film, ma la più esilarante è quella della “pernacchia”. Kessler nel bel mezzo di un discorso alla piazza si becca una solenne pernacchia. Il malandrino peto vocale è opera del maresciallo Capurro. Nel tentativo di scoprire il colpevole, Kessler è indotto dallo stesso Capurro a riceverne in faccia altre tre, “autorizzate” da lui medesimo, e una quarta ancora da parte del maresciallo.
Grottesca fino al sublime (se così si può dire, parlando di una cosa tanto infima) la dissertazione di Totò sulla pernacchia: “Bisognerebbe stabilire i connotati di questa pernacchia. Ci sono pernacchie acute, roboante (sic!),  lunghe, corte, medie...”

I “connotati” della pernacchia.... Grande Totò!

Subito dopo Charlie Chaplin egli è, a mio avviso, il più grande attore comico della storia del cinema.
Non ha ricevuto Oscar per le sue interpretazioni né per la carriera.

Ma, con buona pace di Hollywood e di tutto lo “star system”, geniali si nasce e Totò lo nacque, modestamente.

Domani onoreremo, con altro post, la patrona dell'Arma, la "Virgo Fidelis".


sabato 17 novembre 2012

La dialettica serva-padrone secondo Pergolesi




Nel ricevere la Laurea Honoris Causa dall’Università IULM di Milano il 12 novembre scorso il M° Riccardo Muti ha ricordato che il nostro patrimonio musicale è stato uno dei principali vanti  dell’Italia nel mondo. Fino alla fine dell’Ottocento, e oltre, la musica (quella operistica in particolare) parlava soprattutto italiano.
Occorre perciò riscoprire e far apprezzare il valore di questo inestimabile tesoro d’arte, esempio di genialità e di bellezza senza pari.
Per questo ho scelto, come esempio, non un’opera nota, ma una composizione “secondaria”, anzi, addirittura un semplice Intermezzo: “La Serva Padrona”, di Giovanni Battista Pergolesi (1710-1736).
Solo due voci, un basso (Uberto) e un soprano (Serpina), e un piccolo organico orchestrale.
I risultati giudicateli voi.
Questo  “Intermezzo buffo”, in due parti, venne presentato nel 1733 a Napoli. Ma non passò inosservato. Poco dopo era in tutti i teatri d’Europa (cioè del mondo): Venezia, Parigi, Vienna, Praga, Bruxelles, Amburgo, Amsterdam, L’Aja, San Pietroburgo...
La freschezza e la graziosa malizia di quest’opera, in cui la giovane e bella serva conquista con il fascino e l’astuzia il suo attempato e ricco padrone convincendolo a sposarla e diventando così essa stessa “padrona”, sembra una storia dei nostri giorni.
Il duetto che presentiamo è in certo senso il clou dell’opera: Serpina mette in atto tutte le sue arti muliebri (e una voce incantevole) e smantella le difese sempre più deboli del debole Uberto.
La serva sta per diventare padrona; non con la dialettica hegeliana, ma con quella (quasi sempre vincente) femminile.
 
Il libretto è di Gennarantonio Federico.
Deliziosa la performance del soprano bulgaro Sonya Yoncheva e del basso (baritono) Furio Zanasi, ambedue eccellenti anche per presenza scenica.
L'orchestra dei "Barocchisti" è diretta alla perfezione da Diego Fasolis.
 
SERPINA
Lo conosco a quegli occhietti
furbi, ladri, malignetti,
che, sebben voi dite no,
pur m'accennano di sì
.
UBERTO
Signorina, v'ingannate.
Troppo in alto voi volate,
gli occhi ed io dicon no,
ed è un sogno questo sì.
SERPINA
Ma perché? Non son io bella, 
grazïosa e spiritosa?
Su, mirate, leggiadria,
ve' che brio, che maestà.
UBERTO
(Ah! costei mi va tentando;
quanto va che me la fa.)
SERPINA
(Ei mi par che va calando.)
Via, signore
.
UBERTO
Eh! vanne via.
SERPINA
Risolvete.
UBERTO
Eh! Matta sei.
SERPINA
Son per voi gli affetti miei
e dovrete sposar me.
UBERTO
(Oh che imbroglio egli è per me!)

 

sabato 10 novembre 2012

A Terry, per il suo compleanno


 
 
 
 
 
 
 
 
Terry, Egeria, Teresa, amica mia,
non pensar che io soffra d’amnesia!
Sono anzianotto è ver, con qualche affanno,
ma so che oggi è il tuo compleanno!
 
10 Novembre del ‘63!
Un fiocco rosa che annunciava te!
Un fiocco, come un fiore colorato
che dal bocciolo spunta vellutato.
 
Una splendida rosa novembrina,
ad allietar l’autunno e la sua brina.
Passano gli anni, ma ancor più quel fiore
spande d’intorno a sé soave odore.
 
Passano gli anni - ancor sei nei quaranta! -
un’età nella qual si ride e canta.
Cantiamo dunque! e auguri, Terry cara,
dolce, bella, preziosa, donna rara!
 
 
Amicusplato
 

giovedì 8 novembre 2012

Pasquino, l'Aretino e le primarie


 
 
 
 
 
 
 
 
"Io lo sapevo che vinceva Obama.
Pasquino, te lo dico per davero!
Ormai lo sa perfino la mi’ mama:
se c’è una corsa, vince sempre un nero."

"O Aretino, che vedi ner domani,
chi vince le primarie de noantri?
je la fa Renzi a fottere Bersani,
o fanno er culo al sindaco quel’antri? "


"Gli fanno 'l culo, caro el mi’ Pasquino,
e vincerà Bersani coi su’ pari.
Ma da noi le primarie, mi’ cittino,
son chiamate le scuole elementari."
 
 
Amicusplato
 
 

domenica 4 novembre 2012

Di qui non si passa!


 
Il Cancelliere Bismarck si vantava di aver fondato l’impero germanico, il I Reich, “con il ferro e con il sangue”, nelle guerre con l’Austria di Francesco Giuseppe prima e con la Francia di Napoleone III poi.
L’umiliante trattato di Versailles del 1871, come ben sappiamo, fu il padre di tutte le guerre che hanno insanguinato l’Europa nel corso del secolo XX.
Inoltre, quei risultati ottenuti con la forza delle armi furono un pessimo esempio per tutti. Si pensò che la guerra fosse lo strumento più efficace per risolvere i problemi tra le nazioni; cominciò così una folle corsa agli armamenti (e agli accaparramenti coloniali) che non poteva non sfociare in una guerra generale.
Anche il Regno d’Italia ne fu ammaliato. Lo scontro con l’impero austro-ungarico prese la drammatica piega di una resa finale dei conti per i territori “irredenti”.
La Grande Guerra fu questo drammatico epilogo. Nel Nord-Est d’Italia si fronteggiarono per oltre tre anni, dal 24 maggio 1915 al 4 novembre 1918, l’esercito italiano e quello austriaco, in una tremenda battaglia all’ultimo uomo, che vide alla fine una clamorosa vittoria del soldato italiano.
“Di qui non si passa!” Era il motto degli Alpini e dell'ultima linea del Piave.
A distanza di quasi un secolo ormai, l’eco della Grande Guerra si è quasi spenta, insieme alla morte degli ultimi valorosi militari, i “Cavalieri di Vittorio Veneto”, sopravvissuti a quella immane tragedia.
Rimangono a perenne memoria i grandi Sacrari e la documentazione storica.
Ma soprattutto rimane la nostra Italia nei suoi “sacri confini”, conquistati metro per metro da eroici soldati che hanno versato il loro sangue per una patria che non può e non deve dimenticarli.




Dal film "Don Camillo e l'onorevole Peppone" (1955) la celebre scena del comizio, con "La canzone del Piave". Un geniale tributo di Guareschi agli eroici cambattenti della Grande Guerra.

venerdì 2 novembre 2012

Nel giorno dei Defunti, la speranza


 
La morte si può guardare in diversi modi.
C’è chi la considera la fine di tutto, e chi l’inizio della vita eterna.
C’è chi la vorrebbe esorcizzare con gli orripilanti raduni di Halloween, e chi trova conforto  nella preghiera e nei riti sacri.
C’è infine chi non ne vuol nemmeno sentir parlare e la “rimuove” dal suo orizzonte esistenziale.
Ma la morte, insieme alle tasse, è l’unica realtà della vita di cui siamo certi, per dirla con Mark Twain. 
Dunque, bisogna prenderne atto seriamente, almeno una volta all’anno, prima che sia lei a prendere seriamente in considerazione noi.
Non mi piace chi scherza con la morte. È la cosa più stupida che si possa fare. La morte è qualcosa di irrimediabile e di definitivo. Meglio cercare di capire che cosa ci sta preparando, piuttosto che riderle in faccia. Sarebbe come se un condannato a morte, sul palco dell’ esecuzione, si mettesse a  prendere in giro il boia che sta  insaponando la corda.
Non mi piace nemmeno chi non ne vuol nemmeno sentir parlare, con la frasettina di Epicuro: “Quando c’è lei non ci siamo noi, quando ci siamo noi non c’è lei”. Il buon Epicuro dimentica che la morte la incontreremo comunque, faccia a faccia,  e sarà un incontro “mortale”.
Quindi, non basta cancellare quella parola dal nostro vocabolario, perché scompaia anche la sua ineluttabile realtà.
In questo giorno dedicato alla memoria dei nostri cari defunti, io guardo alla morte come l’hanno guardata mio padre e mia madre: con gli occhi di fede in Cristo Risorto.
La morte non è la fine di tutto, ma l’incontro con il Signore Gesù, che ha dato la sua vita per salvarmi.
Per salvarmi anche dalla paura della morte, e dalla stupidità della sua banalizzazione.
 
Dalla "Messa da Requiem" a tre voci virili e accompagnamento d'organo,  di Mons. Lorenzo Perosi (1872-1956), il bellissimo responsorio finale: "Libera me Domine".
L'esecuzione lascia un po' a desiderare. Ma nel web non ci sono altri riscontri migliori di questo capolavoro del geniale compositore, "direttore perpetuo" della Cappella Sistina.




Libera me, Domine, de morte æterna,
in die illa tremenda,
quando cæli movendi sunt et terra,
dum veneris iudicare sæculum per ignem.

Tremens factus sum ego, et timeo,
dum discussio venerit, atque ventura ira.
Quando cæli movendi sunt et terra.
Dies illa, dies iræ, calamitatis et miseriæ,
dies magna et amara valde.
Dum veneris iudicare sæculum per ignem.
Requiem æternam dona eis, Domine:
et lux perpetua luceat eis.


Libera me, Domine...

Kyrie, eléison.
Christe, eléison.
Kyrie, eléison.
 
Liberami, Signore, dalla morte eterna
in quel giorno tremendo,
quando i cieli e la terra saranno sconvolti,
quando verrai a giudicare il mondo con il fuoco.
Tremo e ho timore,
quando verrà il giudizio e la tua ira.
Quando i cieli e la terra saranno sconvolti.
Quello sarà un giorno d'ira, di dolore, di miseria,
un giorno di grande amarezza,
quando verrai a giudicare il mondo con il fuoco.
L'eterno riposo dona loro, o Signore,
e splenda ad essi la luce perpetua.
Signore, pietà!
Cristo, pietà!
Signore, pietà!