Sono uno che ricerca la verità e che non si accontenta di wikipedia.
Se dici che la verità non esiste, sbagli, perché ne hai già affermata una.
Se poi dici che la ricerca della verità non ti interessa, allora non te la prendere troppo quando qualcuno ti vuole ingannare.
Mentre sto
scrivendo, dalla finestra aperta entra nel mio studio con un alito di
brezza il fascino di una notte quasi estiva, con i suoi profumi, la sua
luminosa oscurità, i suoi sogni misteriosi.
E i rumori
ormai attutiti di un quartiere di periferia.
Solo un
Notturno di Chopin potrebbe descrivere questi 21 gradi di dolcezza alle ore
23, 46 del 28 aprile 2012. E non un notturno qualsiasi, ma il primo o il
secondo, suonato rigorosamente da Rubinstein. Una cascata di note cristalline,
come perle che si sfilano da una collana.
In una notte
come questa, se si parla di pianoforte, viene in mente anche “Nu pianefforte ‘e notte”
di Salvatore Di Giacomo, del 1892.
Musica e poesia sono solo modi diversi di
esprimere i sentimenti e le passioni, e tutto ciò che la ragione con la sua
logica non sempre riesce a definire.
Impossibile
sottrarsi alla bellezza espressiva ed evocativa di questo stupendo notturno poetico.
Lo presento
arricchito dalle note del canto di Fausto Cigliano, in un arrangiamento
musicale del M° Rino Alfieri, bravo anche come pianista (dal CD "L'Oro di Napoli 2", del 2010).
Quando si
parla di bolle speculative si pensa subito alla borsa e alla finanza.
Ormai queste
bolle sono tristemente di moda. Fanno la
loro misteriosa comparsa, poi scoppiano in maniera altrettanto misteriosa e scompaiono nel nulla, lasciando un bel nulla in mano agli incauti investitori.
Sembrano le bolle
di sapone dei ragazzi.Belle e
simpatiche a vedersi, si librano nell’aria con i colori dell’iride, attirano l’attenzione
e senza fare il botto svaniscono nella loro inconsistenza.
Purtroppo l’andamento
della borsa e del mercato finanziario sembra condizionare anche l’andamento
atmosferico.
Il tempo
soffre di bolle speculative. Non procede più con andamento lineare, ma con
improvvise bolle d’aria: fredde se vengono dalla Siberia, calde se vengono dall’Africa.
Qualche
giorno fa, come si può vedere dal mio ultimo post, eravamo dentro una bolla di
aria fredda e umida: il termometro del quartiere segnava a mezzogiorno 11
gradi. Un ritorno all’inverno, con tanto di nevicate.
Ieri il
medesimo termometro segnava 30 gradi. Un’estate vera e propria, che ha
obbligato gli “investitori” a vendere i vestiti e a viaggiare in brache di
tela...
Anche il
tempo ormai è preda degli speculatori che, dopo aver sovvertito ogni movimento
economico terrestre, stanno facendo di tutto per spostare da un continente all’altro
enormi masse di valuta atmosferica con azzardati movimenti di cui noi,
comuni mortali, facciamo le spese.
Riuscirà il
governo Monti a evitare insolazioni o polmoniti, e altri malanni derivanti da
questi improvvisi cambi d’umore della borsa e del tempo?
Oppure, con
la Merkel, si diverte a soffiare sulla
schiuma di sapone per fare le mille bolle blu?
Ma in
questo Mina era più brava (Festival di Sanremo, 1961).
Le
previsioni dicono però che da oggi stesso ci sarà bel tempo, addirittura quasi
estivo. Staremo a vedere...
Intanto ascoltiamo
anche un supplemento di pioggia musicale.
Si tratta di
una bella aria per contralto castrato dall’opera “Tieteberga” (nonché da“Il Giustino”) di Antonio Vivaldi: “Sento in seno
ch’in pioggia di lacrime”, RV 737, Atto II.
Lacrime di
pioggia e lacrime d'amore è un luogo letterario di antica data, come si vede.
Rain and tears...
La presento
in una trascrizione per doppio pianoforte. Il pizzicato dell’orchestra d’archi è reso nel
piano con un sapiente uso del sordino e di
un tocco battente.
L’aria dell’evirato
cantore è sostituta dal suono libero dal
pedale smorzatore, eseguita da Greg Anderson; ottimo l'accompagnamento di Elisabeth
Joy Roe.
Un’originale
trascrizione e una bella esecuzione di questo emergente duo pianistico
statunitense.
Buona Festa
di S. Marco e della Liberazione, col sole!
Ieri mattina,
armato di ombrello, ho fatto una bella camminata in collina. Pioveva e
spioveva, aprivo e chiudevo, e negli squarcidi sole la natura faceva sfoggio della sua giovanile bellezza.
La prima
cosa che in questo periodo colpisce chi sale un po’ in alto (a piedi, ovviamente)
non è il panorama, ma il profumo della primavera. Ti avvolge da ogni lato, ti
libera le vie respiratorie e ti inebria di
dolcezza.
Un profumo
che supera ogni tentativo di imitazione umana, e perfino quello sublime del caffé che
viene su dalla moka.
Si tratta di
una fragranza in cui sei totalmente immerso e in cui ti muovi libero e beato.
Nel
camminare in questo “spirabil aere” ho visto finalmente lo scorrere dell’acqua
nei fossi, ritornati gorgoglianti e rumorosi.
Improvviso e
solitario si è alzato da qualche parte
della collina boscosa il canto del cuculo.
È la prima
volta quest’anno. Un canto che apre ufficialmente la stagione primaverile.
Come sempre, mi sono incantato
ad ascoltare. Era un cuculo mezzosoprano, faceva la terza minore Re4-Si3.
Una terza perfetta,
intonata come quella di una cantante della Scala o del Maggio Fiorentino.
Se vogliamo
essere pignoli, il cuculo sapeva solo quella.
Ma non vi
pare abbastanza per un pennuto autodidatta, che non ha studiato solfeggio e che
si esibisce in uno sperduto angolo di mondo senza chiedere nemmeno il rimborso
spese?
Ascoltato il
concerto del cucco sono tornato a casa, pensando a quanti altri concerti ha ispirato.
Ad esempio, quello di Giorgio Federico Händel : "The Cuckoo and the Nightingale" (Il cuculo e l'usignolo), in Fa maggiore, HWV 295.
Quando si parla di bodyguard, viene subito in mente Kevin Costner, protagonista del film omonimo con la bella (e sfortunata) Whitney Houston.
Ma quando si parla di realtà, il volto più famoso è quello di Domenico Giani, guardia del corpo di Benedetto XVI, e di Giovanni Paolo II negli ultimi anni di vita.
Mi fa piacere ricordare che il dott. Giani è aretino. Un aretino accanto al Papa, per difenderlo da eventuali aggressori (è già accaduto un paio di volte), riempie di orgoglio la sua città, battagliera e generosa.
Quando Benedetto XVI, il prossimo 13 maggio, sarà ad Arezzo e percorrerà Corso Italia e Piazza Grande, avrà un valore aggiunto accanto a sé. Non parlo dello Spirito Santo: quello ce l’ha sempre.
Parlo dell’aretino dott. Domenico Giani, classe 1962, Ispettore Generale del Corpo della Gendarmeria dello Stato della Città del Vaticano; il bodyguard del Papa.
E sarà una bella rimpatriata.
Nel video: "Terra d'Arezzo, un cantico", Inno della "Giostra del Saracino", musica di Giuseppe Pietri (1886-1946), parole di Alberto Severi (1883 - 1958).
Una delle espressioni più semplici e care al popolo è “Viva il Papa!”
È il momento di usarla, in questo 85° compleanno di Benedetto XVI.
Un compleanno molto significativo.
Se non altro per la cifra in sé stessa. Non sono molti i papi che hanno raggiunto questa bella età. In tutto, solo 11. Ricordiamo che il Beato Giovanni Paolo II si è fermato a 84 anni.
Ma soprattutto per la persona festeggiata.
Benedetto XVI ha dovuto “studiare” da papa. Non aveva certo le doti naturali di trascinatore di folle come Giovanni Paolo II. Era un grande teologo, un insigne professore, un attento custode dell’ortodossia cattolica; ma era anche piuttosto timido, talvolta perfino impacciato in mezzo alla gente.
Tutto, meno che un trascinatore.
Eppure lo è diventato. Non ha voluto fare la concorrenza al suo inimitabile predecessore. Ha voluto essere sé stesso, con il suo approccio da teologo, con la sua naturale timidezza, perfino con le sue “gaffes”.
Ma ha saputo trascinare le moltitudini, ha saputo coinvolgere il mondo intero, non meno di Giovanni Paolo II.
Il suo segreto sta nella forza della ragione. In un mondo che sa solo urlare le proprie opinioni per sovrastare quelle degli altri, egli ha saputo parlare con toni pacati, argomentanto con sapienza, quella sapienza a cui “non è possibile resistere” (At 6, 10).
L’uomo è fatto per la verità, e quando qualcuno la indica con chiarezza, rimane conquistato.
È accaduto perciò il miracolo di un uomo che ha saputo conquistare il mondo, compreso quello giovanile, senza tanti fronzoli e gesti eclatanti, ma con la semplicità e il coraggio del vero.
E la timidezza è diventata sempre più una dote: l’affabilità.
C’è un terzo motivo per cui voglio festeggiare questo compleanno. Il prossimo 13 maggio Benedetto XVI farà visita alla mia città, Arezzo.
La città di Domenico Giani, Ispettore Generale del Corpo della Gendarmeria del Vaticano. In altre parole, il bodyguard del Papa, come si vede anche nella foto in alto.
In questa domenica dopo Pasqua si legge nel Vangelo l’episodio
dell’apostolo Tommaso che non voleva credere alla risurrezione di Gesù.
“Se non vedo, non credo...”
Chi accusa i cristiani di essere creduloni, di confondere la
realtà con la fantasia, trovano nell’apostolo S. Tommaso un ostacolo
insuperabile.
Tommaso era uno scettico. Non aveva visto, né toccato Gesù
Risorto, quindi non voleva credere. Non gli bastava la testimonianza degli
altri compagni, neanche quella di Simon Pietro. Su di un fatto così superiore a
ogni legge della natura non faceva sconti a nessuno, neppure al capo.
Entrò Gesù a porte chiuse e disse: “Metti qua il tuo dito nel
foro dei chiodi e non essere incredulo, ma credente.”
E Tommaso, lo scettico, dovette arrendersi di fronte a ciò
che stava vedendo e toccando con mano: Gesù era davanti a lui, risorto e
glorioso. “Signore mio e Dio mio!” (Gv 20, 19-31).
Tommaso si è lasciato alle spalle lo scetticismo, minando
alla base quello dei suoi futuri emuli.
Chi non vuol credere a Cristo Risorto, deve chiudere gli
occhi davanti a quel dito indagatore.
Nella foto: "Gesù Risorto e l'apostolo Tommaso", Codex Arcus Epternacensis, sec. XI, Germanisches Nationalmuseum, Norimberga
La Pasqua è il centro e il fondamento della fede cristiana.
Se Cristo non fosse risorto, vana sarebbe la nostra fede. Ma
Cristo è risorto, primizia di coloro che sono morti (1 Cor 15, 14-20).
La Pasqua dà significato a tutta la nostra esistenza, anche ai
momenti più bui. Solo nel Risorto la vita umana trova il suo significato pieno
e la sua inesauribile speranza.
Anche nel giorno in cui decine di cristiani in Nigeria a Kaduna (si parla
di una quarantina di persone!) sono state massacrate da un’autobomba islamista accanto ad una Chiesa.
Una Pasqua insanguinata, di fronte alla quale rimaniamo esterrefatti.
Di fronte al male assoluto non c’è che da aggrapparsi al
Cristo, vincitore della morte e della barbarie più atroce. Al tempo stesso invochiamo
giustizia da parte delle autorità nazionali e internazionali.
Che si ponga fine a questa infinita persecuzione contro i
cristiani, in ogni parte ormai della terra!
Il cristiano è colui che non piega
la schiena al "politicamente corretto" e ai potenti di turno, ma proclama ovunque
il diritto e la giustizia. Per questo, come Cristo, viene perseguitato.
Ma alla
fine, vince.
Per questo vogliamo ribadire la nostra fede, opponendo alla
barbarie disumana del fanatismo islamista la grandezza della fede cristiana,
espressa nel Credo.
Ascoltiamo perciò il Credo (RV 592) di Antonio Vivaldi,
nella sua completezza. Una decina di minuti di musica sublime.
Invito ad ascoltarlo tutto. Nella festosità del suo inizio,
nella drammaticità del “Crucifixus”, nell’esultanza del “Resurrexit” e della
parte finale.
Buona Settimana di Pasqua, e un grande abbraccio ai cristiani della Nigeria: "Nigra sum, sed formosa!"
Nel giorno della passione e morte di Nostro Signore Gesù
Cristo il silenzio è forse la preghiera più adeguata.
Ma anche una bella composizione musicale può aiutare a
contemplare questo grande avvenimento che ha redento il mondo e ha dato senso alle nostre sofferenze.
Sono praticamente infiniti i brani musicali che si
potrebbero ricordare. I canti in gregoriano, i “Responsori” di T. L. da Victoria, le “Passioni” di J. S. Bach, per fare qualche esempio, offrono mirabili motivi, alcuni dei
quali ho già postato.
La polifonia mi sembra la musica che più si avvicina al
silenzio della contemplazione. In particolare la polifonia a cappella: solo la voce umana,
senza strumenti.
Per questo mi viene in mente il “Crucifixus” di
Antonio Lotti(1667-1740), un'appassionata composizione musicale a 8 voci (bassi I-II, tenori I-II,
contralti I-II, soprani I-II), che ogni coro polifonico di valore ha nel suo
repertorio.
La partitura, presente nel video, ci aiuta a capire la
struttura del brano e a gustarne la sublime bellezza.
Il canto, in tonalità di Do minore, inizia dalla sezione dei
bassi secondi e continua con l’entrata in successione delle altre sezioni fino ai
soprani primi, in una scala ascendente e con dissonanze che fanno pensare al doloroso
supplizio e all'innalzamento della croce (“Crucifixus”) fino alla sua completa installazione,
in cima al monte Calvario, espressa con un grande accordo di Sol maggiore che conclude la prima parte.
Poi le sezioni procedono a gruppi con ritmo più
serrato (“crucifixus etiam pro nobis”), per ripartire in sordina col nome di
Pilato (“sub Pontio Pilato”) su cui poi il canto insiste con mesta meraviglia,
e diventa incontenibile pathos sulle parole “passus et sepultus est” (patì e
fu sepolto). I soprani arrivano al Sol sopra il rigo e iniziano una lenta scala
discendente che si conclude con il grande accordo di Do maggiore finale, che è
come la pietra tombale posta da Giovanni di Arimatea sul sepolcro di Gesù.
Ma l’accordo in tonalità maggiore dà anche il senso della
speranza. Quella pietra tombale sarà tra poco rovesciata dal Cristo Risorto.
Noi, come Antonio Lotti, sappiamo che a quel "Crucifixus" segue il Resurrexit!
C’è quello personale, “privato” (ma non esiste una preghiera solo privata; anche da soli diciamo Padre “nostro”, non Padre mio. Il cristiano è sempre in comunione con tutti, anche nel segreto della sua stanza).
Le due forme di preghiera sono complementari; simul stant aut simul cadunt, stanno insieme o cadono insieme. La vita è fatta di momenti comuni e di momenti di intimità. E la preghiera rispecchia nel profondo ciò che è la nostra struttura esistenziale.
La pretesa di limitare l’espressione della fede cristiana alla sola sfera privata è, oltre che sbagliata, assurda. Sarebbe come obbligare una persona a mettersi un “burqa laico” quando esce di casa.
Infinite poi sono le espressioni di preghiera personale. C’è chi si affida a preghiere “tradizionali” o a forme devozionali, oppure a libere espressioni verbali, a letture sacre, a momenti di silenzio o di contemplazione.
Tra queste forme espressive, “la preghiera del cuore” è un modo molto efficace per fare spazio in noi alla presenza di Dio, e per allontanare angoscia e tristezza dal nostro cuore.
Consiste nella ripetizione di brevi frasi, o nella invocazione del nome di Gesù: “Signore Gesù!”
Il nome di Gesù non è solo un fiato di voce, né un mantra da ripetere ossessivamente per autoconvincersi di qualcosa.
Il nome è invece la rivelazione della natura divina del Cristo: Gesù significa “Dio salva” (Mt. 1, 21), e questo significato svela e porta con sé la divina potenza, che è salvezza.
Per lo stesso motivo, quando nel Vangelo Gesù scaccia i demoni e gli spiriti del male dalle persone che ne sono prigioniere, li scaccia chiamandoli per nome, cioè rivelando la loro natura malvagia, smantellando così il loro dominio sull’uomo.
Freud ha cercato di riprodurre con la psicoanalisi questa verità evangelica (lo dice Freud stesso), ma con modalità puramente umane: liberare la psiche da ciò che la tormenta facendo emergere con le parole il “male”sepolto nell’inconscio.
Il limite della psicoanalisi è la parola umana; in quanto analoga a quella divina può operare anch’essa positivamente, se ben usata. In quanto semplicemente umana, non può avere la potenza creatrice e liberatrice del Verbo di Dio.
Confidare unicamente nella parola dell’uomo, significa rimanere prigionieri della nostra umana finitezza.
I canti di Taizé riprendono l’antico stile monastico della “preghiera del cuore”: brevi invocazioni a Dio, ripetute più volte fino a diventare una cosa sola con il respiro.
Taizé del resto è stato fondato da un monaco, Frère Roger Schutz, con un’apertura ecumenica che lo ha portato a valorizzare ogni espressione religiosa.
Propongo un canto di Taizé come esempio di preghiera del cuore: “Cristo Jesùs” (“Jésus le Christ”; in italiano “Cristo Gesù, o luce interiore”, Canti di Taizé, Elledici, 2005). Musica di Jacques Berthier, ovviamente.
Facciamo spazio in noi a Cristo Gesù, in questi giorni di Passione, per trovare la gioia della Risurrezione!