mercoledì 30 novembre 2011

La Croce di S. Andrea


















“Se avessi timore della croce non predicherei la gloria della croce!”

Così rispose l’apostolo Andrea al proconsole Egeas che lo minacciava di morte, se non avesse cessato di insegnare il messaggio evangelico.

Andrea fu appeso al legno della croce nella città achea di Patrasso, il 30 novembre dell'anno 60 (circa), così come accadrà qualche anno dopo a Pietro, suo fratello, nel colle Vaticano. 

Fratelli di sangue e di martirio. Ma con alcune differenze.

Pietro fu crocifisso a Roma, perciò con una croce latina; e a testa in giù, per sua espressa volontà, come ricorda lo storico Eusebio di Cesarea. Non si sentiva degno di subire il medesimo martirio del Signore.

Di questa crocifissione tutti abbiamo presente il celebre quadro di Caravaggio.

Andrea invece fu appeso ad una croce decussata, cioè a X, con i bracci in diagonale. 

Decusse è una parola di origine latina che indicava la moneta bronzea del valore di “dieci assi”, segnata perciò con la lettera X che, come noto, significa dieci.

Ma dopo il martirio di S. Andrea la croce decussata è diventata più comunemente la Croce di S. Andrea.

Non ci sono capolavori artistici particolari che ricordino questo martirio, e il quadro di Caravaggio che lo raffigura non può competere con quello della crocifissione di Pietro.

In compenso la Croce di S. Andrea ce la troviamo davanti ogni volta che siamo costretti ad attraversare a raso una ferrovia. S. Andrea ci avverte che, se non vogliamo fare la sua fine, è meglio dare la precedenza al treno...

La sua croce è disegnata nelle bandiere di molti Stati, a cominciare da quello britannico, che ne ha addirittura due sovrapposte, quella della Scozia e quella dell’Irlanda (del Nord), una bianca e una rossa. Su tutte domina la rossa Croce di S. Giorgio.

In greco per dire uomo si usano due parole: ànthropos e anèr-andròs. Il primo indica l’uomo in genere, il secondo l’uomo con gli attributi. Un po’ come in latino: homo è l’uomo qualunque, vir è l’uomo “virile”, appunto.

Andrea deriva da anèr-andròs, l’uomo virile.

Penso che nessuno abbia portato con tanto onore questo nome impegnativo, come S. Andrea apostolo.

Auguri a tutti gli Andrea (anche al femminile)!




giovedì 24 novembre 2011

Da Freddie Mercury a Lady Gaga


Oggi è il 20° anniversario della morte di Freddie Mercury, lo straordinario frontman dei Queen.

Potrei ripercorrere la mia vita scolastica di insegnante con l’ascolto della colonna sonora dei miei alunni.

I primi anni del mio insegnamento, inizi anni 70, hanno avuto come sottofondo musicale le dolcissime note di Lucio Battisti, che riuscivano a rendere meno faticoso lo studio di Aristotele, Tommaso, Kant e Marx.

Incredibile, ma la musica si ascoltava allora con le radioline e i mangianastri. Nei diari delle alunne le immagini del bel ricciolo di Poggio Bustone si sprecavano.

La febbre del sabato sera colpì come una pandemia nel 1978. Tutti (tutte) impazziti per John Travolta e la disco music. Il lunedì mattina la scuola era “in sonno”. Non è mai stata mia abitudine interrogare di lunedì. Ma da allora divenne del tutto impossibile. Chiamare qualcuno alla cattedra equivaleva a destare un sonnambulo. Rischio infarto.

Negli anni 80 cominciai a vedere, nelle ultime file delle classi, alunni/e con l’auricolare. Non avevano problemi di udito; eravamo entrati nell’era del walkman. Naturalmente l’ascolto dei nastri confliggeva fortemente con la lezione di Amicusplato, per cui talvolta dovevo alzarmi dalla cattedra e portarmi nelle ultime file per rendermi conto di persona quale musica veniva ascoltata... Devo dire che non era niente male, però: Bee Gees, Pink Floyd, Queen; nonché Iron Maiden e altri gruppi ancor più “metallizzati”.

Ricordo una mia accesa discussione con una ragazza di II liceo (classico), che difendeva la canzone di un semisconosciuto cantante italiano, un certo Vasco Rossi, presentata al Festival di Sanremo del 1983. La canzone, “Vita spericolata”, non aveva avuto successo al Festival, ma ne ebbe moltissimo tra i miei alunni (non solo tra i miei, però). Oggi è un classico del rock italiano, e a Blasco faccio i miei migliori auguri.

Ma mi prese un shock anafilattico quando la successiva generazione di alunne/i trovò di suo gradimento la canzone “Vasco” di un certo Jovanotti, presentata al Festival di Sanremo del 1989. In linea con le strampalate movenze del cantante, quel linguaggio “musicale” parlato e rimato mi sembrò ridicolo. Era il Rap, e non lo sapevo. E pensare che insegnavo nella città di Lorenzo Cherubini, detto Jovanotti...

Gli anni 90 sono stati un caleidoscopio musicale. Ormai si divorava di tutto, dalla musica degli anni 60 all’hard rock, a quella techno. La musica diviene sempre più un modo di vivere, riempie le giornate (e le nottate), dà origine anche ai famigerati “rave party”. Lo studio della filosofia e della storia ne risente alquanto. In compenso si conosce vita, morte e miracoli di Madonna (la cantante) e dei Take That.

In quel decennio c’è la morte di Freddie Mercury, di Lucio Battisti e di Fabrizio De André.

Poi è venuta l’epoca di Lady Gaga...

Ma anche lei, qualunque sia il giudizio che ne vogliamo dare, è debitrice del grande Freddie: ne era una estimatrice,  e il suo nome è un chiaro riferimento alla canzone “Radio Ga Ga” (1984), che presentiamo nella videoclip.

Senza bisogno di orpelli Freddie Mercury, con la sua straordinaria voce e la presenza scenica, ha il dominio assoluto dell’immenso uditorio.

martedì 22 novembre 2011

Per S. Cecilia una musica sublime. Monteverdi

 

Nel giorno di S. Cecilia, patrona della musica, occorre festeggiare con le note più belle del pentagramma.

Propongo all’ascolto un magnifico brano di Claudio Monteverdi (1567-1643), geniale innovatore del linguaggio musicale, colui che più di ogni altro ha segnato il passaggio tra la musica rinascimentale e il periodo barocco.

“Christe, adoramus te”, mottetto a cinque voci dispari (Soprani primi e secondi, Contralti, Tenori, Bassi), pubblicato a Venezia nel 1620 da Giulio Cesare Bianchi nel “Primo libro de Motetti in lode d'Iddio nostro Signore”.

Si tratta di polifonia a cappella, come quella di Palestrina; solo voci (in questa esecuzione c’è un leggero accompagnamento di strumenti).

Ma quella polifonia casta e misurata di Palestrina diviene ora magniloquente e fortemente espressiva. 
Lo spazio sonoro è grandemente dilatato, dalle profondità del basso alle luminose altezze dei soprani. L’intensità del pathos trabocca da ogni rigo della partitura: potenti i momenti omofonici, preziosi i ricami contrappuntistici, spettacolare e del tutto “moderna” la progressione armonica in “quia per sanctam Crucem tuam” (viene in mente il Mozart del "Lacrimosa"), toccanti i momenti solistici, quasi a commento riassuntivo delle singole parti.

Quando la genialità si unisce alla bellezza si giunge al sublime.

Qui Monteverdi ha raggiunto il sublime.

Molto bella l’esecuzione del coro “The Cambridge Singers”, diretto da John Rutter.


Traduzione dell’antifona:

Cristo, ti adoriamo e  ti benediciamo, perché con la tua santa Croce hai redento il mondo. Signore, abbi pietà di noi.

lunedì 21 novembre 2011

Il Papa nel Benin. Una lezione per tutti














Ieri, nella festa di Cristo Re,  il Papa ha salutato il Benin tra una folla incalcolabile di persone.

I laicisti non sanno darsi pace.

Ma come! Il Papa che è contro il preservativo, si dichiara vicino ai malati di Aids.
Il Papa, che quei signori vorrebbero mandare alla corte dell’Aia per crimini contro l’umanità (e magari fucilarlo), circondato proprio da quell’umanità povera per la quale quegli stessi signori vorrebbero fucilarlo. 
Il Papa che parla ancora di Cristo, morto e seppellito, riesce a mobilitare nel Suo Nome una marea di persone festanti e in preghiera.

I laicisti non capiscono. Eppure ormai la lezione dovrebbero averla imparata.

Sulla sessualità il papa insegna una verità semplicissima e fondamentale: l’Aids si vince primaditutto educando alla fedeltà coniugale e alla responsabilità prematrimoniale. È quello che la Chiesa ha sempre insegnato. Con ottimi risultati anche per la salute fisica.

Il sesso ridotto a mero gioco erotico, banalizzato e indiscriminato, favorisce fatalmente la diffusione dell’Aids e di altre Malattie sessualmente trasmissibili, anche con vagonate di preservativi.
E qualcuno dice mai che il cosiddetto “preservativo” preserva solo per l’80/85 per cento dei casi? E quel 15/20 per cento di persone  che prima o poi si becca una Mst, non conta? Ogni due ore in Italia una persona viene contagiata da Hiv.

Solo con una seria educazione all’affettività si può giungere alla riduzione e alla sconfitta di un male che in Africa è originato oltre che da disordine sessuale, anche dalla miseria materiale, causa di tante altre malattie, per le quali non ci sono nemmeno i farmaci più comuni. 
Ma ci si vorrebbe sgravare la coscienza inviando dosi massicce di... condom.

La nazione che ha il più basso numero di casi di Aids nel mondo è  le Filippine, dove finora si è seguito proprio la lezione del papa, cioè l’educazione alla responsabilità (ma ora arrivano i turisti sessuali anche lì...). In Africa il paese che sta vincendo la sfida con l’Aids è l’Uganda, che segue la stessa lezione. Il preservativo è l’aspetto meno rilevante di questo piano di difesa.

“Il problema è capire se la vita ha un senso. Solo così posso volere bene a me e a chi ho davanti. E’ allora che lo proteggo, che faccio di tutto perché non si ammali”. “Il problema è se la vita ha un valore, un significato, altrimenti non c’è preservativo che tenga”. “Qua tutti sanno che Benedetto XVI ci vuole bene, non abbiamo dubbi. I dubbi piuttosto ce li abbiamo su chi ci manda i preservativi invece dell’aspirina. Su chi riconosce che siamo esseri umani non abbiamo dubbi”. Così si esprime un’infermiera dell’Uganda, Rose Busingye. 


Alla corte dell’Aia bisognerebbe spedire chi non informa che il preservativo non preserva sufficientemente.

Alla corte dell’Aia bisognerebbe mandare chi sfascia le famiglie, distrugge la vita umana e con essa i valori morali, con l’idea che tutto è lecito ciò che piace; per cui ci ritroviamo una gioventù che a dodici-tredici anni vende il proprio corpo per una ricarica di telefonino.

Il papa non è una minaccia per l’Africa, è il suo futuro. I signori che non lo capiscono fanno parte di un mondo vecchio, decrepito, destinato a scomparire per mancanza di eredi.

Il condom qualche effetto lo produce.

giovedì 17 novembre 2011

È arrivato er diggitale! (pasquinata)












Pasquino, è arrivato er diggitale!
Tutto er giorno so’ co l’attrezzo ‘n mano...
co ‘r decoder, ohé, nun pensà mmale!
in la TV ce pare un uragano.

Se vede solo piove’ e ggrandinare,
c’è un rumore che rompe li cojoni.
Mo’ però so’ riuscito a reggistrare,
e me par de vedere... Bberlusconi.

Te credi de ccambià, d’annare avanti,
la TV è sempre quella, sempre ugguale;
le stesse facce ci hai sempre davanti,
analoggica oppure diggitale.



Amicusplato

mercoledì 16 novembre 2011

Il mio nuovo governo













Per fare un governo ci sono diversi modi.

Si può fare un governo di politici, che è la prassi normale.

Si può fare un governo tecnico, come ha fatto oggi  il prof. Mario Monti.

Ma si può fare anche un governo fondato sull’assunto che i nomi sono la sostanza delle cose (nomina sunt substantia rerum), e che i nomi sono un augurio: nomen omen.

Ecco perciò il mio nuovo governo, che ho formato in base a nomi di deputati e senatori dell’attuale Parlamento.

Data la gravità della situazione, Presidente del Consiglio: Toccafondi (Pdl)

Elenco dei Ministri:

Interni: Casini (Udc)

Esteri: Turco (Pd)

Difesa: Razzi (Pt)

Politiche Agricole:  Vaccaro (Pd)

Marina Militare: Corsaro (Pdl)

Marina Mercantile: Piscitelli (Pdl)

Politiche Familiari: Adamo (Pd)

Ministero dei Trasporti: Rota (Idv)

Ministero del Lavoro: Stanca (Pdl)

Giustizia: Latronico (Pdl)

Pubblica Istruzione: Del Pennino (Gm)

Industria: La Forgia (Pd)

Sanità: La Morte (Fli)

Economia e finanze: Lo Presti (Fli).


Ministeri di nuova costituzione, date le nuove emergenze:


Meteorologia e calamità naturali: Bongiorno (Fli)

Attività musicali: Piffari (Idv)

Caccia e Pesca: Augello (Pdl) e Pescante (Pdl)

Rapporti con il Vaticano: Papa (Pdl)

Bestiame transumante: Pastore (Lega) e Pecorella (Pdl)

Animali domestici e da cortile: Pollastrini (Pd) e Porcu (Pdl)

Cinema e Spettacolo: Coscia (Pd).


Se non va bene nemmeno questo governo, allora non rimane che tirare a sorte i nomi con il bussolotto.

lunedì 14 novembre 2011

Il Cavaliere appiedato














Berlusconi cavaliero
è caduto dal destriero;
ma voleva scendere.

C’è chi in  piazza l’ha insultato,
vilipeso e sbeffeggiato;
gente democratica.

Ci sarà il governo Monti,
dopo quello di Tremonti;
tre per un, di svendita.

Un governo di banchieri
che va bene agli stranieri;
e alla borsa italica.

Ora c’è molta euforia,
ma speriam non fugga via
alle prime pratiche: 

tasse a case e patrimoni,
tagli a spese e alle pensioni,
e prelievi a raffica.

Tutti allegri, tutti buoni,
or non c’è più Berlusconi;
e le tasse piacciono.

Ci fu chi, per far dispetto
alla moglie, tagliò netto
il suo attrezzo fallico.

Per dispetto al Cavaliere
c’è chi applaude anche a un banchiere,
che ti taglia il gruzzolo.

Ma oramai quel dado è tratto,
non si torna indietro affatto.
Fuori i soldi, subito.

Per il ben del patrio suolo
anche un altro chiese al volo
ori, argenti e pentole.

Si finì in brache di tela.
Stiamo attenti a chi ci pela;
io mi tocco i bischeri.



Amicusplato


domenica 13 novembre 2011

Berlusconi si è dimesso. Salus reipublicae suprema lex



Silvio Berlusconi ieri sera, alle ore 21, ha rassegnato le dimissioni da Presidente del Consiglio.

Si chiude un periodo di 18 anni che lo ha visto grande protagonista delle vicende politiche italiane, e non solo.

Non starò a fare il bilancio consuntivo del suo operato.

Ma ciò che non gli è stato mai perdonato, da parte di un settore agguerrito di elettori, è di aver impedito ai post-comunisti di salire al potere, dopo il “lavoro” fatto dai giudici milanesi di “mani pulite”, che avevano spazzato via tutti i vecchi partiti, tranne (chissà perché) il PCI-PDS.

In effetti, la sua “discesa in campo” nel 1993 portò nel 1994 alla sconfitta sorprendente e clamorosa della “gioiosa macchina da guerra” delle sinistre, che credevano di non avere più avversari.

Negli ultimi anni la sua vita privata, non certamente consona al ruolo di statista, gli ha fatto perdere consensi e lo ha condizionato nell’agire, specialmente di fronte a questa perdurante crisi economica che ha investito il mondo intero.

Le sue dimissioni sono apparse perciò un gesto di grande responsabilità e di grande dignità.

“Salus reipublicae suprema lex”, dicevano i romani; la salvezza dello Stato è la suprema legge.

Si conclude così la parabola umana del Cavaliere, caratterizzata da grandi successi e da un inesorabile declino.

Non appaia offensivo il canto che ho postato per questa circostanza: “Addio, sogni di gloria” (Carlo Innocenzi-Marcella Rivi), del 1942.

Anzitutto perché è una bellissima canzone, qui cantata dalla più bella voce italiana di questo ultimo mezzo secolo, Luciano Pavarotti.

E poi perché, in effetti, prima o poi viene per tutti il momento di lasciare. Importante capire quando, e avere il coraggio di farlo.

Silvio Berlusconi lo ha fatto.

venerdì 11 novembre 2011

11.11.11 (11:11). La vita è anche un gioco










È un bel terzetto d’undici schierato,
sembra proprio un picchetto militare;
anzi, se guardi ben quando ho postato,
è un quintetto, un ploton pronto a sparare.

Dieci soldati, tutti sull’attenti,
per salutare a salve Berlusconi,
che lascia il campo ad altri pretendenti
e si toglie, per molti, dai coglioni.

Ma il quintetto che oggi fa paura
forse è un quintetto solo musicale,
che prepara il concerto d’apertura
a un governo gradito al Quirinale.

Oppure, care amiche e amici cari,
sono dieci birilli messi ritti,
come al bowling, e aspettano precari
che una boccia li stenda a terra fritti.

È il gioco della vita, e questa data
lo rappresenta in modo assai reale.
Ad uno ad uno, un anno e una giornata,
si cade a terra e poi non si risale.

Sol tra cent'anni, il secolo venturo,
un'altra data come questa avremo;
ma come, dice un canto, di sicuro
a quella data "Noi non ci saremo".

Non crediate che il vostro Amicusplato
termini la canzone con tristezza.
Coi numeri soltanto un po’ ho giocato...
Passiamo questo giorno in allegrezza!

È l'11 novembre, è San Martino;
cambiano gli anni, ma la festa è quella;
in Toscana ogni mosto si fa vino,
con le castagne arrosto in la padella.

giovedì 10 novembre 2011

Succede un 48! (Per Egeria)






















Tutti aspettano il giorno di domani
con la sua data unica tra cento.
Ma oggi, cari amici internettiani,
è una data che supera ogni evento.

Oggi, 10 novembre, udite, udite!
Egeria, o meglio a dir, Maria Teresa,
finisce gli anni; e allora, che ne dite
se le dedico un’ode, a sua sorpresa?

Non chieder mai a una donna di quand’ è,
è una domanda poco da salotto;
ma Egeria ha un nick “Terry63”,
e dunque compie anni quarantotto...

Un anno che vuol dir rivoluzione,
per te, Maria Teresa, così mite,
dolce come Nutella a colazione,
e bella di sicur più di Afrodite.

Ma soprattutto mi incantò il tuo cuore,
affettuoso verso ogni persona.
La tua rivoluzione è pien d’amore,
l’unica “revolution” che funziona!

Maria Teresa, auguri e grazie tante
in questo giorno fausto e fortunato!
Lasciami un po’ di torta e di spumante
ed un caffè. Il tuo amico Amicusplato.


mercoledì 9 novembre 2011

Dolcenera...



Nella disastrosa alluvione di Genova di questi giorni mi è venuto spontaneo pensare ad una canzone di Fabrizio De André.

Parlo ovviamente di “Dolcenera”, nome amaramente accattivante che De André dà alla tragica alluvione genovese del 7-8 ottobre 1970, per molti aspetti simile a quella del 4 novembre scorso.

Non l’ho postata finora perché Faber inserisce nell’avvenimento una storia sentimentale poco esemplare, che in qualche modo dissacra un po’ la terribile vicenda.

De André ha scritto questa canzone, in cui amore e morte sembrano identificarsi, a una notevole distanza di tempo da quel terribile avvenimento, e forse pensava che non si sarebbe più ripetuto (album "Anime Salve", 1996, con la collaborazione di Ivano Fossati).

Riesce quindi con occhi asciutti a guardare Dolcenera che “ammazza e passa oltre”, e al tempo stesso “la moglie di Anselmo” che sta per tradire il marito, ma rimane intrappolata in un tram nel mezzo dell’alluvione.

Oggi a Genova si sono svolte le ultime celebrazioni funebri.

La vita riprende faticosamente il suo corso.

Penso che si possa ascoltare ora con animo più sereno questa stupenda canzone, che con versi indimenticabili descrive l'avanzata nera della devastazione e della morte attraverso l’elemento più “dolce” della natura, l’acqua di fiume, che "porta via la via", che “sale dalle scale, sale senza sale”.

Così come si può mestamente sorridere di quella onirica vicenda vissuta da due amanti, separati da un “tumulto del cielo [che] ha sbagliato momento”.

Il coro in genovese, che apre e commenta la ballata, ("Amìala ch'â l'arìa, amìa cum'â l'é, cum'â l'é. Amiala cum'â l'aria ch'â l'è lê ch'â l'è lê", Guardala che arriva, guarda com'è, com'è. Guardala come arriva, guarda che è lei, che è lei), dà un’impronta di verismo quasi fotografico.

La voce della fisarmonica dà alla canzone il sapore di una appassionata ballata popolare.

Perché Genova possa risorgere!





lunedì 7 novembre 2011

Dopo le tenebre



In questi giorni è veramente difficile essere sereni. E non è nemmeno giusto esserlo.

Questo cielo plumbeo sopra di noi rispecchia la situazione che stiamo vivendo.

Non viene molta voglia di ridere e di scherzare, di fronte alle vittime delle alluvioni e della follia umana, e dinanzi ad una situazione socio-politica nazionale e internazionale che sembra più disastrata della Liguria.

Tuttavia bisogna sempre riprendere con coraggio il cammino della vita, perché il male non abbia il sopravvento sul bene, e perché dopo le tenebre risplenda di nuovo la luce del sole.

Post tenebras, lux; dopo le tenebre, la luce.

Per rasserenare il nostro spirito, e come augurio per l’arrivo del sereno sia nell’atmosfera che nell’orbe terracqueo, ascoltiamo la suggestiva Melodia (“Danza degli spiriti beati”) dall’ “Orfeo ed Euridice” di Cristoforo Gluck (1714-1787), il rinnovatore del melodramma.

La ascoltiamo nella classica trascrizione per pianoforte di Giovanni Sgambati.  

È uno dei brani più belli della letteratura musicale. 

Al piano, con molta espressione, Francesco Caramiello.

domenica 6 novembre 2011

Chiesa sotto tiro




















Che la Chiesa Cattolica sia sotto tiro è una realtà evidente. Basta sfogliare un giornale qualsiasi, o aprire una pagina di web.

Ma quando sotto tiro non è solo l’istituzione, ma anche le persone, allora la cosa assume un aspetto allarmante.

Un individuo sui 60/70 anni ha sparato due sere fa a D. Paolo Brogi, segretario dell’Arcivescovo di Firenze Mons. Giuseppe Betori, colpendolo all’addome; poi ha puntato la sua 7,65 alla testa dell’alto Prelato, ma il colpo non è partito perché la pistola si è inceppata.

Mons. Betori ha perdonato all’aggressore, così come il suo giovane segretario, gravemente ferito.

Questo vile e sacrilego attentato mi induce ad alcune considerazioni.

La Chiesa è perseguitata per le sue idee, che vanno contro il "pensiero unico" attuale, laicista, materialista e relativista. Mass media, web, agenzie culturali e quant’altro ancora, in mano a “cattivi maestri”, a forza di slogan anticlericali, vieti luoghi comuni e spudorate falsità, vorrebbero far passare come accettabili le vergogne della loro “proposta indecente” di vita che è davanti agli occhi di tutti: divorzio, aborto, eutanasia, immoralità dilagante, egoismo sfrenato, vuoto esistenziale a perdere.

Non sappiamo bene ancora perché quell’individuo, nell'episcopio di Firenze, due sere fa, abbia sparato contro D. Paolo e Mons. Betori.
Sappiamo però che l’attentato a un Vescovo, che è il successore degli Apostoli, ci riporta ai tempi delle prime persecuzioni, quelle dell’impero romano, anticristiano.

Hegel insegna che sono le idee a muovere la storia. Per cui, anche nel male, c’è sempre qualcuno che, mosso dall’odio seminato dai cattivi maestri, prende un’arma e spara contro quelli che sono considerati nemici del progresso, cioè contro coloro che insegnano il valore della famiglia, l’inviolabilità della vita, il rispetto delle persone, l’amore per il prossimo.

Siamo al teatro dell’assurdo, se non fosse tragicamente vero: coloro che insegnano il bene vengono perseguitati e magari sparati; in compenso i “cattivi maestri” fanno carriera e lucrano sullo sfacelo della società.


venerdì 4 novembre 2011

4 novembre 1918. Nasce il popolo italiano



Quest’anno festeggiamo il 150° anniversario dell’unità d’Italia.

Per dir la verità, non è che ci sia molto entusiasmo per questa ricorrenza; qua e là nelle case si vede qualche tricolore, ma talvolta (questa è la mia impressione) sembra che sia sventolato più per motivi politici (cioè partitici), che per autentico amor patrio.

È anche mia opinione (ma questa è più seria) che l’unità d’Italia non sia stata fatta nel 1861, ma nella guerra del 1915-18, nella Grande Guerra, di cui oggi - 4 novembre - ricorre l’anniversario della vittoria.

È stata in pratica l’unica guerra vinta dagli italiani: la I guerra d’indipendenza (1848-49) fu tristemente persa; la II (1859) fu vinta soprattutto dai Francesi di Napoleone III, che si presero però Nizza e Savoia, cioè una bella fetta del nostro territorio, in cambio della sola Lombardia. Della III guerra (1866) meglio non parlare, per la vergogna di cui ci siamo ricoperti, per terra e per mare.

La guerra del 1915-18 invece fu vinta, anche se con il sacrificio di quasi 700.000 soldati italiani, gli ultimi dei quali chiamati alle armi a 18 anni (classe 1899).

Sui monti del Carso e sulle montagne del Trentino, come sulle vallate venete, si è fatta realmente l’unità d’Italia, nell’estenuante guerra di trincea, che ha visto spalla a spalla combattere friulani e sardi, siciliani e piemontesi, toscani e abruzzesi, e così via. In quell’eroismo giovanile è nata l’Italia, dal fango delle trincee, tra fili spinati e cavalli di Frisia e sotto il crepitare della mitraglia.

Il simbolo di quell’immane conflitto è il fiume Piave, ultimo caposaldo della resistenza italiana e poi dell’avanzata vittoriosa del 24 ottobre-3 novembre 1918.

Lì le giovanissime leve diciottenni, insieme a soldati veterani, riuscirono a fermare l’avanzata austriaca dopo Caporetto, per poi passare un anno dopo al contrattacco a Vittorio Veneto, costringendo l’Austria alla resa, che fu firmata il 4 novembre 1918.

L’Italia era fatta, dal Brennero a Lampedusa; ma soprattutto era nato il popolo italiano, cosciente della sua grande forza, che lo aveva portato a sconfiggere nazioni fino ad allora dominatrici d’Europa.

Le giovani generazioni di oggi leggono solo nei libri di storia questi avvenimenti (e talvolta nemmeno questo fanno...); per molti di essi la patria, per dirla con Don Abbondio, è dove si sta bene.

Intendiamoci. È un sommo bene che non ci siano più guerre.

Ma la pace non è solo assenza di guerra. La pace è un valore che porta con sé anche l’amore per la propria terra, che tanti altri giovani hanno bagnato con il loro sangue.

Oggi l'Italia sembra su di un'altra linea del Piave; ma il coraggio di quella "bella gioventù" di un secolo fa ci deve essere di ammonimento e di sprone per vincere la nostra battaglia.

Per questo, il mio contributo a questa giornata che ricorda l’eroica vittoria italiana nella prima guerra mondiale è il canto friulano "Stelutis Alpinis".

È stato scritto proprio durante la Grande Guerra, da Arturo Zardini, a Firenze, nel 1917.

Uno dei canti più belli del repertorio alpino.


Stelutis alpinis
 
Se tu vens cà sù ta' cretis,
là che lôr mi àn soterât,
al è un splàz plen di stelutis:
dal miò sanc 'l è stât bagnât.

Par segnâl une crosute

jé scolpide lì tal cret:
fra chês stelis nàs l'arbute,
sot di lôr jo duâr cuièt.

Ciol sù, ciol une stelute:

je 'a ricuarde il néstri ben,
tu 'i darâs 'ne bussadute,
e po' plàtile tal sen.

Quant che a ciase tu sês sole

e di cûr tu preis par me,
il miò spirt atòr ti svole:
jo e la stele sin cun té.
 
 

mercoledì 2 novembre 2011

Le trombe del giudizio




Nel giorno dedicato alla Commemorazione dei Defunti mi pare appropriato onorarli con una preghiera.

Viene subito in mente il Requiem, musicato da tanti grandi compositori.

Tutti conosciamo quello di Mozart e quello di Verdi, e non sappiamo forse quale preferire.

Per molti il film “Amadeus”, con la leggendaria (e truce) committenza di Antonio Salieri, aggiungerà un motivo in più per preferire l’opera di Mozart.  

Ma il Requiem di Mozart non ha bisogno di “leggende nere” per essere ammirato nel suo fidiaco equilibrio e nell’intenso pathos che lo caratterizza nel profondo.

Il Requiem di Giuseppe Verdi è certamente meno unitario, un po’ più dispersivo, e il pathos diventa romantica drammaticità, con qualche debito verso il  melodramma.

Ma l’opera rimane sublime e rappresenta il suo capolavoro. Ci sono poi alcuni momenti in cui l’arte domina in modo assoluto e insuperato.

È il caso del Dies Irae, e non solo nel suo "tremendo" inizio, ma anche in altri versetti, come il “Tuba mirum spargens sonum”.

Pochi sanno trattare l’impiego della tromba nell'orchestra come Verdi. Non certo Mozart, che quando ne sentiva il suono, sveniva...

Sono le trombe del Giudizio Universale. Prima lontane (fuori dell’orchestra), poi sempre più vicine (nell’orchestra), con un formidabile crescendo fino all'esplosione di suoni e voci di tutto l'organico orchestrale e corale.

Tuba, mirum spargens sonum per sepulchra regionum, coget omnes ante tronum. 

Una  tromba, diffondendo un suono mirabile per i sepolcri della terra, radunerà tutti davanti al trono di Dio.

Un brano "michelangiolesco".


martedì 1 novembre 2011

1.11.11. Festa di tutti i Santi




Il 1 novembre si festeggiano Tutti i Santi.

Ma quest’anno la data, espressa in numeri, è particolarmente interessante; anzi, unica in ogni senso. Si può scrivere con un’unica cifra, l’1.

La fantasia si sbizzarrisce di fronte a simili coincidenze. Già due altre volte quest’anno abbiamo avuto  situazioni analoghe, l’11 gennaio, esprimibile con 11.1.11, e l'apertura dell'anno con 1. 1. 11.

Tra poco avremo addirittura 11. 11. 11.

Questa volta la serie degli 1 mi suggerisce una riflessione legata alla festività dei Santi.

Un santo si può definire in molti modi. Il santo è un uomo che ha realizzato in pienezza la sua vita; un cristiano autentico, che ha esercitato eroicamente le virtù; una persona che ha seguito gli insegnamenti del Vangelo, senza se e senza ma. E così via.

Ma la data particolare di oggi mi suggerisce una definizione un po’ particolare anch’essa.

Il santo è colui che ha fatto della sua vita una realtà unitaria, una “reductio ad unum”, una riduzione all’essenziale.

Ha sfrondato ciò che non era necessario, ha ricondotto all’unità la propria vita, sottraendola alla dispersione in cui il mondo cerca di frantumare l'esistenza, affidandosi a Colui che è l'unità dell'essere: Dio.

Lo dice il Vangelo: “Porro unum est necessarium” (Lc 10, 42), una sola cosa è quella che conta.

E ancora: “Cercate il Regno di Dio e la sua giustizia; il resto vi sarà dato in aggiunta” (Mt 6, 33).

Santo è colui che affida all’unico Signore la sua vita. 

Servo di Dio e di nessun altro, come diceva don Milani.

Per questo l’1 di oggi esprime bene la festa dei Santi.

E per questo mi sembra molto appropriato il ben noto canto di Taizé, con la bella musica di Jacques Berthier e le ispirate parole di S. Teresa d'Avila: "Solo Dios basta".


Solo Dios basta

Nada te turbe, nada te espante
quien a Dios tiene nada le falta
Nada te turbe, nada te espante,
solo Dios basta.

Versetti solistici:

Todo se pasa, Dios no se muda,
La paciencia todo lo alcanza.

En Cristo mi confianza,
y de Él solo mi asimiento;
en sus cansancios mi aliento,
y en su imitación mi holganza.

Aquí estriba mi firmeza,
aquí mi seguridad,
la prueba de mi verdad,
la muestra de mi firmeza.

Ya no durmáis, no durmáis,
pues que no hay paz en la tierra.

No haya ningún cobarde,
aventuremos la vida.
No hay que temer, no durmáis,
aventuremos la vida.

(S. Teresa d'Avila)