sabato 30 aprile 2011

Giovanni Paolo II il Grande






















"Santo subito!" ha gridato la gente alle esequie di Giovanni Paolo II, l'8 aprile 2005.

Vox populi, vox Dei, la voce del popolo è la voce di Dio, almeno in questo caso.
E appena sei anni dopo ecco che Giovanni Paolo II (18 maggio 1920 - 2 aprile 2005) sale dalle grotte vaticane nella Basilica di S. Pietro alla gloria degli altari, nel suo primo gradino di Beato.

Il popolo ha capito immediatamente la sua santità. E insieme ad essa la sua straordinaria umanità.
Le due cose, in effetti, viaggiano sempre insieme.

Cerco perciò di riassumere in pochi tratti la figura di un uomo e di un pontefice che ha segnato un'intera epoca, da quel 16 ottobre 1978 quando il quasi sconosciuto Karol Woitiła divenne Giovanni Paolo II.

Ha difeso la libertà dei popoli, lui che veniva da un popolo oppresso, la Polonia.
E il suo popolo ha dato il colpo mortale al regime comunista, che con effetto domino, è crollato nelle sue stesse contraddizioni.
Proprio quel regime, dove si insegnava che la religione è l’oppio dei popoli, è stato abbattuto da un popolo che ha avuto nella fede e nel papa la spinta decisiva.
“Il marxismo aveva promesso di sradicare il bisogno di Dio dal cuore dell'uomo, ma i risultati hanno dimostrato che non è possibile riuscirci senza sconvolgere il cuore” (Enciclica “Centesimus annus”, 24).

L’uomo ridotto a “una sola dimensione”, quella materiale, non può sussistere.
Ciò vale anche per il sistema capitalistico, che ha in sé modelli di vita alienanti.
“Quando l'uomo è visto più come un produttore o un consumatore di beni che come un soggetto che produce e consuma per vivere, allora perde la sua necessaria relazione con la persona umana e finisce con l'alienarla ed opprimerla” (Centesimus annus, 39). 

Ha difeso la vita umana, dal concepimento fino all’ultimo respiro.
L’essere umano è tale per tutto l’arco della sua esistenza, oppure non lo è mai.
Non esiste un momento nel processo della vita umana in cui siamo un po’ più o un po’ meno uomini...
“Proprio in un'epoca in cui si proclamano solennemente i diritti inviolabili della persona e si afferma pubblicamente il valore della vita, lo stesso diritto alla vita viene praticamente negato e conculcato, in particolare nei momenti più emblematici dell'esistenza, quali sono il nascere e il morire”. La vita umana è sempre un bene “indisponibile”(Enciclica “Evangelium vitae”, 18-19).

Ha difeso il valore della famiglia fondata sul matrimonio.
Contro la banalizzazione dei rapporti affettivi, ha ribadito che solo nella stabilità della coppia si può fondare una società stabile, oltre alla realizzazione dell’amore nella sua più autentica espressione di donazione reciproca, aperta alla vita.
“Contro la cosiddetta cultura della morte, la famiglia costituisce la sede della cultura della vita” (Centesimus annus, 39).

Ha difeso i valori e gli ideali più autentici del mondo giovanile.
Contro i cattivi maestri che hanno profetizzato paradisi artificiali (quelli sì, ilusori), contro la banalizzazione del sesso ridotto a preservativo e pillole abortive, e contro ogni visione della vita fondata sull’effimero, con le conseguenze devastanti che sono davanti agli occhi di tutti, Giovanni Paolo II ha indicato il vero senso della vita. “Sentinelle del mattino”, i giovani sono stati chiamati a riscoprire la fede in Cristo, vero Dio e vero uomo. E dall’esempio di Cristo, l’impegno gioioso per un mondo moralmente più pulito e più sano.
Le Giornate Mondiali della Gioventù, "inventate" proprio da Giovanni Paolo II, ne sono una straordinaria testimonianza.

Ha parlato con tutti, ha incontrato tutti, per portare il lieto annuncio di liberazione, che deriva dalla fede in Cristo, liberatore dell’uomo. Ha incontrato i campesinos e le teste coronate, gli oppressi e gli oppressori, neri e rossi; Pinochet e Fidel Castro, per ricordare loro i diritti dell’uomo. Ha parlato al Central Park di New York e in piccole città come la mia, ovunque attirando l’attenzione e lasciando un segno indelebile in tutti coloro che lo hanno visto e ascoltato.

Ha valorizzato ogni esperienza religiosa, promuovendo l’incontro e pregando con i capi delle religioni nel mondo. Per ricordare a tutti che nel nome di Dio non si possono fare guerre. E ha cercato sempre di promuovere la pace tra le nazioni.

Ha amato la vita, in tutti i suoi aspetti; e lo ha dimostrato come uomo di preghiera, artista, letterato, operaio, sportivo; ma pure uomo che non è stato risparmiato da sofferenze di ogni tipo, e che si è appoggiato alla Croce di Cristo, per portarla con Lui fino alla fine.

Un gigante della storia, che ha dato un’impronta decisiva alla fine del II e all’inizio del III millennio, e che noi abbiamo avuto il privilegio di conoscere.

Contro la barbarie del mondo post-moderno, che tende a scardinare ogni valore morale, che proclama “tutto lecito ciò che piace”, che vuole costruire un mondo di superuomini senza Dio, anzi, contro Dio, sperimentando invece gli abissi di un nichilismo disumano, Giovanni Paolo II ha tenuto ferma la barra della ragione che insieme alla fede cristiana ricorda i valori insopprimibili della coscienza universale e del senso religioso.
“La fede e la ragione sono come le due ali con le quali lo spirito umano s'innalza verso la contemplazione della verità. È Dio ad aver posto nel cuore dell'uomo il desiderio di conoscere la verità e, in definitiva, di conoscere Lui perché, conoscendolo e amandolo, possa giungere anche alla piena verità su se stesso” (Enciclica “Fides et ratio”, inizio).

Egli ha indicato in Gesù Cristo, Redentore dell’uomo, colui nel quale ogni popolo, cristiano o meno, credente o no, può trovare le risposte appaganti alle domande di verità e di senso sulla vita umana.

È nell’umanità di Cristo che ogni uomo può ritrovare il valore della propria esistenza.

Ed è in Cristo Dio, il quale si manifesta in modo reale nella comunità dei credenti, la Chiesa, che l’umanità trova il punto di riferimento ineludibile per non diventare una Babele di lingue, in cui ogni dialogo diventa impossibile e che ha come destino la dispersione e l’annientamento.

E oggi, la più concreta testimonianza che nella Chiesa si incontra Cristo, vero Dio e vero uomo, è proprio Giovanni Paolo II, con la sua vita luminosa e con i segni straordinari che Dio ha compiuto attraverso di lui.

Sì, Beato Giovanni Paolo II, il Grande!

giovedì 28 aprile 2011

L'inno alla gioia (ma non è Beethoven)



Tutta la settimana che segue la Pasqua è il gioioso prolungamento della festa della Risurrezione.

La liturgia eucaristica è solenne e ogni giorno di questa settimana (per essere precisi, dell’ “ottava di Pasqua”) si conclude con l’acclamazione: “Alleluia, alleluia!”

C’è un inno che esprime in modo particolarmente intenso l’esultanza pasquale: “Alleluia. O filii et filiae”.

Risale al secolo XV, le parole sono di Jean Tisserand, un frate francese del periodo.

L’inno, nel corso dei secoli, è stato oggetto di rielaborazioni. Celebri le variazioni organistiche di Jean-François Dandrieu (1682-1738).


Noi lo presentiamo nella versione (molto ridotta nelle strofe) per voce solista, coro e organo.

La Schola Cantorum è quella della Cattedrale di Notre-Dame di Parigi, così come lo stupendo rosone dugentesco che correda il video.


Alleluia, Alleluia, Alleluia!

O filii et filiae,
Rex coelestis, Rex gloriae
morte surrexit hodie. Alleluia

Alleluia…

Et Maria Magdalene,
et Jacobi, et Salome,
venerunt corpus ungere. Alleluia.

Et mane prima sabbati,
ad ostium monumenti
accesserunt discipuli. Alleluia.

Et Joannes Apostolus
cucurrit Petro citius,
monumento venit prius. Alleluia.

In hoc festo sanctissimo
sit laus et jubilatio,
benedicamus Domino. Alleluia.

De quibus nos humillimas
devotas atque debitas
Deo dicamus gratias. Alleluia!



O figli e figlie,
il Re del cielo e della gloria
oggi è risorto da morte. Alleluia.

Maria Maddalena,
Maria di Giacomo e Salome,
vennero per ungere il corpo. Alleluia.

La mattina del primo giorno dopo il sabato
giunsero  i discepoli
all’entrata del sepolcro. Alleluia.

L’Apostolo Giovanni
corse più veloce di Pietro,
giunse per primo al sepolcro. Alleluia.

In questa festa santissima
sia lode e giubilo,
benediciamo il Signore. Alleluia.

Di tutto questo noi
rendiamo umilissime grazie,
debite e devote, a Dio. Alleluia!

lunedì 25 aprile 2011

Il gioioso ritorno da Taizé. Magnificat!



Lunedì di Pasqua. 

Torniamo a casa dopo aver trascorso virtualmente la Settimana Santa a Taizé. Un’esperienza indimenticabile!

Un ritorno nella gioia, con lo zaino sulle spalle fino alla stazione più vicina, e poi il treno.

Qualcuno ha una chitarra, e nello scompartimento la sfodera e si mette a suonare i semplici accordi di quei bei canti che in questi giorni ci hanno fatto compagnia.

Il suono della chitarra attira subito intorno all'improvvisato menestrello altre persone, giovani e meno giovani, che tentano di canticchiare i canti più noti, magari facendo anche la seconda voce...

C’è un canto però dove le voci si fanno più sicure, sia perché il motivo è notissimo, sia perché le parole sono solo quattro:

“Magnificat anima mea Dominum!”.

Penso che sia il canto più noto, più bello e più geniale di Taizé.
Un doppio cànone di struttura semplicissima, quindi facile da imparare e da eseguire, che si presta ad una molteplicità di interventi (fino a quattro+quattro), tali da costituire una bella costruzione polifonica (anche a otto voci).

Ascoltiamo perciò, con la partitura davanti, il notissimo "Magnificat di Taizé".

Lo spartito del video riporta solo il primo canone. Ma basta un po’ di attenzione per seguire anche il secondo, che interviene dopo il completamento del primo da parte della voce solista maschile e poi, via via, si fa più marcato.

Un piccolo-grande capolavoro di Jacques Berthier, del 1976.

Il modo adeguato per prolungare la gioia della Risurrezione in questo Lunedì di Pasqua, con le parole della Madre di Dio: 

"L’anima mia magnifica il Signore!"

domenica 24 aprile 2011

Pasqua di Risurrezione!



La Risurrezione di Cristo è l’avvenimento che dà un significato nuovo a tutta la storia umana e alla vita di ciascun uomo.

Non siamo più degli esseri con desideri infiniti, ma irrimediabilmente chiusi in un orizzonte finito.
Non siamo più dei ricercatori della felicità, ma vittime di un miraggio.
Non siamo più i cultori della vita, ma destinati alla morte.

Cristo risorto ha realizzato nella nostra natura umana tutto ciò che sembrava solo un vano desiderio.
I limiti invalicabili sono stati superati, l’uomo ha fin da ora un pegno affidabile di felicità piena, il dolore e la morte non costituiscono più le ultime parole dell’esistenza umana.

Cristo risorto, glorificato nella sua natura umana, è la Parola definitiva sulla nostra vita, la nostra inesauribile speranza.

Per questo la Pasqua di Risurrezione è la festa per eccellenza, che dà valore e significato a tutto il calendario della nostra vita.

Nella Comunità di Taizé, dove abbiamo trascorso virtualmente la Settimana Santa, la festa di Pasqua richiama una moltitudine di persone provenienti da tutto il mondo; soprattutto giovani, che non hanno problemi con le tende e i sacchi a pelo.

E si accontentano di un pranzo modesto.

La gioia è nello stare insieme, e per tanti è l’occasione per incontrare davvero il Cristo Risorto.

Squillino le trombe, si alzino voci di gioia per lodare il Signore, con uno dei canti più belli di Jacques Berthier

Le parole sono l'inizio dal Salmo 117/116. Con  l'Alleluja  pasquale.


Laudate Dominum omnes gentes. Alleluia!

Lodate il Signore, popoli tutti. Alleluia!


Buona Pasqua a tutti!

sabato 23 aprile 2011

Sabato Santo. Dio è morto e sepolto...



Sabato Santo. Dio è morto e sepolto.

Ma non è la morte di Dio preconizzata da Nietzsche-Zarathustra, cioè la sua eliminazione definitiva da parte del superuomo.

Muore invece la natura umana di Dio, assunta dal Figlio per condividere con noi anche il momento più desolante.

In quella tomba, dove riposa il corpo di Gesù, sta per accadere un fatto che cambierà la storia umana e la nostra vita; un big bang altrettanto decisivo come quello che ha dato inizio alla realtà creata.

Quel corpo, umiliato nella morte, con la potenza di Dio spezzerà le catene della finitezza e risorgerà glorificato. La morte non avrà più potere su di lui.

Il suo corpo glorioso è anticipo della gloria futura di ogni essere umano, e certezza che la parola definitiva non sarà un sepolcro, ma la vita eterna.

Dio è morto e sepolto. Ma in attesa della Risurrezione.

In questa attesa anche noi, che stiamo virtualmente passando la Settimana Santa nella Comunità di Taizé, ci prepariamo al grande evento della nostra salvezza con un canto di Taizé in lingua portoghese, tratto dal Salmo 104/103, vv. 33-34.


Cantarei ao Senhor, enquanto viver;
louvarei o meu Deus enquanto existir.
Nele encontro a minha alegria (2v).

Canterò al Signore finché io vivo;
loderò il mio Dio finché esisto.
In lui la mia gioia (2v)

venerdì 22 aprile 2011

Venerdì Santo. Una scelta decisiva



La sofferenza umana e il mistero della morte non trovano spiegazioni adeguate per la nostra ragione.

L’uomo è fatto per la gioia, e si ritrova in mezzo al dolore; desidera la vita, e sa di morire.

Si può esorcizzare la paura con la teoria del superuomo, come ha fatto Nietzsche; ma al primo inciampo fisico ci accorgiamo subito che non regge.

Più comunemente si cerca di non pensare al male, distraendoci in ogni maniera e sperando nella buona sorte. Ma il bluff prima o poi viene scoperto, se non altro all’ultima mano.

Sul Calvario oggi vediamo tre croci: quelle di due ladroni e nel mezzo quella di Gesù.

Uno dei due ladroni, all'approssimarsi della morte, si dispera. Sta perdendo tutto.

L’altro invece ha fede in quel Gesù che gli sta accanto, condannato alla stessa pena. E si affida a lui, che può introdurlo nel suo Regno glorioso.

Ognuno di noi oggi è chiamato a fare la stessa scelta dei due ladroni. Non si dà un terzo caso.

O confidare unicamente nelle proprie forze per affrontare la vita e la morte.
O affidarsi a quel Gesù che ha preannunciato di risorgere il terzo giorno, facendo della passione e della morte il mezzo per entrare nella gloria di Dio.

La croce è diventata così il segno di salvezza.

Con la Comunità di Taizé riviviamo la passione di Cristo in un canto di invocazione in lingua polacca, inizio del Salmo 102/101. Con la musica di Jacques Berthier.


O Usłysz mój głos,
O Usłysz mój głos,
Panie mój wołam Cię.
O Usłysz mój głos,
O Usłysz mój głos
Przyjdź i wysłuchaj mnie


O Signore, ascolta la mia preghiera,
O Signore, ascolta la mia preghiera,
Quando t’invoco, rispondimi.
O Signore, ascolta la mia preghiera,
O Signore, ascolta la mia preghiera,
Vieni e prestami ascolto.

giovedì 21 aprile 2011

Giovedì Santo. Il giorno dell'amore fraterno



Il Giovedì Santo è il giorno dell’amore fraterno: Gesù lava i piedi dei suoi discepoli. 
Dio si china ai piedi dell’uomo.

Il Giovedì Santo è il giorno dell’Eucarestia. Non di solo pane materiale vive l’uomo, ma anche del Pane del cielo. Gli antichi padri chiamavano l’Eucarestia, “medicina d’immortalità” (fàrmakon athanasìas).

Il Giovedì Santo è la giornata del sacerdozio ministeriale. Cristo ordina ai suoi Apostoli di continuare in sua memoria la celebrazione della Cena eucaristica: “Fate questo in memoria di me”.

Anche a Giuda.

Il Signore ha voluto affidare la sua opera di salvezza alle mani degli uomini, anche di coloro che lo tradiscono. Ma la salvezza di Cristo giunge nonostante ministri indegni, i quali dovranno rispondere delle loro azioni.
Ma senza il sacerdote, l'opera di Cristo non potrebbe svolgersi.

Dirà S. Agostino: “Pietro battezza, è Cristo che battezza; Giuda battezza, è Cristo che battezza”.

Dio ha fiducia nell’uomo, per questo si è affidato alle sue mani. Ma l’uomo non deve seguire idoli falsi.

Per questo ha bisogno dell’aiuto di Dio. Per questo ha bisogno di pregare.

Poiché trascorriamo virtualmente la Settimana Santa nella Comunità di Taizé, la nostra preghiera si innalza al Signore con le ispirate note di Jacques Berthier.

Lord Jesus Christ
Your light shines within us.
Let not my doubts and my darkness speak to me.
Lord Jesus Christ, your light shines within us.
Let my heart always welcome your love.

Signore Gesù Cristo,
la tua luce risplenda dentro di noi.
Non lasciare che i miei dubbi e il mio buio mi parlino.
Signore Gesù Cristo, la tua luce risplenda dentro di noi.
Lascia che il mio cuore accolga sempre il tuo amore.

mercoledì 20 aprile 2011

La preghiera del cuore. Taizé



In questo Mercoledì Santo, che trascorriamo virtualmente nella Comunità di Taizé, la preghiera viene presa da alcuni versetti del Salmo 62/61.

Con la dolcissima musica di Jacques Berthier.

La ripetizione di queste brevi frasi ricalca l’antico modo monastico della “preghiera del cuore”: brevi invocazioni, reiterate molte volte, finché non passano dalle labbra al cuore, il centro dell’affettività e del desiderio.

Quando il cuore è colmo della presenza di Dio, allora la pace e la gioia prendono possesso della persona che prega.

E si rinasce a nuova vita.


In God alone my soul can find rest and peace,
In God my peace and joy.
Only in God my soul can find its rest,
find its rest, and peace.

Solo in Dio la mia anima trova riposo e pace,
in Dio mia pace e gioia.
Solo in Dio la mia anima può trovare il suo riposo,
trovare il suo riposo, e pace.

martedì 19 aprile 2011

Il primo santo canonizzato: un ladrone




Chi è il primo santo canonizzato? Senza dubbio il ladrone pentito, al quale Gesù sulla croce disse: “In verità ti dico: oggi sarai con me nel Paradiso.” (Lc 23, 43).

Cosa aveva fatto di così straordinario, da passare da un patibolo di infamia alla gloria del cielo, questo malfattore?

Nel momento estremo, quello in cui la vita appare in tutta la sua interezza e nel quale non è più possibile barare, il ladrone aveva pregato.

“Gesù, ricordati di me, quando entrerai nel tuo regno!” (Lc 23, 42).

Una preghiera che viene dopo il pentimento per i propri delitti e il rimprovero per il compagno di sventura che bestemmiava e imprecava.

“Non hai alcun timore di Dio, tu che sei condannato alla stessa pena? Noi, giustamente, perché riceviamo quello che abbiamo meritato per le nostre azioni; egli invece non ha fatto nulla di male” (Lc. 23, 40-41).

La preghiera, quando nasce da un cuore sinceramente pentito, ci apre alla salvezza; da subito.

Mi unisco alla Comunità di Taizé pregando con le parole del ladrone pentito, e con la musica di Jacques Berthier: 

“Jesus, remember me, when you come into your kingdom”.

Il buon ladrone: un ultimo della società e della vita che arriva per primo.

Gli ultimi saranno i primi...

lunedì 18 aprile 2011

Il bello della preghiera



Niente è più concreto della preghiera.

Può sembrare una bella frase, o una battuta di spirito…

È invece una profonda verità.

Senza il riferimento a Dio la nostra vita perde significato.

Senza il Suo aiuto non riusciamo a vincere il male che è in noi, e fuori di noi.

Senza un tempo dedicato alla preghiera, manca sempre il tempo per fare tutto il resto.

Pregare mi piace, mi dà serenità e mi fa apparire più amabile il volto delle persone.

Pregare rende giovani di spirito, dà forza ed energia e riempie ogni solitudine.

Pregare non costa nulla, si può fare ovunque ed è molto anticonformista. Quindi, è ok.

In questi giorni della Settimana Santa mi piace pregare con la Comunità di Taizé.

Le brevi invocazioni, ripetute più volte, alla fine si identificano con il respiro e ci accompagnano poi per tutta la giornata. Con l’avvincente musica di Jacques Berthier.


“In manus tuas, Pater, commendo spiritum meum!” (Lc 23, 46).

Nelle tue mani, Padre, affido il mio spirito!

domenica 17 aprile 2011

Domenica delle Palme, con Taizé



La Domenica delle Palme dà inizio alla Settimana Santa, i sette giorni che hanno cambiato il mondo e la storia umana.

In questi sette giorni si compie la storia della nostra salvezza.

È Cristo la nostra salvezza. Non solo la salvezza eterna, che rimane il bene primario assoluto; ma anche la salvezza della nostra esistenza terrena.

Ciò che di più bello, di più amabile, di più gioioso, di più umano è in ciascuno di noi, trova piena valorizzazione nell’insegnamento e nella realtà di Gesù Cristo.

Anche la sofferenza e il male, che tanto ci fanno paura e orrore, solo nella passione di Gesù acquistano senso e speranza: la sofferenza e il male non sono l’ultima parola sull’uomo.

L’ultima parola è la Risurrezione; risurrezione dai nostri fallimenti umani, e risurrezione da ogni altro genere di sconfitta, compresa la morte.

Mi piace iniziare la Settimana Santa unendomi spiritualmente alla Comunità di Taizé, con uno dei suoi canti più belli ed intensi:
“Per Crucem”.

Si tratta, come di può notare, di un cànone; le due voci, maschili e femminili, si rincorrono nella medesima melodia.

Questo, come tutti i canti più noti di Taizé, è opera di un grande musicista, Jacques Berthier (1923-1994).


“Per crucem et passionem tuam, libera nos Domine!
Per sanctam resurrectionem tuam, libera nos Domine!"

Per la tua croce e la tua passione, liberaci Signore!
Per la tua santa risurrezione, liberaci Signore!

venerdì 15 aprile 2011

Omaggio all'eroico Vik!



Quando oggi ho saputo del vile assassinio di Vittorio Arrigoni sono rimasto esterrefatto.

Ho conosciuto Vittorio, Vik, tramite i suoi messaggi che venivano postati dalla carissima amica Audrey, e ho avuto modo così di apprezzarlo nella sua attività di costruttore di giustizia e di pace nei territori palestinesi.

Vittorio ha messo in pratica, laicamente, le Beatitudini ricordate nel Vangelo:

Beati i poveri, i miti, i puri di cuore, i misericordiosi, coloro che cercano la giustizia, coloro che soffrono (e Vik, prima di essere ucciso, è stato anche torturato), i costruttori di pace, i misericordiosi, i perseguitati per la giustizia; perché di essi è il Regno dei Cieli.

Chi ha osato violare un’anima così generosa, un cuore così puro, una persona che dedicava senza misura e senza contropartita tutta la sua vita alla causa dei più poveri, dovrà renderne conto a Dio, oltre che alla giustizia umana.

Tu invece, Vik, ti sei guadagnato l’ammirazione del mondo intero e, per ciò che credo, il trono della gloria che Dio riserva ai martiri.

Vorrei per te postare un grande canto di gloria; ma la ferocia e l’assurdità del tuo assassinio ci ricordano che esiste la malvagità umana, quella contro cui tu lottavi continuamente.

Il tuo invito “Restiamo umani”, con il quale concludevi i tuoi messaggi, è stato soffocato dalla barbarie omicida.

Per questo, per non dimenticare un atto così insensato e feroce, preferisco postare la “Totentanz” (Danza macabra), la più drammatica e geniale composizione per pianoforte e orchestra di Franz Liszt, finita di scrivere nel 1859, che riprende il tema gregoriano del Dies Irae, e cioè il giudizio di Dio.

Arrivederci Vik, e grazie di averti incontrato, anche solo virtualmente!


Amicusplato


martedì 12 aprile 2011

Il primo uomo nello spazio. Iniziano le guerre stellari!



Il logo di Google ci ricorda oggi la storica impresa del sovietico Yuri Gagarin, che, a bordo della navicella spaziale Vostok, il 12 aprile 1961 venne lanciato nello spazio e compì un’orbita intorno alla Terra, con un apogeo di 302 km e un perigeo di 175 km, a una velocità di 27.400 km/h.

Fu il primo uomo a volare nello spazio. Un’impresa memorabile, e una sfida agli Stati Uniti d’America.

La guerra fredda stellare tra Urss e Usa era iniziata il 4 ottobre 1957, quando i sovietici lanciarono per primi in orbita un satellite artificiale, il famoso Sputnik, che rimase nello spazio circa tre mesi e poi si disintegrò nel rientro in atmosfera, dopo aver compiuto 1400 orbite e 70 milioni di Km.

La guerra stellare tra le due superpotenze si concluse praticamente il 20 luglio 1969, quando con la missione Apollo 11 l’americano Neil Armstrong mise per primo i piedi sulla luna.

Avvenimenti che ho ben presenti nella mia mente, e che hanno trasformato la fantascienza in realtà vissuta.

Voglio festeggiare alla grande queste imprese, e oggi in particolare, a distanza di 50 anni, quella di Gagarin, con una musica “sovietica”, il III Movimento, “Scherzo-Allegretto”, del formidabile “Quintetto per pianoforte e archi”, in Sol minore, op. 57 (1940), di Dimitri Shostakovich (1906-1975).

Basta un po’ di attenzione per capire subito da dove John Williams ha tratto il suo celeberrimo leitmotiv per Star Wars (Guerre Stellari)…

Stellari non sono soltanto le guerre, ma anche gli artisti che eseguono il brano: Martha Argerich al piano, Mischa Maisky al violoncello, Joshua Bell al violino, Yuri Bashmet alla viola, Henning Kraggerud al secondo violino.

lunedì 11 aprile 2011

Conoscere significa ricordare. Ecco un esempio!



“Conoscere significa ricordare”, diceva Platone.

La frase del filosofo ateniese ha un significato piuttosto diverso da quello che a prima vista può sembrare.

Platone sosteneva che in noi c’è già, innata, tutta la conoscenza; si tratta solo di farla emergere dall’oblio della materialità. Basta perciò un semplice stimolo visivo, un accenno del maestro, un’opportuna indicazione, e il sapere si disvela come per incanto.

Nel dialogo platonico “Menone” uno schiavo analfabeta, dopo alcuni accenni da parte di Socrate sui primi principi della geometria, riesce a dimostrare da sé il teorema di Pitagora.

Aristotele criticò la teoria innatista di Platone. Secondo Aristotele la nostra mente è una “tabula rasa in qua nihil scriptum est”, una lavagna nella quale inizialmente non è scritto nulla. Perciò, “nihil est in intellectu quod prius non fuerit in sensu”, non c’è nulla nell’intelletto, che prima non sia stato nei sensi. Tutto deriva dell’esperienza.

In realtà anche per il filosofo di Stagira la nostra mente ha innati alcuni principi, come quello di essere e di non contraddizione, senza i quali non sarebbe possibile nessuna conoscenza.

Non starò qui a discutere quanto di vero ci sia nell’una e nell’altra teoria gnoseologica.

A me interessa sottolineare la frase platonica da cui siamo partiti: conoscere significa ricordare. E la prendo in un significato meno filosofico e più pratico. Senza memoria non c’è vera conoscenza.

Molti pedagogisti attuali si scandalizzeranno di questa affermazione. Ma l’esperienza ci dice che la memoria è un aspetto fondamentale del sapere.

Imparare a memoria poesie, prose significative, brani di appunti, date storiche, formule matematiche, e via dicendo, significa conoscere le singole materie e avere nella mente un archivio a cui attingere per conoscere la realtà, per ragionare, per sviluppare ulteriori concetti.

E l’uso della memoria è anche fonte di soddisfazione personale.

Infine è noto che l’uso crea l’organo, il disuso lo atrofizza. Per questo molte persone, che a scuola non hanno imparato niente a memoria, sono una tabula rasa e non riescono a fare o dire quasi nulla senza supporti informatici.

Come esempio di quanto la memoria sia affascinante, basta guardare questo video.

La piccola Rachel di 9 anni suona a memoria un difficile e lungo brano pianistico di Hugo Rheinold (1854-1935), il celebre Impromptu, in do diesis minore, op. 28 n. 3. 

Ovviamente non si deve forzare troppo la mente dei bambini.

Ma poiché i ragazzi apprendono facilmente a memoria, perché non si deve, per quanto possibile, sfruttare questa inestimabile capacità dell’età scolare? Per i ragazzi diventa anche una forma di gioco e di abilità. 

Finché siamo in tempo. Poi, dopo la giovinezza, subentra purtroppo l’oblio…

domenica 10 aprile 2011

Una voce "divina" e la musica più "umana"



La voce di Maria Callas e la musica di Giacomo Puccini.
Una voce “divina” e la musica più “umana”.

Nelle opere di Puccini la centralità della figura femminile è una caratteristica fondamentale.

E spesse volte, l’amore appassionato della donna si conclude nel modo più tragico.

Magari un amore non corriposto, ma che ugualmente giunge fino al sacrificio di sé.

Così, ad esempio, è l’amore di Butterfly per Pinkerton, e di Liù per Calaf.

Mi piace postare proprio dalla “Turandot” (1924) l’aria di Liù, “Tu che di gel sei cinta”, nella quale la giovane schiava, innamorata non corrisposta di Calaf, dopo aver sopportato per lui anche la tortura, senza mai rivelare il suo nome segreto, si rivolge alla fredda Principessa Turandot con questa drammatica e intensa melodia, prima di compiere il gesto fatale del suicidio.

La Callas, che ha avuto anch’essa una vita da donna quasi “pucciniana”, interpreta in modo perfetto la parte di Liù.


Aria di Liù  (Turandot, Atto III)

Tu che di gel sei cinta,
da tanta fiamma vinta
l' amerai anche tu!
l' amerai anche tu!
Prima di quest'aurora
io chiudo stanca gli occhi
perché egli vinca ancora...
per non vederlo più!
Prima di quest'aurora,
di quest'aurora,
io chiudo stanca gli occhi
per non vederlo più!

sabato 9 aprile 2011

Voulez-vous danser? Con il ballerino di Gastoldi!



La polifonia a cappella, cioè il canto a più voci senza accompagnamento di alcuno strumento, è affascinante per più motivi.

Anzitutto perché la voce umana è lo strumento musicale più bello.
Un filo di voce intonata batte qualsiasi concorrente, compreso uno Stradivari o uno Steinway…
Se poi la voce è quella della Callas o di Caruso, allora non basta l’Orchestra della Scala o i Berliner Philharmoniker.

La voce umana è diversa negli uomini, nelle donne e nei ragazzi, sia nell’estensione che nel timbro. Queste differenze sono state usate, a partire dal Medioevo, per arricchire il canto monodico (a una sola voce) gregoriano, nell’intenzione di renderlo armonicamente più vario.

È nata così la polifonia, cioè più voci sovrapposte: prima due, poi tre, poi quattro; ma si arriva anche a sei voci, come nella “Missa Papae Marcelli” di Palestrina (1562), uno dei vertici della musica corale di ogni tempo.
Con doppi cori si possono avere composizioni anche a 8, 9, 10 e più voci. Ad esempio, il celebre “Miserere” di Allegri (1630) è a 9 voci, con doppio coro di 5 e 4 voci. È noto che il quattordicenne Mozart nel 1770, dopo averlo ascoltato a Roma due volte, lo trascrisse a mente.

I cori polifonici possono essere composti da voci di un solo tipo, e allora si parla di coro “a voci pari”: coro femminile, coro maschile, coro di voci bianche (ragazzi/e).

Il coro polifonico più comune è quello a voci miste (detto anche “a voci dispari”), in genere a quattro voci: due voci di donne o ragazzi (soprani e contralti), e due voci di uomini (tenori e bassi).

Il canto che presentiamo è “Il Ballerino” di Giovanni Giacomo Gastoldi (1555-1609), a tre voci pari, in questo caso femminili (ma voci bianche): soprani, mezzo-soprani, contralti.

È una polifonia estremamente semplice: il coro procede, nella prima parte, in modo accordale; nella seconda parte la sezione dei contralti si muove in modo più autonomo, mentre quelle dei soprani procedono unitariamente.

Questo brano ha molte cose da dirci.

Anzitutto è piacevole e brillante; non a caso è intitolato “Il ballerino”.

Inoltre, questo tipo di composizione, e cioè il balletto, molto cara a Gastoldi, che ne scrisse molte, ebbe un grande successo, anche tra i musicisti, contemporanei e successivi.

Infine, io credo che non esista coro polifonico che non abbia avuto ai suoi esordi nel repertorio questo brano.

Se uno vuole iniziare a fare polifonia, bastano le tre voci lineari di questo semplicissimo e affascinante canto di danza.


Apprezzabile per la buona volontà il Coro di Pozarevac (Serbia) che esegue. 
Le parole non sempre sono comprensibili, per cui le riporto integralmente (non per il loro valore poetico!).


Il Ballerino

Sonatemi un balletto
Col mio amor voglio danzar
Sonatemi un balletto
Col mio amor voglio danzar
Ch'io prendo gran piacer
Nel ballo a dir il ver
Or via che state a far?
Cominciate a sonar
Or via che state a far?
Cominciate a sonar.

Già pronta è la mia Ninfa
Per voler meco ballar
Già pronta è la mia Ninfa
Per voler meco ballar
E per farmi favor
La man mi stringe ancor
Or via che state a far?
Cominciate a sonar.
Or via che state a far?
Cominciate a sonar.

giovedì 7 aprile 2011

Per i naufraghi di Lampedusa




Non si può passare sotto silenzio la tragedia avvenuta ieri nel Canale di Sicilia, a 40 miglia da Lampedusa.

Un barcone carico di migranti, oltre 300 persone provenienti da vari stati africani, partito dalle coste libiche, ha fatto naufragio mentre era in atto un tentativo di salvataggio da parte di una nave italiana.

Il mare agitato e i profughi a bordo del barcone, che si sono ammassati tutti da un lato nel tentativo di avvicinarsi ai soccorritori, hanno fatto spezzare il natante e 250 di essi sono state inghiottiti dalle onde. Tra loro, anche donne e bambini.

Solo 53 sono stati tratti in salvo.

Stiamo assistendo a un vero e proprio esodo dai paesi africani verso l’Italia, la porta d’Europa per molti disperati.

Oggi non è il momento di disquisire su ciò che possiamo fare nei confronti di questa gente che continua ad avventurarsi in mare per raggiungere le nostre coste.

Oggi è il momento del dolore e della pietà per l’immane tragedia.

Vogliamo onorare le 250 vittime, cittadini della Somalia, della Costa d’Avorio, della Nigeria, del Ciad, del Sudan, del Bangladesh e della Libia, che hanno trovato la morte ad un passo dalla salvezza.

Per loro, uno dei massimi capolavori di Robert Schumann: un’appassionata marcia funebre, dal “Quintetto in Mi bemolle maggiore per pianoforte ed archi”, op. 44, del 1842.

È il II Movimento, “Un poco Andante, In modo d’una Marcia”.

È il nostro modo di accompagnarli nella loro ultima marcia verso la libertà.

mercoledì 6 aprile 2011

Il canto del "cucco"



In questi giorni la primavera sta mostrando il volto della stagione di una volta: cielo limpido, sole sfolgorante, temperature calde.

La campagna è in pieno rigoglio, i boschi profumano intensamente.

Quando la stagione è così favorevole, mi piace fare una bella camminata in collina, tra il verde della campagna e l’azzurro del cielo, mentre un dolce vento (una volta avrebbero detto “zefiro”) ti porta profumi indescrivibili e ti accarezza il viso.

E ieri all’improvviso ho sentito arrivare, dal folto del bosco, l’inconfondibile canto del cuculo...

“Si sentirà cantare il cuculo quest’anno?” dicevano preoccupati i nostri vecchi, mentre erano nel mezzo dell’inverno, nel cantone del focolare, dove ardeva un po’ di legna, e il resto della casa gelava.

Il canto del cuculo segnava la fine certa dell’inverno e l’inizio della buona stagione, in cui non si moriva più, almeno per quell’anno.

Animale freddoloso e pigro, il cuculo arriva a primavera inoltrata per deporre le sue uova nei nidi altrui. 
“È come il cuculo, va a nidi fatti”, diceva un altro proverbio toscano, per canzonare colui che sposava  una ragazze non più illibata.

Altri tempi! Ma non per il cuculo, che, come sempre, torna quando la stagione è bella, va ad occupare abusivamente gli appartamenti altrui dando sfratto esecutivo, e intona contento la sua inconfondibile “terza minore”.

Proprio questo caratteristico e simpatico "canto", che si eleva nei boschi e nelle campagne sopra ogni altro cinguettio, ha ispirato da sempre la creatività dei musicisti, che al verso del cuculo hanno dedicato famose composizioni.

La più celebre, anche se molto breve, è quella che appare nel primo movimento (“Allegro”) dell’Estate di Vivaldi. Un brevissimo ma significativo accenno c'è anche alla fine del II movimento  ("Andante") della  VI Sinfonia ("Pastorale") di Beethoven. Di ampio respiro invece  il Concerto per organo "Il cucù e l'usignolo", di Händel.

Molto famosa la sonata per clavicembalo “Toccata con lo scherzo del cucco”, di Bernardo Pasquini (1637-1710), che avrei postato volentieri, se nel web avessi trovato una clip degna di una così geniale composizione.

Comunque, per averne un'idea:

http://www.youtube.com/watch?v=W4hUXp36REI&feature=related 

Ho preferito ripiegare sulla non meno brillante sonata “Le Coucou”, del grande Louis-Claude Daquin (1694-1772).

Si noteranno, tra lo scorrere delle note, i ripetuti intervalli di terza minore Sol-Mi, La-Fa#, Re-Si, che riproducono il verso del cuculo nelle varie altezze sonore.

Ho sentito cantare il cuculo! Per quest'anno sono a posto...

domenica 3 aprile 2011

Un rondò che fa primavera!



Il rondò è una delle forme musicali più importanti della musica classica.

Nato nel Medioevo come canto polifonico, divenne musica strumentale nel periodo barocco e romantico.

Celebri rondò sono stati composti da J. S. Bach, Mozart, Beethoven, Mendelssohn, Chopin, …

Il rondò ha una struttura ben definita e consiste in un tema principale che si ripete più volte, in forma di ritornello più o meno completo, inframezzato da episodi musicali di carattere e di tonalità diversi.
La compattezza della sua struttura, il ritmo brillante e in genere binario, lo resero quanto mai adatto per concludere sonate, concerti e sinfonie.

Per fare solo alcuni esempi, sono dei rondò i movimenti finali della Sonata per pianoforte n. 11, K. 331, di Mozart (la famosa “Marcia Turca”), della Sonata n. 8 di Beethoven (“Patetica”) e della Sonata op. 58 di Chopin.

Per orchestra, uno dei rondò più belli è stato scritto da Mozart. Si tratta del Concerto per pianoforte e orchestra n. 20, K 466, in Re minore.

Dei 25 concerti di questo genere, il n. 20 è quello oggi maggiormente eseguito. E il motivo è semplice. 

È il più bello in assoluto.

Anzi, si tratta di una di quelle opere che non solo costituiscono il vertice di un artista, ma aprono nuove prospettive e anticipano sensibilità e scenari nuovi.

Si noterà ad esempio come tutta l'orchestra sia coinvolta e valorizzata in ciascuna delle sue sezioni (archi, fiati, ottoni, percussioni), in una costruzione unitaria e variegata che ha del prodigioso; e come al tema proposto dal pianoforte rispondano in un dialogo serrato i vari strumenti con una serie di episodi musicali, nel procedere incalzante verso la magnifica e corale conclusione.

L’unico punto in cui il pianista si concede un lungo assolo (min. 5.04-6.28) è la cosiddetta “cadenza”, un artifcio musicale che l’autore (in questo caso Mozart) non scriveva, ma lasciava al virtuosismo e all’improvvisazione dell’esecutore.

La cadenza che viene eseguita da Gulda è stata scritta nientemeno che da Beethoven, il quale ammirava in modo particolare questo concerto; ne scrisse un’altra per il I Movimento, “Allegro”, che ho già postato in questo blog.

Un’ultima parola per Friedrich Gulda, il pianista-direttore (1930-2000).
Non posso nascondere la mia ammirazione per questo geniale interprete di Beethoven e di Mozart, un esecutore fuori dai soliti schemi paludati; grandissimo nella tecnica ed ancor più nella espressività.

I suoi concerti sono sempre una lezione indimenticabile.

Un genio del pianoforte, di cui il compatriota Mozart può essere fiero.

sabato 2 aprile 2011

La quarta guera punica (pasquinata)





Er primo tunisino, me cojoni,
che c’invase fu Annibale de’ Barca.
Mò arrivan da Cartaggine i barconi,
e in Cicilia ‘na cifra ormai ne sbarca.

Ma Annibale da ‘a Spagna aprì la pista,
e de Francia calò in la nostra tera.
Mò Zzappatero fa sparare a vista
e li francesi han chiuso la frontera.

Ce vorrebbe de novo lo Scipione,
quer che co’ l’elmo se cinse la testa,
per rimannare ‘ndietro l’invasione
che cresce a vista d’occhio e nun s’aresta.

Per rimanna’ a Cartaggine ‘sta ggente
nun basta fa’ ddecreti su la carta.
Qui ce vole qualcuno, gnente gnente,
che fa ‘na guera punica, la quarta.