giovedì 31 marzo 2011

Le sette opere di misericordia virtuale

 














Tutti (o quasi) conosciamo le sette opere di misericordia corporale.
Sono il massimo della carità umana e cristiana.

"Dar da mangiare agli affamati, dar da bere agli assetati, vestire gli ignudi, alloggiare i pellegrini, visitare gli infermi, visitare i carcerati, seppellire i morti".

Ci sono poi le sette opere di misericordia spirituale, meno conosciute, ma non meno importanti; ne ricorderò solo una: "insegnare agli ignoranti".
Oggi sembra che ce ne sia molto bisogno...

Siamo nel web. Mi pare perciò opportuno proporre, tra il serio e lo scherzoso, un terzo tipo di opere di misericordia, di carattere ovviamente virtuale.

A differenza delle altre, l'opera buona qui consiste nel NON FARE qualcosa.
Tranne l'ultima. Quella è bene ribadirla con forza.


Le sette opere di misericordia virtuale


1. Non dar da mangiare agli affamati trolls. Soffrono di bulimia di tipo web 2.0.
Sono insaziabili. Non finiscono il pasto, finché non ti hanno spolpato.

2. Non dar da bere agli assetati di karma (o karisma). Più bevono e più hanno sete.
Ti lasciano a secco, mentre loro si sbronzano con i tuoi voti.

3. Non vestire gli ignudi fakes. Non sono nudi, sono apparenze fasulle. Sotto il nome, niente.

4. Non alloggiare i pellegrini dello spam, che vagano nel web e cercano di infestarti con i loro messaggi; e quando se ne vanno, ti portano via sempre qualcosa.

5. Non visitare i malati blog pieni di virus. Più ne stai alla larga, più il tuo PC sarà immune da MST virtuali. Non esiste un condom antivirus a protezione totale.

6. Non visitare i prigionieri del fanatismo, quelli che nella vita hanno letto un solo libretto, di colore unico. Se mai, cerca di farli evadere dal carcere in cui si sono rinchiusi.

7. Seppellire i morti regimi (nazi, fasci, com). Non provare a farli rivivere. Spaventerebbero i passanti.


Siamo in Quaresima.  Tra le altre opere buone, non dimentichiamo quelle virtuali!


Nella foto: "Le Opere di Misericordia" (1526-28), Santi Buglioni, Ospedale del Ceppo, Pistoia

mercoledì 30 marzo 2011

Dedicata a Saamaya











Ho un’amica che solo raramente
viene a trovarmi in questa sede mia.
Spiritosa, simpatica, attraente,
commenta con gran garbo e vola via.

Come Giulietta, a me pare che sia
della sostanza in cui son fatti i sogni:
libertà, vento, soffio, poesia;
ma sempre attenta ai più vari bisogni.

“Figli del vento” sono i suoi pensieri,
s’alzano fino in cima all’Himalaya,
volan nel cielo rapidi e leggeri…
Sto parlando di te, cara Saamaya!

I primi amori non si scordan mai;
amori virtuali, ben s’intende!
E fin dal primo dì che t’incontrai,
ho notato le tue doti stupende.

Ti piaceva Matisse (anche a me piace),
le sue coloratissime pitture;
l’arte, la poesia, l’humor mordace,
e scriver senza sgrammaticature…

Ma soprattutto, tu sei come il vento,
ami la libertà, ami sognare;
“soffi” i tuoi semi con il sentimento
che un mondo nuovo possa germogliare.

Ami la poesia, figlia del vento;
e quando ho dedicato una canzone
a qualche nostra amica, il tuo commento
avea nel tono un po’ di commozione.

Tante volte (tre anni son passati!)
ho pensato di farti qualche rima.
Ma i giorni come il vento son volati,
e noi non ci incontriam più come prima.

Ma ieri quando ho visto il tuo commento,
breve, ma sì carino e intelligente,
e l’esotico nick a complemento,
solo un pensier mi è entrato nella mente.

Un pensiero per te, Saamaya cara,
che forse chissà quando leggerai.
Ma non importa! ormai la cosa è chiara.
Per te il mio affetto non finirà mai!


Amicusplato

martedì 29 marzo 2011

L'ora legale fa i suoi effetti! (strambotto)















Cari amici, il tempo è poco,
vi saluto per un poco;
non piangete per sì poco,
sono un blogger che val poco.

Le nottate duran poco
e già pria scrivevo poco;
per dormire almeno un poco
chiudo il blog, ma sol per poco...

Sto scherzando con il poco!
Ormai infatti, a poco a poco,
sto imparando (ci vuol poco)
quest’orario che val poco.

Il colpevol, molto o poco,
è un orario strambo un poco,
che mi ha fatto far, di poco,
lo strambotto sopra il poco.


Amicusplato


domenica 27 marzo 2011

L'ora legale (lamento di Pasquino)












Anche ar sole se vole comannare!
Lo Stato da stanotte j' ha ordinato
d’ alzassi un’ora prima, e tramontare
un’ora doppo; e ‘r sole s’è adeguato.

Nun c’è più gniente ar monno de normale.
Le staggioni ‘un son più come 'na volta,
mo’ ce sta ppure quest’ ora legale,
ommini e donne vanno a briglia sciolta...

L’ora legale me sta su' cojoni.
Scrivo de nnotte, quanno ‘un c’è 'r brusire.
Ma se fan nasce' er sole tra i lampioni,
quanno ci ho ‘r tempo d’annà un po’ a dormire?

Dormirò 'n piedi, come Bberlusconi.


Amicusplato

venerdì 25 marzo 2011

L'inizio di un mondo nuovo



Quando si dice Anton Diabelli (1781-1858) vengono subito in mente, a chi ha un po’ di confidenza con la musica classica, le sonatine per “piccole mani”, cioè quelle facili composizioni che si imparano da ragazzi all’inizio dello studio di uno strumento, in particolare il pianoforte.

In realtà l’austriaco Diabelli è un autore fecondissimo e ha scritto per ogni genere di strumenti, e ogni genere di musica, facile e difficile, sacra e profana.

Diabelli fu anche il primo editore delle opere di Schubert, pagandole poco e guadagnandoci molto. Al povero Schubert rimase in pratica solo… la gloria.

Il nome di Diabelli è infine legato alle “33 Variazioni per pianoforte”, op. 120, che Beethoven compose su di un tema (valzer) del musicista austriaco.
La magnifica composizione è nota infatti come “Variazioni Diabelli”. Con un po’ di enfasi, ma che rivela lo spessore dell’opera, Alfred Brendel le ha definite “la più grande di tutte le opere per pianoforte”.

La piccola e simpatica pianista giapponese esegue, praticamentte alla perfezione (anche con espressione!), di Anton Diabelli il “Rondò” finale, “Allegro, ma non troppo”, della Sonatina op. 151 n. 4, in Do maggiore (erroneo il n. 3 del Video).

Nel giorno dell’Annunciazione del Signore Gesù Cristo, questo piccolo contributo musicale vuole essere il segno di un mondo nuovo.

Un mondo nuovo con il volto di questa bambina di 8 anni che sorride dopo aver eseguito a memoria una sonatina di Diabelli.

Il volto di un mondo che riscopre i valori dell’arte, della poesia, della musica, della cultura in genere, fondamento di ogni civile convivenza.

Un mondo più pulito, e non solo dall’inquinamento nucleare.


mercoledì 23 marzo 2011

La sfida dei samurai





Una cosa che mi ha fatto grande piacere in questi giorni è vedere come questo blog abbia dei visitatori dal Giappone.

Magari sono italiani che hanno là residenza, oppure vi si trovano per motivi di lavoro. Non credo che siano dei turisti per caso…

Comunque sia, sapere che in questo momento così difficile c’è qualcuno del paese dei samurai che legge i miei post, mi dà grande soddisfazione.

Chi segue questo blog sa quanto io stimi il Giappone, quanto ammiri la sua cultura, le sue tradizioni, la sua straordinaria capacità di resistere alle più incredibili avversità.

Solo per limitarmi ad un aspetto, il Giappone mi affascina con i film di Kurosawa, da “I sette samurai” alla “Sfida del samurai”; film che ha dato a Sergio Leone più che uno spunto per il suo capolavoro, Per un pugno di dollari.

Qualcuno potrebbe pensare che i samurai rappresentino il passato di questo popolo fiero e coraggioso.

In realtà i samurai stanno ancora combattendo. Sono intorno e dentro la centrale di Fukushima.

Non hanno di fronte dei nemici con le armi in pugno; ma un nemico ben più pericoloso, perché invisibile.

Sanno che la vittoria costerà loro la vita, ma sono lì per salvare quella degli altri.

Alle Termopili, nel 480 a. C.,  i trecento spartani di Leonida salvarono la civiltà della Grecia e del mondo libero.

Oggi, a Fukushima i 150 samurai giapponesi combattono per salvare il Giappone e la nostra civiltà.

Alle Termopili il monumento che è stato innalzato a Leonida porta la scritta: “Molòn labè”, una sfida a Serse e al suo esercito di un milione di soldati.
Alla richiesta di Serse, di cedere le armi per aver salva la vita, Leonida rispose: “Molòn labè”, Vieni a prenderle!

I samurai giapponesi, che ormai dall’11 marzo stanno combattendo una lotta mortale, hanno detto la stessa cosa alle forze scatenate dalla natura e dalla centrale atomica.

Queste hanno lanciato il loro ultimatum: Andatevene, fuggite, salvate la vostra vita; e abbandonate le vostre deboli armi!

Il samurai rispose: “Vieni a prenderle!”


Nel poster: Toshiro Mifune, protagonista di "Yojimbo" (La sfida del samurai), di Akira Kurosawa, 1961

martedì 22 marzo 2011

Dalla penna a word





 Alle Elementari, metà anni ’50, ho imparato a scrivere con la penna, il pennino e l’inchiostro del calamaio. Quasi come al tempo dell’alto Medio Evo.

Il problema principale erano le macchie d’inchiostro. Nei quaderni, nelle dita, nel grembiule e talora anche nel viso. Per i rimproveri della maestra a scuola e il sapone (e bruschino) della mamma a casa.

Alle Medie, fine anni 50-inizio anni 60, comparve la “biro”. Una rivoluzione epocale.
Strumento tascabile e di pochissima spesa. Niente più macchie d’inchiostro. Visi puliti all’uscita dalla scuola. Nessun problema né con gli insegnanti né con la mamma.

Preparai il programma di terza media con la macchina da scrivere, una usurata Remington della scuola. 
Fu il mio primo incontro con una tastiera. Naturalmente alla velocità di due dita. 
I problemi più grossi erano con la carta-carbone (ve la ricordate?)

Dalla tastiera della macchina da scrivere a quella del “computer”, negli anni ’80, e relativa “stampante” (a aghi). Un’altra rivoluzione epocale, che ho vissuto dall'altra parte della barricata, come insegnante.

Niente più errori di scrittura (correzione in itinere), niente più fogli da buttar via con infiniti ricominciamenti da capo. Tutto esce perfetto dalle "mani" della stampante, avrebbe detto Rousseau.

Ora c’è internet. Si legge e si scrive on-line. Bastano le dita.

In poco più di mezzo secolo siamo passati dall’epoca degli amanuensi alla videoscrittura.

Dalla penna (quasi) d’oca a word.

Incredibile, ma vero!


lunedì 21 marzo 2011

Un frammento di eternità



Ci sono alcuni giorni dell’anno particolarmente significativi.

Il 21 di marzo è uno di questi.

È il giorno perfetto (ma anche il 23 di settembre, che però apre all’autunno..): dodici ore di sole, dodici ore di buio. Da nord a sud, da est a ovest.

Inizia la primavera. A me l’inverno piace poco, ergo…

Musicalmente viene subito da pensare a Vivaldi, al primo concerto del “Cimento dell’Armonia”.
Cimento, che? Sì, la prima delle cosiddette “Quattro Stagioni”, la Primavera, con la sua festosa e affascinante apertura.

Ma il mese di marzo, e in particolare il 21, a me fa venire in mente quella che considero la più bella canzone di Lucio Battisti: “I giardini di marzo”.

“I giardini di marzo si vestono di nuovi colori”…

“Al 21 del mese i nostri soldi erano già finiti”…

“Il carretto passava e quell’uomo gridava: gelati!”..

Prosa e poesia assieme, di Mogol; ma che diventano poesia pura con il rivestimento musicale, in sol diesis minore, di Battisti.

La magia di questa canzone (come del resto di tutte le canzoni di Mogol-Battisti) sta proprio in questo: minimali le parole di Mogol, minimale il rivestimento armonico di Battisti; due minimalismi, che fanno un "massimalismo" perfetto.

Questa è la riprova della verità di quanto afferma la teoria della Gestalt, e cioè che il tutto è superiore alla somma delle sue parti.

Il tutto in un frammento di tempo, del 1972.

Un frammento di eternità.

domenica 20 marzo 2011

Er Crocifisso in appello (pasquinata)





Un anno fa li ggiudici europei
avevono schiodato er Crocifisso
e con du’ calci ne li zebedei
da le scole l’avevono estromisso.

Ora hanno fatto come 'r centurione,
se son pentiti der peccato impuro;
sono annati a cavarlo da 'r secchione,
l’han ripulito e l’han rimesso ar muro.

“Io qui me trovo bbene e nun me schiodo
- er Crocifisso mo’ ne dice dua -
e se qquarcuno arprova a cambiar lodo,
je dò lo sfratto io, mortacci sua!”


Amicusplato


Per la prima pasquinata "Er Crocifisso", vedi: http://semperamicus.blogspot.com/2009/11/er-crocifisso-pasquinata.html

sabato 19 marzo 2011

Giuseppe, il falegname di Nazaret


Non posso lasciar passare la festa di S. Giuseppe senza rendere onore al padre putativo di Gesù e sposo della Vergine Maria.

Il Vangelo di Matteo lo definisce “vir iustus”, uomo giusto (Mt 1, 19). 
E la giustizia, nella Sacra Scrittura, è la somma di tutte le virtù, umane e religiose.

Giuseppe, con la sua fede assoluta in Dio, ha salvato dall’infamia Maria incinta, sposandola.

Giuseppe è colui che ha dato il nome, e il cognome, a Gesù.
Il nome è indicato dall’Angelo, ma il cognome viene dalla tribù di Giuda, alla quale apparteneva il falegname di Nazaret.

Proprio da questa tribù, la prima delle 12 d’Israele, doveva provenire il Messia, la tribù del re David. 
E Giuseppe è chiamato infatti “figlio di David” (Mt 1, 20).

Giuseppe è colui che ha salvato la vita a Gesù dall’eccidio di Erode, con la fuga in Egitto; ed è colui che alla morte del persecutore ha riportato in patria il Figlio, nel paese di Nazaret, dal quale, secondo un proverbio ricordato da Natanaele, “non poteva venire niente di buono” (Gv 1, 46).

E invece sarà proprio in questo paese poco referenziato che Gesù passerà tutti gli anni giovanili, e da qui partirà per la sua missione di salvezza. E da questo paese prenderà l’appellativo: il Nazareno (Mt 2, 23).

Giuseppe ha insegnato il mestiere di falegname al Figlio di Dio.
Colui che ha creato dal nulla tutte le cose, ha voluto apprendere un mestiere da un umile artigiano.
Il Figlio di Dio diventa "figlio del falegname" (Mt 13, 55).

Nel Vangelo non è riportata alcuna parola di Giuseppe. Ma senza di lui, né Gesù né Maria avrebbero potuto compiere la loro missione di salvezza.

Giuseppe ha parlato con la sua vita.


Auguri a tutti coloro che portano questo biblico nome, sia al maschile che al femminile.

In particolare, auguri a Papa Benedetto XVI, Joseph Ratzinger.

Auguri a tutti i babbi, o papà, come dir si voglia.


Nella foto in alto, "Tondo Doni" (1506-1508), Michelangelo, Galleria degli Uffizi, Firenze

venerdì 18 marzo 2011

C'è un giudice a Strasburgo!



“C’è un giudice a Strasburgo!” si potrebbe dire, prendendo spunto dal celebre detto berlinese.

La Corte europea dei diritti dell’uomo di Strasburgo ha oggi infatti stabilito, con sentenza definitiva, che l’esposizione del Crocifisso nelle scuole pubbliche italiane non costituisce violazione dei diritti di libertà religiosa. La “Grande Camera” ha sentenziato quasi all’unanimità (15 voti a 2).

Chi aveva promosso la causa contro l’Italia (addirittura!) è un’italiana di origine finlandese, alla quale dava fastidio il Crocifisso nelle scuole frequentate dai due figli.

Forse la signora avrebbe prima dovuto fare causa alla sua patria di origine, la Finlandia, che fa sventolare ogni dì sopra la testa dei suoi cittadini una bandiera nazionale caratterizzata da una grande Croce blu che l’attraversa in lungo e in largo.

Il Crocifisso è simbolo non solo della nostra identità nazionale, che proprio ieri abbiamo celebrato del suo 150° anniversario, ma esprime anche i valori più grandi della civiltà umana: amore, accoglienza, fraternità, giustizia, perdono, pace; valori che Cristo ha insegnato, fino ad accettare per essi la morte in croce, appunto.

La scuola in particolare è il luogo dove questi insegnamenti, qualunque sia la religione o non religione di chi vi opera a qualsiasi titolo, hanno e devono avere il primato assoluto, affinché le discipline che vi si studiano divengano strumenti efficaci di una civile convivenza.

Una presenza muta, quella del Crocifisso, che non disturba nessuno; ma che insegna a tutti per quali ideali si dovrebbe vivere e, se necessario, anche morire.

Per esprimere la soddisfazione per questa sentenza posto il bellissimo “Crucifixus” di Antonio Vivaldi, dal "Credo" in Sol maggiore, RV 592.


Crucifixus etiam pro nobis
sub Pontio Pilato
passus
et sepultus est.

Per noi fu anche crocifisso
sotto Ponzio Pilato
patì
e fu sepolto.

giovedì 17 marzo 2011

L'unità d'Italia e Domenico Scarlatti



Nel suo messaggio al Capo dello Stato Giorgio Napolitano in occasione dei 150 anni dell’unità d’Italia, Benedetto XVI ha fatto due osservazioni molto acute, che hanno colpito la mia attenzione.

La prima è che “il processo di unificazione avvenuto in Italia nel corso del XIX secolo e passato alla storia con il nome di Risorgimento, costituì il naturale sbocco di uno sviluppo identitario nazionale iniziato molto tempo prima”.
Le origini sono nel Medioevo, e l’opera della Chiesa è stata fondamentale per la costruzione di una identità comune, pur nella varietà degli stati regionali.

Benedetto XVI (e questa è la seconda osservazione) ha indicato anche alcune figure di artisti sommi che hanno contribuito alla formazione della cultura italiana, nella letteratura, nella pittura, nella scultura, nell’architettura, nella musica.

Se scontate possono apparire le figure di Dante, Giotto, Petrarca, Michelangelo, Raffaello, Caravaggio, Bernini e Borromini, meno scontate appaiono per la musica le due figure da lui indicate: Palestrina e (Domenico) Scarlatti.

Palestrina in effetti è colui che più di ogni altro, con le sue magnifiche costruzione corali, segna il passaggio dal gregoriano alla polifonia, cioè dalla musica antica e medievale, a quella moderna.

E Domenico Scarlatti? È il rivoluzionario del clavicembalo, che da semplice strumento salottiero e di accompagnamento (il cosiddetto basso continuo) diviene con lui il protagonista dei concerti, anticipando quello che sarà il ruolo del pianoforte.

Solo un fine conoscitore della musica (e anche da questo si capisce che Benedetto XVI lo è) poteva indicare questi due personaggi, per i profani addirittura semisconosciuti.

Per onorare e concludere questa giornata postiamo perciò la Sonata in Si minore, K 27/L 449, di Domenico Scarlatti, eseguita da uno dei più grandi pianisti del XX secolo, Arturo Benedetti-Michelangeli.

La perfezione italiana, nel brano musicale e nell’esecutore.

Lo Stato italiano ha 150 anni. E li dimostra



In occasione del 150° anniversario dell’unità d’Italia, nata come Stato unitario il 17 Marzo 1861, un po’ di sano amor di patria non fa male di certo.

L’amor di patria non può reggersi però solo sui “sacri confini” o su di un astratto principio di “Stato”; ma sulle sue profonde radici popolari, sulla cultura e sui valori che da sempre lo hanno caratterizzato, che sono principalmente i valori cristiani.

Lo Stato deve essere laico, certamente, e cioè rispettoso di tutte le idee, ma non laicista; quindi deve saper riconoscere i valori che lo tengono unito e gli danno l’identità propria.

“Perché non possiamo non dirci cristiani”, ha scritto il laico Benedetto Croce, riconoscendo nell’eredità culturale cristiana il principio fondamentale della nostra nazione e dell’intera Europa.

Un’Italia che cancella le sue radici culturali e i segni dell’identità cristiana sarebbe destinata allo sfacelo sociale. 

Non si può, per il rispetto delle minoranze o addirittura di singole persone, cancellare ciò che di più caro e radicato è nel cuore della stragrande maggioranza degli italiani.
Sarebbe una curiosa “dittatura delle minoranze”.

In occasione del primo centenario dello Stato unitario (1961), Garinei e Giovannini scrissero la commedia musicale “Rinaldo in Campo”. È la storia del brigante siciliano Rinaldo che si innamora di Angelica e per amore di lei, sostenitrice di Garibaldi, diventa garibaldino.

Mi pare opportuno riproporre, anche nel 150° anniversario, dal Rinaldo in Campo, il coro “La Bandiera”. La musica è di Domenico Modugno, che della commedia fu anche il grande protagonista. Nel cast c'erano artisti del calibro di Delia Scala (Angelica), Franco Franchi e Ciccio Ingrassia.

L’articolo 12 della Costituzione dice: “La bandiera della Repubblica è il tricolore italiano: verde, bianco e rosso, a tre bande verticali di eguali dimensioni”.

Le parole del brano musicale non sono certo “La canzone all’Italia” del Petrarca.

G & G evidentemente si sono fatti prendere da un po’ di commossa retorica, giustificata dalla solennità del centenario.

Oggi, a cinque decenni da questo testo, le cose sono molto cambiate. La retorica patriottica, poi, non è di  gran moda...

E quelli che vorranno festeggiare il 200° anniversario, dovranno ritrovare nel frattempo le ragioni ideali dello stare insieme.

Altrimenti il tricolore rimarrà solo una bandiera sportiva.

Buon compleanno, Italia!

lunedì 14 marzo 2011

La posta in gioco



Il Giappone ha stupito il mondo per la sua compostezza di fronte all’immane tragedia del terremoto e tsunami dell’11 marzo.

Ancora non sappiamo bene come si evolveranno le cose, perché le conseguenze di quel terribile venerdì nero sono ben lungi dal dirsi concluse. Ora infatti incombe lo spettro nucleare di Fukushima.

Ma siamo in una nazione dove la tecnologia è al livello di eccellenza, e ciò che oggi è possibile fare per evitare una catastrofe in tal senso, lì certamente si è in grado di farlo.

Altrimenti possiamo dire che l’11 marzo 2011 ha segnato per tutti la Waterloo della modernità.

In effetti, ciò che si sta combattendo in questi giorni in Giappone non è solo qualcosa che riguarda quella nazione. La posta in gioco è molto più alta.

Si tratta di stabilire se l’uomo sia in grado di imbrigliare le forze della natura e trarne i maggiori vantaggi possibili, oppure se sia diventato ormai un “apprendista stregone” non più in grado di tenere a bada le forze che egli stesso ha scatenato.

Si sta combattendo una lotta decisiva tra il il Dottor Faust e Mefistofele.

È la sfida del samurai, dalla quale dipende in qualche modo l’avvenire della modernità.

Io sono certo che, alla fine, ancora una volta il samurai avrà la meglio.

Non ci sarà harakiri; ma certamente la lotta sarà durissima.

E quando avrà vinto, avrà vinto anche per noi.

Ascoltiamo perciò, come segno di speranza, il piccolo concerto di una partecipante al “Kawai Piano Competition”.

Non dobbiamo dimenticare che il Giappone è uno dei maggiori produttori al mondo di strumenti musicali. La Yamaha è nata nel 1887 proprio come fabbrica di pianoforti; non per niente ha per logo tre diapason.

Nel 1927 fu fondata da Koichi Kawai l’omonima fabbrica di pianoforti, e l’azienda si fece in seguito promotrice di importanti accademie musicali.

Dalla giovanissima e bravissima concorrente sono eseguiti la Mazurka in Sol minore, op 67 n.2, di Chopin; l’Invenzione a due voci n. 12, il La maggiore, di J. S. Bach; il Valzer, op. 38 n. 7, di Grieg.

Tre brani di epoche diverse, che hanno in comune la bellezza.

E la bellezza salverà il mondo.

domenica 13 marzo 2011

La forza della natura e il coraggio dell'uomo



Risultano sempre più impressionanti le conseguenze del terremoto e dello tsunami che ha colpito il Giappone.

Più di 10.000 le vittime, nella zona di Sendai, la città più vicina all’epicentro del sisma, 130 km al largo dell’Oceano Pacifico.

La magnitudo è stata indicata con più precisione nel 9° grado della scala Richter; una potenza immane. Eppure la morte è arrivata soprattutto dal  mare, con lo tsunami, che ha viaggiato con onde gigantesche a 700 km all’ora e ha travolto persone, animali e cose.

Tre reattori della centrale atomica di Fukushima sono stati gravemente danneggiati con fuoriuscita di materiale radioattivo e conseguente contaminazione umana e ambientale, da determinare nella sua gravità. 
Torna un incubo che i giapponesi pensavano fosse svanito per sempre.

Una vita sociale sconvolta, a cui però si contrappone la compostezza dei comportamenti della popolazione, che lascia ammirati. Questa disciplina non si improvvisa. È frutto di una costante educazione, che parte dall’infanzia e da una tradizione secolare.

Un’economia in grave difficoltà. Una delle massime potenze mondiali è stata messa in ginocchio in due minuti e mezzo.

Perfino la Terra ha fatto un sobbalzo. Il suo asse di rotazione si è spostato di almeno 10 cm.
Gli esperti assicurano che non ci saranno conseguenze nel clima, nell’andamento del pianeta, e così via. Staremo a vedere. 

Mi ha fatto impressione sapere che ieri il “Maggio Musicale Fiorentino”, in tournée in Giappone per il 150° dell’unità d’Italia, ha eseguito, come da programma, la “Tosca” di Puccini, diretta da Zubin Mehta.

Il teatro di Yokohama era pieno. Gli spettatori hanno accolto con un lunghissimo applauso (18 minuti) le parole di Zubin Mehta che ha dedicato l’opera alle vittime del terremoto.

Il dramma di Tosca e Cavaradossi si è aggiunto a quello reale del popolo giapponese.

Domani il “Maggio” eseguirà a Tokio “La forza del destino”, di Giuseppe Verdi.

Il titolo dell’opera fa una certa impressione…

Ma di quest’opera noi postiamo la stupenda preghiera alla Vergine degli Angeli, perché il suo manto protegga la nazione giapponese in questo drammatico momento della sua storia.

sabato 12 marzo 2011

La tremenda battaglia dei samurai




Non ci sono parole per descrivere il tremendo terremoto che ieri, 11 marzo, alle ore 14,45 (6,45 in Italia), ha sconvolto il Giappone, con centinaia di vittime, grandi devastazioni e allarme nucleare.

È stato già definito “il più grande terremoto della storia giapponese”, che pur ne ha visti tanti, purtroppo.

Un terremoto di magnitudo 8,9, che ha perfino spostato di 10 centimetri l'asse terrestre.

Un vero “giorno d’ira” della natura.

Se un simile evento si fosse verificato in Italia, l’intera penisola sarebbe stata rasa al suolo.
Per fare dei paragoni, il terremoto del Friuli del 1976 fu di magnitudo 6,4 e quello dell’Aquila del 2009 fu di 5,9;  misurati nella scala Richter.

Sono vicino con il cuore al popolo giapponese, che contro il flagello del terremoto ha ormai da tempo ingaggiato un’eroica lotta, da veri samurai, con ogni accorgimento di carattere tecnico-scientifico.

Ciò ha evitato un'immane tragedia.

Voglio onorare il coraggio e l’eroicità di questa grande nazione con la colonna sonora di uno dei suoi film più significativi: I Sette Samurai, di Akira Kurosawa (1954). La colonna sonora è di Fumio Hayasaka.

Come i sette samurai, guidati da Toshiro Mifune, sconfissero la banda di predoni delle  indifese terre dei contadini, anche questa volta il moderno Giappone saprà vincere la battaglia contro il suo più antico e temibile avversario.

Coraggio, Giappone!




venerdì 11 marzo 2011

Una viola che fa primavera



Quando il tempo lo permette, sia quello atmosferico che quello lavorativo, mi piace fare una bella camminata per i boschi, nelle colline che sovrastano la mia città.

E stamani mi sono fatto una bella e salutifera camminata.

Quest’anno tutto è un po’ in ritardo, per il freddo che ha caratterizzato la stagione invernale.

Ma ho visto finalmente per la prima volta, ai bordi di un fossatello, le prime viole.

Le viole! Quando ne vedo una, penso che l’inverno sia ormai passato, e inizi la primavera.

Si tratta della viola a mammola, ma in certo senso la identifico con la “viola del pensiero”, perché  quando la vedo mi ritornano in mente dei bellissimi ricordi.

Mi ricordo ad esempio che, alle Elementari, la Maestra ci portava in questo periodo a fare una bella passeggiata nel bosco vicino alla scuola (abitavo in un paese di campagna), proprio per cercare le violette. Sempre prima del 25 di Marzo, altrimenti perdevano valore… Così dice una tradizione toscana.

Mi ricordo dell’inizio della poesia del Pascoli, L’Aquilone:

“C'è qualcosa di nuovo oggi nel sole,
anzi d'antico: io vivo altrove, e sento
che sono intorno nate le viole.”

Anche il Pascoli, col profumo delle viole, ritorna con il pensiero ai suoi anni da studente.

E con le viole del Pascoli, mi viene in mente un altro poeta, meno conosciuto, ma non meno significativo, Giulio Salvadori (1862-1928), e una sua poesia: Accenna il cuore.

“Piega , o mortale, al peso uman le spalle
giù, tra i fratelli, a migliorarti intento;
e del mistero avrai l’alta parola.

Sarai com’arbor posto nella valle,
cui schermo è il monte all’impeto del vento;
e al piè gli s’apre l’umile viola”.

Il Salvadori ci invita a farci solidali con i fratelli,  unico modo per capire il mistero di Dio  Padre, e al tempo stesso vedremo anche i primi e affascinanti segni di ripresa della vita, rappresentata da quell’ “umile viola” che sboccia al riparo del vento.

Il Pascoli apprezzò molto questa poesia e quando, nel 1897 a Roma, ebbe modo di conoscere personalmente il Salvadori, gli andò incontro recitando a memoria l’ultima terzina della poesia: “Sarai com’arbor posto nella valle / cui schermo è il monte all’impeto del vento / e al piè gli s’apre l’umile viola”.

Bellissima!

Mi pare logico postare perciò un concerto per Viola. Niente a che fare con la viola a mammola, né con quella del pensiero. Ma sempre di una viola si tratta...

La viola, come ben noto, ha dimensioni maggiori del violino (circa di un 1/7) ed un suono più grave, con un timbro caldo e pastoso.

Ascoltiamo il celeberrimo Preludio dalla Suite n. 1 per violoncello, di J. S. Bach; il brano viene eseguito frequentemente anche nella trascrizione per viola.

Esegue la violista Nokuthula Ngwenyama (classe 1976), americana originaria dello Zimbabwe, eccellente anche come violinista.

Nel vedere questa bella violista, mi viene in  mente una poesia di Alceo dedicata a Saffo: "O Saffo, dai capelli di viola..."


mercoledì 9 marzo 2011

Le Ceneri. Non solo un pizzico di polvere...



Le Ceneri. Il simbolo più evidente della nostra condizione umana.

Nonostante i progressi della scienza e della tecnica, nonostante filosofie roboanti (penso in particolare all’idealismo assoluto di Hegel e al superomismo di Nietzsche), nonostante il velo di silenzio che cerchiamo di stendere su questo aspetto della vita, l’uomo alla fine è un mucchietto di cenere.
E oggi la Chiesa, con sano realismo, ce lo ha ricordato, mettendocene un pizzico sulla testa.

"Semel in anno licet insanire", una volta all’anno è lecito impazzire, con il Carnevale.

E allora è bene che una volta all’anno, e subito dopo il Carnevale, sia lecito anche rinsavire.

La superbia umana, che cerca di esorcizzare l’insostenibile leggerezza dell’essere, viene smascherata nella sua vacuità da un pizzico di polvere.

Ammiro invece il Leopardi che, ne "La Ginestra", dinanzi alla vastità delle ceneri nelle pendici (“le rive”) del Vesuvio, usa queste parole, nei confronti di coloro che già nel XIX secolo vedevano per l’uomo solo un avvenire radioso:

“Dipinte in queste rive
son dell’umana gente
le magnifiche sorti e progressive.
Qui mira e qui ti specchia,
secol superbo e sciocco”. (La Ginestra, vv. 49-53)

Si è visto nel XX secolo quali “magnifiche sorti e progressive” l’umanità abbia sperimentato.

Ma non seguo il Leopardi un un punto fondamentale. Quelle ceneri del Vesuvio per lui sono il simbolo della cattiveria della Natura matrigna, che ci ha generati alla sofferenza e alla morte.

Invece le Ceneri che la Chiesa ci ha posto sulla testa sono le ceneri che vengono dal fuoco acceso nella notte di Pasqua, cioè sono simbolo di morte e di risurrezione.

È vero, l’uomo è mortale. Ma quelle ceneri sono destinate alla Risurrrezione, come Gesù Cristo.

“La Rapresentatione di Anima et di Corpo”, di Emilio de’ Cavalieri (1550-1602) è il primo esempio di “Oratorio” musicale, eseguito in Roma nell’Oratorio della Vallicella, nel febbraio del 1600.

È il “recitar cantando” che inizia in contemporanea con la Camerata de’ Bardi a Firenze. Sono i primordi dell’opera lirica, un momento fondamentale per la storia della musica.

Il brano che postiamo (Atto I, Scena 1) esprime bene il significato della realtà umana. La vita terrena è fugace; ad essa segue la vita eterna.

Ognuno è chiamato ad una scelta.

martedì 8 marzo 2011

Mimose per Bianca













C’è una donna che voglio oggi cantare,
nel giorno in cui fiorisce la mimosa;
una donna che è assai particolare,
non so neppur se gradirà la cosa...

Forte e dolce, carina e battagliera,
pungente assai, ma con un cuore d’oro,
un lingua che taglia, eppur sincera.
È un femminil simpatico ossimòro.

La trovi a OKnotizie, la maliarda,
soprattutto di notte; dorme poco.
Per questo l’ho incontrata, in ora tarda;
anch’io posto di notte, come un gioco.

Tra i settanta followers del mio sito,
il suo avatàr è nella prima branca;
bella, bionda, con roseo colorito,
ma il nome suo, se ci cliccate, è Bianca.

Si sa, le donne vanno di frequente
dal coiffeur a cambiar acconciatura.
Invece Bianca cambia giornalmente
il nome suo; più di una notte ‘un dura.

Un giorno è Bianca, e un dì trovi Bianchina,
Bianchetta, Sbiankarella, e così via,
Blanchette, alla francese, e Biancolina;
oggi potrebbe esser Biancheria.

Ma a tutto questo c’è un perché e un per come.
Bianca ragiona con il suo cervello,
chiama le cose con il loro nome;
perciò viene bannata senza appello.

E allora, come l’araba fenice,
risorge a nuova vita prontamente,
mette il suo nome un poco in lavatrice
ed esce un nuovo nick bianco-splendente.

Mia cara Bianca, io ti voglio bene.
Già te l'ho detto in situazioni varie,
anche quando narravi le tue pene,
anche se abbiamo spesso idee contrarie.

Ma ieri m’hai colpito proprio al cuore!
Tu, atea, ti sei fatta anche bannare
per difendere il nome del Signore
con coraggio, che qui voglio onorare.

Mi sembravi Giovanna d’Arco, ardente,
valorosa pulzella dei “galletti”,
o la senese Caterin veemente;
non posso dir Santa Maria Goretti...

Accetta, cara Bianca, le mimose,
in questo dì alla donna dedicato.
Ti somigliano: bionde e luminose.
Te le dona col cuore Amicusplato.


domenica 6 marzo 2011

Per chi suona la Campanella?




Quello che è stato Niccolò Paganini per il violino, lo è stato Franz Liszt (1811- 1886)  per il pianoforte.

Con i suoi “24 Capricci”, Paganini (1782-1840) ha portato il virtuosismo nel suono del violino ai limiti delle possibilità umane.

Con i suoi “12 Studi di esecuzione trascendentale”, Liszt ha portato la tecnica pianistica a livelli impensabili, “trascendentali”, in ciò aiutato anche da due mani dalle dita lunghissime.

Oggi, ultima domenica di carnevale, lasciando per un po’ in secondo piano le drammatiche vicende che turbano la pace, faccio in certo modo incontrare i due grandi “virtuosi”, con un capolavoro di Paganini, trascritto per pianoforte da Liszt.

Si tratta del Rondò finale del Concerto n. 2 per violino e orchestra, in Si minore, “La Campanella”, op. 7, del 1826.

Venne trascritto da Liszt, nella sua forma definitiva, nel 1851.

Già è difficile l’esecuzione per violino, ma Liszt ha voluto abbondare.

Per citare solo due specie di difficoltà tecniche, ci sono lunghi trilli con l’anulare e il mignolo; e intervalli rapidissimi (di semicrome in tempo mosso) che superano l’estensione di due ottave, fino a tre (mezzo metro di pianoforte!), e con la mano sinistra…
In altre parole, in una frazione di secondo si deve saltare, con la mano sinistra, da una parte all’altra del pianoforte senza sbagliare nota, ovviamente.

Quest’anno è il secondo centenario della nascita di Ferenc (Franz) Liszt.

Questa sua trascrizione-capolavoro è un degno modo di ricordarlo.

Molto brava la pianista giapponese Aya Nagatomi.


venerdì 4 marzo 2011

Il martirio di Shahbaz Bhatti, come Paolo di Tarso



Si sono svolti oggi i funerali del Ministro pakistano per le minoranze, il cattolico Shahbaz Bhatti, ucciso due giorni fa a Islamabad per mano di tre fondamentalisti islamici.

Bhatti è stato crivellato da trenta colpi da arma da fuoco all'uscita di casa, mentre si recava al consiglio dei ministri.

Dava fastidio il suo impegno per la libertà religiosa, e in particolare per la liberazione di Asia Bibi, la donna condannata a morte ingiustamente per blasfemia, di cui già abbiamo parlato e della quale parleremo ancora.

L'assassinio di Shahbaz Bhatti segue di appena due mesi quello del governatore del Punjab, il musulmano Salman Taseer, anch’egli favorevole ad una riforma delle Legge sulla blasfemia, che in pratica impedisce a chiunque non sia musulmano di esprimere pubblicamente la propria fede.

Il ministro Bhatti sapeva di essere in grave pericolo di vita, ed ha lasciato in un video il suo testamento spirituale, che contiene questa professione di fede:

“Voglio vivere per Cristo, e per Lui morire”.

Sembrano le parole dell’Apostolo Paolo: “Mihi vivere Christus est, et mori lucrum”; il mio vivere è Cristo, e morire un guadagno (Lettera ai Filippesi, 1, 21).

L’orrendo omicidio getta un’ulteriore luce sinistra sugli integralisti islamici, e fa risplendere davanti a tutto il mondo la fulgida figura di Shahba Bhatti.












Onoriamo il martirio di Bhatti con uno stupendo corale di Mendelssohn, tratto dall'oratorio "Paulus" (1836). L'opera descrive la vita dell'Apostolo delle genti.

Le parole del corale non hanno bisogno di commento.


Herr! Der Du bist der Gott, der Himmel und
Erde und das Meer gemacht hat.
Die Heiden lehnen sich auf, Herr wider dich
und deiner Christ.
Und nun, Herr, siehe an ihr Droh'n und gieb
deinen knechten, mitt aller Freudigkeit zu
reden Dein Wort.
Herr!

Signore, tu sei il Dio creatore del cielo,
della terra e del mare!
Si schierarono i popoli contro il Signore ed il Suo Cristo;
e ora, Signore, considera le loro ingiurie,
e concedi ai tuoi servi d'annunciar la tua parola
con tutta franchezza.
Signore!

(Cfr. Atti degli Apostoli, cap. 4, vv. 24, 26, 29).

giovedì 3 marzo 2011

Odicina di berlingaccio












Un premio nel giorno del Berlingaccio! Non è uno scherzo di carnevale, ma un pensiero gentile della carissima blogger Stella.

Un premio che vuole incoraggiare l'amicizia tra blogger: "L'unione fa la forza".


A pensiero gentile si risponde, per quanto possibile, con altrettanta gentilezza. La mia è in versi senari.



Unione e amicizia


È il giovedì grasso,
ossia il Berlingaccio,
un giorno da spasso,
da scherzi, da abbraccio.

Ed ecco arrivare
un dono brillante;
lo viene a portare
la Stella filante.

È un premio che dice
“Unione e Amicizia”,
e bene si addice
a un dì di letizia.

Mia cara Stellina,
così ti ringrazio:
con questa odicina
di piccolo spazio.

Ma è carnevale…
Mia cara, ave, vale!


Amicusplato

mercoledì 2 marzo 2011

Auguri, Annamaria!


















L'amica blogger Annamaria oggi compie gli anni.


Lo ha fatto sapere quasi al termine della giornata. Ma, come si sa, il giorno dura 24 ore, e quindi sono sempre in tempo per farle gli auguri.

Desidero festeggiare il suo compleanno con qualche bollicina in rima alternata.



Auguri, Annamaria!

Mala tempora currunt, cari amici,
ma oggi festeggiamo in allegria;
dobbiamo alzare i calici, felici:
compie gli anni la cara Annamaria!

Nel suo blog, vera oasi di pace,
ci fa “Gioire in Musica”, da esperta ;
e se la bella musica ti piace,
fermati, amico; lì la gioia è certa.

Annamaria, ti faccio tanti auguri
in questo 2 di Marzo fortunato.
Ad multos annos! e quelli futuri
sian sempre a te propizi! Amicusplato.

martedì 1 marzo 2011

Il volo del cigno



Le notizie che arrivano sulla eroica morte di Yara, martire innocente della barbarie umana, mi fanno pensare a lei con tenerezza infinita.

Solo cose belle mi vengono in mente, legate in particolare alla sua figura di ginnasta.

Le parole non possono esprimere appieno i sentimenti. Meglio lo fa la musica, quall vera, quella eccelsa.

Il Lago dei cigni” di Tchaikovskij (1877) mi pare appropriato per ricordarla in maniera degna.

Si tratta di danza classica, non di ginnastica ritmica. Ma il brano che propongo avvicina molto le due discipline.

È la "Danza dei piccoli cigni”, dal II Atto del balletto. Una musica perfetta per la ginnastica ritmica.

Dal lago inquinato, un piccolo cigno è volato via...

Appena ha imparato a volare.