martedì 30 novembre 2010

Io so' io...




Il ricordo di Mario Monicelli mi commuove.

Non posso pensare a lui senza pensare al mordace umorismo che ci hanno regalato i suoi film. 

A me poi l'umorismo, più è mordace, più mi mette di buon umore...

La sua fine è stata tragica; ma io che sono credente sono certo che il Padre Eterno, che ha visto tutti i suoi film in prima assoluta, e avrà riso come noi, lo ha perdonato e poi premiato con il premio più grande.
Non un misero Oscar alla regia, che in terra gli è stato negato dalla stupidità e grettezza umana; ma il più bel premio alla carriera, la visione beata dell'eternità, anche se lui non ci credeva.

Grande Monicelli! Grande, come la Grande Guerra, come il Marchese del Grillo, come Un borghese piccolo piccolo, come I soliti ignoti...

Ci hai regalato un sorriso, anche se talvolta un po' amaro, per amore della verità.

Non puoi che essere accolto "se non colà dove gioir s'insempra" (Par. X, 148).

Mi piace ricordarti con una scena del Marchese del Grillo, in cui con una fulminante battuta del Belli, messa in bocca al "Marchese" Sordi, seppellisci un'epoca.


In attesa di Yara



C’è grande preoccupazione e paura per la scomparsa della tredicenne Yara Gambirasio, allontanatasi misteriosamente venerdì pomeriggio dalla palestra di allenamento di Brembate di Sopra (BG), il paese dove vive. La giovanissima atleta è una grande promessa della ginnastica ritmica.

Non vogliamo trovarci ancora una volta di fronte a eventi drammatici, che ultimamente hanno riguardato delle adolescenti.

Non potremmo sopportarlo.

In attesa dell’esito felice delle ricerche, che procedono a ritmo serrato, dedichiamo a Yara una delicata musica di Vangelis, quasi un carillon: “Missing”, tratta dalla colonna sonora del film di Costa-Gavras (1982).

Nel film, l’esito della ricerca dello “scomparso” fu tragico.

Ma questa volta ci auguriamo esattamente il contrario.

lunedì 29 novembre 2010

Musica e sport: un binomio vincente



Mi piace lo sport, in tutte le salse.

Per la verità, finora non ho mai digerito il golf (che ho sempre considerato un po' snob), ma nessuno è perfetto. 
Anche il golf tuttavia sta diventando popolare tra di noi, grazie soprattutto alle straordinarie imprese dei fratelli Molinari, che nel 2009 hanno vinto addirittura la Coppa del Mondo.

Sarò costretto a seguire anche il golf...

Ho sempre considerato invece regina dello sport (il re è il calcio, ovviamente!) l'atletica leggera. Salto in alto, salto in lungo, cento metri piani...
I cento metri piani maschili! Il mito dell'atletica: in una manciata di secondi, nei quali si trattiene il fiato e ci  si alza dalla sedia (mi riferisco a chi assiste, of course), si consuma la gara più attesa e spettacolare.

Davanti ai miei occhi ho visto passare nella mia vita, a velocità sempre più elevata, gli atleti di questa specialità.

Da ragazzo ho sgranato gli occhi per le fulminee partenze del tedesco Hary, il primo che li corse in 10 secondi netti; poi venne Borzov, il palestrato uomo-macchina sovietico, grandissimo atleta; Hines, il primo a scendere sotto i 10 secondi (9 e 9); e poi il "figlio del vento" Carl Lewis, e via correndo, fino all'attuale piè-veloce, il  giamaicano Usain Bolt, con l'incredibile record ottenuto ai Mondiali di Berlino nell'agosto 2009: 9 secondi e 58, alla velocità di oltre 41 km/h.

Non ho visto naturalmente Jesse Owens, alle Olimpiadi di Berlino del 1936, quelle di Hitler, in cui il "negro" vinse ben 4 medaglie d'oro, facendo indispettire il Führer. Owens corse i cento metri in 10 e 3; niente male per allora!

Per l'atletica in generale, e per la velocità in particolare, rimane di esempio la vicenda di Eric Liddell e Harold Abrahams alle Olimpiadi di Parigi del 1924, narrata (e romanzata) nel film "Chariots of Fire" di Hugh Hudson, del 1981 (in Italia col titolo "Momenti di gloria").

Liddel vinse la medaglia d'oro nei 400 piani, grazie ad un compagno di squadra che gli aveva ceduto il suo posto in una batteria; Liddel, cristiano fervente, non aveva voluto correre la propria nei 100 metri, specialità nella quale non aveva rivali, perché si svolgeva di domenica.

Abrahams, di fede ebraica, aveva così potuto vincere i 100 metri, mentre Liddel esultava per lui,  da vero sportivo.

La geniale musica di Vangelis ha contribuito a far vincere 4 Oscar a questo bel film, il più meritato dei quali ovviamente per la colonna sonora, che è diventata ormai un classico dei nostri tempi.

Nel video, al pianoforte (e altri strumenti), lo stesso Vangelis.


domenica 28 novembre 2010

Dal 1968 al 1492. Una carriera in avanti



Per una grande impresa ci vuole una grande musica.

Le epiche peregrinazioni di Ulisse hanno avuto come cantore Omero.

Gli Argonauti, con Giasone, che per primi solcarono il mare aperto alla conquista del vello d’oro, sono stati cantati dal poema di Apollonio Rodio.

In epoca moderna queste mitiche imprese hanno ceduto il passo a quella di Cristoforo Colombo, che ha superato anche la fantasia più sbrigliata.

Non un poeta, ma un musicista, Vangelis, ha saputo cantare “1492: La conquista del paradiso” (l’America) con una indimenticabile composizione.

Non sarà degna di Omero o di Apollonio Rodio; ma greco il musicista lo è, e qualcosa di epico in effetti è uscito dalla sua moderna cetra.

Un bel cammino, quello di Vangelis, dagli Aphrodite’s Child del 1968, a questa colonna sonora del 1992, nel 500° anniversario della scoperta dell’America, avvenuta il 12 ottobre 1492.

Il film di Ridley Scott, con il bravo Gérard Depardieu, non ha avuto un grande successo; ma la colonna sonora sì, e ben meritato.

Nel video, Vangelis è alla tastiera.

sabato 27 novembre 2010

Pioggia e lacrime; anzi, Lacrime e pioggia



Piove da settimane, ed ora comincia a fare anche freddo.

Purtroppo ci sono state conseguenze disastrose: smottamenti, frane, allagamenti.
Per molta gente, un mese da dimenticare.

Pioggia e lacrime, verrebbe da dire…

Ma noi vogliamo sperare in un miglioramento generale, sia del tempo che dell’umore. Per cui non facciamo altro che cambiare di posto alle due parole, e torniamo di colpo ai solari anni 60 con la canzone “Lacrime e pioggia”, del 1968.

La bella canzone ha una storia molto interessante.

Fu composta e pubblicata dal gruppo rock greco “Aphrodite’s Child” a Parigi, proprio durante la famosa rivoluzione studentesca del Maggio 1968. La canzone, con il titolo “Rain and tears”, ebbe un immediato e clamoroso successo e divenne così uno dei simboli della contestazione giovanile.

I nostri orecchi smaliziati avvertono subito che si tratta di una imitazione, in chiave pop, del Canone di Pachelbel. Ma allora non erano molti che lo conoscevano. Molti di noi lo hanno scoperto proprio in quella occasione…
Lo conosceva bene invece uno della band greca, Evanghelos Papathanassiou, grande musicista, il futuro notissimo Vangelis, autore di celeberrime colonne sonore, come Momenti di gloria, Blade Runner, Missing, Luna di fiele, 1492: La conquista del Paradiso, ...

Della canzone venne fatta, come allora avveniva, una cover italiana dal titolo “Lacrime e pioggia”, con testo di Vito Pallavicini, cantata da Dalida e dal complesso I Quelli, che poi diverrà la PFM.

Il disco de I Quelli ebbe un grande successo, e noi lo riproponiamo. Perché lacrime e pioggia lascino finalmente il posto a sorrisi e bel tempo. 

Magari anche con il freddo.

giovedì 25 novembre 2010

Potenza della musica (di Schubert)



Nel disordine della sua stanza, la giovane Nodame, protagonista di un manga giapponese (divenuto doppio film nel 2009-2010), suona con istintiva passionalità la stupenda musica di Schubert, e precisamente il primo movimento ("Moderato") della Sonata n. 16, in La minore, D. 845, op. 42, per pianoforte.

Sarà proprio questa passione per la musica che farà trovare alla ragazza l’amore, e la strada per la realizzazione di sé.

Potenza della musica di Schubert!

Il video è costruito con grande intelligenza: nell'arco del I movimento della sonata (di cui sono scelti i punti essenziali) si passa senza soluzione di continuità dal disordine della stanza e dall'istintività musicale di Nodame, ai sogni di bellezza che il cantabile fa emergere irresistibilmente, alla solennità di un teatro e alla ormai rigorosa esecuzione del brano, che nulla fa perdere ed anzi esalta la bellezza della composizione.

Fa una certa impressione che sia un manga giapponese a insegnarci ad amare la nostra bella musica...

mercoledì 24 novembre 2010

Un mese a Natale!


L'amica blogger Stella, sempre sollecita e premurosa, ha voluto fare a me e a tutti i suoi amici un Pensierino Natalizio: una magnifica pallina piena di simboli della festa, da appendere ad un albero virtuale.


Non si può ricevere un regalo senza contraccambiare. Cosa che faccio subito, con un sirventese di cortesia.



Ecco il primo e bel regalo
per il prossimo Natale.
Vien da un blog e lo segnalo:
è di Stella, un blog che vale!

Una palla colorata
con le luci della festa;
porta gioia anticipata.
Qui l’appendo, e qui ci resta.

Il Natale, cara gente,
non è ancora ben palese.
La pallina risplendente
ce lo anticipa di un mese!


Amicusplato

Horror vacui (la paura del vuoto)


Gli antichi pensavano che la natura avesse paura del vuoto; perciò, quando se ne creava uno, magari aspirando con una cannuccia, il liquido salisse per riempire lo spazio vuoto della cannuccia stessa.

Ci voleva Torricelli (non a caso Evangelista) per spiegare che il liquido saliva non perché la natura avesse paura del vuoto, ma per la pressione atmosferica esterna che lo spingeva.

Questa riflessione mi è venuta in mente di fronte alla situazione politica che si sta creando in Italia.

Si sta facendo un vuoto di potere per le ben note vicissitudini politiche, su cui non voglio pronunciarmi.

Molti stanno aspirando al vuoto per poterlo subito riempire, confidando nell’horror vacui.

Non c’è bisogno di Torricelli per ricordare a tutti che, se si crea il vuoto, questo sarà colmato non da chi aspira più forte, ma dalla pressione ambientale esterna; cioè dal popolo sovrano.

Molti politicanti tengono già in bocca la cannuccia; ma il liquido del potere (tanto, tanto liquido…) non salirà, se la pressione esterna non spingerà a sufficienza.

Penso che molte cannucce rimarranno a secco.

lunedì 22 novembre 2010

La Passacaglia di Bach, nella festa di S. Cecilia



Nella festa di S. Cecilia, patrona della musica, facciamo cantare il re degli strumenti: l’organo.

“Cantantibus organis”, dice l’antifona liturgica che riguarda S. Cecilia: mentre gli organi cantavano…

Una delle più grandiose composizioni per organo è  la Passacaglia e Fuga in Do minore, di J. S. Bach, scritta all’età di circa 20 anni, intorno al 1705.

Sul tema proposto alla pedaliera, Bach costruisce ben 20 variazioni e conclude con una grande doppia fuga.

La passacaglia è una composizione in tempo ternario (in questo caso 3/4), la cui caratteristica è proprio quella di un tema con variazioni.

Per gran parte di questa composizione il tema rimane ostinatamente al pedale, e costituisce in certo senso la base di una progressiva e sempre più grandiosa costruzione architettonica musicale, che sale verso l’alto, fino a raggiungere le vette del sublime.

Cantantibus organis…

E Bach non ha davvero scherzato!


Magnifica l'esecuzione di Hans-André Stamme nel monumentale organo di Waltershausen.

Qui la conclusione, con la fuga: http://www.youtube.com/watch?v=RqnpqVca-bo&feature=related

domenica 21 novembre 2010

Adoramus te, Christe!



Oggi si celebra la festa di Cristo Re dell’Universo.

Cristo è, secondo le Scritture, il Re dei re e il Signore dei signori: “Rex regum et Dominus dominantium” (1 Tm 6, 15; Apocalisse 17, 14).

Il suo è un regno di giustizia, di amore e di pace.

“Ti adoriamo Cristo e ti benediciamo, perché con la tua Santa Croce hai redento il mondo”.

Sono le parole della preghiera che viene cantata nel bellissimo mottetto di Quirino Gasparini (1721-1778).

Fino ai primi decenni del XX secolo il mottetto era attribuito a Mozart; nel celebre catalogo di Köchel (1862) figura come opera 327, cioè K. 327.

L’errore di attribuzione è nato dal fatto che Mozart, nel suo primo viaggio in Italia nel 1771, incontrò Gasparini, che era maestro di cappella nella Cattedrale di Torino, e rimasto colpito dalla bellezza del brano lo copiò. Per questo fu trovato tra le sue carte e venne ritenuto opera sua.

Il video riporta, imperterrito, l'errata attribuzione a Mozart; (se fosse scritto "Gasparini" avrebbe meno visite?)

Il mottetto, in do minore, è in polifonia "a cappella", cioè senza accompagnamento di strumenti, a quattro voci dispari: soprani, contralti, tenori, bassi. 

Dopo un inizio solenne e omofonico (tutte le sezioni procedono unite),  per dare il senso dell' adorazione (Adoramus te Christe, et benedicimus tibi), lo stile diventa contrappuntistico, con  il continuo muoversi delle parti in maniera imitativa, che dà al canto un tono più "drammatico": si parla della Croce di Cristo.

Dedichiamo questa preghiera ai Cristiani perseguitati nel mondo, che per il regno di Cristo continuano a portarne anche la croce.


Adoramus te Christe et benedicimus tibi
quia per sanctam Crucem tuam
redemisti mundum.


venerdì 19 novembre 2010

Fazio, il fazioso


Ci sono cose che non puoi comprare, per tutto il resto c’è la carta di credito…

Questo noto slogan pubblicitario dice una grande verità. Ci sono dei beni indisponibili, che non si possono né comprare né vendere.

E il primo di questi beni è la vita umana, perché qualunque altra cosa viene dopo; e non solo in senso cronologico, ma ontologico, cioè sostanziale: tutto è sostenuto dalla non negoziabilità della vita umana.

Se anche la vita umana diventa un bene disponibile, allora lo sono ancor di più tutti gli altri, e basta la carta di credito per averli.

Per questo motivo mi sento profondamente offeso e mortificato quando si cerca di screditare la vita di un essere umano in condizione di grave disabilità.

Si cerca di far credere che in questi casi la vita umana perda il suo valore assoluto, cioè possa essere messa a disposizione di qualcuno, e cioè di familiari “pietosi”, di giudici compiacenti, o dello stato etico, di nazista memoria. Il “Dottor Morte” vuol colpire ancora, a quanto pare.

L’eutanasia è sempre l’uccisione di un essere umano, un assassinio, anche se richiesto.
Non si può negare l’assistenza indispensabile (non l’accanimento terapeutico) a chi è malato o disabile, qualunque sia la sua malattia o la sua disabilità.

Per questo, una trasmissione come quella di Fabio Fazio (e Saviano), “Vieni via con me”, di lunedì scorso, nella TV di Stato, in cui si lascia parlare solo coloro che sono favorevoli all’eutanasia, è un’offesa alle migliaia di famiglie che con amore e dedizione difendono la vita umana dei loro cari- nelle più svariate forme di disabilità-  come bene assoluto, indisponibile per chiunque.

Fazio, un cognome che è un programma: Fazio, il fazioso.
Non mi piace nemmeno il titolo della trasmissione: “Vieni via con me”. Mi pare di cattivo augurio…

giovedì 18 novembre 2010

Un canto di amore per Asia Bibi



La condanna a morte di Asia Bibi per aver fatto professione di fede cristiana nel Pakistan musulmano ci fa orrore e ci indigna.

L’islam continua a mostrare il suo volto impresentabile di fronte all’umanità, e se non cambia registro non sarà Asia Bibi a morire, ma ogni parvenza di dignità dei seguaci di Maometto.

Il governo pakistano e i suoi tribunali lascino immediatamente libera la donna, di 37 anni, madre di quattro figli, e si affrettino a cancellare dalla legislazione il reato di blasfemia, che impedisce alle persone di manifestare la propria fede, qualunque essa sia.

È il minimo che si possa chiedere a chi dice di essere seguace di Allah, il “misericordioso”.
Ad Asia Bibi, coraggiosa testimone di Cristo, voglio offrire uno dei canti di amore più belli della moderna letteratura musicale:
“Salut d’amour” (1888) di Edward Elgar.

Al violino una ancora ragazzina Sarah Chang.

lunedì 15 novembre 2010

Poveri noi (ferraristi)!


Frittata con cipolle fantozziana,
rutto libero, aspetto la vittoria
del Cavallino, scuderia italiana,
al Gran Premio Abu Dhabi; e poi la gloria!

Son sicuro, come ogni ferrarista,
che Alonso vince il titolo mondiale:
come punteggio è il primo della lista
e parte avanti a Webber; niente male!

Avete visto, amici della "Rossa",
come la gara è andata poi a finire?
S'è perso senza lotta, né una scossa;
una serata triste, da morire...

Ma una cosa però certo ho imparato,
una scoperta amara come mirra;
la Red Bull con chiarezza mi ha spiegato
cosa vuol dir andare "a tutta birra"...


Amicusplato

domenica 14 novembre 2010

Un'orchestra con i cannoni: "Ouverture 1812"



Una delle composizioni più spettacolari e affascinanti della musica classica moderna è certamente l’Ouverture 1812 di Piotr Ili'ic Tchaikovskij, eseguita la prima volta nella Cattedrale di Mosca nel 1882.

Per quanto riguarda la spettacolarità basterà dire che nell’orchestra è prevista anche una batteria di cannoni, sì di cannoni, che sparano -a salve ovviamente!- nonché di campane e di un organo a canne.

Il fascino di questa Ouverture consiste nel fatto che Tchaikovskij riesce in una quindicina di minuti a riassumere musicalmente uno dei fatti più grandiosi e tragici della storia moderna, e cioè l’invasione napoleonica della Russia del 1812 (da cui il titolo), dal trionfale inizio per i francesi, fino alla disastrosa e tragica conclusione.

In pratica, siamo davanti a “Guerra e Pace” di Tolstoj (1865-69) in versione orchestrale.

Anche Tchaikovskij, come Tolstoj, apre la sua composizione con la solenne invocazione a Dio, da parte della Chiesa ortodossa, perché siano sconfitti coloro che hanno osato invadere contro ogni diritto internazionale il sacro e inviolabile suolo della Santa Russia.
L’orchestra infatti inizia con una melodia della tradizione ortodossa, un bellissimo corale.

Alla preghiera della Chiesa segue, introdotto dal suono del corno, un tema più marziale, che diventa una vera e propria marcia militare: è l’esercito russo che va incontro agli invasori.

Il suono della Marsigliese, prima appena accennato, e poi sempre più insistente, fa capire che l’invasione ha successo, fino all’occupazione di Mosca.

Ma improvvisamente le note della Marsigliese vengono coperte da un crescendo di squilli di trombe, che culmina con gli spari dei cannoni dell’esercito di Kutuzov, i quali soffocano e mettono definitivamente a tacere l’inno francese.

La disastrosa ritirata dell’esercito napoleonico è ironicamente descritta con una interminabile ripetizione di una cadenza, alla fine della quale spunta trionfale il canto sacro dell'inizio e l’inno della Russia zarista, tra  squilli di trombe, suoni di campane e di organo, grida di popolo in festa e una lunga serie di spari di cannone.

Un brano memorabile.
Si pensi che in una esecuzione in Brasile, al rumore delle cannonate la gente uscì fuori dal teatro pensando a un golpe militare…

Ognuno può gustarlo nella sua integrezza, nell’ottima versione diretta da Mark Elder: 
Io preferisco mostrarlo però in una singolare e formidabile interpretazione vocalistica dei Swingle Singers. Devo ringraziare l’amica blogger Annamaria che mi ha fatto ricordare questo straordinario gruppo francese in una interpretazione di una fuga di Bach.


Nell’Ouverture 1812 i Swingle Singers riescono in maniera straordinaria e con surreale ironia a ricostruire vocalmente i punti salienti del brano orchestrale e i vari suoni degli strumenti (anche dei piatti, delle campane e dei cannoni!)
Fortissima la scena della interminabile cadenza, simbolo della ritirata francese, eseguita con forte carica umoristica (con tanto di sguardo agli orologi).
Perfetto il finale, con le cannonate che arrivano da ogni parte...

Forse può sembrare (ed è) irriverente l'ironia del bravissimo gruppo vocale francese nei confronti di questa musica  celebrativa di Tchaikovskij (per i francesi Napoleone è come Garibaldi, non si tocca...).
Ma è anche un modo per farci apprezzare l'Ouverture stessa, attraverso  una  brillantissima interpretazione,  che ci stimola irresistibilmente ad ascoltare il concerto originale.
 





venerdì 12 novembre 2010

12-11-10


I nati in questo giorno…

Un momento, cari amici! Non sono uno che crede agli oroscopi, né tanto meno uno che li scrive.

Allora...

I nati in questo giorno avranno una data di nascita indimenticabile.
Un bel trio a cascata, che faciliterà la compilazione di moduli e formulari, in un mondo sempre più burocratizzato.

I morti in questo giorno (absit iniuria verbis!) potranno presentare a Dio un terno vincente:
12, il numero degli Apostoli.
11, il numero di quelli che gli rimasero fedeli.
10, i Comandamenti. Magari qualcuno non sarà stato rispettato; ma almeno il numero è quello giusto. E si spera in una buona parola dei numeri precedenti.

E noi che abbiamo passato questa giornata, possiamo ritenerci soddisfatti.
È un giorno che capita ogni cent'anni.

A noi è capitato.

giovedì 11 novembre 2010

Aspettando il Natale...



Ci stiamo avvicinando a grandi passi verso il  Natale.

L'approssimarsi della festa mi suggerisce uno spunto poetico.




Natale


Una luce si accende
nel buio della vita

Il silenzio
di un mondo vuoto
è vinto
da suadenti onde sonore

Trepide mani
sciolgono nodi
di meraviglia

Riscopro la bellezza
di ogni volto





Amicusplato



Nella foto: "Notte di Natale", (1951), Henri Matisse, Museum of Modern Art, New York


martedì 9 novembre 2010

Spagna, tra fede e laicità



In questi giorni la Spagna ha meritato l’attenzione dell’opinione pubblica per la visita del Papa a Santiago di Compostella e a Barcellona. Due luoghi ubicati agli estremi opposti della penisola iberica, e non solo in senso geografico.

Santiago è uno dei luoghi più significativi della cattolicità, meta di un pellegrinaggio tanto affascinante, quanto impegnativo. “El Camino de Compostela” è un’esperienza che lascia un segno indelebile nella vita  interiore di una persona, insieme a dolorose ma per fortuna transitorie “ampollas” (vesciche) ai piedi…

Barcellona è una città dove la secolarizzazione ha inciso fortemente, e appare oggi come uno dei luoghi in cui la fede è messa più a dura prova.
La metropoli catalana è meta soprattutto di un altro tipo di “pellegrinaggio”, quello del divertimento.

Alcuni giornali laicisti hanno scritto che la Spagna di Zapatero avrebbe accolto Papa Benedetto XVI a fischi e uova marce, o comunque nell’indifferenza generale.

È accaduto invece esattamente il contrario, come del resto due mesi fa in Inghilterra.
Poche (e francamente penose) le contestazioni a Barcellona, mentre una gran folla di popolo “caliente” ha manifestato l’affetto e la devozione al Santo Padre.

La Spagna ha nel profondo un’anima cattolica, forgiata nella lotta di resistenza contro popoli invasori; musulmani nel Medioevo, laicisti napoleonici agli inzi del 1800.
In epoca a noi più vicina, la guerra civile, qualunque giudizio uno ne voglia dare, ha messo ancora una volta in evidenza che la fede qui è profondamente radicata e qualunque governo, compreso quello del laicissimo Zapatero, non può non tenerne conto.
Lo ha ricordato chiaramente anche il Papa: fede e sana laicità devono incontrarsi, per il bene comune.

Ma la presenza di Benedetto XVI a Barcellona ha un valore aggiunto. Prima di questa visita, la Sagrada Familia di Gaudì era un immenso cantiere di un edificio sacro, bellissimo artisticamente, ma in definitiva poco più di un’attrazione turistica.

Oggi le sue guglie inconfondibili ricordano a tutti che, nel cuore della metropoli catalana, si erge una grande Basilica, consacrata a onore di Dio e per raccogliere in unità il suo popolo, che corre il rischio di perdere l’orientamento religioso e morale.

La Basilica della Sagrada Familia non è più solamente un’attrazione turistica, ma ora è diventata un fermo richiamo per tutti i catalani a riscoprire la bellezza della loro fede, quella che ha ispirato il genio di Antoni Gaudì.


La Catalogna è terra di artisti. Oltre a Gaudì, basterà ricordare Dalì e Mirò, e nella musica  Casals e Albéniz. Non posterò di quest'ultimo “Asturias” (Leyenda), perché troppo conosciuta.

Preferisco ricordare Enrique Granados (1867-1916), meno noto, ma non meno importante, con la seconda delle sue “12 Danzas Españolas” (1890).

È scritta per pianoforte, ma mi piace ascoltarla in questa bella trascrizione per chitarra.
Molto bravo il chitarrista, Denian Arcoleo.

lunedì 8 novembre 2010

Er Papa e la Spagna (pasquinata)







Anche ‘n Ispagna er Papa Benedetto
è stato ricevuto a  bbattimani.
Dicevon che gnissun l’avrebbe accetto,
e ‘nvece c’era er popolo e i sovrani.

In un punto però nun m’arcapezzo;
han visto un gruppo (nun ve cojoniamo!)
ch’ hanno aspettato er papa per un pezzo,
per digni in coro: “Noi nun t’aspettiamo!”



Amicusplato


domenica 7 novembre 2010

La "divina" costruzione




Una delle idee-guida che hanno condotto Antoni Gaudì (1852-1926) a iniziare e portare avanti la costruzione della “Sagrada Familia” a Barcellona è stata quella che, non lui, ma Dio avrebbe portato a termine il lavoro.

Per questo, pur dedicandosi all’opera con ogni mezzo, sacrificando perfino i suoi stessi averi, Gaudì non si mostrò mai preoccupato della “fine dei lavori”.

Abbiamo visto quanto il geniale artista catalano avesse ragione. I lavori sono proseguiti dopo la sua morte e oggi, a cantiere ancora aperto, la Sagrada Famila è stata consacrata e dichiarata Basilica da Papa Benedetto XVI.

Neppure il Papa ha aspettato la fine dei lavori, perché fedele interprete del pensiero di Gaudì, autentico cristiano e prossimo beato, sa bene che i lavori finiranno quando Dio lo vorrà, e se lo vorrà.

Non si tratta di un’idea peregrina o giustificativa per un’opera incompiuta.

È invece un’autentica visione cristiana della realtà e del lavoro umano, compreso quello artistico.

È esattamente quanto dice il Salmo 127 (Vulgata 126): “Se il Signore non costruisce la casa, invano vi faticano i costruttori” (Nisi Dominus aedificaverit domum, in vanum laboraverunt qui aedificant eam).

Il salmo “Nisi Dominus” è uno dei cinque salmi (il quarto) della liturgia dei Vespri della Beata Vergine Maria.

E poiché siamo nell’ora vespertina di una domenica in cui la meravigliosa “casa” di Gaudì ha avuto la benedizione del Cielo, e poiché quando si dice Vespri della Beata Vergine non si può non pensare ad un altro sommo artista, questa volta nella musica, e cioè Claudio Monteverdi, postiamo dal suo “Vespro della Beata Vergine” (1610) proprio il Salmo “Nisi Dominus”.

Un altro monumento di arte, di fede, di bellezza.

La magnificenza della musica di Monteverdi (la parte corale è a 10 voci!) corrisponde adeguatamente alla straordinaria architettura della Basilica di Gaudì.


Molto bella l’esecuzione, diretta da John Eliot Gardiner, nella Basilica di S. Marco a Venezia (1989).


Psalmus CXXVI

Nisi Dominus aedificaverit domum, in vanum laboraverunt qui aedificant eam.
Nisi Dominus custodierit civitatem, frustra vigilat qui custodit eam.
Vanum est vobis ante lucem surgere; surgite postquam sederitis, qui manducatis panem doloris 
Cum dederit dilectis suis somnum; ecce hereditas Domini, filii: merces fructus ventris.
Sicut sagittae in manu potentis, ita filii excussorum.
Beatus vir qui implevit desiderium suum ex ipsis; non confundetur cum loquetur inimicis suis in porta.

Gloria Patri et Filio et Spiritui Sancto.
Sicut erat in principio et nunc et semper,
et in saecula saeculorum.
Amen.

Salmo 126

Se il Signore non costruisce la casa, invano vi faticano i costruttori.
Se il Signore non custodisce la città, invano veglia il custode.
Invano vi alzate di buon mattino, tardi andate a riposare e mangiate pane di sudore:
il Signore ne darà ai suoi amici nel sonno.
Ecco, dono del Signore sono i figli, è sua grazia il frutto del grembo.
Come frecce in mano a un eroe sono i figli della giovinezza.
Beato l'uomo che ne ha piena la faretra: non resterà confuso quando verrà a trattare
alla porta con i propri nemici.

Gloria al Padre e al Figlio e allo Spirito Santo.
Come era nel principio, e ora e sempre, nei secoli dei secoli.
Amen.

sabato 6 novembre 2010

La bellezza dell'incompiuto. La Sagrada Familia (Gaudì)

 






















La bellezza, secondo i canoni classici, è sinonimo di perfezione, cioè di opera compiuta (perfetta, appunto, dal latino perficio/perfectum, cioè portato a termine).

E non solo perfezione del tutto, ma anche armonia delle parti, cioè la giusta misura di ogni dettaglio.

Niente da dire. L’arte, come la natura, privilegia la completezza, l’ordine, la misura.

Eppure non sempre ciò che rimane incompiuto mette a disagio. Talvolta addirittura suscita ammirazione stupita.

La bellezza in questo caso consiste non in un’estatica contemplazione dell’opera d’arte, ma in una partecipazione creativa di colui che guarda, il quale da semplice spettatore diventa anch’egli in certo modo autore.

Di fronte ai “prigioni” di Michelangelo, che rappresentano degli schiavi (prigioni) appena sbozzati, ci sentiamo in qualche modo anche noi come imprigionati dalla massa di quel marmo che ancora li avvolge e ne sentiamo quasi fisicamente il peso e i legami.
Nasce così anche in noi il desiderio di lottare contro tutto ciò che in qualche modo ci incatena con i vincoli dei condizionamenti.

Un vigoroso desiderio di liberazione, di scuoterci tutto d’addosso, che probabilmente non avvertiremmo, se l’opera fosse stata portata a termine, “perfetta” nella sua bellezza.

Qualcosa di analogo ci accade quando guardiamo la “Sagrada Familia” di Antoni Gaudì (1852-1926), a Barcellona.

Quest’immensa e incompiuta struttura sacra, cantiere aperto da più di cento anni (1882), che ha innalzato verso il cielo le sue ardite e frastagliate guglie di pietra, la sentiamo come un’immagine della nostra stessa vita, cantiere sempre aperto nella ricerca della verità e della bellezza, in uno slancio verso l’infinito.

Sono proprio quelle guglie, così moderne e geniali nella realizzazione e antiche nei richiami gotici, a dare senso a questa incompiuta e mirabile struttura. Non è bastata la vita di Gaudì, né quella della generazione successiva a completare l’opera. Occorreranno ancora altri decenni per dare un senso di maggior compiutezza.

Ma intanto domani, domenica 7 novembre 2010, Benedetto XVI consacrerà la Basilica della Sagrada Familia, di Antoni Gaudì, incompiuta.

Anche questo è un chiaro insegnamentio, e questa volta non solo di carattere estetico. La bellezza non consiste nella completezza di un’opera, ma nel muoversi in direzione giusta.

L’uomo è un viandante. Per tutta la vita sarà "in itinere".

Non per niente Benedetto XVI andrà a Barcellona dopo aver visitato oggi, nell'anno  giubilare di S. Giacomo,  Santiago di Compostella.
Egli ha fatto in certo senso il cammino dei pellegrini compostellani in senso inverso; verrebbe da dire (mi piace De André...) “in direzione ostinata e contraria”.

La bellezza di questo Papa è proprio qui; nel non rispettare le regole della “correttezza” vigente. Per di più la sua è una “scorrettezza” ostinata.

Per questo mi piace.

giovedì 4 novembre 2010

La "grande guerra" di mio padre



Quando mio padre sentiva parlare della “Grande Guerra” non poteva trattenere le lacrime.

Lui non vi aveva partecipato, perché era nato qualche anno dopo il 1899. Ma per il fronte erano partiti tanti suoi parenti ed amici, e molti non avevano fatto ritorno.

Veder piangere un uomo non è una cosa frequente. La scomparsa di amici d’infanzia e il racconto dei sopravvissuti, sulla estenuante guerra di trincea, il crepitare della mitraglia, gli assalti alla baionetta, lo strazio dei feriti, evidentemente lo avevano segnato nel profondo.

Ma al tempo stesso vedevo nei suoi occhi, lucidi di commozione, un senso di grande orgoglio, come se avesse combattuto anche lui in prima linea sul Carso o sul Piave.

Un senso di orgoglio patrio, di virile resistenza, di amore per l’Italia.

Non aveva partecipato alla Grande Guerra, ma era come se l’avesse combattuta; con i suoi cari, con i suoi amici, con altri commilitoni di ogni parte d'Italia, spalla a spalla, di trincea in trincea, di assalto in assalto, sotto il crepitare della mitraglia o il tiro dei cecchini, fino a Vittorio Veneto, fino al fatidico 4 Novembre 1918.

Per questo, non poteva trattenere le lacrime.

Aveva anche lui, a suo modo, con il suo dolore e la sua partecipazione affettiva, contribuito all’unità d’Italia.

mercoledì 3 novembre 2010

Omaggio alla Chiesa di Bagdad. Un fiume di dolore (Palestrina)




Il massacro di Bagdad di domenica scorsa, 31 ottobre, ci ha riempito di immenso dolore e di profondo sdegno.

È stata colpita dal fanatismo islamista una delle comunità più antiche della cristianità, di epoca apostolica; una coraggiosa minoranza in mezzo a un paese musulmano, che ha mantenuto ferma la fede cattolica fino ad oggi.

Siamo pieni di dolore e di sdegno per questo orrendo crimine, perché perpetrato contro persone inermi e nel luogo più sacro, in Chiesa, là dove perfino i barbari delle epoche passate si fermavano con rispetto.

Bagdad fa venire in mente l’antica Babilonia, poco distante; e il pianto degli antichi Ebrei in esilio è oggi il nostro. È il pianto espresso nel Salmo 137 (Vulgata, 136): “Super flumina Babylonis”.

Lo presentiamo con la musica di Giovanni Pier Luigi da Palestrina (1525-1594), il più grande polifonista di ogni tempo.

Una musica drammatica, piena di chiaroscuri, pur nella compostezza della polifonia classica; un lento procedere di voci, come un fiume di dolore.

Il tristissimo ed espressivo tema iniziale cantato dai bassi viene ripreso via via dalle altre sezioni.
Il mottetto si sofferma con andamento omofonico e con  commozione sui verbi "sedimus et flevimus", il pianto di un popolo soggiogato, e su “recordaremur”, ripetuto infinite volte, a sottolineare il ricordo indelebile della patria lontana.
È descritta, nel rincorrersi delle voci, la meravigliosa serie dei salici dell'Eufrate ("in salicibus" ...); quindi il canto raggiunge in crescendo il suo acme nel grido dei soprani e dei tenori alla parola “suspendimus” (che rende anche nel suono l’altezza a cui per protesta vengono sospesi gli strumenti musicali), prima di ricomporsi nella grande quiete dell’accordo finale di “organa nostra”.

Sì, un vero organo, a quattro voci, questo capolavoro di Palestrina. Un omaggio di arte sublime di quasi cinque secoli fa, alle vittime di tanta barbarie odierna.



Super flumina Babylonis,
illic sedimus et flevimus,
dum recordaremur tui, Sion.
In salicibus in medio ejus
suspendimus organa nostra.

Presso i fiumi di Babilonia
sedevamo piangendo
al ricordo di te, o Sion.
Ai salici di quella terra
appendemmo le nostre cetre.


(dal Salmo 137/136)



martedì 2 novembre 2010

Il massacro dei cristiani a Baghdad. Tutti zitti (o quasi)

 



Il massacro di 55 cristiani nella Cattedrale siriaco-cattolica di Baghdad da parte di alcuni fanatici musulmani (senza parlare dei 70 feriti e della devastazione del luogo sacro) impone qualche riflessione.

Anzitutto si tratta di un orrendo attentato contro persone irachene (non i soliti “crociati” della propaganda islamista), che professavano la loro fede in una comunità che ha la sua origine fin dal tempo degli Apostoli, e cioè molti secoli prima dell’invasione islamica del Medio Oriente.

La strage è stata compiuta in una Cattedrale, durante la S. Messa di domenica 31 ottobre. Sono state uccise persone che pregavano, che recitavano il Padre Nostro, che invita a riconoscersi figli dello stesso Padre, la preghiera dell’amore fraterno.

La comunità cristiana in Iraq, al tempo di Saddam Hussein, era composta da oltre due milioni di persone. Oggi ne sono rimaste duecentomila. Tra massacri, uccisioni e fughe è stata praticamente dispersa.

Non starò a fare il discorso della reciprocità, né invocherò certo la guerra santa.

Ai musulmani dico semplicemente questo: affermate di essere civili, misericordiosi? Dimostratelo! Altrimenti siete esattamente quello che molti cominciano a pensare di voi: degli intolleranti; e non solo i terroristi di Al Qaeda, ma nel profondo un po’ tutti i musulmani.

Ai laici nostrani dico quest’altro: volete togliere i simboli della fede cristiana dai luoghi pubblici e dalla scuola. Non vi accorgete che la nostra cultura ha proprio in quei simboli la sua radice; anche la cultura laica, perché si fonda nel rispetto della persona, che è il messaggio centrale del cristianesimo.

Per i cristiani invece valgono ancora le parole della “Lettera a Diogneto”, scritta al tempo delle prime persecuzioni romane:
“Ci è stato assegnato un posto che non possiamo abbandonare”.

Oggi più che mai, di fronte a tanta feroce intolleranza, non possiamo non dirci cristiani.

Ve lo immaginate cosa sarebbe successo nel mondo, se fosse stato torto un capello a un musulmano in Italia, in una moschea?

Ai soloni del laicismo l’ardua sentenza.

lunedì 1 novembre 2010

Cum Sanctis tuis (Mozart-Süssmayr)




La festa di Tutti i Santi va celebrata nella gioia piena.

I santi sono quelli che hanno realizzato in pienezza la loro esistenza terrena, giungendo alla meta della felicità eterna, in Dio.

A questa meta tutti siamo chiamati, nessuno escluso, ognuno con il suo percorso “ad personam”, perché, come diceva S. Teresa del Bambino Gesù, “non c’è nessuno che sia identico ad un altro, né fisicamente né spiritualmente”.

Per celebrare questi nostri fratelli maggiori che hanno lottato e vinto, con la grazia di Dio, la loro battaglia contro il nemico del genere umano, cioè Satana, voglio riproporre l’antifona finale della Messa di Requiem di Mozart: “Lux aeterna”.

“Lux aeterna luceat eis, Domine; cum Sanctis tuis in aeternum, quia pius es. Requiem aeternam dona eis Domine, et lux perpetua luceat eis; cum Sanctis tuis in aeternum, quia pius es”.

I motivi di questa scelta sono molti.

Anzitutto, perché il “Lux Aeterna” fa riferimento proprio ai Santi; in italiano suona così: “La luce eterna illumini i defunti, o Signore; insieme ai tuoi Santi in eterno, perché Tu sei buono”.

In secondo luogo, perché si tratta di una tra le musiche più belle scritte da Mozart; anzi, mi permetto di dire che è una delle musiche più belle in assoluto. E quando si tratta di santi, che di musica divina se ne intendono, bisogna scegliere bene.

Mozart ha composto una musica “divina”, per quanto è dato alle possibilità umane.

Non mi vergogno di dire che, dall’attacco dei bassi “Cum Sanctis tuis”, fino alla fine del brano, nel rincorrersi delle voci e nel procedere sempre più incalzante e grandioso verso i potenti accordi finali (“quia pius es”), mi viene la pelle d’oca dall’emozione.

Sembra proprio il gioioso procedere della schiera dei Santi, sempre più numerosa: When the saints go marchin’ in…

C’è infine un altro motivo per questa scelta. È noto che la Messa di Requiem è l’ultima  composizione di Mozart, rimasta incompiuta a causa della morte di lui (5 dicembre 1791; non aveva ancora 36 anni!).
Con certezza Mozart compose l’opera fino al “Lacrimosa”, cioè praticamente fino alla fine del Dies Irae, e l'Offertorio. 
Il Sanctus, il Benedictus, l’Agnus Dei e il Lux aeterna sono stati portati a termine dai suoi allievi, tra cui principalmente Franz Xaver Süssmayr (1766-1803).

Questi si servì certamente delle carte già scritte e degli appunti lasciati dal grande Maestro e recuperati dalla vedova Constanze. Il livello della musica è talmente alto, anche in questi brani, che non si può dubitare del vero autore, almeno nelle linee essenziali.

Nel nostro caso, nell’antifona alla Comunione che oggi riportiamo, e cioè il “Lux aeterna”, la musica è certamente quella di Mozart. Infatti il Süssmayr ha fatto una cosa semplicissima, e a mio avviso geniale.
Ha preso pari pari la musica dell’antifona d’Introito, il primo brano della Messa, scritto di pugno da Mozart, cioè il “Requiem aeternam”, dal punto che dice “Te decet hymnus, Deus, in Sion” fino a tutto il Kyrie, e ha sostituito le parole con quelle del “Lux aeterna”, cioè dell’antifona finale.

Ha così ottenuto un duplice effetto. Ha portato a termine la Messa di Requiem con la musica di Mozart e l’ha conclusa nel modo con cui Mozart l’aveva iniziata, come un cerchio che si chiude in bellezza.

È molto improbabile che Mozart avesse intenzione di concludere la sua Messa di Requiem riproponendo la stessa musica usata all’inizio, con parole diverse.

Dobbiamo essere grati a Süssmayr per questa sua geniale “trovata”. Ha portato a termine la Messa di Mozart, nel modo che forse Mozart non avrebbe fatto, ma usando la musica divina di Mozart.

Kyrie/Cum Sanctis tuis… geniale!

La bella direzione di Claudio Abbado, con i Berliner Philharmoniker, è la migliore che abbia trovato nel web. Samo nella Cattedrale di Salisburgo, la città natale di Mozart.

Buona festività di Ognissanti!