sabato 27 febbraio 2010

Un Notturno che non piaceva a Chopin



Può sembrare incredibile, ma due dei più bei Notturni di Chopin non vennero pubblicati, perché da lui considerati imperfetti.

Il primo dei due, Opus 27 n. 2, in Do diesis minore, è addirittura forse il più bello di tutti; per intendersi, è quello con cui si apre il film “Il Pianista” (2002), da me già postato.

http://semperamicus.blogspot.com/2009/04/piu-notturno-di-questo-non-si-puo.html

Il secondo è quello che presento stanotte (è un Notturno, no?)

È l'Opus 72, n. 1, in Mi minore, del 1827. Un’opera giovanile dunque (17 anni!), ma c’è già l’impronta del geniale compositore.

A duecento anni dalla nascita (1 marzo 1810), anche Chopin sorriderà compiaciuto, ascoltando questo suo giovanile capolavoro.

venerdì 26 febbraio 2010

Tutta la mia musica, per il Vexilla Regis!



L’inno gregoriano Vexilla Regis è un canto di penitenza e di gloria al tempo stesso, come lo è il tempo di Quaresima, che prepara la Pasqua, nel quale viene cantato.

Le parole dell’inno infatti sono un’esaltazione della Croce, strumento di passione e di salvezza.

Sono opera di un grande poeta della tarda latinità, Venanzio Fortunato (530-609).

Hanno una grande importanza sia come preghiera, che come composizione letteraria.

Da quest’ultimo punto di vista, la poesia segna il passaggio dalla metrica latina classica, fondata sulla quantità delle sillabe e relativi piedi, a quella nostra moderna, fondata sugli accenti tonici e sul numero delle sillabe.

Artisticamente è un capolavoro, per la bellezza e la potenza delle immagini, per lo splendore dei concetti.

I vessilli di Cristo avanzano vittoriosi, dopo il mortale duello con la morte stessa, che viene sconfitta. “Vexilla Regis prodeunt, fulget Crucis mysterium”, "qua vita mortem pertulit et morte vitam reddidit".

E il commosso saluto della strofa finale diventa un grido di esultanza: “O Crux, ave spes unica!”

La vibrante melodia gregoriana, nel suo incedere processionale e solenne, segue alla perfezione l’andamento dell’inno, che appare perciò nel suo complesso un canto stupendo, opera geniale di fede e di arte.

Non per niente Giuseppe Verdi disse che avrebbe dato tutta la sua musica in cambio del Vexilla Regis.


Vexilla Regis

Avanzano i vessilli del Re, risplende il mistero della Croce, e in questo patibolo l’autore della carne fu appeso nella carne.

Dopo essere stato ferito dalla punta crudele di una empia lancia, per lavarci dal peccato versò acqua e sangue.


O nobile e luminoso albero, tinto di porpora regale, eletto a toccare così sante membra con il tuo degno tronco!


Beato albero, ai cui bracci fu appeso il prezzo del mondo, fu bilancia del corpo e sottrasse la preda all’inferno.


Salve altare, salve vittima di gloria della passione, per cui la vita sopportò la morte, e con la morte ci ridonò la vita.


Ti saluto o Croce, unica speranza! in questo tempo di passione, accresci la grazia ai giusti e cancella le colpe ai peccatori.


O Trinità, fonte di salvezza, Ti lodi ogni spirito, proteggi per sempre quelli che salvi con il mistero della Croce. Amen.


mercoledì 24 febbraio 2010

Il senso religioso. Una domanda che aspetta una risposta



In questi giorni si ricorda la morte di Mons. Luigi Giussani (22 febbraio 2005), noto soprattutto come fondatore di Comunione e Liberazione. Un grande uomo, un grande educatore, un grande santo.

Ho avuto modo di conoscerlo personalmente e di apprezzarlo. Per essere più precisi, devo a lui un punto fondamentale della mia formazione, senza il quale non so quale direzione avrebbe preso la mia vita.

Questo punto fondamentale lo posso riassumere in una frase, che non si riferisce certo alla mia vita, ma che l’ha orientata.

“Chi è un santo? un santo non è un superuomo, non è un uomo eccezionale; il santo è un uomo vero”.

In altri termini, la fede in Cristo non è un’astratta visione teologica o una morale del perbenismo, ma la vera risposta ai desideri più profondi dell’uomo.

Egli amava ripetere una frase del retore Vittorino, del IV secolo, che si convertì al Cristianesimo da anziano, nel pieno della sua fama di principe del foro. Diceva Vittorino a coloro che si meravigliavano della sua scelta: “Da quando sono diventato cristiano, sono diventato più uomo”.

Giussani ha vissuto e fatto capire questo: la fede cristiana non è una teoria, non è una visione della vita, ma una vita che cambia qui ed ora, salvata da Cristo.

E proprio questa vita che cambia e acquista sempre più significato è, a sua volta, la prova che Cristo è il Risorto.

La nostra esperienza umana, la nostra vita stessa diventa perciò “luogo teologico”, cioè dimostrazione della presenza e della potenza di Dio.

Tutto parte da una domanda, da quel “senso religioso” che ognuno porta dentro di sé e che lo spinge verso domande sempre più esigenti e onnicomprensive, e non si acquietano finché non trovano una risposta piena.

Quella risposta che Giussani, come il retore Vittorino e Agostino, ha trovato in Cristo.

Voglio far notare che non faccio parte del movimento di Comunione e Liberazione. L’insegnamento di Don Giussani va ben oltre il movimento da lui fondato. È la via maestra che ha insegnato il Concilio Ecumenico Vaticano II.

Giussani amava la musica, e apprezzava molto lo Stabat Mater di Pergolesi. Considerava l’Amen finale, l’Amen più bello di tutta la storia della musica. Per questo lo proponiamo.

L’Amen è anche il suggello di fede di un’opera compiuta.

Il degno suggello della vita di D. Luigi Giussani, maestro di coscienze e santo.

martedì 23 febbraio 2010

Il poeta del pianoforte



Quando un pianista suona un brano, se è di Chopin te ne accorgi fin dalle prime note.

Pochi tocchi bastano al musicista polacco per creare quell’atmosfera incantata, inebriante, sublime, che ti avvolge e ti trasporta in un mondo ideale, da cui non vorresti più uscire.

Per questo, ascoltato una volta, non possiamo fare a meno di riascoltarlo una seconda e forse una terza volta di seguito…

E benché i suoi brani siano per lo più malinconici, ne usciamo sempre rasserenati nello spirito.

Un po’ come con il Leopardi. I suoi canti, emblema del pessimismo, riescono a trasmettere una profonda passione per la vita.

È il mistero della bellezza. Quando un’opera è bella, qualunque cosa rappresenti, dona gioia e serenità; perché la bellezza è gioia, è pienezza di vita.

Anche quando si canta il dolore.

Un omaggio al “Poeta del pianoforte”, nel secondo centenario della nascita (1 marzo 1810), con il Notturno n. 1, op. 9, in Si bemolle minore.




lunedì 22 febbraio 2010

Vi piace Brahms?



Dopo l’Allegretto di Beethoven non si può tralasciare il “Poco Allegretto” di Johannes Brahms (1833-1897), III Movimento della sua III Sinfonia (1883).

Molte cose legano i due brani musicali.

Anzitutto il nome: tempo “Allegretto” il primo, “Poco Allegretto” (cioè, quasi Allegretto) il secondo. Ma i nomi si richiamano, e spesso infatti anche questa stupenda composizione di Brahms è chiamata semplicemente “Allegretto”, come l’altra.

Li accomuna soprattutto il valore artistico. Qui Brahms riesce nell’impresa di eguagliare (quasi) il Maestro stesso della sinfonia. Non a caso già la I sinfonia di Brahms fu definita la X di Beethoven....

Il suo Poco Allegretto comunque ha raggiunto una fama straordinaria e ha ispirato anche il romanzo di Françoise Sagan, “Aimez-Vous Brahms?” (1959), da cui è stato tratto il noto e omonimo film di Anatole Litvak, del 1961 (in Italia, “Le piace Brahms?”).
Il titolo si spiega perché con questa frase, e sullo sfondo della suadente musica del Poco Allegretto di Brahms, nasce una tormentata storia sentimentale, interpretata da Ingrid Bergman ed Anthony Perkins, con Yves Montand nella parte di uno scialbo e infedele marito.

Innumerevoli sono stati gli artisti che hanno preso spunto e addirittura copiato questo celeberrimo brano, da Serge Gainsbourg ("Baby alone in Babylone"), a Carlos Santana ("Love of My Life"), alla band The Mermen (nell’album "A Glorious Lethal Euphoria")…

Ma i due brani, simili nel nome e nella fama, sono diversissimi nel significato.

L’Allegretto di Beethoven esprime un cammino di liberazione ed è inserito in una sinfonia che è un inno alla vita.

Il Poco Allegretto di Brahms è uno sguardo ammaliato sul mistero dell’esistenza, e in questo senso è stato avvicinato alla Marcia Funebre della III sinfonia di Beethoven, l’Eroica.

Ma ha un fascino irresistibile.

Buon ascolto!

sabato 20 febbraio 2010

Ci vorrebbe un tempo Allegretto




Quando nella storia della musica si dice tempo Allegretto viene subito in mente il II Movimento della VII Sinfonia di Beethoven (1813).

È questo l’Allegretto per eccellenza, con il suo ritmo ben scandito, con il suo crescendo inarrestabile, con la sua linea melodica trascinante.

La VII Sinfonia è gioiosa forza vitale che prorompe irresistibile e si esprime in ritmi di danza.
La stessa tonalità di La Maggiore in cui è scritta, la tonalità della gioia più luminosa, ci fa capire che Beethoven vuole erigere un monumento alla vita stessa.

E ci riesce perfettamente.

L’Allegretto, incastonato tra movimenti più vivaci, è come una pausa riflessiva, annunciata dall’accordo inziale di La minore, che sembra dare un tono di velata tristezza.

In realtà il ritmo e il crescendo fanno capire che si tratta di una progressiva conquista della gioia e della pace interiore. Il peso del negativo viene superato in una vittoriosa ascesa verso la luce.

Era un brano particolarmente amato da D. Lorenzo Milani, che lo ascoltava in particolare quando il dolore della sua malattia si faceva maggiormente sentire.

In effetti, l’ascolto del brano dà profonda serenità interiore.

Il video purtroppo è carico di pubblicità (di suo); ma ho scelto questo perché, nonostante tutto, è una registrazione accettabile.

giovedì 18 febbraio 2010

Verrà la morte e avrà i tuoi occhi






















Tra persone educate si parla poco della morte; è un argomento quasi tabù, che mette a disagio l’interlocutore, e perciò socialmente “scorretto”.

Quando poi se ne parla, il tema della morte viene affrontato sempre in maniera un po’ accademica. Nell’espressione “si muore” si pensa sempre, diceva Heidegger, alla morte degli altri; l’argomento quasi non ci tange…

Forse per questo mi ha fatto sempre impressione una delle più belle e drammatiche poesie della nostra letteratura: “Verrà la morte e avrà i tuoi occhi”, di Cesare Pavese (1908-1950).

Il grande scrittore piemontese stava pensando purtroppo di porre fine alla sua vita, a causa del suo amore non più corrisposto da parte di una bella attrice americana, Constance Dowling, che accentuò il suo “male di vivere”.

La riflessione sulla morte diventa perciò un riflessione sul fallimento della propria esistenza; la vita è ormai sentita come “un vizio” da perdere, e la morte è uno scendere “nel gorgo muti”.

Ma quella morte avrà un volto e degli occhi ben precisi, quelli della donna amata e perduta per sempre.

La poesia porta la data 22 marzo ‘50. Il 27 agosto successivo Cesare Pavese poneva fine ai suoi giorni in un albergo di Torino.


Verrà la morte e avrà i tuoi occhi,

questa morte che ci accompagna
dal mattino alla sera, insonne,
sorda, come un vecchio rimorso
o un vizio assurdo. I tuoi occhi
saranno una vana parola,
un grido taciuto, un silenzio.

Così li vedi ogni mattina
quando su te sola ti pieghi
nello specchio. O cara speranza,
quel giorno sapremo anche noi
che sei la vita e sei il nulla.
Per tutti la morte ha uno sguardo.

Verrà la morte e avrà i tuoi occhi.
Sarà come smettere un vizio,
come vedere nello specchio
riemergere un viso morto,
come ascoltare un labbro chiuso.
Scenderemo nel gorgo muti.


Voglio associare questi versi ad una canzone di Fabrizio De André, di cui oggi ricordiamo invece il giorno della nascita (18 febbraio 1940).

È una canzone ("Per i tuoi larghi occhi") che si adatta bene alla lucida e disperata poesia di Pavese.

mercoledì 17 febbraio 2010

Polvere e cenere...



Nel Mercoledì delle Ceneri ci viene ricordata la nostra reale consistenza umana: siamo polvere e in polvere torneremo.

Un pizzico di cenere nel capo vale più di un lungo sermone o di un trattato di filosofia analitica.

Voglio ricordare a me stesso, da credente, che davanti a Dio "un libro scritto sarà portato, in cui tutto è contenuto, per il quale il mondo sarà giudicato. Quando dunque il giudice si siederà, qualunque cosa nascosta sarà svelata, niente rimarrà impunito":

Liber scriptus proferetur, in quo totum continetur, unde mundus iudicetur. Judex ergo cum sedebit, quidquid latet, apparebit: nil inultum remanebit.

Sono le parole che canta il grande contralto polacco Ewa Podleś, nella Messa di Requiem di Giuseppe Verdi.

Siamo abituati ad ascoltare e ad apprezzare la voce del soprano. In questa particolare occasione la voce scura e potente del contralto, in uno dei versetti più drammatici del Dies Irae, mi pare assai indicata.

Per la precisione, il versetto è scritto per il mezzo-soprano; la partitura prevede infatti un la bemolle acuto tenuto per 4/4 sulla vocale “e” di “iudicetur”.

Ma la Podleś lo affronta a piena voce.

La voce del giudizio divino, potente e affascinante.

martedì 16 febbraio 2010

Frittelle e banane...



È il martedì grasso, la fine del Carnevale. È d’obbligo perciò mangiare frittelle e ciambelle.

Qualcosa del genere deve aver pensato anche Charlot quando, non potendo far altro, le ruba al fornaio, nella scena cult del cortometraggio A dog’s life (Vita da cani), del 1918.

Una scena che è stata copiata, ma mai superata, da molti altri comici; anche dall’aretino Roberto Benigni, in Johnny Stecchino (1991); lì Benigni (Dante) ruba banane al fruttivendolo con colpi di “maniche”.

Nel film muto di Charlie Chaplin è la mimica ovviamente che domina assoluta.

Nel film di Benigni anche le battute hanno il loro peso. Indimenticabile la scena al teatro Massimo: “Ma quanto costano le banane a Palermo?!”

Sorridere prego! Domani sono le Ceneri…

lunedì 15 febbraio 2010

Quando i Rolling Stones non fanno linguaccia...




In questi giorni in cui la dolcezza, la tenerezza e i buoni sentimenti la fanno da padroni, attingiamo dal repertorio dei “duri” Rolling Stones una delle canzoni più appassionate che il rock abbia prodotto: Angie, del 1973.

Alcune osservazioni.

Nell’etichetta del 45 giri si vede già il celebre logo dei Rolling Stones, la “linguaccia”, che compare la prima volta nel 1971, opera del giovane designer inglese John Pasche, ricompensato con 50 sterline… (non è comunque opera di Andy Warhol, come talvolta si sente dire).

La canzone fu usata (senza il permesso degli autori) nella campagna elettorale della cancelliera tedesca Angela Merkel nel 2005. In effetti Angie è l’abbreviazione di Angela.
Forse anche per questo riuscì a spuntarla sul suo avversario...

Non ci interessa sapere se la Angie cantata da Mick Jagger fosse la moglie di David Bowie (di cui Jagger era innamorato), o la figlia di Keith Richards, come questi asseriva.

A noi interessa la canzone in sé stessa, molto bella.


Angie

Angie, Angie
When will those clouds all disappear?
Angie, Angie
Where will it lead us from here?
With no loving in our souls
And no money in our coats
You can't say we're satisfied
But Angie, Angie
You can't say we never tried
Angie, You're beautiful
But ain't it time we said goodbye
Angie, I still love you
Remember all those nights we cried?
All the dreams we held so close
Seemed to all go up in smoke
Let me whisper in your ear
Angie, Angie
Where will it lead us from here?
Angie, don't you weep
All your kisses still taste sweet
I hate that sadness in your eyes
But Angie, Angie
Ain't it time we said goodbye?
With no loving in our souls
And no money in our coats
You can't say we're satisfied
But Angie, I still love you, baby
Everywhere I look I see your eyes
There ain't a woman that comes close to you
Come on baby dry your eyes
But Angie, Ain't it...
Ain't it good to be alive?
Angie, Angie
You can't say we never tried


Angie

Angie, Angie, quando scompariranno quelle nuvole scure?
Angie, Angie, dove ci condurrà il destino da qui?
Senza amore nelle nostre anime né soldi nei nostri cappotti
Non puoi dire che siamo soddisfatti
Ma Angie, Angie, non puoi dire che non ci abbiamo mai provato

Angie, sei bella, ma non fu quello il momento in cui ci dicemmo addio?
Angie, io ti amo ancora, ricorda tutte quelle notti in cui abbiamo pianto

Tutti i sogni che tenevamo così vicini sembravano svanire tutti in fumo
Lasciami sussurrare nelle tue orecchie
Angie, Angie, dove ci condurrà il destino da qui?
Oh Angie, non gemere, tutti i tuoi baci sono ancora dolci
Odio quella tristezza nei tuoi occhi
Ma Angie, Angie, non fu quello il momento in cui ci dicemmo addio?

Senza amore nelle nostre anime né soldi nei nostri cappotti
Non puoi dire che siamo soddisfatti
Ma Angie, io ti amo ancora, piccola, dovunque guardo vedo i tuoi occhi
Non esiste donna che si avvicini a te, forza, piccola, asciugati gli occhi

Ma Angie, Angie, non è un bene essere vivi?
Angie, Angie, non possono dire che non ci abbiamo mai provato

domenica 14 febbraio 2010

Il vero amore non invecchia mai...




Nel giorno di S. Valentino è d’obbligo una bella canzone d’amore.

“And I love her” dei Beatles mi pare appropriata. È del 1964; ha perciò 46 anni, ma li porta bene.

Un vero amore, come una bella canzone, non invecchia mai.



E la amo

Le do tutto il mio amore
Ecco cosa faccio
E se tu vedessi il mio amore
La ameresti anche tu
La amo

Lei mi dà tutto
E affettuosamente
Il bacio che la mia amata porta con sé
Lo porta a me
E la amo

Un amore come il nostro
Non potrà morire mai
Finché ti ho
Vicina a me

Brillanti sono le stelle che splendono
Buio è il cielo
So che questo mio amore
Non morirà mai
E la amo


sabato 13 febbraio 2010

Parole d'amore. Bee Gees




Siamo ormai prossimi alla festa di S. Valentino.

Molte parole di amore saranno dette in questi giorni.

Noi vogliamo sostenerle con la suadente musica dei Bee Gees, e precisamente con Words, che mi pare veramente appropriata.

Venne composta nel 1967 e pubblicata nel gennaio del 1968. Un'annata doc.

Canzone molto bella e di grande successo, che indica chiaramente la direzione intrapresa dal gruppo inglese, ben lontana dagli eccessi del rock. Elvis Presley comunque l’aveva nel suo repertorio.

Il brano è cantato da Barry Gibb.

Come si vede dalla copertina di questa prima compilation curata dalla Polydor nel 1969, che raccoglie i primi 12 successi della band, questa era allora costituita, oltre che dai fratelli Robin, Maurice (morto nel 2003) e Barry Gibb, anche dal batterista Colin Petersen.

Buon ascolto!



Words


Smile an everlasting smile, a smile can bring you
near to me.
Don't ever let me find you gone, cause that would
bring a tear to me.
This world has lost its glory, let's start a brand
new story now, my love.
Right now, there'll be no other time and I can show
you how, my love.

Talk in everlasting words, and dedicate them all to
me.
And I will give you all my life, I'm here if you
should call to me.
You think that I don't even mean a single word I
say.
It's only words, and words are all I have, to take
your heart away


Parole

Sorridi con un sorriso incessante, un sorriso può portarti
Vicino a me
Non farti mai trovare triste, perché mi trasmetterebbe
Una lacrima
Questo mondo ha perso il suo splendore, iniziamo una
Storia nuova di zecca, amore mio
Adesso, non ci sarà altra possibilità ed io posso
Mostrarti come, amore mio.

Parla con parole incessanti, e dedicale solo
A me
E ti darò tutta la mia vita, sono qui
Se tu vuoi chiamarmi
Tu pensi che non intendo veramente
Tutto ciò che dico
Sono solo parole, e le parole sono tutto ciò che ho per
Farti innamorare.

venerdì 12 febbraio 2010

La musicalità al potere. Bee Gees



Quando si parla dei Bee Gees si pensa subito alla colonna sonora del film “La febbre del sabato sera” del 1977, che ha determinato una svolta nel cammino della musica leggera di quegli anni.

Il mondo della canzone “impegnata” (per la verità, in gran parte noiosamente retorico) si trovò improvvisamente e desolatamente scavalcato da un nuovo stile musicale e perfino di vita; la discoteca era diventata il luogo principale di aggregazione giovanile.

John Travolta, o se vogliamo, il ballerino Tony Manero, proprio con le canzoni dei Bee Gees, divenne il simbolo di una nuova generazione.

Dalla parte avversa si parlò con disprezzo di “riflusso”, cioè di disimpegno.

In realtà da un bel po’ il mondo giovanile stava andando in questa direzione. Il 68 aveva esaurito la sua carica “rivoluzionaria”. Rimaneva nei giovani la voglia di stare insieme, di fare amicizia, di divertirsi; e la disco-music divenne una componente essenziale.

Ma i Brothers Gibb, fin dal loro esordio come band, avevano scelto la strada di una musica molto diversa dal rock imperante, con tratti più accattivanti. Nel 1967, quindi ben dieci anni prima del loro successo planetario, avevano inciso la canzone “Massachusetts”, in cui già troviamo tutta la loro tipica e bella musicalità.

La riproponiamo, in una versione del 1989.

giovedì 11 febbraio 2010

Ave Maria!




Quando si apre il primo volume del “Clavicembalo ben temperato” (1722) di J. S. Bach, e si ascolta o si inizia a suonare il primo Preludio, in Do Maggiore, si ha l’impressione che quella finissima e stupenda tessitura musicale, tutta costituita da accordi arpeggiati, sia un’opera incompiuta.

Le manca la parola.

Questa impressione l’ebbe certamente Charles Gounod, il quale nel 1859 non fece altro che unire con una linea melodica le vette di quegli arpeggi, come in un grafico cartesiano in cui i punti delle ascisse e delle ordinate siano già stati fissati.

Dall’incontro di un genio con un abile musicista dalla grande sensibilità religiosa, è nata così l’Ave Maria di Bach-Gounod, una delle melodie più belle in onore delle Madre di Dio, un anno dopo le apparizioni di Lourdes.

Oggi è la festa della Madonna di Lourdes, ed è giusto che sia un musicista francese a farLe la sua “offrande”.

E mi è sembrato opportuno scegliere come cantante Andrea Bocelli.

Non avrà il dono della vista, ma ha il dono della voce.

mercoledì 10 febbraio 2010

Per non dimenticare le vittime delle foibe. Il trillo del diavolo




Per onorare le migliaia di italiani uccisi dai comunisti nelle foibe della Venezia Giulia e dell’Istria al termine e dopo la II Guerra Mondiale, e le centinaia di migliaia di persone costrette ad abbandonare i loro beni e la loro terra, mi pare opportuno proporre una delle più famose sonate per violino che siano state mai scritte: Il Trillo del Diavolo, del 1713, di Giuseppe Tartini.

Propongo questo celeberrimo brano non solo per la sua bellezza, ma anche perché Tartini (1692 – 1770) era nativo di Pirano, in Istria, uno dei luoghi al centro delle tragiche vicende di cui oggi facciamo memoria.

Il titolo della sonata, per violino e basso continuo, in Sol minore, deriva dal fatto che il grande compositore veneto sognò di fare una sfida con il diavolo stesso, e questi eseguì una musica così sublime, di cui “Il Trillo del Diavolo” sarebbe una labile trascrizione.

In realtà l’opera è un caposaldo della musica per violino, e nelle parti virtuosistiche anticipa la genialità di Paganini.

Possiamo dire che il titolo del brano in questa giornata ha un significato del tutto particolare: il diavolo sembrò in effetti trionfare nelle foibe; e tra i martiri di quell’orrenda carneficina voglio ricordare Don Francesco Bonifacio, sacerdote, nato come Tartini a Pirano, torturato e poi eliminato nel settembre del 1946.

Solo una vittoria apparente di satana, però, poiché Don Francesco Bonifacio è stato beatificato nel dicembre 2008, alla testa di una schiera di martiri per i quali il “Larghetto Affettuoso” del I Movimento della sonata di Tartini sembra un premonitore e commosso saluto.

Per coloro che vogliono ascoltare il resto del Trillo del Diavolo:

http://www.youtube.com/watch?v=bebi1VHrGMA

http://www.youtube.com/watch?v=-BV_WerbAWg

Mi dispiace solo di una cosa: nel web non ho trovato Il Trillo del Diavolo eseguito da Uto Ughi. Il più grande violinista italiano è nato nel 1944 da genitori di Pirano.

Sarebbe stato il massimo...

Ma ci "accontentiamo" del grande Oscar Shumsky!

martedì 9 febbraio 2010

È carnevale. Anche per gli animali!




Siamo in pieno carnevale, e noi intendiamo festeggiarlo con la musica di Camille Saint-Saëns (1835-1921). Un carnevale che ha come protagonisti i nostri amici a quattro o a due zampe.

È evidente che sto parlando de Le Carnaval des Animaux (Il Carnevale degli Animali), la geniale Suite musicale che passa in rassegna e descrive in 14 brevissime sequenze un vero e proprio zoo, dal superbo leone al dolcissimo cigno, senza dimenticare gli animali “con le orecchie lunghe”…

Fu composto in occasione del martedì grasso del 1886; ma considerandolo una bagattella, Saint-Saëns non volle che fosse mai eseguito in pubblico prima della sua morte.

Come spesso accade, gli autori sono i peggiori giudici del proprio operato. Infatti il Carnevale degli Animali è l’opera più celebre del grande compositore francese.

Noi postiamo il Finale, che riassume un po’ tutta la suite.

La Disney se ne è servita per il suo film di animazione “Fantasia 2000”, per presentare i fenicotteri.

L'opera è scritta originariamente per orchestra con due pianoforti; ma, trattandosi di carnevale, per cui ogni scherzo vale, la presentiamo nella trascrizione pianistica a quattro mani.

Veramente sembrano quattro zampe… E c’è anche chi gira le pagine della partitura.

E pensare che Saint-Saëns già a dieci anni poteva permettersi il lusso di suonare a memoria tutte le 32 Sonate per pianoforte di Beethoven!

Ecco invece il link per la Fantasia 2000 disneyana, in cui compare questo brano.

http://www.youtube.com/watch?v=x4H3icCCiXY

Buon carnevale a tutti, animali compresi!

lunedì 8 febbraio 2010

Ode al caffè











Non conosco i vostri gusti,
saran certo quelli giusti,
ma bevanda altra non c’è
che sia meglio del caffè.

Chi ha il palato un po’ borghese,
più flemmatico, all’inglese,
preferisce, sai com’è,
il rossastro e biondo tè.

Ma chi ha il sangue più caliente
vuole nero e assai bollente
con lo zucchero, se c’è,
un ristretto buon caffè.

C’è chi beve il suo grappino,
specialmente se è un alpino;
puoi correggere da te
lo sgnapin nel tuo caffè.

Soffri di malinconia?
non andare in farmacia!
Vai in un bar e chiede se
puoi avere un bel caffè.

E se invece sei nervoso
e non trovi mai riposo,
non dar retta a quelli che
dan la colpa ai tuoi caffè.

Un pochin di caffeina
alla sera e alla mattina
giova al corpo e alla psychè;
e perciò, fatti un caffè.

Se lo prendi in compagnia,
è il migliore che ci sia;
se da solo sei, vabbè,
compagnia lo fa il caffè.

Il migliore in assoluto
che io abbia mai bevuto,
una donna me lo fe’;
c’era un cuore nel caffè.

Dopo questa poesia,
chiudo tutto e vado via.
Dove vado? buon per me,
vado a prendermi un caffè!


Amicusplato

domenica 7 febbraio 2010

Un geniale preludio di Bach per un bel film



Presento questo Preludio in Do minore di J. S. Bach per due motivi.

Anzitutto è un brano bellissimo, di intensa drammaticità, caratterizzato da un continuo arpeggio che finisce ossessivamente nella ribattuta di una nota nel basso, e che progressivamente si fa strada verso il luminoso finale.

Una vera e propria catarsi. Dal drammatico sprofondare verso sonorità cupe, attraverso una travagliata rielaborazione anche armonica, si giunge al Do maggiore finale, che non è solo un accordo conclusivo, ma il suggello di una lotta vittoriosa.

Questo Preludio fa da leitmotiv nel drammatico e ben riuscito film in bianco e nero David e Lisa, del 1962, diretto da Frank Perry. Il film, costato pochissimo, ottenne un successo strepitoso e un Oscar. Nel 1998 ne è stato fatto anche un remake (dir. Lloyd Kramer).

La scelta del brano musicale è perfetta. I protagonisti del film sono due giovani con gravi turbe mentali, ricoverati in una casa di cura psichiatrica, che riescono a superare le loro ossessioni attraverso il sentimento dell’amore che in loro si fa strada.

Purtroppo non ho trovato nel web una registrazione decente di questo brano pianistico. Ce ne sono invece di ottime nella versione per chitarra (il brano era scritto originariamente per liuto, e in re minore).

Ho preferito allora la clip di questo giovanissimo pianista decenne, che, nonostante tutto, riesce a darci almeno un’idea dell’intensità del brano.

In fondo, anche nel film è il giovane protagonista David a suonare il preludio.

sabato 6 febbraio 2010

Sono ritornate le mezze stagioni!















Eh sì, il tempo sembra ritornato quello di una volta, con le quattro stagioni.

Nonostante il parere contrario dei meteorologi, che per quest’anno avevano previsto un inverno mite, ci siamo ritrovati con la stagione più fredda degli ultimi 100 o 200 anni.

Ora poi che stiamo entrando in una mezza stagione, i vari Bernacca (mi perdoni il già valoroso colonnello) sono tutti nel pallone. Se prevedono pioggia, ci sarà il sole; se preannunciano sereno, non uscite senza l’ombrello.

È tornato il tempo di una volta. Peccato che si tratti solo del tempo atmosferico.

Il tempo cronologico invece non ha la marcia indietro...

venerdì 5 febbraio 2010

Finirà anche questo rigido inverno...



Dalla colonna sonora del film Les Choristes (in Italia, “I ragazzi del coro”), composta da Bruno Coulais, (2004), abbiamo già postato la canzone “Vois sur ton chemin”.

Ora che il freddo invernale comincia un po’ a cedere il passo ad una stagione più mite, mi pare molto appropriato presentare un’altra bella canzone di quella formidabile colonna sonora:
“Caresse sur l’océan”.

È la metafora della vita dei giovani coristi dell’internato del “Fondo dello Stagno”: le difficoltà che stanno incontrando nel rigido istituto stanno per finire, e attraverso una maturazione interiore si preparano a volare verso la libertà.

Mi piace sottolineare la bella espressione idiomatica francese che compare nella canzone: "Faire des châteaux en Espagne", che va tradotta con "fare castelli in aria".

Conquistare la Spagna, cioè "fare castelli nella Spagna", è sempre stato un sogno dei sovrani francesi, dai tempi del Medioevo. Non ci riuscì neppure il Re Sole, né ci riuscìrà Napoleone. L'espressione perciò corrisponde al nostro "fare castelli in aria".
Nella canzone però la frase è riferita ai volteggi del gabbiano, e ai legittimi sogni ad occhi aperti dei ragazzi.

Caresse sur l’océan.

Caresse sur l'océan
Porte l'oiseau si léger
Revenant des terres enneigées
Air éphémère de l'hiver
Au loin ton écho s'éloigne
Châteaux en Espagne
Vire au vent tournoie déploie tes ailes
Dans l'aube grise du levant
Trouve un chemin vers l'arc-en-ciel
Se découvrira le printemps

Caresse sur l'océan
Pose l'oiseau si léger
Sur la pierre d'une île immergée
Air éphémère de l'hiver
Enfin ton souffle s'éloigne
Loin dans les montagnes
Vire au vent tournoie déploie tes ailes
Dans l'aube grise du levant
Trouve un chemin vers l'arc-en-ciel
Se découvrira le printemps!
Calme sur l'océan.

Carezza sull’oceano
porta l’uccello così leggero
tornando da terre innevate.
Aria effimera dell’inverno
la tua eco si allontana.
Castelli in aria,
vira nel vento, rigira, dispiega le tue ali
nell’alba grigia del levante,
trova una via verso l’arcobaleno;
si scoprirà la primavera!

Carezza sull’oceano
posa l’uccello così leggero
sulla pietra di un’isola immersa.
Aria effimera dell’inverno.
Infine il tuo soffio si dilegua
lontano nelle montagne
vira al vento, rigira, dispiega le tue ali
nell’alba grigia del levante
trova una via verso l’arcobaleno;
si scoprirà la primavera!
Calma sull’oceano.

giovedì 4 febbraio 2010

Medicina alternativa














Quando qualcosa rompe l’armonia
della nostra salute corporale,
di corsa ci rechiamo in farmacia
per cercare un rimedio al nostro male.

Torniamo carchi poi di medicine
e con le tasche invece più leggere;
compresse, antibiotici, aspirine,
farmaci per la bocca e pel sedere.

Ma c’è una medicina alternativa,
non è cinese, né stregoneria;
potrà sembrare solo palliativa,
ma è una comprovata terapia.

È la Musica, grande panacea,
il rimedio a ogni mal; fanne buon uso!
potrà sembrare una curiosa idea,
ma se la provi, non sarai deluso.

Ti senti triste? Mozart e Vivaldi
ti tireranno su con un concerto.
Se invece i sentimenti sono caldi,
ti ci vuole Beethoven, stanne certo!

Sei di notte? un Notturno chopiniano
ti farà compagnia dolce e leale.
Dopo invece lo stress pomeridiano
una fuga di Bach è l’ideale.

Sei nervoso? E prenditi un Rossini!
se ne va l’ira e torna il bel sorriso.
Ti tormenta l’amor? ecco Puccini!
forti passioni e lacrime sul viso.

Sei moribondo, prossimo a spirare?
Non c’è problema, Canto gregoriano!
Se sei defunto, tu non disperare,
c’è il bel Requiem di Mozart o verdiano.

E per chi nasce, e per le donne incinte?
La musica fa bene, è dimostrato.
Non ci credete? non siete convinte?
Mia madre amava il canto... Amicusplato.

mercoledì 3 febbraio 2010

Paganini, non solo virtuosismo



Siamo abituati a considerare Niccolò Paganini (1782-1840) soprattutto come un genio del virtuosismo.

È stato detto giustamente che la storia del violino si divide in prima e dopo Paganini (Ivry Gitlis).

In particolare i suoi “24 Capricci per violino solo” sono una rivoluzione musicale, e non solo nella tecnica di questo strumento.

Ma il grande musicista genovese mostra anche una straordinaria sensibilità romantica.

Schubert ha detto di lui: "Negli adagio di Paganini, ho sentito il canto degli angeli. Nessuno riuscirà a fare come lui”. E se lo dice Schubert, il maestro della musicalità pura…

La Sonata op. 3 n. 6, in Mi minore, per Violino e Chitarra, è un esempio di questa musicalità.

Un brano sfruttato dai media in mille modi, ma che rimane sublime.